ordinanza 29 aprile 1983; Giud. D'Aietti; D'Auria (Avv. Scarvaci) c. Grassi (Avv. Scarciglia)Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 9 (SETTEMBRE 1983), pp. 2309/2310-2313/2314Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177031 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1982) la quota è pari a 2/12 di tale somma, cioè a lire 67.098.
Ciò significa che, se non ci fosse la disposizione dell'art. 5, 2°
comma, il computo del trattamento di fine rapporto del ricorren
te sarebbe risultato maggiorato, per efletto dell'inserimento della
contingenza bloccata, di lire 67.098. È palese che la quota « perduta » diminuisce negli anni successivi con scatti semestrali
in relazione al progressivo inserimento: ad esempio, nel primo semestre 1983 con l'inserimento di 25 punti cioè di 1/7 della
contingenza, la quota perduta sarà 6/7 di 1/2 di 402.591 e cioè
lire 172.539; nel secondo semestre 1983 essa sarà 5/7 di 1/2 di
402.591, cioè lire 143.782 e cosi via. Si deve però tener presente che diminuisce la quota perduta di semestre in semestre, ma
aumenta la quota perduta complessivamente poiché le quote per dute devono venir sommate, dato che il progressivo inserimento
vale per il futuro ma non incide sul passato. Fatte tutte queste premesse, può passarsi all'esame della dispo
sizione dell'art. 5, 3° comma. Ritiene il pretore che la dizione « gli aumenti dell'indennità di contingenza o di emolumenti di analoga natura maturati a partire dal 1° febbraio 1977 e fino al 31 luglio 1982 e non ancora computati a norma del comma precedente » si
riferisca alla quota di accantonamento « perduta » di cui si è
parlato sopra; appare infatti di primo acchito ragionevole ritenere
che con tale disposizione si sia voluto attribuire al lavoratore
null'altro che quanto ha perduto per effetto del non immediato
reinserimento della contingenza bloccata (con la differenza, -peral
tro, che tale attribuzione è fatta solo a certi lavoratori — quelli che cessano nel periodo giugno 1982/dicembre 1985 — e senza
rivalutazione, in quanto corrisposta « in aggiunta » al trattamento
di fine rapporto soggetto a rivalutazione). Per il calcolo sopra
riportato risulta ohe la quota « perduta » è: per il periodo
giugno/dicembre 1982 lire 234.844 (7/12 di 402.591); per il 1°
semestre 1983 lire 172.539; per il 2° semestre 1983 lire 143.782;
per il 1° semestre 1984 lire 115.025; per il 2° semestre 1984 lire
86.268; per il 1° semestre 1985 lire 57.512; per il 2° semestre 1985
lire 28.756; in totale, lire 838.726. Questo è l'importo che,
complessivamente, un lavoratore « perde » per elfetto del non
immediato reinserimento della contingenza bloccata nel periodo
giugno 1982/dicembre 1985 ed è l'importo che dovrà essergli
corrisposto in aggiunta se avrà lavorato nell'intero periodo e
cesserà al 31 dicembre 1985; se la cessazione avviene prima, o il
rapporto è sorto dopo, spetterà la minor somma « perduta » nel
periodo di durata del rapporto. Si tratta cioè di un somma
progressivamente crescente (anche se in misura sempre più ridot
ta) e ciò appare pienamente logico: chi, infatti, come il ricorrente
cessa il rapporto in prossimità dell'entrata in vigore della legge risente in misura scarsa del « danno » del non immediato inseri
mento (egli, infatti, non subisce alcun « danno » per il periodo
successivo, poiché, essendo cessato il rapporto, egli non matura
più alcun trattamento di fine rapporto). La diversa interpretazione della norma data dal ricorrente
secondo cui si dovrebbe corrispondere la cifra fissata di lire 418.075
a chi cessa il rapporto nel periodo giugno/dicembre 1982, la cifra
fissa di lire 358.350 (150 x 2.389) a chi cessa nel 1° semestre
1983, la cifra fissa di lire 298.625 (125 X 2.389) e cosi via, non
convince per diversi motivi: 1) essa non è imposta dalla lettera
della legge: la norma parla di corresponsione degli aumenti
dell'indennità di contigenza ma l'indennità di contingenza è un
parametro per vari istituti (retribuzione mensile, indennità di
anzianità, ecc.); poiché qui si sta trattando dell'indennità di fine
rapporto è plausibile che i detti aumenti debbano essere corrisposti in riferimento a tale istituto e non a quello della retribuzione
mensile; 2) essa porta a conseguenze irragionevoli: a) è irragio nevole che si corrisponda una somma maggiore a chi risente
un minor « danno »: si è visto sopra che il maggior danno lo
subiscono coloro che cessano il rapporto in prossimità del di
cembre 1985 mentre è minimo il danno di coloro che cessano in
prossimità del maggio 1982, ma, secondo la tesi del ricorrente, i
primi riceverebbero una somma minore dei secondi (e per di più fra alcuni anni e quindi più svalutata); b) è irragionevole — visto
che anche il nuovo trattamento di fine rapporto è proporzionato alla durata del rapporto di lavoro e ciò anche per frazioni di
anno (art. 2120, 1° comma, ult. parte) — che sia dovuta la stessa
somma aggiuntiva a chi cessa il rapporto nel giugno o nel
dicembre 1982, oppure il primo o l'ultimo mese di un qualunque semestre successivo; c) è irragionevole che il ricorrente — il
quale se non vi fosse la norma dell'art. 5, 2° comma, e quindi la
contingenza bloccata fosse subito integralmente reinserita, avrebbe
visto il suo trattamento di fine rapporto maggiorato di lire 67.098 — percepisca invece lire 418.075.
Bisogna riconoscere che anche questa intepretazione della nor
ma non è totalmente soddisfacente: chi cessa il rapporto al 31
dicembre 1985 percepisce la somma aggiuntiva di lire 838.726,
mentre chi cessa al 31 gennaio 1986 non percepisce una lira,
quantunque il « danno » che hanno subito sia lo stesso (entrambi, infatti, non si son visti accantonare nel periodo giugno 1982/ dicembre 1985 tale importo) e il totale inserimento di cui ha
goduto il secondo vale solo per l'accantonamento del gennaio 1986; ciò è difficilmente giustificabile sul piano della razionalità e
potrà far sorgere anche dubbi di costituzionalità. È però indi scutibile che la legge ha voluto attribuire « qualcosa » a chi cessava il rapporto entro il 31 dicembre 1985 e non attribuirlo a chi cessava dopo, sul probabile presupposto (che era valido col
precedente sistema di calcolo dell'indennità di anzianità basato sull'ultima retribuzione, ma non lo è più col nuovo sistema, basato sulle quote di retribuzione annua) che chi cessava dopo il totale reinserimento della contingenza bloccata non subisse più alcun effetto negativo (il che è vero per il futuro ma non per il
periodo giugno 1982/dicembre 1985). Poiché la convenuta ha corrisposto i ratei di trattamento di fine
rapporto relativi a giugno/luglio 1982 sull'intera retribuzione, ha
corrisposto tutto quanto dovuto; anche la domanda sub c) deve
quindi essere respinta. (Omissis)
PRETURA DI MONZA; ordinanza 29 aprile 1983; Giud. D'Aiet
ti; D'Auria (Avv. Scarvaci) c. Grassi (Avv. Scarciglia).
PRETURA DI MONZA; TT. r>' A VA,— ^
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad abitazione —
Disciplina transitoria — (Recesso del locatore — Destinazione dell'immobile all'uso dichiarato — Impossibilità sopravvenuta prima del rilascio — Ripristino del contratto — Esclusione —
Questione non manifestamente infondata di costituzionalità
(Cost., art. 3, 24; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle loca zioni di immobili urbani, art. 60).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame alla Corte costituzionale) la questione di legittimità costituziona le dell'art. 60, >1" comma, l. 27 luglio 1978 n. 392, nella parte in cui non prevede che l'azione giudiziaria diretta a far dichiarare
inefficace la pronunzia di rilascio dell'immobile locato possa essere promossa dal conduttore anche prima del rilascio, qualo ra si deduca l'assoluto venir meno, in via irrimediabile e
definitiva, della possibilità materiale o giuridica che l'immobile sia adibito all'uso per <il quale il locatore aveva agito, in
riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (1)
(1) Non constano precedenti in termini.
Analoga questione di costituzionalità è stata sollevata in relazione al previgente art. 8 1. n. 253/50 (sostanzialmente ripreso, pur con varie modificazioni, dall'art. 60 1. n. 392/78), da iPret. Firenze 27 gennaio 1982, Rass. equo canone, 1982, 259, e Arch, locazioni, 1982, 609.
La giurisprudenza di legittimità, come è ricordato nel provvedimento che si riporta, è ferma nell'escludere che il principio dell'efficacia rebus sic stantibus, elaborato per le sentenze in tema di cessazione della proroga legale delle locazioni di immobili, possa trovare applicazione nel caso di accoglimento della domanda di rilascio al contrario di quanto avviene nell'ipotesi di rigetto della domanda (il che consente di riproporla ove la situazione di necessità già dedotta in giudizio si sia aggravata o abbia subito un mutamento). V. in tal senso, Cass. 15 luglio 1961, n. 1721, Foro it., Rep. 1961, voce Locazione, n. 168; 17 giugno 1960, n. 1596, id., Rep. 1960, voce cit., n. 249; 26 febbraio 1958, n. 637, id., Rep. 1958, voce cit., n. 299; 7 dicembre 1957, n. 4613, id., Rep. 1957, voce cit., n. 403; 18 maggio 1957, n. 1780, ibid., n. 398; 15 marzo 1957, n. 882, ibid., n. 400; 27 febbraio 1957, n. 392, ibid., n. 397; 29 gennaio 1957, n. 312, ibid., n. 579; 7 ottobre 1955, n. 2920, id., 1956, I, 338 (in precedenza avevano, invece, ritenuto operante la regola dell'efficacia rebus sic stantibus senza distinguere tra pronunzia di accoglimento e di rigetto, Cass. 26 agosto 1954, n. 3015, id., Rep. 1954, voce cit., n. 518, e 30 gennaio 1954, n. 242, ibid., n. 519, nonché la giurisprudenza di merito richiamata in motivazione da Pret. Monza).
Conseguenza del consolidato indirizzo è che gli effetti del giudicato di condanna al rilascio possono essere posti nel nulla soltanto nei limiti di applicabilità dell'art. 8 1. n. 253/50 (ed ora dell'art. 60 1. n.
392/78), il quale presuppone l'avvenuta esecuzione del provvedimento di rilascio {v. in tal senso: 'Cass. 17 ottobre 1957, n. 3915, id., Rep. 1957, voce cit., n. 399, e 30 luglio 1957, n. 3213, ibid., n. 548), ed in
particolare che il conduttore non può rimettere in discussione la statuizione giurisdizionale con l'opposizione all'esecuzione ex art. 615
c.p.c., neppure qualora la necessità del locatore sia venuta a mancare successivamente al formarsi del giudicato (v. Cass. 7 ottobre 1955, n.
2920, cit., e, da ultimo, Pret. Manfredonia 9 maggio 1980, id., Rep. 1980, voce cit., n. 882).
Ritengono invece deducibile con l'opposizione all'esecuzione il difetto della necessità sopravvenuto alla sentenza di condanna al rilascio, con riferimento all'attuale normativa: Pret. Chieti 20 ottobre 1982, Arch,
locazioni, 1982, 759, e Pret. Roma 27 marzo 1979, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 403 (annotata criticamente da C. Lepore, in Rass. equo
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PARTE PRIMA 2312
Contro Giuseppe D'auria è stato emesso un provvedimento
giudiziario esecutivo di rilascio dell'immobile, da lui occupato a
titolo locativo, fondato sulla necessità delle locatrici fatta valere
ex art. 59 1. 392/78; — le locatrici hanno intimato precetto ed il 25 ottobre 1982 è
stato notificato al conduttore preavviso di sloggio ex art. 608
c.p.c.; — di fronte a tale esecuzione il conduttore D'Auria ha fatto
valere, attraverso la presente opposizione ex art. 615 c.p.c., il
venir meno del titolo esecutivo per fatti sopravvenuti; — invero l'azione ex art. 59 proposta dalle locatrici era fondata
sulla esclusiva necessità di procurare una abitazione alla propria madre Clotilde Sala, la quale, successivamente al provvedimento di rilascio (ordinanza ex art. 30 1. cit. del 19 gennaio 1980), era
deceduta; — di conseguenza l'opponente ha sostenuto la perdita di effica
cia del titolo esecutivo nei propri confronti, per il venir meno
della situazione di necessità posta a base del provvedimento di
rilascio; — orbene, questo giudice dell'esecuzione investito dell'opposi
zione ha il potere-dovere di sospendere l'esecuzione qualora ravvisi la sussistenza di gravi motivi posti a fondamento della
stessa; è ormai principio acquisito che i gravi motivi, di fronte
ad un provvedimento giudiziario costituente titolo esecutivo, pos sono riguardare soltanto fatti sopravvenuti i quali debbono rap
presentarsi tali, di per sé, da configurare la probabilità di un
giuridico accoglimento della contestazione di merito svolta dall'o
ponente; — il giudice dell'esecuzione deve, quindi, svolgere, sia pur per
pervenire ad una decisione avente ad oggetto la « sola sospensione dell'esecuzione », un giudizio prognostico circa la fondatezza dei
motivi di apposizione; — allo stato della attuale disciplina normativa l'opposizione non
appare, però, fondata, cosi che nel giudizio di merito non potrebbe trovare accoglimento l'istanza del conduttore di vedere dichiarato
inefficace il provvedimento giudiziario di rilascio; — un remoto precedente legislativo (di. 12 ottobre 1945 n.
669), in realtà, prevedeva espressamente l'inefficacia della senten
za o della ordinanza con la quale si ordinava il rilascio ove il
locatore si fosse procurato un altro immobile idoneo a soddisfare
le proprie necessità ed il conduttore occupasse ancora l'immobile
locato; tale disposizione, però, scomparve allorquando fu emanata
la 1. organica del 23 maggio 1950 n. 253; — con tale ultima legge fu introdotta la disposizione di cui
all'art. 8 in cui si prevedette la inefficacia della pronuncia di
canone, 1980, 157), secondo la quale il diritto al rilascio per necessità si estingue con la morte dell'interessato ed è intrasmissibile agli eredi.
Inoltre, secondo la Cassazione le sanzioni previste dalla legge per la mancata destinazione dell'immobile all'uso dichiarato dal locatore non si applicano quando questa non dipenda da dolo o colpa del locatore medesimo {v., con riferimento al previgente art. 8 1. n. 253/50, sent. 21 luglio 1979, n. 4387, Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 463; 27 febbraio 1969, n. 657, e 6 marzo 1969, n. 736, id., Rep. 1969, voce
cit., nn. 82, 83; 14 giugno 1968, n. 1916, id., Rep. 1968, voce cit., n. 113; 17 maggio 1966, n. 1258, id., Rep. 1966, voce cit., n. 109; 22 ottobre 1965, n. 2207, ibid., n. 108, e 26 gennaio 1962, n. 134, id., Rep. 1962, voce cit., n. 236, che esclude espressamente dette sanzioni ove la mancata destinazione all'uso dichiarato sia dipesa dal venire meno della necessità fatta valere in giudizio).
La dottrina, ad eccezione di Lepore, Sopravvenuta inesistenza della
necessità, cosa giudicata e sanzioni a carico del locatore, in Rass. equo canone, 1980, 158, pone come presupposto necessario dell'azione del conduttore ex art. 60 1. n. 392/78 il conseguimento effettivo della
disponibilità dell'immobile da parte del locatore. V. in tal senso:
Tamponi, in Equo canone, 19802, 665; Confortini-Zimatore, Le
locazioni di immobili urbani ad uso abitativo, in Giust. civ., 1980, II,
3; Ferrone-Ponticiello, Il recesso nella disciplina transitoria della l. 27 luglio 1978 n. 392, 19822, 179 ss.; nonché, con riferimento alla
previgente disciplina vincolistica: Lazzaro-Preden-Varrone, Le locazio ni nella disciplina vincolistica, 1978, 398, Giudiceandrea, Locazioni e sublocazioni di immobili urbani, 195 62, 334; A. Tabet, Le locazioni urbane nella legislazione vincolistica, 19552, 2 1 9 ss.
Nel senso che non si possa far valere in sede di opposizione alla esecuzione la cessazione della necessità del locatore su cui si fonda la condanna al rilascio, v. Bozzi-iPaparoPSebastiani, Esecuzione dei
provvedimenti di rilascio degli immobili, 131 ss. (che, peraltro, dubita no della costituzionalità dell'art. 60 cit.); Giudiceandrea, op. cit., 334; Castoro, Necessità del locatore di disporre dell'immobile locato cessata
dopo il giudicato, in Foro pad., 1956, I, 546. Di opinione contraria
sono, invece, Visco, Le case in locazione, 1973', 1336 ss., e Tabet, op. cit., 219 ss. {il quale, pur ritenendo che l'efficacia rebus sic stantibus delle sentenze presupponga una obbligazione a carattere conti
nuativo, laddove l'obbligo di rilasciare la cosa locata è istantaneo, ipotizza l'utilizzabilità dell'art. 615 c.p.c. per ottenere la dichiarazione di inefficacia del titolo esecutivo).
rilascio (fondata sulla urgente ed improrogabile necessità e su
altre ipotesi affini che qui non interessano) qualora « l'immobile
sia dato in locazione ad altro conduttore o comunque il locatore
non lo adibisca all'uso in relazione al quale aveva agito ». — l'art. 2 quinquìes 1. 12 agosto 1974 n. 351, lasciando immuta
ta la struttura della norma, aveva precisato (aggiungendovi due
comma) che la effettiva utilizzazione dei locali, in relazione alla
causa petendi azionata, doveva essere realizzata entro sei mesi dal
giorno in cui il locatore aveva riacquistato la disponibilità dei
locali; — da tale situazione normativa talune risalenti pronunzie giu
risprudenziali avevano compiuto il tentativo di fare derivare,
dall'ormai accolta ammissibilità della categoria delle sentenze
« allo stato », la configurabilità di una pronuncia giurisdizionale tale da togliere effetto al giudicato instauratosi tra le parti;
— tali pronunzie (Trib. Napoli 1° marzo 1954 e Pret. Genova
19 maggio 1954, Foro it., 1955, I, 1273, nonché Pret. Mi
lano 12 aprile 1955, id., Rep. 1955, voce Locazione, n. 574) pur riconoscendo la inapplicabilità della disciplina dell'art. 8 1. 253/50
(che presupponeva la duplice condizione che il conduttore avesse
già rilasciato i locali e che il locatore non li avesse successivamen
te adibiti all'uso dedotto nella domanda giudiziale) avevano
ritenuto che, nei confronti del conduttore che ancora si trovasse
ad occupare di fatto i locali, potesse applicarsi il principio della
efficacia delle pronunce rebus sic stantibus, più volte affermato
dalla Suprema corte proprio in tema di locazioni e di azione di
urgente ed improgabile necessità; — il tentativo è stato però autorevolmente ed irrimediabilmente
stroncato dalla pronunzia n. 2920 del 7 ottobre 1955 della
Suprema corte (id., 1956, I, 338) nella quale, confermandosi la
inapplicabilità dell'art. 8 1. n. 253/50 per l'ipotesi che il condutto re permanesse ancora nei locali pur dopo il passaggio in giudicato della pronunzia che ne disponeva il rilascio, ha rilevato la erroneità dell'applicazione del principio relativo alle pronunzie rebus sic stantibus;
— invero la Suprema corte ha ritenuto che solo le pronunzie di « rigetto » della necessità vantata dal locatore non soggiacciono alla preclusione del « giudicato »; infatti queste statuiscono con riferimento ad un certo momento, ad una certa situazione storica del « rapporto locativo »; ben possono, però, verificarsi nuovi elementi o situazioni di fatto che mutino, in un tempo successivo, la condizione del rapporto che è pur sempre operante e vitale tra le parti; è, infatti, l'accertamento passato in giudicato che è
immutabile, ma non certo il rapporto che si sviluppa e ben può ricevere nuovi e diversi accertamenti;
— diversa considerazione, afferma la Suprema corte è da fare circa la pronunzia che « accoglie » la domanda del locatore e
pronunzia la cessazione del rapporto locativo; — in tale caso, invero, non si è soltanto in presenza di un
accertamento definitivo di un certo rapporto contrattuale, bensì di un accertamento definitivo che ha prodotto l'ulteriore effetto di
estinguere il rapporto, che ha quindi cessato di aver vita e sul
quale un nuovo, diverso accertamento non potrebbe operare con funzione di reviviscenza (salvo che per le ipotesi dell'art. 8 1. 253/50 che però vengono considerate eccezionali e non suscettibili di applicazione analogica).
Questi sono i risultati, esegeticamente non discutibili, ai quali era giunta la Suprema corte in tema del venir meno della necessità di un momento posteriore al passaggio in giudicato della
pronunzia che l'aveva accertata (nel medesimo senso, Pret. Man fredonia 9 maggio 1980, id., Rep. 1980, voce cit., n. 882).
Tali conclusioni sono da confermare anche di fronte alle innovazioni legislative introdotte con 1. 27 luglio 1978 n. 392; invero la formulazione legislativa dell'art. 60 ricalca, senza ap prezzabili variazioni, la norma di cui al precedente art. 8 1.
253/50. In entrambi i casi, infatti, la sanzione di inefficacia del
provvedimento è ricollegata alla condizione del previo rilascio da
parte del conduttore ed al successivo mancato uso in un certo termine.
Orbene cosi ricostruita la norma del menzionato art. 60, non
pare che la stessa possa sottrarsi ad un serio dubbio di costitu zionalità sotto il profilo della violazione del disposto dell'art. 24 e dell'art. 3 Cost.
Invero, allorquando, come nel caso oggetto del presente giudi zio, si sono verificate delle condizioni che rendono impossibile la destinazione dell'immobile all'uso che era stato dedotto nella domanda giudiziale accolta e sulla quale si era formato il
giudicato, appare gravemente lesiva del principio del libero eser cizio della tutelabilità giudiziaria dei propri diritti (art. 24 Cost.) la circostanza che il conduttore non abbia a disposizione uno strumento di azione per impedire che si realizzi un evento (l'azione esecutiva di rilascio) la cui realizzazione si appalesa fonte di illecito, dal momento che, secondo quanto previsto
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dall'art. 60 J. n. 392/78, il locatore, ottenutane la disponibi lità, non potrà mai e poi mai adibirlo (nel caso di specie per la morte dell'unico beneficiario del provvedimento di sfratto) all'uso per il quale era stata giustificata la pronuncia del provve dimento giudiziale di rilascio.
La norma, che disciplina la struttura processuale di una tale
opposizione condizionandola al previo rilascio dei locali, appare
ingiustificatamente ed irrazionalmente ledere il diritto costituziona
le di poter far valere in via di azione il diritto (che è già sicuro
nella sua esistenza) volto a rendere inefficace la pronunzia di
rilascio (vedi ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale del
Pret. Firenze 27 gennaio 1982). La normativa in questione appare affetta da incostituzionalità
anche sotto l'ulteriore profilo della violazione dell'art. 3 Cost.; invero è principio acquisito della giurisprudenza della Corte costi
tuzionale che l'eventuale diversità di trattamento di posizioni, pur caratterizzate da una diversa situazione di fatto, possa ben
costituire una violazione del principio di eguaglianza allorquando la distinzione normativa tra le diverse situazioni sia mani
festamente illogica e priva di una razionalità ricavabile dalla
mens legis e/o dai lavori preparatori parlamentari. Orbene al giudicante appare evidente che nel regolamentare i
diritti dei conduttori, nei cui confronti sia stato emesso un
provvedimento di rilascio tra quelli previsti dall'art. 60, che sia
ormai impossibile rispettare nella destinazione d'uso, il legislatore ha trattato, discriminando le posizioni a seconda se sia stato
eseguito o meno il rilascio dei locali, in maniera ingiustificatamen te diversa situazioni sostanzialmente simili. Non vi è, infatti, alcuna apprezzabile distinzione tra ila posizione del conduttore
interessato a veder dichiarata la inefficacia della pronunzia giudi ziaria di rilascio allorquando, dopo lo sfratto, l'immobile non sia
adibito all'uso per cui si era agito, e quella del conduttore ohe, ancora nella detenzione dei locali, intenda agire per far dichiarare
la inefficacia della medesima pronuncia allorquando sia venuta
meno, in maniera assoluta, la possibilità che il locatore adibisca i
locali all'uso per il quale aveva ottenuto la pronunzia. In entrambi i casi, invero, l'elemento di sostanziale eguaglianza è
rappresentato dalla « certezza » del mancato uso; nel primo caso
la « certezza » è derivante da un acclarato fatto storico (la reale
inutilizzazione dei locali); nel secondo da una valutazione razio
nale (una non per questo meno « certa ») della impossibilità assoluta di tale utilizzazione.
Il giudicante si rende conto che i limiti entro i quali la norma
in oggetto può apparire incostituzionale devono essere adeguata mente definiti per evitare che i giudizi volti a far pronunciare l'inefficacia di una sentenza di rilascio possano pretestuosamente
moltiplicarsi all'infinito. Evidentemente la norma dell'art. 60 an
drebbe, quindi, dichiarata incostituzionale nei limiti in cui non
prevede che l'azione giudiziaria volta a far dichiarare inefficace la
pronunzia di rilascio possa promuoversi anche prima del rilascio
qualora si deduca l'assoluto venir meno, in via irrimediabile e
definitiva, della possibilità materiale o giuridica che l'immobile
verrà adibito all'uso a cui era destinato in forza della pronunzia di rilascio.
È evidente che tale diritto di azione, derivante dalla parziale dichiarazione di incostituzionalità delle norme, potrebbe essere
esercitato in via ordinaria ma che, ai soli fini della sospensione
dell'esecuzione, ci si potrebbe rivolgere al giudice dell'esecuzione
al fine di prospettare i « gravi motivi » per la sospensione ex art.
624 c.p.c.; la sommaria delibazione in sede esecutiva in tal caso, essendo l'opposizione fondata su una previsione normativa di
inefficacia, ben potrebbe portare all'accoglimento della istanza di
sospensione. Allo stato dell'attuale legislatore, invece, questo giudice dell'ese
cuzione non ha alcun potere di poter sospendere l'efficacia di un
titolo costituito da un provvedimento giurisdizionale sul quale si è
costituito il giudicato. Ne consegue che la questione di costituzionalità nel presente
giudizio è sicuramente rilevante.
PRETURA DI MODENA; sentenza 26 aprile 1983; Giud. L.
Persico; Pasini (Avv. Maida) c. Mazzi (Avv. Bergonzoni).
PRETURA DI MODENA;
Provvedimenti d'urgenza — Rapporto di compartecipazione agra ria — Conversione in affìtto — Lavori agricoli non autorizzati — Inibizione — Provvedimento cautelare atipico — Compe tenza della sezione specializzata agraria del tribunale (Cod.
proc. civ., art. 700; 1. 11 febbraio 1971 n. 11, nuova disciplina dell'affitto di fondi rustici, art. 26; 1. 3 maggio 1982 n. 203, norme sui contratti agrari, art. 47).
Va dichiarata l'incompetenza per materia del pretore a conoscere
della domanda diretta ad ottenere un provvedimento cautelare
atipico di inibizione di lavori agricoli non autorizzati (nella
specie, svolti dal mezzadro sul presupposto dell'applicabilità, al
rapporto di compartecipazione stagionale limitata, della facoltà di conversione in affitto), spettando la cognizione alla sezione
specializzata agraria del tribunale. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 14 set
tembre 1982, la signora Pasini, proprietaria di un fondo rustico di
64 biolche modenesi, sito in agro di Castelfranco Emilia, premet tendo di aver ricevuto dal conduttore del fondo Mazzi Franco la
comunicazione della di lui intenzione di convertire il rapporto in
affitto ai sensi della 1. 3 maggio 1982 n. 203, invocava dal pretore un provvedimento di urgenza che vietasse al conduttore di
effettuare operazioni colturali non da essa ricorrente autorizzate, contestando l'applicabilità al rapporto della facoltà di «conversio
ne in affitto » trattandosi di una compartecipazione stagionale limitata, non ricompresa nella sfera di previsione della citata
legge. In data 30 settembre 1982 il Mazzi si costituiva, eccependo
l'improponibilità della procedura dell'art. 700 c.p.c. per mancato
esperimento del tentativo di conciliazione e l'incompetenza fun
zionale del pretore civile ordinario, trattandosi di materia riserva ta al giudice del lavoro, infine l'infondatezza in fatto della do
manda. (Omissis) Motivi della decisione. — Tra le numerose questioni presentate
e trattate, la eccezione preliminare di incompetenza per materia del pretore ordinario, dedotta tempestivamente ed espressamente dalla difesa del convenuto Mazzi, ha carattere assolutamente
prioritario per la sua stessa natura.
La stessa difesa del convenuto ha prodotto un certificato in
data 30 settembre 1982 della cancelleria del Tribunale di Modena
che attesta la pendenza di causa n. 354/78 sul punto « diniego
proroga contratto compartecipazione relativo a biolche 45 terre
no... sito in Castelfranco Emilia » da intendersi inter partes, essendo succeduta la vedova al defunto dott. Giuseppe Breviglieri,
originario attore della causa.
Dalle copie di atti prodotti si evince altresì che il Mazzi
contestò la domanda, assumendo di condurre il podere intero a
titolo di « mezzadria impropria » ed elencando una serie numero
sa di lavori effettuati -nei vari anni, tali da dimostrare, se provati, la conduzione unitaria e programmata di una vasta azienda
agricola e non già l'effettuazione di isolate e saltuarie coltivazioni
su dotti limitati.
(1) Questione nuova. Nel vigore della disciplina ex art. 26 1. 11 febbraio 1971 n. 11 (del
resto richiamata espressamente dalla corrispondente norma del nuovo testo normativo in tema di patti agrari) la giurisprudenza era consoli data nell'affermare la competenza delle sezioni specializzate agrarie ad emettere provvedimenti cautelari atipici sia quando il ricorso fosse stato proposto anteriormente alla causa di merito (v. Cass. 2 dicembre
1980, n. 6292, Foro it., Rep. 1981, voce Contratti agrari, n. 259; Trib. Saluzzo 9 dicembre 1980, id., 1981, I, 860, con ampia nota di richiami di D. Bellantuono) sia quando il ricorso fosse intervenuto in corso di causa pendente dinanzi alle sezioni specializzate agrarie '(v. Cass. 18 no vembre 1981, n. 6128, id., Rep. 1981, voce Contratti agrari, n. 260; Trib. S. Angelo dei Lombardi 18 novembre 1980, ibid., n. 261; v., però, Trib. Bergamo 3 ottobre 1980, id., Rep. 1982, voce Provvedimenti
d'urgenza, n. 40, a cui dire « è inammissibile la richiesta, nel corso di
un giudizio di risoluzione davanti alla sezione specializzata agraria, di un provvedimento di urgenza ex art. 700 ss. c.p.c. »); in dottrina, nello
stesso senso, cfr. Aiello, Giacobbe '(e Preden), Guida ai provvedimen ti d urgenza. Orientamenti e prassi delta giurisprudenza in tema di art.
700 c.p.c., Milano, 1982, 59; A. 'Proto Pisani, Appunti sulla giustizia
civile, Bari, 1982, 406. I primi commenti alla nuova disciplina dei patti agrari appaiono
orientati nello stesso senso della decisione in epigrafe: cfr., con
qualche sfumatura, G. Olivieri, Prime riflessioni sulle disposizioni
processuali della l. 3 maggio 1982 n. 203 (sui contratti agrari), in Foro
it., 1982, V, 177, secondo il quale, per il richiamo contenuto nell'art. 47 1. 203/82 alla previgente normativa, « resta perciò ferma la
competenza delle sezioni specializzate agrarie (...) per i provvedimenti cautelari di cui al titolo I. capo III, libro IV del codice di procedura civile »; G. fi. Macrì (Acagnino, Corsaro), I nuovi patti agrari,
Milano, 1982, 180, che ammette la devoluzione dei provvedimenti d'urgenza alle sezioni specializzate « ove siano relativi a controversie di
competenza delle sezioni stesse».
Il Foro Italiano — 1983 — Parte 1-148.
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