ordinanza 29 dicembre 1982; Pres. Mezzina, Rel. Cecere, P.M. Toscani (concl. conf.); Di Giacomo(Avv. Liberti) c. Urbano (Avv. Troccoli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 5 (MAGGIO 1983), pp. 1419/1420-1421/1422Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175532 .
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1419 PARTE PRIMA 1420
proprio perché il regolamento proposto contro quella sentenza
mantiene pendente il relativo procedimento (le sentenze che
sembrerebbero orientate in senso diverso — Cass. 19 novembre
1976, n. 4348, id., Rep. 1976, voce cit., n. 150; 7 gennaio 1970, n.
28, id., Rep, 1970, voce cit., n. 248; 21 febbraio 1968, n. 589, id.,
Rep. 1968, voce cit., n. 339 — riguardano l'ipotesi di sopravvenuta declinatoria di competenza da parte del giudice preventivamente
adito, mentre nel caso L'Aquila è la sede prevenuta, e comun
que escludono, a seguito di una declinatoria siffatta, la rilevanza
in atto della litispendenza con riguardo alla pronunzia del giudi ce a quo prevenuto, e non a quella, di cui invece nella specie si
tratta, della Corte di cassazione in sede di regolamento).
È noto al collegio come non vi sia uniformità di indirizzo, nella giurisprudenza di questa Corte suprema, sul punto relativo
alla rilevabilità di profili di competenza vera e propria in co
stanza di una situazione di litispendenza. Numerose pronunce sono nel senso che in tal caso si imponga in via pregiudiziale ed esclusiva l'eliminazione della litispendenza, mediante la mec
canica applicazione del criterio della prevenzione (tra le tante:
sent. n. 194 del 1979, id., Rep. 1979, voce cit., n. 156; n. 3890
del 1976, id., Rep. 1976, voce cit., n. 148; n. 2439 del 1973, id.,
Rep. 1973, voce cit., n. 217; n. 915 del 1973, id., 1973, I, 2076; n. 28 del 1970, id., Rep. 1970, voce cit., n. 248; n. 3302 e n.
2686 del 1968, id., Rep. 1968, voce cit., nn. 339 quater, 340; n.
589 del 1968, cit.; n. 1216 del 1965, id., Rep. 1965, voce cit., n.
359, in tema di continenza, nel suo aspetto di litispen denza parziale; n. 2275 del 1963, id., Rep. 1963, voce cit., n.
367; n. 1603 del 1962, id., Rep. 1962, voce cit., n. 239), salvo il
successivo esame da parte del giudice preventivamente adito, in
favore del quale il giudice prevenuto abbia dichiarato la litis
pendenza, del problema relativo alla propria competenza, con
conseguente trasmigrazione del processo (sent. n. 106 del 1975,
id., Rep. 1975, voce cit., n. 196, e n. 2508 del 1964, id., Rep.
1964, voce cit., n. 99) eventualmente anche verso lo stesso
giudice prevenuto. Altre sentenze invece, affermano il principio che la litispendenza presuppone l'adizione di due giudici egual mente competenti (sent. 2377 del 1978, id., Rep. 1978, voce cit.,
n. 153, in genere; n. 1103 del 1966, id., Rep. 1966, voce cit., n.
335 e n. 348 del 1962, id., Rep. 1962, voce cit., n. 368, in
rapporto a un giudice speciale), ed altre negano che la preven zione possa operare almeno nei casi di competenza esclusiva
(sent. n. 3463 del 1971, id., Rep. 1971, voce cit., n. 287; n. 3594
del 1969, id., Rep. 1970, voce cit., n. 251; n. 2808 del 1962, id.,
Rep. 1962, voce cit., n. 367; n. 2909 del 1961, id., Rep. 1961,
voce cit., n. 338; n. 2049 del 1960, id., 1960, I, 1926).
Esclude peraltro il collegio che il problema possa fondatamen
te porsi riguardo alla Corte suprema, che sia chiamata a regola re la competenza a seguito della proposizione della relativa
istanza contro la sentenza emessa in uno dei due giudizi: a ciò
si oppone il principio secondo il quale la sentenza di regola
mento, essendo emessa dalla Cassazione con piena autonomia di
giudizio rispetto alla pronuncia impugnata e alle deduzioni delle
parti e con riferimento a ogni possibile titolo di competenza, rende ulteriormente incontestabile la competenza del giudice de
signato, con la conseguente impossibilità che successivamente sia
presa in considerazione la questione di competenza sotto altri
aspetti, anche se non esaminati nella pronuncia sull'istanza di
regolamento di competenza (sent. n. 4184 e n. 277 del 1980, id.,
Rep. 1980, voce cit., nn. 259, 260; n. 3539 e n. 1735 del 1979,
id., Rep. 1979, voce cit., nn. 234, 264; n. 4310 e n. 2555 del
1978, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 240, 241). Inoltre, non è
ipotizzabile, rispetto alle decisione della Corte suprema in sede
di regolamento, la ragione che imporrebbe di privilegiare, in
costanza di una situazione di litispendenza, unicamente il criterio
della prevenzione al fine dell'eliminazione — immediata ed ante
omnia — della litispendenza stessa. Come, infatti, è stato sotto
lineato nelle sentenze che più a fondo hanno esaminato il pro blema (Cass. 10 agosto 1963, n. 2275, id., 1963, I, 1624; e, sulla
medesima linea argomentativa, Cass. 3 aprile 1973, n. 915, cit.), tale ragione va principalmente ravvisata nella necessità di evitare
che l'eventuale disparità di opinione sulla rispettiva competenza del giudice preveniente e del giudice prevenuto possa condurre
alla continuazione dei due giudizi ed alla formazione di giudica ti contraddittori: orbene, un simile pericolo è inconfigurabile in sede di regolamento di competenza, la cui proposizione comporta (o, almeno, nella fisiologia del sistema deve comportare) la so
spensione di tutti i processi « relativamente ai quali è chiesto il
regolamento » per effetto del deposito dell'istanza di trasmissione
dei rispettivi fascicoli (art. 47 e 48 c.p.c.).
Né possono condividersi i dubbi avanzati in dottrina ed emer
si nella giurisprudenza di questa Corte suprema, divisasi sul
punto: cfr. in opposti sensi Cass. 4 novembre 1977, n. 4701 (id.,
Rep. 1977, voce cit., n. 215) e Cass. 23 dicembre 1977, n. 5723
(id., 1978, I, 2259) — circa l'applicabilità anche alle ipotesi di
c. d. competenza impropria, costituite dalla litispendenza e, come
aspetto parziale di questa, dalla continenza, del principio sopra ricordato — concernente l'effetto esaustivo di ogni problema di
competenza, che si riconnette alla sentenza della Cassazione
emessa in sede di regolamento. Da un lato, invero, pur non trattandosi, almeno secondo la
prevalente dottrina, di casi di competenza vera e propria, litis
pendenza e continenza sono dal diritto positivo assoggettate alla
stessa disciplina di questi, sicché le une e gli altri vivono
nell'ordinamento e devono essere dall'interprete riguardati come
situazioni equiparate. Dall'altro, quella esigenza di economia
processuale e quella necessità di definizione sollecita dell'indagi ne pregiudiziale rivolta all'individuazione del giudice competente, che quel principio ispirano, ricorrono pressanti anche con rife
rimento alle situazioni di litispendenza e di continenza, oltre che
di competenza c. d. propria, e di ciò è clamoroso esempio la vicenda in esame, che — ove quel principio restasse disapplicato — vedrebbe ulteriormente differite l'individuazione del giudice competente a decidere sull'adottabilità e, in ipotesi, sull'adozione
della piccola Maria Letizia, ad un momento futuro, con il rischio che medio temopre si producano, in danno della bambi
na, quegli efletti dannosi irreversibili che fino ad oggi, considera
ta la sua tenerissima età, vi è ragione di sperare che non si siano ancora verificati.
A queste ragioni di particolare urgenza sarà sensibile il giudi ce designato competente, affinché la piccola Maria Letizia non
riceva pregiudizio dall'istituto rivolto, nel disegno legislativo, alla
migliore cura dei suoi interessi. Il proposto regolamento va dunque deciso dichiarandosi la
competenza del Tribunale per i minorenni de L'Aquila.
CORTE D'APPELLO DI BARI; ordinanza 29 dicembre 1982; Pres. Mezzina, Rei. Cecere, P.M. Toscani (conci, conf.); Di Giacomo (Aw. Liberti) c. Urbano (Avv. Troccoli).
CORTE D'APPELLO DI BARI;
Matrimonio — Matrimonio concordatario — Sentenza ecclesiasti
ca di nullità per riserva mentale unilaterale — Contrarietà al
l'ordine pubblico italiano (Cost., art. 7; 1. 27 maggio 1929 n.
810, esecuzione del trattato e del Concordato, sottoscritti in Ro
ma, fra la Santa Sede e l'Italia, I'll febbraio 1929, art. 1; Con cordato: art. 34; 1. 27 maggio 1929 n. 847, disposizioni per l'ap plicazione del Concordato dell'I 1 febbraio 1929 fra la Santa Se de e l'Italia, nella parte relativa al matrimonio, art. 17; cod.
civ., art. 123). Matrimonio — Matrimonio concordatario — Procedimento di ese
cutorietà delle sentenze ecclesiastiche — Mezzi istruttori con trari alle statuizioni della sentenza — Inammissibilità (L. 27
maggio 1929 n. 810, art. 1; Concordato: art. 34; 1. 27 maggio 1929 n. 847, art. 17).
È contraria all'ordine pubblico, e pertanto non può essere resa ese cutiva nel territorio dello Stato, la sentenza ecclesiastica che di chiari la nullità del matrimonio concordatario per riserva men tale unilaterale non comunicata all'altro coniuge (esclusione del bonum sacramenti ex parte viri). (1)
Nel procedimento per la dichiarazione di esecutorietà delle sen
tenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio è inammissibile
l'istruttoria tesa ad accertare fatti in contrasto con quanto statuito dalla sentenza medesima (nella specie, il marito, che
nel processo ecclesiastico, come risultava dalla relativa sentenza, aveva dichiarato di non avere comunicato alla nubenda la pro
li) Nello stesso senso, citata in motivazione, Cass. 1° ottobre 1982, n. 5026, Foro it., 1982, I, 2799, con nota di S. Lariccia, Ese cutorietà delle sentenze ecclesiastiche in materia matrimoniale e ordine pubblico italiano. Nello stesso senso v. altresì App. Bologna 22 luglio 1982, ibid., 2801; Cass. 24 dicembre 1982, n. 7128, id., 1983, 1, 36, con osservazione di A. Lener, e in dottrina S. Lener, Incidenza delle sentenze 16-18/82 della Corte costituzionale sulla esecutorietà delle decisioni dei tribunali ecclesiastici, ibid., 922, spec. 929-930. In senso contrario App. Genova 11 maggio e 20 aprile 1982, id.. 1982, I, 2802 e 2804, e, nella motivazione, Cass. 17 febbraio 1983, n. 1225, id., 1983, I, 644, nonché in dottrina, da ultimo, F. Finoc chiaro, Giurisdizione ecclesiastica, diritto alla tutela giudiziaria e principi d'ordine pubblico davanti alla Corte costituzionale, in Riv. dir. proc., 1982, 528 ss., spec. 569 s.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
pria riserva mentale sull'indissolubilità del matrimonio, ha chie
sto, in sede civile, di provare con testi di avere effettuato tale
comunicazione). (2)
Ritenuto in fatto. — Con sentenza del 4 marzo 1982 il
Tribunale ecclesiastico d'appello di Benevento dichiarava la nul
lità ob exclusionem boni sacramenti ex parte viri del matri
monio concordatario contratto il 16 ottobre 1978 da Franco Di
Giacomo e Luigia Urbano.
Intervenuto in data 6 ottobre 1982 il decreto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica previsto dall'art. 34 del
Concordato tra la S. Sede e l'Italia, copia della sentenza anzi
detta con nota del 9 ottobre 1982 veniva trasmessa a questa corte d'appello, ai sensi dell'art. 17 1. 27 maggio 1929 n. 847,
per la pronuncia di esecutività, ed analoga istanza veniva formu
lata dal Di Giacomo con ricorso depositato il 25 ottobre 1982.
Nel procedimento camerale conseguentemente istituito il pro curatore generale e la Urbano decisamente si opponevano alla
delibazione e deducevano che la sentenza ecclesiastica, avendo
pronunziato la nullità del matrimonio sul presupposto della « ri
serva mentale » del solo Di Giacomo, senza che l'altra parte ne
avesse avuto cognizione o per parteciparvi o anche solo per
prenderne atto, conteneva disposizioni che si ponevano in con
trasto con l'ordine pubblico italiano, nel senso postulato dalla
sentenza n. 18 del 1982 della Corte costituzionale (Foro it., 1982,
i, 934) e ribadito dalla Suprema corte di cassazione con la
sentenza a sezioni unite n. 5026 del 1° luglio 1982 (ibid., 2799). 11 Di Giacomo, insistendo invece nella propria istanza, chiede
va di provare a mezzo di interrogatorio e con audizione di
testimoni che « subito dopo la spedizione delle partecipazioni ed
inviti nuziali da parte della Urbano » egli, persistendo i suoi
dubbi sulla buona riuscita dell'unione matrimoniale, aveva co
municato alla nubenda di voler escludere l'indissolubilità del
matrimonio.
Considerato in diritto. — Non può farsi luogo alla pronunzia di esecutività della sentenza ecclesiastica sopra indicata. Questa, come emerge dal suo contenuto, ha sanzionato la nullità del
matrimonio contratto il 16 ottobre 1978 da Franco Di Giacomo
e Luigia Urbano per l'accertata esclusione, da parte del primo, del bonum sacramenti, senza che di tale riserva mentale la
Urbano avesse comunque potuto prender coscienza prima delle
nozze. Di questo stato soggettivo della Urbano la sentenza eccle
siastica ha preso atto, pur se ha avanzato riserve sull'attendibili
tà della donna, specialmente per le dichiarazioni rese dalla stessa
in merito alla sua propensione ad indulgere all'uso delle bevande
alcooliche, ed è proprio per tale statuizione della pronunzia ecclesiastica che la nuova istruttoria sollecitata dal Di Giacomo
non appare in questa sede ammissibile. L'accertamento della
contrarietà o meno all'ordine pubblico italiano della sentenza da
delibare deve avvenire infatti sulla base delle statuizioni conte
nute nella sentenza stessa, alla stregua cioè dei fatti da questa assunti e dei principi giuridici agli stessi applicati, senza che
possa procedersi a diversa interpretazione e valutazione dei fatti
medesimi. E se nella specie la nullità del vincolo è stata sancita
in sede canonica per riserva mentale unilaterale, limitata all'e
sclusione da parte del Di Giacomo del bonum sacramenti e
rimasta come volontà interna di tale nubente, sicuramente non
potrebbe in sede di delibazione accertarsi che della simulazione
fu partecipe e quanto meno consapevole la Urbano senza trava
licare i limiti stessi della sentenza da delibare ed alterarne cosi
la sua effettiva portata, anche per i riflessi, che la pronunzia cosi « interpretata » potrebbe avere nell'ordinamento italiano nel qua le con la delibazione verrebbe ad esser recepita (si pensi ai suoi
effetti su un possibile giudizio volto a far accertare la responsa bilità del coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimo
nio, ai sensi dell'art. 129 bis c. c.).
Fermo quindi il divieto di ulteriori accertamenti istruttori at
tinenti al merito della causa, quali appunto sarebbero quelli volti ad una 'nuova valutazione dello stato soggettivo dei nuben
di, poiché essi sarebbero sempre riferibili al vizio di consenso
assunto dalla sentenza ecclesiastica a fondamento della pronunzia di nullità del vincolo, la contrarietà della ricordata sentenza
canonica all'ordine pubblico italiano non può essere nella specie seriamente contestata.
Per dirimere i contrasti interpretativi generatisi dopo l'inter
vento della Corte costituzionale con la sentenza n. 18 del 1982,
(2) Nulla in termini. Peraltro, circa la possibilità di una nuova
istruttoria davanti alla corte d'appello, v. le prospettive schiuse da
Cass. 15 maggio 1982, n. 3024, Foro it., 1982, I, 1880; per ulteriori
riferimenti cfr. la nota di richiami a Cass. 17 febbraio 1983, n. 1225, cit.
le sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito con la
cit. sentenza n. 5026 del 1982 che, per le stesse enunciazioni
fatte dalla Corte costituzionale, nella materia in esame « l'ordine
pubblico » italiano deve ritenersi costituito « dalle regole fon
damentali poste non solo dalla Costituzione ma anche dalle leggi a base degli istituti giuridici in cui si articola l'ordinamento
positivo nel suo perenne adeguarsi all'evoluzione della società».
In tale prospettiva, pur non essendo ostativa al riconoscimento
delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale una rilevante
differenza di disciplina fra le cause di nullità del matrimonio
considerate nei due ordinamenti, e ciò per quel particolare rap
porto posto dal Concordato tra l'ordinamento statuale e l'ordi
namento canonico, tuttavia una sentenza canonica, di annulla
mento del vincolo matrimoniale per effetto della riserva mentale
rimasta confinata alla sfera psichica interna di uno solo dei
nubendi sicuramente contrasta con il principio della « responsa bilità », per il quale il soggetto responsabile della discordanza
tra la volontà interna e la manifestazione deve considerarsi
obbligato da tale sua manifestazione e subirne le conseguenze
giuridiche per la tutela dei soggetti, nei cui confronti quella manifestazione di volontà è avvenuta, e dell'affidamento che essi
fanno in colui che l'ha compiuta, principio di « responsabilità »
questo che « permea di sé l'ordinamento positivo dello Stato e
in definitiva lo caratterizza». E poiché nella specie non emerge
da alcun passo della sentenza canonica che la riserva del Di
Giacomo fu in qualunque maniera manifestata all'Urbano prima
delle nozze, in modo che questa ne potesse prendere atto e
regolarsi in conseguenza, ed anzi espressamente risulta che lo
stesso Di Giacomo ammise di nulla aver detto al riguardo alla
sposa, la sentenza stessa non può essere dichiarata efficace in
Italia. (Omissis)
I
CORTE D'APPELLO DI ROMA; decreto 12 agosto 1982; Pres.
Pinnarò, Rei. 1 annotta; ric. Soc. Seind (Avv. Giorgianni).
CORTE D'APPELLO DI ROMA;
Liquidazione coatta amministrativa — Amministrazione straordi
naria delle grandi imprese in crisi — Conversione del falli
mento in amministrazione straordinaria — Intervento dei credi
tori — Inammissibilità (L. 3 aprile 1979 n. 95, conversione
in legge, con modificazioni, del d. 1. 30 gennaio 1979 n. 26 con
tenente provvedimenti urgenti per l'amministrazione straordina
ria delle grandi imprese in crisi, art. 4).
Liquidazione coatta amministrativa — Amministrazione straordi
naria delle grandi imprese in crisi — Estensione della proce dura a società che hanno concesso crediti o garanzie — Con
dizioni — Fattispecie (L. 3 aprile 1979 n. 95, art. 3).
Nel procedimento di conversione previsto dall'art. 4 l. 3 aprile 1979 n. 95 è inammissibile l'intervento dei creditori di una so
cietà fallita interessati ad opporsi al passaggio dal fallimento al
l'amministrazione straordinaria. (1) Nel concetto di concessione di credito o garanzie di cui al
l'art. 3, 1" comma, lett. d), l. n. 95/79 sono riconducibili soltan
to gli atti negoziali che abbiano avuto come funzione princi
pale la messa a disposizione, in via autonoma e diretta, di
mezzi finanziari o di garanzie (nella specie, è stata esclusa la
situazione configurata dal citato art. 3, 1" comma, lett. d, nel
l'ipotesi di differimento del pagamento del prezzo di beni o
prestazioni, realizzato mediante il rilascio di cambiali girate dal
prenditore a terzi). (2)
(1,3) Il contrasto tra i decreti riportati sull'ammissibilità dell'inter
vento volontario nella procedura di conversione del fallimento in
amministrazione straordinaria trae origine dalla diversa configurazione
assegnata al procedimento camerale delineato dall'art. 4 1. n. 95/79, che la decisione della corte di appello ha ricostruito in termini di
rigorosa sommarietà, traendone la conseguenza che i soggetti controin
teressati alla conversione possono far valere le proprie ragioni esclu
sivamente nella successiva fase del giudizio di opposizione, a cogni zione piena, alla cui attivazione è legittimato qualunque interessato.
Nella stessa linea di pensiero v. Trib. Roma 29 luglio 1981, Foro it., Rep. 1981, voce Liquidazione coatta amministrattiva, n. 83, che ha ritenuto inammissibile l'intervento di società controllate nel procedi mento camerale tendente alla dichiarazione di insolvenza della società controllante ai sensi dell'art. 3 1. n. 95/79. Sulla specifica questione risolta dalle decisioni in epigrafe v. Lanfranchi, La legittimità costi tuzionale del contraddittorio nel procedimento di conversione del
fallimento in amministrazione straordinaria ex art. 4 d.l. 30 gennaio
Il Foro Italiano — 1983 — Parte I-91.
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