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ordinanza 29 giugno 1984; Giud. D'Ascola; Crisafulli (Avv. Bellotti) c. Antoniazzi (Avv. Avesani)Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 11 (NOVEMBRE 1984), pp. 2905/2906-2907/2908Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177657 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
notizie riunite da Flamini sono di dominio pubblico, ancorché non facilmente reperibili o contenute in atti processuali. In
questo quadro i riferimenti al Falde sono scarsi per numero e
modesti per importanza ma, ed è quel che più conta ai presenti fini, poggiano su dati veri ed accertati. Ora può darsi che, per il
ricorrente, « il (suo) caso è e resta aperto finché giustizia e verità
non prevarranno sulla menzogna e sul failso » (pag. 2 note del 30
aprile 1984); e che si sia «sempre ispirato al principio di fedeltà
assoluta alle istituzioni repubblicane ». La vera storia di quegli anni oscuri deve ancora essere compiutamente scritta né, come
già il pretore ebbe modo di avvertire, un'aula di giustizia può essere di luogo più adatto per farlo. Essi videro molti personaggi,
protagonisti, comprimari, pedine, vittime, innocenti. Fra questi, è
difficile dire quale fu il ruolo effettivo di Nicola Falde; e si
ignora se, quando e da chi verrà chiarita la reale portata della
sua attività in quell'epoca. Ma certo il ricorrente non può dolersi
d'essere stato menzionato in un'ampia ricerca documentaria sul
« partito del golpe » e se dai pur pochi accenni emergono più ombre che luci; basta considerare che nella recente e nota
pre-relazione Anselmi (presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, che indaga con gli stessi poteri dell'A.G.)
emerge — come ha ampiamente rilevato il difensore dei resistenti — un ritratto del Falde assai più fosco delle poche righe
riservategli dal Flamini. Quel che comunque rileva, ai fimi che ne
occupa, è che nel libro de quo non sono ravvisabili comporta menti diffamatori, né soggettivamente, né oggettivamente.
Il discorso potrebbe finire qui, essendosi escluso qualsiasi rilevante pregiudizio all'onorabilità del ricorrente. Ma forse non sarà inutile affrontare il problema, tornato di grande attualità, della sequestrabilità della stampa, partendo pur sempre dal caso in esame. Infatti, forse rendendosi conto che il sequestro richiesto in via principalle era misura sproporzionata anche nell'ipotesi di fondatezza delle doglianze del Falde, i suoi difensori hanno
proposto una sorta di sequestro condizionato, consistente nel consentire l'ulteriore circolazione del libro depurato dai rife rimenti contestati, d quali avrebbero potuto essere menzio
nati in un'appendice insieme all'emanando provvedimento. In realtà il mutamento della richiesta è solo apparante, in quanto resterebbe fermo il sequestro tout court per il libro nell'originaria stesura, mentre l'invocata modifica potrebbe realizzarsi solo col consenso dell'autore (art. 20).
Ed allora giova trattenersi brevemente sul problema del se
questro della stampa che ebbe la sua prima emergenza a livello costituzionale a seguito di ordinanza 30 dicembre 1968 del
Pretore di Roma, il quale si chiedeva se il potere del giudice civile di disporre il sequestro di pubblicazioni a stampa « al fine di far cessare l'abuso dell'immagine altrui » ((potere previsto dagli art. 10 c.c. e 96 , 97 il. 22 aprile 194-1 n. 633 in rapporto all'art. 700 c.p.c.) fosse compatibile con l'art. 21, 3° comma, Cost. Nel
dichiarare l'infondatezza di tale questione la corte precisava che « quando la stampa viene in considerazione come strumento di
diffusione del pensiero — presupposto che discende dalla ... con
nessione fra libertà di stampa e libertà di pensiero — la norma
contenuta nel 3° comma dell'art. 21 Cost, copre l'intera area del
sequestro, qualunque sia il contrapposto interesse coil quale la
stampa entra in collisione ». In altri termini, il fatto che la
Costituzione ammetta il sequestro preventivo solo « nel caso di
delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente l'autorizzi o nel caso di violazione di norme che la 'legge stessa prescriva
per l'indicazione dei responsabili » non può non escludere la
legittimità di tale misura in ogni altro caso » (Corte cost. n. 122
del 1970, Foro it., 1970, I, 2294 e 1971, I, 28). Aggiungeva la
corte che ciò non significa che al di fuori delle predette ipotesi la
libertà di stampa non conosca confini, che anzi soggiace agli stessi limiti che condizionano la libertà di manifestazione del
pensiero; ma essi vanno ricercati in sede di interpretazione del 1°
comma dell'art. 21, mentre il 3° comma, che disciplina la diversa
materia della misura cautelare del sequestro, deve essere interpre tato nel senso che non tutte le violazioni di siffatti limiti possono
legittimare il ricorso a tale misura. Insomma, secondo la corte, il
costituente, « tenendo conto dell'importanza del ruolo della stam
pa in un regime democratico », ha disciplinato il conflitto fra
l'interesse al sequestro e l'interesse alla circolazione della stampa
consentendo ail legislatore ordinario di privilegiare il primo (pur
ché attraverso un'espressa previsione) nel caso di delitti, stabilen
do cosi' direttamente la prevalenza del secondo in ogni altra
ipotesi. In siffatta ottica il sequestro preventivo è ammissibile
solo quando la pubblicazione dell'immagine attraverso la stampa
integri gli estremi della pubblicazione oscena (art. 528 c.p. in
relazione dell'art. 2, 1° comma, r.d.l. 31 maggio 1946 n. 561).
Infine, venendo specificamente all'esame della portata dell'art. 700
c.p.c., la corte escludeva che il sequestro preventivo, pur rien
trando nell'ampia previsione dei poteri accordati al giudice,
potesse essere adottato al di fuori dei limiti posti dal 3° comma
dell'art. 21, in quanto neppure la genericità di tali poteri consente
l'applicazione di misure vietate da altre norme dell'ordinamento
(a maggior ragione se si tratti di norme di rango costituzionale). Successivamente il Pretore di Roma (ord. 10 novembre e 20
dicembre 1970) sollevava questione di legittimità costituzio
nale in relazione alle norme di cui alla precedente eccezione
nonché all'art. 161 1. 633/41 in quanto consentono di inibire la
diffusione dell'immagine altrui e di sequestrarla anche quando
questa, per essere nella materiale disponibilità di un'impresa gior
nalistica, deve ritenersi destinata alla pubblicazione a mezzo
stampa. La corte, con una pronuncia che talora è stata equivoca ta (Corte cost. n. 38 del 1973, id., 1973, I, 1707), dichiarava
l'infondatezza delle eccezioni proposte, ribadendo i principi affermati nella sentenza n. 122/70 ed osservando che la nuova
prospettazione si diversificava dalla precedente (ove si discuteva
dell'ammissibilità del sequestro di pubblicazioni contenenti imma
gini) perché riguardava materiali ancora da pubblicare (ancorché destinati alla pubblicazione), ma idonei a ledere diritti inviolabili
della persona umana, quali il decoro, l'onore, la rispettabilità, la
riservatezza, la reputazione, ecc. Riferendosi poi, in particolare, all'art. 700 c.p.c., la corte ne ribadiva l'ammissibilità per la tutela
del diritto alla riservatezza, laddove ricorrano gli altri presupposti
previsti dalla norma, escludendo che ciò possa « identificarsi con
l'esercizio di un'attività di censura » che colliderebbe col divieto
del 2° comma dell'art. 21 Cost.
Per completare il quadro, basta aggiungere che la corte (sen tenza n. 60 del 1976 su questione di costituzionalità sollevata ancora dal Pretore di Roma con ord. 17 gennaio 1974; vedile
rispettivamente in Foro it., 1976, I, 89il e id., 1974, I, 2235)
correggeva come restrittiva I'intepretazione data dal giudice a quo dell'art. 21,3° comma, Cost., alla cui stregua l'espressione « legge sulla stampa » avrebbe significato solo una legge disciplinante espressamente questa materia. Chiariva invece la corte (richia mando la sentenza n. 4 del 1972, id., 1972, 1, 280), che con la suddetta espressione il costituente non aveva voluto dar vita ad
un tipo speciale di riserva di legge, risultando anzi dagli stessi lavo ri preparatori la piena equivalenza fra la dizione « legge » e quella di « legge sulla stampa ».
Tracciato cosi' l'arco dell'elaborazione giurisprudenziale di natu
ra costituzionale in subiecta materia, emerge che, da un lato, ai
sensi dell'art. 21 Cost, si può procedere al sequestro della stampa solo per atto motivato dell'autorità giudiziaria nell'ipotesi di
delitti per i quali la legge l'autorizzi e nell'ipotesi di stampa
clandestina; dall'altro che, ai sensi degli art. 1 e 2 r.d.l. 31
maggio 1946 n. 561, ove non vi sia violazione in atto della legge
penale, si può provvedere a sequestro solo in virtù di sentenza
irrevocabile dell'autorità giudiziaria, fatto salvo il sequestro in
discriminato della stampa oscena.
ilm questo quadro la richiesta di sequestro proposta dal Falde
non può trovare ingresso non ravvisandosi, nel libro del Flamini,
sia in singole espressioni che nell'impostazione complessiva dell'o
pera, gli estremi della diffamazione a mezzo stampa, per i motivi
già esposti nell'esame del merito.
'La domanda va, dunque, respinta. Trattandosi di provvedimento di rigetto, bisogna disporsi anche
sulle spese processuali, secondo l'orientamento dell'ufficio, final
mente recepito dal Supremo collegio (Cass., sez. un., 17 ottobre
1983, n. 6066, id., il984, I, 159); ma motivi d'equità inducono a
compensarle fra tutte le parti.
PRETURA DI VERONA; ordinanza 29 giugno 1984; Giud.
D'Ascola; Orisafulld (Avv. Bellotti) c. Antondazzi (Avv.
Avesani).
PRETURA DI VERONA;
Provvedimenti di urgenza — Immissioni sonore — Impianto per la diffusione di rintocchi di campane — Ammissibilità (Cod.
civ., art. 844; cod. proc. civ., art. 700).
Va accolta l'istanza di provvedimenti d'urgenza avanzata da chi
lamenti l'intollerabilità di immissioni sonore prodotte da un
impianto per la diffusione di rintocchi di campane e musiche
sacre, installato in un vicino edificio di culto (nella specie, è
stato disposto che il potenziamento dell'amplificatore sia sigilla to in modo da non poter superare un determinato livello). (1)
(1) Non constano precedenti in termini. Ma, a parte la risalente
litigiosità in materia d'abuso delle campane (per cui v. in dottrina
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2907 PARTE PRIMA 2908
Con ricorso depositato il 2 maggio 1983 Giovanna Crisafulli,
premesso che nel dicembre 1981 nella chiesa veronese di S.
Pietro Apostolo, distante circa venti metri dalla propria abitazio
ne, era stato installato un impianto per la diffusione di suoni di
campane e musiche sacre; che tale impianto veniva attivato
quotidianamente più volte a volume altissimo, nonostante i tenta
tivi amichevoli di indurre il parroco Egidio Antoniazzi a ridurre
l'intensità della emissione; che solo temporaneamente e su inter
vento della Curia Vescovile vi era stata una sospensione; che i
vigili urbani e l'ufficio di igiene avevano accertato una potenza di
suono superiore ai 55 decibel; che da tale situazione derivavano
aMstante grave danno alla salute fisiopsichica nonché turbamento
del diritto alla quiete e al riposo, pregiudizi irreparabili durante
il tempo occorrente per tutelare in via ordinaria i propri diritti.
Ciò esposto, chiedeva a questo pretore di ordinare a don
Egidio Antoniazzi ex art. 700 c.p.c. l'immediata cessazione di ogni diffusione di suoni superiori ai limiti della normale tollerabilità.
Disposta la comparizione delle parti, il parroco Antoniazzi
resisteva eccependo l'ammissibilità dell'istanza, nonché contestan
do le sopraesposte circostanze di fatto.
Dopo l'acquisizione di una complessa ed elaborata consulenza
tecnica, all'udienza odierna la Crisafulli ha insistito sulla doman
da.
La singolarità del caso ne impone l'esame sotto il profilo della
rilevanza pubblicistica prima ancora che in ordine alla tutela
civilistica invocata.
Parte convenuta ha infatti richiamato la Corte costituzionale,
che riconosce la libertà di culto sia direttamente sia indirettamen
te, con il richiamo ai patti lateranensi, per quel che concerne la
Chiesa cattolica, quale limite all'ammissibilità di provvedimenti dell'autorità giudiziaria ordinaria volti a comprimerla in uno dei
suoi peculiari momenti d'esercizio.
La tesi non sembra fondata. In tema di uso ecclesiastico delle
campane deve osservarsi che, pur non rinvenendosi nell'attuale
codice penale una disposizione analoga all'art. 457 del codice del
1883 che configurava il reato di * abuso delle campane » e pur non risultando detta fattispecie nei regolamenti relativi alla legge comunale e provinciale, contrariamente al cenno espresso dall'art.
109, 2° comma, reg. 12 febbraio 191il n. 297, tuttavia l'ordina
mento non consente l'arbitario uso di tale strumento.
Comunemente non si dubita infatti dell'applicabilità dell'art.
659 c.p., che reprime l'abuso di strumenti sonori, tra i quali vanno ricompresi le campane, né si nega che la stessa libertà
religiosa individuale o collettiva subisca le limitazioni derivanti
dalle leggi di pubblica sicurezza, quando quest'ultime siano in
funzione dell'attuazione di diritti inviolabili del cittadino costitu
zionalmente sanciti (c.d. limite « dell'ordine pubblico »).
Se si sottolinea inoltre ila vigenza del limite del buon costume
nell'esercizio della professione del culto, nonché l'obbligo del
rispetto dei diritti personalissimi [(secondo una nomenclatura di
qualche tempo fa) si perviene al convincimento che ogni manife
stazione della libertà di culto che collida con i diritti inviolabili
degli altri consociati possa trovare opportuna limitazione nell'am
bito dell'ordinamento attuale.
I principi espressi dallla Corte costituzionale sono dunque la
cornice entro cui si svolge la libertà di culto, ma l'ambito di
detta applicazione va individuato riferendosi alle consuetudini
invalse nel corso del tempo, criterio che consente di delineare uso
e abuso della stessa. Ove si rinvenga pertanto un comportamento che costituisca abuso della libertà di culto e che ponga in
pericolo un altro bene costituzionalmente tutelato, non possono
A. C. Jemolo, Sulla disciplina giuridica del suono delle campane, in Giur. it., 1952, I, 2, 569; E. Vitucci, Campana, voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1959, V, 1018), vfan fatto di richiamare Pret.
Messina, ord. 15 marzo 1976, Foro it., Rep. 1979, voce Provvedimenti di urgenza, n. 75, per esteso in Dir. eccles., 1978, 338, con note di G. Bruno e T. Marvasi (ove riferimenti al problema del sindacato del
giudice statuale in ordine ai poteri dell'autorità ecclesiastica sull'edificio di culto), che ammutolì, nelle ore nettare, la stentorea suoneria di un
orologio installato su un campanile, e Trib. Parma 4 gennaio 1978, inedita ma ampiamente discussa dal L. Corradi, Suono delle campane e responsabilità civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1981, 1315: entrambe nel senso, ribadito dall'ordinanza in epigrafe, della sindacabi
lità, sotto il profilo penale (art. 659 c.p.) come sotto quello civile, da
parte die! giudice ordinario dall'eccesso nell'uso legittimo delle campane, il cui regolamento, secondo una circolare del ministero dell'interno (10 settembre 1941, n. 15042, in Monitore eccl., 1942, 22), emessa su conforme parere del Consiglio di Stato, sez. 1, spetterebbe, tuttavia, solo all'autorità ecclesiastica, con esclusione in particolare dei comuni, siccome rientrante nel «libero e pubblico esercizio del culto», assicu rato alla chiesa cattolica nell'art. 1 del Concordato lateranense (e ora nell'art. 2, a. 1, dell'accordo del 18 febbraio 1984, Foro it., 1984, V, 111 ss.).
esservi remore al ricorso ai rimedi ordinamentali, tanto la sanzio
ne penale quanto l'inibitoria civile.
Il comportamento denunziato consiste nell'uso di un impianto di amplificazione posto in sostituzione di campane e attivato in
occasione di celebrazioni religiose. Un primo elementare rilievo è
quello relativo alla legittimità dell'uso dei richiami sonori per chiamare a raccolta i fedeli ad divina officia aliosque religionis actus come diceva già il can. 1169 del vecchio cod. iur. can.
L'utilizzo della sonorità delle campane è dunque consolidato in
tradizioni secolari che non possono essere conculcate. Nel caso di
specie però si osserva un'iniziativa del parroco della chiesa di S.
Pietro Apostolo, che si serve di uno strumento diverso dalle
campane e idoneo a diffondere, oltre ai consueti rintocchi, varie
musiche sacre a un volume che è variabile e che può giungere, mediante i quattro altoparlanti in dotazione, a un'intensità inusi
tata. Il consulente tecnico ha infatti rilevato che tenendo l'indica
tore di potenza dell'impianto al di sotto dell'indice 5 si perviene a un'emissione pari a 55 decibel, limite previsto dai regolamenti urbani di igiene. Lo stesso don Antoniazzi ha ammesso che
l'indice, posto a livello 5 al momento dell'udienza di comparizio ne delle parti, era stato così ridotto, per le pressioni dell'istante, dal più alto grado precedentemente fissato.
La stessa indagine tecnica ha evidenziato ancora che al mo
mento del ricorso due altoparlanti erano ubicati a soli ventidue
metri dalle finestre della abitazione CrisafuIH e che una diminu
zione sensibile della percezione si è avuta con lo spostamento di
essi a circa 45 metri da quel punto, ponendoli in altro sito sul
tetto della chiesa.
È facile arguire da tutto ciò che l'impianto in esame, considera
te le sue caratteristiche, esubera dai consueti limiti di sonorità
propri dello scampanio, per la possibile maggior acutezza del
suono, per la diversa ripetitività di esso, nonché per la colloca
zione non posta sul tradizionale campanile, solitamente alto e
distante dagli edifici.
Deve dunque esser riconosciuto che ci si trova in presenza di
un'immissione sonora in sé legittima ma suscettibile, per le
modalità attuali di impiego, di superare il limite della normale
tollerabilità. Vero è, e va detto, che con commendevole sponta neità il convenuto ha deciso di soprassedere all'utilizzo dello
strumento in occasione delle prime due messe mattutine, per
rispettare il riposo dei vicini, ma non può negarsi che si pone tutt'ora il problema dell'intensità di emissione. Sulla base delle
indicazioni del consulente — che, valutando anche la condizione
dei luoghi, ha ritenuto consigliabile l'adozione dell'indice 4 — e
tenendo cónto dell'esigenza prospettata dal parroco di poter far si
che il suono venga udito in ogni lembo del territorio parrocchia le, deve pervenirsi ad un equo e temporaneo contemperamento delle opposte esigenze, secondo il principio generale dettato
dall'art. 844 c.c.
Ne deriva la determinazione che il volume dell'impianto in
questione non debba oltrepassare l'indice 4,5. A corollario di tale
indicazione va precisato che non può tenersi conto deil principio della priorità dell'uso, invocato dalla difesa dell'Antoniazzi so
stenendo che la chiesa di S. Pietro Apostolo venne edificata
prima della abitazione dell'istante.
Val bene ricordare ancora una volta, infatti, che l'inconsueto
tipo di impianto adottato ne impone una particolare regolamenta zione, osservandosi nondimeno che lo stesso don Egidio ha
ammesso di aver mutato lo strumento rispetto a quello origina riamente utilizzato.
Infine va osservato che fondatamente i provvedimenti richiesti
sono posti in relazione alla tutela del diritto alla quiete e al
riposo e, ovviamente, della salute « fondamentale diritto dell'in
dividuo e interesse della collettività ». L'abuso dei predetti strumenti è idoneo invero a ripercuotersi sulla salute fisiopsichica di chi si trovi a risiedere stabilmente a ridotta distanza da essi, ca
gionando sensibili danni e disturbi non certo riparabili e perciò da
evitare opportunamente durante il tempo necessario per un com
piuto accertamento giudiziario dei diritti posti in pericolo. Preso atto del fatto che il parroco Antoniazzi ha spontanea
mente limitato la diffusione del richiamo sonoro alla riproduzione di, rintocchi delle campane solo in occasione di celebrazioni
religiose tradizionali, nessun provvedimento restrittivo va adottato
sul punto. Per contro l'indice del potenziamento dell'impianto va
adeguatamente sigillato per impedire eccessi anche casuali.
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