ordinanza 3 novembre 1998; Pres. ed est. Iannello; Recupero (Avv. Fatato) c. Pres. cons.ministri (Avv. dello Stato P. Grasso)Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 12 (DICEMBRE 1998), pp. 3649/3650-3653/3654Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192758 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
portata all'insorgenza del presupposto dell'obbligazione tribu
taria e cioè alla destinazione al consumo della merce, verificata
si nella specie — come risulta dalla sentenza impugnata — nel
febbraio 1987 con la dichiarazione di destinazione fatta dalla
società importatrice (o da chi per essa). È il sorgere del presupposto dell'obbligazione che rende do
vuto il diritto doganale, per cui la procedura di accertamento
è puramente strumentale al fine di constatare e valutare i vari
elementi costitutivi dell'obbligazione, dovendo l'amministrazio
ne applicare inderogabilmente l'aliquota corrispondente alla ba
se imponibile e determinare quantitativamente i termini di un
rapporto già in vita. L'effetto dell'accertamento è quello di de
terminare in forma certa e vincolante la predetta obbligazione, cioè a «dichiararla» con decorrenza dal suo sorgere.
Il debito tributario doganale, che nasce col venire in essere
del fatto imponibile, è esigibile nello stesso momento anche se
su di esso possa insorgere contestazione (la cui risoluzione ha
effetto retroattivo come in tutti i casi di accertamento dichiara
tivo), salvo lo spostamento di fatto al completamento del pro cedimento di accertamento dei diritti dovuti.
Pertanto, non può essere condivisa la tesi sostenuta dalla so
cietà importatrice ed accolta dalla sentenza impugnata, secondo
cui il debito tributario sarebbe sorto solo a seguito della corret
ta liquidazione dei diritti doganali dovuti in relazione all'effetti
vo valore della merce importata, in esito alla procedura di revi
sione richiesta dalla medesima società.
Il fondamento del debito degli interessi di cui all'art. 86 del
t.u. delle leggi doganali, come si è detto, è collegato al ritardo
nel pagamento dei diritti doganali dovuti. La colpa del debitore
sta nel ritardo e non nel motivo che lo ha determinato ed in
ordine ad essa vale la presunzione sancita dall'art. 1218 c.c.
che fa salva la causa non imputabile. Ma la società Geotronics
non ha vinto tale presunzione, posto che, come si è detto nella
parte narrativa e come si dirà nell'esaminare il ricorso inciden
tale, la corte di merito ha ritenuto sussistente un comportamen to negligente (cioè colpevole) della società importatrice per ave
re indicato, nella dichiarazione di importazione della merce, un
valore molto inferiore a quello reale, concretamente influente
sulla mancata corresponsione dei diritti doganali dovuti al mo
mento del sorgere dell'obbligazione tributaria.
Né la durata del procedimento di revisione dell'accertamento
può assumere rilievo per far escludere la debenza degli interessi
in questione in relazione all'inesistenza della previsione di auto
liquidazione dei diritti doganali (effettivamente) dovuti. Infatti, la società importatrice — alla quale era noto l'ammontare dei
diritti che non aveva pagato proprio per le ragioni poste a base
dell'istanza di revisione (erronea indicazione del valore della mer
ce importata nella misura del dieci per cento del valore effettivo
della stessa) — per evitare di dover pagare gli interessi di cui
all'art. 86 d.p.r. 43/73 avrebbe potuto e dovuto effettuare of
ferta delle residue somme dovute ai sensi dell'art. 1220 c.c.
Per le esposte considerazioni il ricorso va accolto e la senten
za impugnata deve essere cassata in parte qua. Poiché non sono
necessari ulteriori accertamenti di fatto, risultando in modo in
controverso dalla sentenza impugnata la somma (lire 5.756.200)
pagata a titolo di interessi moratori e costituente oggetto della
domanda di restituzione proposta dalla Geotronics Italia s.r.l.
con l'atto di citazione notificato il 24 dicembre 1988, la causa
deve essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c. (nel testo sostituito dalla 1. 353/90) e la predetta domanda va riget tata. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1998.
TRIBUNALE DI MESSINA; ordinanza 3 novembre 1998; Pres. ed est. Iannello; Recupero (Avv. Fatato) e. Pres. cons, mi nistri (Aw. dello Stato P. Grasso).
TRIBUNALE DI MESSINA;
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Azione risarcitoria contro lo Stato — Competenza — Questione non manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; 1. 13 aprile 1988 n. 117, risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati, art. 4).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 4, 1° comma, l. 13 aprile 1988 n. 117, nella parte in cui non esclude la competenza del tribunale del
luogo ove ha sede la corte d'appello del distretto più vicino a quello in cui è compreso l'ufficio giudiziario al quale appar teneva il magistrato (danneggiante) al momento del fatto, an che nel caso in cui l'azione risarcitoria sia promossa da un ma
gistrato che, al momento del fatto, operava nel medesimo tri bunale indicato come competente o che in ufficio dello stesso distretto sia venuto ad operare al momento della proposizione della domanda, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (1)
Fatto. — 1. - Con atto di citazione notificato in data 26 mar zo 1998 il dott. Giuseppe Recupero, magistrato in servizio pres so la Pretura circondariale di Messina, conveniva in giudizio avanti questo tribunale, ai sensi dell'art. 4, 1° comma, 1. 13
aprile 1988 n. 117, il presidente del consiglio dei ministri, chie dendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conse
guenza dei provvedimenti con i quali il pubblico ministero pres so il Tribunale di Reggio Calabria, nelle persone dei dott. Giu liano Gaeta (procuratore) e Francesco Mollace (sost. proc.), prima, e il giudice delle indagini preliminari presso lo stesso
tribunale, dott. Domenico Ielasi, poi, avevano rispettivamente chiesto e ordinato nei suoi confronti l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere (sofferta per quattro mesi e ventidue giorni, dal 26 luglio 1993 al 6 ottobre 1993), con ciò determinando anche la sospensione di diritto dalle funzioni e dallo stipendio (disposta dalla sezione disciplinare del Csm con ordinanza in data 10 settembre 1993), in quanto sottoposto ad indagini per i delitti di concorso in lesioni personali aggrava te, concorso nella detenzione e nel porto illegale di arma da
(1) Questione particolarissima (già rimessa alla corte da altra ordi nanza dello stesso tribunale: 14 luglio 1997, G.U., la s.s., 4 marzo 1998, n. 9) che il legislatore non ha ipotizzato e regolato espressamente in sede di determinazione della competenza per la proposizione della domanda giudiziale di responsabilità dei magistrati, secondo l'art. 4 1. 117/88, e che il tribunale ritiene di non poter risolvere in via interpreta tiva a ragione della natura eccezionale della norma, già derogatoria dei principi generali di competenza del codice di procedura; in motivazio ne, si fa ampio richiamo alla recente Corte cost. 12 marzo 1998, n. 5*1, Giust. civ., 1998, I, 1496, che ha dichiarato inammissibile la que stione di costituzionalità degli art. 18-36 c.p.c. per l'omessa previsione di norme derogatorie del foro nelle cause riguardanti magistrati, a guisa di quanto disposto per il processo penale dall'art. 11 c.p.p., perché trattasi di scelte rimesse alla discrezionalità del legislatore. Da rilevare che l'eccezione di costituzionalità, seppure in via subordinata alla tesi
dell'interpretazione estensiva della norma, è stata sollevata dall'avvoca tura dello Stato che, di regola, evita tale iniziativa per non interferire sulla scelta «politica» operata dalla presidenza del consiglio in sede di decisione sull'intervento dinanzi alla Corte costituzionale; in conseguenza dell'iniziativa dell'avvocatura, si può prevedere che la presidenza del
consiglio sosterrà nel giudizio di costituzionalità la tesi dell'illegittimità della norma nei termini denunziati dal tribunale, come già una volta successo in passato (Corte cost. 7 luglio 1995, n. 305, Foro it., 1995, I, 3401), nell'ambito di una funzione assimilabile più a quella di pubbli co ministero che a quella di patrocinatore di parte che l'avvocatura dello Stato esplica nel giudizio di costituzionalità.
Per riferimenti sull'azione di responsabilità ex 1.117/88, Cass. 11 mar zo 1997, n. 2186, id., 1997,1,2969, con nota di V. Farnararo; sui criteri di competenza ex art. 4 stessa legge, Trib. Firenze 23 febbraio 1990, id., 1990,1, 2007; sui principi costituzionali dettati dagli art. 24 e 25 Cost., Corte cost. 21 e 7 novembre 1997, nn. 351 e 326, id., 1998,1, 1006, con nota di G. Scarselli, Terzietà del giudice e Corte costituzionale, nonché, da ultimo, Corte cost. 6 novembre 1998, n. 363, ord. 21 ottobre 1998, n. 359, e Cass. 23 ottobre 1998, n. 10527, ibid., 3033, con nota di richiami.
La recente 1. 2 dicembre 1998 n. 420 (G.U. n. 286 del 1998) ha modifi cato sia la competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati di cui all'art. 11 c.p.p., sia il foro per le cause in cui sono parti i magistrati at traverso l'inserimento nel c.p.c. dell'art. 30 bis. Ai criteri di cui all'art. 11 c.p.p. fa riferimento la 1. 23 novembre 1998 n. 405 (c.d. legge Sofri) (G.U. n. 276 del 1998) per l'individuazione della corte d'appello compe tente per la presentazione della richiesta di revisione e, in caso di accogli mento di quest'ultima, per la decisione del giudizio di revisione.
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3651 PARTE PRIMA 3652
sparo, e per il delitto di corruzione continuata in atti giudiziari: delitti tutti dai quali evidenziava di essere stato assolto, con for
mula piena, con sentenza del Tribunale di Reggio Calabria in da
ta 21 gennaio 1997, confermata dalla corte d'appello della stessa
città con sentenza del 12 ottobre 1998.
Assumeva l'attore che i magistrati reggini erano incorsi in col
pa grave per aver chiesto ed emesso il detto provvedimento re
strittivo fuori dei casi consentiti dalla legge, ossia per il reato di
lesioni volontarie lievi (in quanto di durata non superiore a venti
giorni). 2. - Costituendosi in giudizio per conto del convenuto presidente
del consiglio dei ministri, l'avvocatura dello Stato eccepiva preli minarmente l'incompetenza del tribunale adito, in quanto com
preso nel distretto nel quale l'attore svolge attualmente la sua at
tività di magistrato, e ciò in estensione analogica della norma di
cui all'art. 4,1° comma, 1. cit., data la ravvisata identità di ratio
tra l'ipotesi in cui nel «distretto più vicino a quello in cui è com
preso l'ufficio giudiziario al quale apparteneva il magistrato (del la cui responsabilità civile si tratta) al momento del fatto» sia ve
nuto ad esercitare le sue funzioni quest'ultimo, e quella in cui in
tale distretto sia venuto (o abbia continuato) a esercitare le sue
funzioni il magistrato che la detta responsabilità intende far vale
re come attore. In subordine eccepiva l'illegittimità costituziona
le della norma menzionata, per contrasto con gli art. 3 e 25 Cost., nella parte in cui non contempla tale seconda ipotesi per assog
gettarla al medesimo meccanismo di spostamento automatico della
competenza previsto per la prima. Opponeva, inoltre, l'inammis
sibilità della domanda in quanto non supportata da valide e spe cifiche censure sull'operato dei magistrati e comunque perché pro
posta al di là delle ipotesi per le quali essa è consentita dalla legge. Diritto. — 3. - Allo spostamento di competenza, che il conve
nuto ritiene necessario per le stesse ragioni e secondo lo stesso mec
canismo che per il caso, normativamente previsto, in cui ad ope rare nel distretto di questo tribunale fosse venuto taluno dei ma
gistrati della cui responsabilità si discute, non può pervenirsi in
via interpretativa. L'art. 4, 1° comma, 1. 13 aprile 1988 n. 117
(a tenore del quale «competente è il tribunale del luogo ove ha
sede la corte d'appello del distretto più vicino a quello in cui è
compreso l'ufficio giudiziario al quale apparteneva il magistrato al momento del fatto, salvo che il magistrato sia venuto ad eserci
tare le funzioni in uno degli uffici di tale distretto. In tal caso è
competente il tribunale del luogo ove ha sede la corte d'appello dell'altro distretto più vicino, diverso da quello in cui il magistra to esercitava le sue funzioni al momento del fatto») configura una
disposizione derogativa agli ordinari criteri, generali o speciali, di determinazione della competenza per territorio, e come tale non
è suscettibile di interpretazione estensiva od analogica. 4. - Diviene pertanto ineludibile l'esame della questione, subor
dinatamente prospettata, di legittimità costituzionale della nor
ma: questione che è certamente rilevante ai fini della determina»
zione del giudice competente a conoscere della presente causa (e ciò anche in sede di preliminare delibazione sull'ammissibilità, que sta ovviamente postulando la competenza del giudice chiamato a pronunciarsi) ed a parere di questo collegio è anche non mani
festamente infondata.
4.1. - Sulla rilevanza della questione basti osservare che l'atto re è magistrato in attività il quale, come documentato in atti: a) ha esercitato le funzioni di giudice presso il Tribunale di Messina
per oltre vent'anni dal 16 ottobre 1974 fino al 23 luglio 1993 (da ta di decorrenza della sospensione di diritto dalle funzioni dispo sta dal Csm ai sensi dell'art. 31 r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511) e
poi dal 12 marzo 1997 (data in cui è stato reimmesso nelle funzio ni di giudice del medesimo tribunale) al 18 settembre 1997; b) dal 19 settembre 1997 e tuttora esercita le funzioni di giudice delle in
dagini preliminari presso la Pretura circondariale di Messina. 4.2. - La questione appare poi non manifestamente infondata,
sebbene non con riferimento all'art. 25 Cost, (che si deve ritenere
pienamente rispettato nella misura in cui nessun dubbio consente
la norma sulla esatta identificazione del giudice competente per territorio e dunque sulla sua precostituzione per legge), ma con riferimento agli art. 3 e 24 Cost.
Al riguardo possono invero ripetersi le considerazioni svolte nel
l'ordinanza con la quale altra sezione di questo tribunale, pronun ciando in un caso assai simile, ha già sollevato questione di legit timità costituzionale della norma predetta, per contrasto con gli art. 3 e 24 Cost. (Trib. Messina, ord. 14 luglio 1997): con l'avver tenza che le peculiarità della fattispecie in esame conferiscono a
Il Foro Italiano — 1998.
quelle stesse argomentazioni significati più pregnanti e ulteriori
dal momento che, a differenza del caso trattato nella citata ordi
nanza (ove il sospetto d'incostituzionalità sorgeva dal fatto che
il magistrato danneggiato — attore — esercitava le sue funzioni
in ufficio del distretto di Corte d'appello di Messina, diverso dal
tribunale chiamato a giudicare secondo la norma censurata, al mo
mento dell'evento dannoso ma non più al momento della propo sizione della domanda), nella specie, come detto, l'attore magi strato (danneggiato) non solo esercitava le sue funzioni al momento
del fatto nel medesimo tribunale ora investito della sua doman
da, ma tuttora le esercita nel medesimo distretto, seppure in di
verso ufficio.
Condividendo, dunque, e rapportando al caso di specie, i rilie
vi già svolti nella menzionata ordinanza, può osservarsi che a fronte
di una ratio ispiratrice evidentemente volta ad evitare turbative
e apparenze di turbative alla serenità ed imparzialità dei giudizi, di evitare cioè ai giudici del relativo procedimento il disagio di de cidere nei confronti di un magistrato del proprio ufficio o del me
desimo distretto di appartenenza, o comunque i sospetti che in
tali circostanze potrebbero comunque ab externo nutrirsi sull'ef
fettiva imparzialità del giudice, il dettato normativo appare insuf
ficiente e in contrasto con i principi costituzionali di cui agli art.
3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede lo spostamento della
competenza territoriale (analogo e speculare a quello previsto per il caso che il magistrato danneggiante sia venuto ad esercitare le
funzioni in uno degli uffici di tale distretto) nell'ipotesi in cui l'at tore (danneggiato) sia a sua volta un magistrato che all'epoca dei
fatti svolgeva la sua attività nel medesimo ufficio giudiziario chia
mato a decidere sulla sua domanda risarcitoria o che in ufficio
del medesimo distretto si trovi ad esercitare le sue funzioni al mo
mento della proposizione della domanda.
Non sembra invero dubitabile che analogo rischio di reale o an
che solo apparente condizionamento della serenità ed imparziali tà dei giudizi sia ravvisabile anche in tali ipotesi, conseguendone una non ragionevole disparità di disciplina di casi del tutto simili, riflettentesi anche in una sensibile violazione del diritto di difesa — del magistrato danneggiante — che implica quello ad un giu sto processo di fronte ad un giudice che sia ed anche appaia terzo
e imparziale. Tale ultimo pericolo non può considerarsi escluso per il fatto
che formalmente legittimato passivo dell'azione sia il presidente del consiglio dei ministri, dato che il magistrato è comunque le
gittimato ad intervenire in giudizio (art. 6, che prevede a tal fine
un'obbligatoria litis denuntiatio) e che la decisione è idonea ad
incidere nei suoi confronti sia sotto il profilo economico (azione di rivalsa dello Stato di cui all'art. 7) che sotto quello disciplinare
(art. 5, 5° e 9° comma), oltre che sotto l'aspetto meramente mo
rale e professionale (in tal senso la richiamata ordinanza Trib. Mes
sina 14 luglio 1997). Sotto il primo profilo (violazione del principio di uguaglianza),
poi, la ovvia diversa posizione sostanziale e processuale che nei
due casi assume, rispetto alla domanda di risarcimento, il magi strato che ha operato e/o che opera in ufficio del medesimo di
stretto ove è compreso il tribunale investito del giudizio, non sem
bra possa giustificare la disparità di disciplina determinativa del
foro. Non sfugge invero al collegio che mentre nell'un caso (ma
gistrato danneggiante) il sospetto che si tende ad evitare è quello che si possa essere condizionati nel giudicare del concreto eserci
zio della funzione giurisdizionale di un collega operante nel me
desimo distretto, nell'altro (magistrato danneggiato attore) il ri
schio è semmai quello di essere condizionati nel valutare la fon
datezza delle pretese risarcitone di un collega che, al momento
del fatto e/o al momento della proposizione della domanda, ope ri nel distretto: rischio quest'ultimo non dissimile da quello che
in generale può prospettarsi in qualsiasi altra causa civile di risar
cimento danni promossa da un magistrato. Non sembra però che
tale diversità, rispetto alle opzioni di valore chiaramente sottese
alla scelta legislativa espressa nell'art. 4,1° comma, 1. 117/88, pos sa assumere decisivo rilievo.
Convincono in tal senso due ordini di considerazioni.
Una prima è già svolta nella richiamata ordinanza (Trib. Mes
sina 14 luglio 1997) e fa leva sulla norma di cui all'art. 11 c.p.p.
che, approvato pochi mesi dopo la legge sulla responsabilità
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
civile dei magistrati, prevede meccanismi del tutto simili di spo stamento della competenza territoriale nel processo penale tanto
nell'ipotesi in cui il magistrato sia soggetto passivo dell'azione pe nale quanto in quella in cui egli assuma la veste di parte lesa dal
reato.
Ma utili argomenti possono trarsi anche dalla sentenza della Cor
te costituzionale n. 51 del 9-12 marzo 1998, che ha dichiarato inam
missibili le questioni di legittimità costituzionale del combinato
disposto degli art. da 18 a 36 c.p.c., sollevate dai giudici rimet
tenti, per contrasto con gli art. 3, 24, 25 e 101 Cost., nella parte in cui il sistema di determinazione della competenza territoriale
configurato da quegli articoli non prevede uno spostamento della
competenza per territorio secondo principi predeterminati quali
quelli previsti, per il processo penale, dall'art. 11 c.p.p.: a) nel
caso in cui un magistrato sia attore o convenuto in un procedi mento civile; ti) ovvero, in linea subordinata, limitatamente al caso
in cui il giudizio civile abbia ad oggetto fatti la cui rilevanza pe nale debba essere incidentalmente accertata; c) ovvero, in via ul
teriormente subordinata, nei procedimenti civili per diffamazio
ne a mezzo stampa in cui sia applicabile la sanzione di cui all'art.
12 legge sulla stampa (ordinanza di remissione della Corte d'ap
pello di Roma 18 dicembre 1996) ovvero ancora ai giudizi civili
nei quali sia attore o convenuto un magistrato e che abbiano ad
oggetto una domanda di risarcimento dei danni derivanti da un
reato, di cui il magistrato, parte del giudizio civile, si assume es
sere l'autore ovvero la persona offesa o il danneggiato (ordinan za del Tribunale di Roma 11 novembre 1996).
La corte invero ha dichiarato inammissibili siffatte questioni in quanto «la richiesta sentenza additiva comporta . . . una scel
ta fra più soluzioni possibili, che è rimessa al legislatore». La motivazione della sentenza fa leva essenzialmente sulla ri
badita sostanziale disomogeneità tra processi civile e penale «im
prontati — segnatamente in tema di competenza territoriale — a
regole e criteri diversi, che si adeguano a distinte tradizioni ed esi
genze attuali» come dimostra il fatto che — nota la corte — «nel
processo penale — esclusi ovviamente i casi di connessione — unico
è il foro territoriale, cioè quello previsto dall'art. 8 c.p.p., cui ap
punto deroga il successivo art. 11 ; mentre nel processo civile sus
siste un'ampia pluralità di fori, correlati ai molteplici interessi,
riguardanti persone e cose, che vengono in considerazione relati
vamente alle varie liti» e dai quali non si può prescindere per «va
lutare quale fra le tante soluzioni possibili sia la più confacente
al processo civile, nei cui riguardi le modalità attuative del princi
pio di imparzialità-terzietà non sono necessariamente identiche a
quelle previste per il processo penale», di guisa che — conclude
la sentenza — «solo il legislatore può stabilire, nell'esercizio del
suo potere discrezionale, quando ricorra quell'identità di ratio che
imponga l'estensione pura e semplice del criterio di cui all'art. 11
c.p.p. — come del resto esso ha già ritenuto relativamente alle
controversie in materia di danno arrecato dai magistrati nell'eser
cizio delle loro funzioni (v. art. 4 e 8 1. 13 aprile 1988 n. 117) —
e quando, invece, quella ratio non ricorra affatto o sia realizzabi
le attraverso la previsione di un foro derogatorio appropriato al
la specifica materia».
Ora, però, tale fulcro della decisione non sembra possa valere
nel caso in esame, ove — come espressamente ricorda la stessa
sentenza della Corte costituzionale nel su evidenziato inciso — si
è di fronte già ad una. precisa scelta legislativa che ricalca il crite
rio di cui all'art. 11 c.p.p. (nella evidentemente sottintesa identità
di ratio) e che in concreto si traduce nell'indicazione di un foro
speciale esclusivo, non soggetto a nessuna soluzione alternativa.
Occorre dunque entrare nel merito della questione e, nel meri
to, prendere atto che, nonostante il giudizio di fondo circa la ri
correnza di identiche esigenze di tutela cui adeguare la determi
nazione del giudice competente per territorio nel processo penale e nel giudizio civile di danno ex lege 117/88, l'omessa previsione di uno spostamento di competenza in tale ultimo giudizio anche
nel caso quale quello in esame risulta oggettivamente frutto di
un'opzione legislativa che nega alla qualità di magistrato danneg
giato (attore) operante nel distretto idoneità ad incidere negativa mente sulla imparzialità del giudice diversamente non solo dal ri
lievo che invece si attribuisce alla qualità di magistrato danneg
giarne ma anche da quello che alla medesima posizione sostanziale
si riconosce nel processo penale (assimilato al primo, quanto ai
criteri sulla competenza territoriale, per ogni altro aspetto).
Il Foro Italiano — 1998.
Il dubbio che tale distinzione non risponda a criteri di ragione volezza e finisca col ledere il diritto di agire e difendersi di fronte
ad un giudice «che rimanga, ed anche appaia, del tutto estraneo
agli interessi oggetto del processo» appare a questo collegio non
manifestamente infondato e deve pertanto comportare la rimes
sione della questione alla Corte costituzionale nei termini, e con le consequenziali statuizioni, di cui al dispositivo.
Per questi motivi, visti gli art. 134 e 137 Cost., 1 1. cost. 9 feb
braio 1948 n. 1 e 23 1. 11 marzo 1953 n. 87, dichiara non manife
stamente infondata, e rilevante nel presente giudizio, la questio ne di legittimità costituzionale dell'art. 4, 1° comma, 1. 13 aprile 1988 n. 117, per contrasto con gli art. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non esclude la competenza del tribunale del luogo ove ha
sede la corte d'appello del distretto più vicino a quello in cui è
compreso l'ufficio giudiziario al quale apparteneva il magistrato
(danneggiante) al momento del fatto, per attribuirla al tribunale
del luogo ove ha sede la corte d'appello dell'altro distretto più vi
cino, diverso da quello in cui il magistrato (danneggiante) eserci
tava le sue funzioni al momento del fatto, anche nel caso in cui
l'azione sia promossa da un magistrato che, al momento del fat
to, operava nel medesimo tribunale indicato come competente o
che in ufficio dello stesso distretto sia venuto ad operare al mo
mento della proposizione della domanda.
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 18 settembre 1998; Pres.
PlTRUZZEILA, Est. CASCINO.
TRIBUNALE DI ROMA;
Delibazione delle sentenze straniere ed esecuzione di atti di au
torità straniere — Annotazione e trascrizione nei registri di
stato civile — Rapporti (Cod. civ., art. 454; r.d. 9 luglio 1939
n. 1238, ordinamento dello stato civile, art. 165; 1. 31 maggio 1995 n. 218, riforma del sistema italiano di diritto internazio
nale privato, art. 66, 67).
Nei casi in cui l'atto straniero di volontaria giurisdizione (nella
specie, atto di mutamento di cognome) necessiti di quella par ticolare forma di attuazione consistente nell'annotazione o tra
scrizione negli atti dello stato civile, spetta all'ufficiale di sta
to civile il controllo delle condizioni per il riconoscimento; in caso di rifiuto di ricevere l'atto da parte dell'ufficiale di
stato civile, verificandosi la «mancata ottemperanza» di cui
all'art. 671. n. 218 del 1995, la parte interessata deve chiede
re alla corte d'appello l'accertamento dei requisiti per il rico
noscimento, senza che possa farsi ricorso al procedimento di
rettificazione di atti dello stato civile. (1)
(1) La sentenza affronta, a quanto consta per la prima volta, il pro blema delle annotazioni e trascrizioni delle sentenze e degli atti stranieri di volontaria giurisdizione nei registri dello stato civile. Per una disami na dei profili problematici attinenti ai rapporti tra delibazione, annota zione e trascrizione nei registri dello stato civile e azione di rettifica
degli atti dello stato civile, v. Manzo, Sentenze straniere e registri dello stato civile (a proposito di una circolare del ministero di grazia e giusti zia), in Foro it., 1997, V, 145; Massetani, Sul riconoscimento delle
sentenze straniere di divorzio, ibid., 80. La circolare del ministero di
grazia e giustizia in tema può leggersi ibid., 83. In generale, sui profili di diritto internazionale privato dello stato
civile, Catari Panico, Lo stato civile e il diritto internazionale privato, Padova, 1992.
Sull'efficacia e riconoscimento di atti stranieri, v., tra gli altri, oltre
agli autori richiamati nei contributi sopra indicati, Mosconi, Diritto
internazionale privato e processuale, Torino, 1996, 153; Ballarino, Di
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