ordinanza 30 ottobre 1985; Giud. D'Aietti; ric. De BernardiSource: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2937/2938-2943/2944Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180961 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Con ciò il problema non è peraltro ancora risolto, poiché la
difesa delIU.F.N., dopo aver prospettato nella memoria difensiva di costituzione un'ampia quanto indeterminata nozione di giudica to implicito sul deducibile, l'ha oggi precisata, nella difesa orale, facendo riferimento all'identità del rapporto giuridico controverso.
Stando, dunque, alla prospettazione cosi precisata, si giungerebbe all'estrema conclusione per cui il giudicato sostanziale formatosi in ordine a uno dei vari diritti, e corrispondenti obblighi, scaturiti dal dato negozio giuridico (e dal rapporto che ne
risulta), precluderebbe l'azionabilità di tutti gli eventuali diritti
ulteriori. Ma si tratta di tesi che supera quella dottrina che, valorizzando in più larga misura il principio pubblicistico, mira ad allargare l'ambito della « massa litigiosa », e quindi ad evitare il più che possibile un successivo ricorso al giudice in relazione a
punti controvertibili già divenuti oggetto di lite, effettiva o
virtuale, nel precedente processo tra le stesse parti. Tale dottrina,
infatti, àncora pur sempre la portata del giudicato al complesso del tema controverso (a « tutta quanta la controversia che le parti discutono »). E la stessa giurisprudenza, citata dalla difesa del
l'I.F.N., che in tempi più vicini si è più discostata dal principio secondo cui l'autorità del giudicato va coprire solo la decisione finale in cui si concreta la volontà della legge, da attuare nel caso concreto in riferimento alla data causa petendi e al dato
petitum (scontata l'identità dei soggetti), si è, tuttavia, prevalen temente formata in ordine alla preclusione verso una nuova
impugnativa dello stesso negozio giuridico, rispetto a quella in
precedenza esperita per ragioni diverse, e sulla quale si è formato il giudicato. E le chiavi utilizzate, per sbarrare la porta alla nuova azione, sono state di volta in volta quelle del giudicato sul
presupposto logico necessario, di quello sulle questioni comuni, di
quello sul deducibile, esplicitato, quest'ultimo, come complesso degli accertamenti necessariamente ed inscindibilmente collegati alla decisione, o come elementi costitutivi dell'azione.
Non è peraltro rilevante, in questa sede, vagliare criticamente
gli enunciati giurisprudenziali sopra accennati, soprattutto in
riferimento alle possibili contraddizioni rispetto al disposto del
l'art. 34 c.p.c., che prevede come normale l'ipotesi in cui sulle
questioni « pregiudiziali » (espressione ivi usata, ovviamente, non
in senso processuale, ma in riferimento ai presupposti sostanziali
del diritto azionato) si decida incidentalmente.
Merita invece, tornando in concreto alle statuizioni contenute
nella sentenza qui invocata in sede di eccezione di giudicato, sottolineare gli elementi di differenziazione, che impediscono
l'operare della preclusione anche laddove si ritenga di applicare le griglie del giudicato implicito, frutto della ricordata giurispru denza sul tema.
Dunque, la precedente sentenza ha accertato, ormai incontesta
bilmente (salve le ipotesi di revocazione straordinaria), il diritto
dei ricorrenti all'indennità suppletiva, per il recesso del preponen te a loro non imputabile, e l'inesistenza del diritto di costoro —
nonché, specularmente, dell'istituto preponente — all'indennità
sostitutiva del preavviso: a quest'ultimo riguardo si rileva che gli ex agenti da un lato, e l'I.F.N. dall'altro, avevano dedotto in
giudizio, originariamente, la stessa circostanza di fatto, vale a dire
la mancata prestazione dell'attività agenziale nel periodo da
maggio ad agosto 1983, reciprocamente attribuendosene la respon sabilità contrattuale, e pertanto traendone opposte conseguenze sotto l'aspetto del diritto all'indennità di cui si tratta. Si è poi notato che l'allegazione dei ricorrenti è subito mutata, dopo la
proposizione della riconvenzionale, e che il pretore, conoscendo
in ordine a tale domanda, ha accertato l'avvenuta prestazione dell'attività agenziale. Dunque il fatto dedotto in giudizio dalle
parti contrapposte era del tutto diverso, e addirittura contrario,
rispetto a quello cui ora fanno riferimento i ricorrenti: e non è
inutile sottolineare che la presente prospettazione, lungi dal porsi in contraddizione con il giudicato, suppone l'invocazione del
medesimo, in punto di accertamento dell'avvenuta prestazione lavorativa, effettuato con la sentenza n. 1424 nel già rilevato
contrasto con le primitive allegazioni delle parti.
Ciò rilevato in ordine alla diversità del fatto, si osserva anche
che le ragioni giuridiche allora invocate dai ricorrenti — indenni
tà, e dunque titolo risarcitorio — erano differenti rispetto a
quelle odierne — provvigioni, e dunque operatività del sinallagma —, e che ciò determina diversità del petitum, non solo in ordine
all'imputazione delle somme domandate ma, altresì, per il loro
ammontare, a sua volta calcolato con criteri diversi e su basi
diverse (circa la domanda svolta a suo tempo, per frazione
rispetto alla media delle provvigioni maturate in precedenza, e,
per l'odierna domanda, in percentuale rispetto agli affari andati a
buon fine dopo la comunicazione di recesso).
Il Foro Italiano — 1986 — Parte I-190.
Si è quindi di fronte a causae petendi e pelita del tutto diversi
ed autonomi, con il particolare della conformazione della doman
da odierna al giudicato, quanto all'accertamento di fatto ivi
contenuto. Quest'ultimo rilievo, se da un lato porta ad escludere
qualsivoglia contrasto di giudicati, dall'altro, rammentando il
tenore delle domande, principale e riconvenzionale, allora formu
late, consente di evidenziare l'insussistenza delle chiavi preclusive come sopra individuate dalla giurisprudenza. Invero la prestazio ne dell'attività agenziale nei quattro mesi di preavviso, lungi dal
costituire presupposto o antecedente logico necessario della deci
sione sulle domande di indennità sostitutiva, al contrario era
l'elemento fondante la reiezione delle medesime, cosicché dall'ac
certamento di essa originava la diversa azione oggi proposta. Per
la stessa ragione non può parlarsi di giudicato sulle questioni comuni, che sono il complesso delle ragioni giuridiche e di fatto, dal quale originano più diritti, alcuni dei quali si vorrebbe azionare in difformità da una precedente decisione, passata in
cosa giudicata, relativa a tale complesso o nucleo di elementi
produttori. Né il problema si pone in termini favorevoli al
convenuto, ove si utilizzino le chiavi, solo terminologicamente distinte da quelle ora indicate, della « relazione di causa ad effetto» o della «dipendenza necessaria». Infine non può parlar si di giudicato sul deducibile, poiché non è dato imporre di
riversare in un unico processo se non le domande, eccezioni,
allegazioni, ragioni giuridiche e prove che concernono il diritto
fatto valere in tale sede: e nella specie, come già si è più volte
notato, il diritto oggi azionato è tanto diverso, che la relativa
domanda venne tenuta fuori dal primo processo per mera preclu sione — processuale interna — alla modificazione-immutazione.
Deve in conclusione essere respinta l'eccezione del giudicato. (O
missis)
PRETURA DI MONZA; ordinanza 30 ottobre 1985; Giud.
D'Aietti; ric. De Bernardi.
PRETURA DI MONZA;
Contravvenzione, depenalizzazione e sanzioni amministrative —
Giudizio di opposizione — Difesa personale — Elezione di do
micilio nella cancelleria — Questione non manifestamente
infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24; r.d.l. 27 novem
bre 1933 n. 1578, ordinamento delle professioni di avvocato e
procuratore, art. 10; r.d. 22 gennaio 1934 n. 37, norme integra tive e di attuazione del r.d. 27 novembre 1933 n. 1578, art. 82; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale, art. 22).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi
tuzionale dell'art. 22 l. 24 novembre 1981 n. 689, in riferimen to agli art. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevede che la man
cata elezione di domicilio nel comune ove risiede il giudice per la parte che si difende personalmente comporti l'elezione del
domicilio nella cancelleria del giudice stesso. (1)
(1) Il pretore ha individuato una disparità di trattamento per la parte che si difende personalmente in confronto alla parte assistitila da un
procuratore, purché questi eserciti nell'ambito della circoscrizione del tribunale cui appartiene, poiché in tale caso le comunicazioni e le notifiche debbono essere effettuate nel domicilio del procuratore anche se non posto nel comune di residenza del giudice (art. 82 r.d. 22
gennaio 1934 n. 37). Il problema è stato di recente affrontato da Cass. 23 marzo 1985, n.
2087, Foro it., 1985, I, 2183, con nota di richiami, secondo cui la previsione dell'art. 82 r.d. 22 gennaio 1934 n. 37 si applica solo all'ipotesi del procuratore che eserciti il proprio ministero fuori dalla circoscrizione del tribunale cui è assegnato.
II problema si pone con particolare evidenza in relazione a quei giudizi che debbono svolgersi innanzi a giudici monocratici, compresi nella circoscrizione del tribunale.
Al riguardo il codice di rito pone varie disposizioni. Per l'art. 58
disp. att. c.p.c. se la parte non ha eletto domicilio ai sensi dell'art. 314
c.p.c. le notifiche possono essere effettuate presso la cancelleria. Nel senso che si tratti di una facoltà e non di un obbligo Cass. 8 febbraio
1963, n. 219, id., Rep. 1963, voce Procedimento davanti al pretore e al
conciliatore, n. 13, e Cass. 28 febbraio 1955, n. 593, id.. Rep. 1955, voce Impugnazioni civili, n. 32, con riferimento all'ipotesi del procura tore esercente fuori dalla circoscrizione del tribunale, ma nell'ambito del distretto di corte d'appello, senza aver eletto domicilio ai sensi
dell'art. 314. Nel senso che la notifica debba sempre avvenire al
domicilio reale del procuratore Cass. 5 gennaio 1983, n. 4, id., Rep. 1983, voce Procedimento davanti al pretore e al conciliatore, n. 3 e Cass. 5 agosto 1957, n. 3395, id., Rep. 1957, voce Notificazione civile, n. 9.
Contra, per la validità della notifica effettuata in cancelleria Cass. 11 di
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2939 PARTE PRIMA 2940
Il pretore rileva di ufficio una questione di costituzionalità nel
presente giudizio avente ad oggetto l'opposizione alla ordinan
za-ingiunzione emessa del prefetto di Milano il quale, per una
infrazione depenalizzata, ha comminato a Giovanni Di Leo una
sanzione pecuniaria.
L'opponente ha tempestivamente presentato nella cancelleria
della Pretura di Monza il ricorso in opposizione deducendo una
serie di motivazioni a sostegno dell'opposizione.
cembre 1963, n. 3'133, id., 1964, I, 224, con nota di richiami. L'art. 480, 3° comma, c.p.c. prevede, per la mancata elezione del domici lio nell'atto di precetto, che la notifica si effettui presso la cancelleria: Trib. Milano 16 novembre 1953, id., Rep. 1954, voce Esecuzione forzata in genere, n. 48.
Anche l'art. 638 c.p.c. prevede disposizioni di tenore analogo alla
precedente; secondo la Cassazione la mancata elezione di domicilio da
parte del procuratore che esercita il proprio ministero nella circoscri zione cui è assegnato non esime dall 'effettuare la notifica al domicilio reale del procuratore medesimo; v. Cass. 17 gennaio 1981, n. 417, id., 1981, I, 1033, con nota di richiami.
Disposizioni di identico significato si rinvengono negli art. 366, 660
c.p.c., 93, 2° comma, 1. fall.; l'amministrazione dello Stato è sempre domiciliata ex lege nel capoluogo del distretto (luogo ove risiede il
giudice competente): art. di r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 (la norma va letta unitamente all'art. 25 c.p.c.).
Nel caso di specie l'art. 10 r.d.l. 1578/33 non rileva, in quanto esso riguarda l'ipotesi diversa del procuratore che non risiede nel comune ove ha sede il tribunale; tuttavia la cit. Cass. 2087/85 ha
precisato che l'art. 10, se pure impone un obbligo (di risiedere nel
capoluogo del circondario del tribunale) di « particolare rilevanza », la sua inosservanza non comporta la domiciliazione iuris et de iure in cancelleria.
Pacifica invece la domiciliazione in cancelleria quando il procuratore esercita fuori circondario e non elegge domicilio, v. la nota alla cit. Cass. 2087/85.
Se questo è il quadro normativo e giurisprudenziale, il rilievo di una disparità di trattamento fra la parte che si difende personalmente e la parte che sia difesa da procuratore, riguardo alle diverse
conseguenze della manoata elezione di domicilio, coglie nel vero. Tuttavia un'ulteriore riflessione porta a constatare che la norma più
sospetta sia l'art. 82 r.d. 37/34 e non l'art. 22 1. 689/81. Invero l'eliminazione dell'art. 22 1. cit. non eliminerebbe le disparità di trattamento che ancora sussistono in riferimento agli art. 317, 480, 638, 660 c.p.c.; mentre la pronuncia di illegittimità dell'art. 82, eliminando un privilegio dei procuratori della cui razionalità è lecito dubitare, riequilibrerebbe in modo generalizzato la situazione che il Pretore di Monza ha denunciato.
Non può invece ritenersi irrazionale l'obbligo di eleggere domicilio nel comune di residenza poiché ciò tende a semplificare le forme di notificazione. Una conferma di questo assunto — sia pure indiretta —
si può desumere da Corte cost. 29 aprile 1975, n. 98, id., 1975, I, 1321, con nota di richiami, la quale — con sentenza interpretativa di
accoglimento — ha ritenuto di estendere anche alla parte civile costituita nel giudizio penale la sanzione della domiciliazione in cancelleria per omessa elezione di domicilio nel comune ove si svolge il processo <al posto della sanzione di inammissibilità) (v. art. 94
c.p.p.). È comunque opportuno rilevare che il legislatore non segue un
criterio univoco. Se per le norme già citate ha previsto l'obbligo di
eleggere domicilio nel comune di residenza del giudice (cui adde r.d. 16 luglio 1905 n. 646, t.u. delle leggi sul credito fondiario, art. 20; norme interpretative per i giudizi davanti alla Corte cost. 16 marzo
1956, art. 3); in altre disposizioni è sufficiente l'elezione del domicilio nel territorio dello Stato: v. art. 417, 2° comma, c.p.c.; art. 113 e
171, 2° comma, c.p.c.; art. 15, 3° comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 (revisione della disciplina del contenzioso tributario). Bisogna ancora osservare che neppure uniforme è il regime sanzionatorio per l'omessa indicazione del domicilio. In taluni casi si è posta espressa mente la sanzione della domiciliazione in cancelleria (c.p.c., art. 314 e 58 disp. att. c.p.c.; art. 366, 480, 638, 660; 1. fall., art. 93; c.p.p., art. 94, 171 c.p.p.), in altri manca la espressa menzione della sanzione
(c.p.p., art. 1113; r.d. 16 luglio 1905 n. 646, art. 20; r.d. 11
dicembre 1933 n. 1175, t.u. sulle acque pubbliche e sugli impianti elettrici, art. 158; norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
cost. 16 marzo 1956, art. 3; 1. 2 marzo 1963 n. 320, disciplina delle
controversie innanzi alle sezioni specializzate agrarie, art. 5; 1. 22
luglio 1966 n. 607, norme in materia di enfiteusi, ecc., art. 2). Sulla ratio della notificazione in cancelleria per mancata elezione
di domicilio, v. Corte cost. 26 febbraio 1981, n. 32, id., 1981, I, 914, con nota di richiami, che ha respinto una questione di costituzionalità
dell'art. 171, 2° comma, c.p.p. I dubbi di costituzionalità dell'art. 82 r.d. 37/34 e la stessa
questione sollevata con l'ordinanza in epigrafe potrebbero essere
superati qualora si interpretasse il termine « parte » come riferito al
binomio titolare del rapporto sostanziale controverso e/o del rappor to processuale e procuratore ad litem, per cui ogni qual volta la
legge impone la elezione del domicilio alla «parte», la disposizione si riferisce tanto a colui che si difende personalmente quanto a colui che
Il Foro Italiano — 1986.
Nel ricorso il ricorrente personalmente, non assistito né rappre
sentato da un procuratore legale, ha dichiarato di essere residente
a Sesto San Giovanni, comune posto nell'ambito del mandamento
della Pretura di Monza.
La cancelleria, dopo la fissazione dell'udienza da parte del
pretore, ha provveduto a comunicare il decreto al prefetto di
Milano ed al ricorrente.
La comunicazione a quest'ultimo è stata eseguita, attraverso
l'ufficiale giudiziario, nella sede della cancelleria stessa; invero il
disposto dell'art. 22 1. 689 del 1981 prevede che, avendo il
ricorrente, che si difende personalmente, omesso di eleggere
domicilio nel comune di Monza, sede del pretore adito, ogni
comunicazione va fatta presso la cancelleria stessa.
Il ricorrente all'udienza del 27 settembre 1985, evidentemente
senza aver saputo nulla della data dell'udienza, non si è presenta to.
L'attività di comunicazione del cancelliere è del tutto legale e
va escluso che, di fronte ad una notificazione perfetta sotto il
profilo formale, questo pretore potesse ordinare la rinnovazione
della notificazione in un luogo diverso da quello stabilito dalla
legge. Si aggiunga che una prassi adottata da questo ufficio fino a
qualche mese fa, con maggior considerazione delle aspettative
degli interessati, faceva si che le comunicazioni di cancelleria alla
parte costituita personalmente fossero effettuate presso il « do
micilio reale » indicato nel ricorso. Però, con una circolare
del ministero di grazia e giustizia (del 9 aprile 1985, prot.
4/1152/19.849 della direzione generale degli affari civili e delle
libere professioni), l'ufficio di cancelleria è stato richiamato ad un
maggior rispetto della normativa in tema di luogo delle notifica
zioni nei casi in cui in un giudizio di pretura non sia stata
eseguita la elezione di domicilio nel comune sede dell'ufficio
giudiziario. In tale circolare si faceva riferimento, peraltro, ad un
recente orientamento della Suprema corte di cassazione, per cui si
riteneva nondimeno ammissibile la comunicazione presso lo stu
dio professionale del procuratore legale esercente nell'ambito del
circondario ove è posta la pretura adita, anche se questo non
avesse eletto domicilio nel comune ove è ubicata la pretura. Di fronte alla mancata comparizione dell'opponente il rappre
sentante della prefettura ha chiesto che il pretore dichiarasse la
convalida della ordinanza-ingiunzione opposta ai sensi dell'art. 23
1. 689/81. Il pretore, quindi, ritiene di ufficio di porsi la questione di
costituzionalità della norma di cui all'art. 22, 3° comma, nella par te in cui prevede che « il ricorso deve contenere altresì, quando
l'opponente non abbia indicato il suo procuratore, la dichiarazio
ne di residenza o la elezione di domicilio nel comune ove ha
sede il pretore adito ».
La questione è rilevante nel presente giudizio in quanto, qualora fosse rilevata la incostituzionalità della norma, la notificazione ese
guita dovrebbe ritenersi nulla e questo pretore potrebbe ordinarne
la rinnovazione nel domicilio indicato (reale), con la conseguenza di
dare notizia effettiva all'interessato della data di udienza in cui
deve comparire. In caso contrario a questo giudice non rimarrebbe che dover
convalidare l'ordinanza-ingiunzione per la mancata comparizione
dell'opponente (che, in concreto, non è stato messo in grado di
saper nulla della data di udienza).
Orbene a questo giudicante sembra che la questione di costitu
zionalità di tale norma, sotto i profili della disparità di trattamen
to, non sia manifestamente infondata.
L'art. 22 1. 689/81 trova un suo corrispondente nell'art. 314
c.p.c. che impone la dichiarazione o la elezione di domicilio nel
comune in cui ha sede 1' ufficio giudiziario adito e sanziona tale
omissione con la « possibilità » che le comunicazioni e le notifica
zioni siano eseguite validamente presso la cancelleria (ar. 58 disp. att. c.p.c.).
La norma è dettata in tema di giudizio innanzi al pretore o
si fa difendere da un procuratore. Un'interpretazione autentica in questo senso si ha nell'art. 154, 2° comma, r.d. 11 dicembre 1933 n. 1175, nel quale si legge espressamente che la parola « parte » indica
anche i procuratori e gli avvocati; argomento a favore si può desumere dall'art. 170 c.p.c.; è inoltre da considerare che quando il
legislatore ha voluto scindere il « binomio » lo ha fatto espressamente: v. art. 2372, 285, 286*, 28S3, 292', 301, 302, 327\ 3303 c.p.c.; disp. att.
1253, 1292. In dottrina, per tutti, sul concetto di parte v. A. Proto
Pisani, Parte (dir. proc. civ.), voce dell'Enciclopedia del diritto, XXXI,
917, spec. 920 ss., 922 ss. (cui si rinvia per un'ampia bibliografia), ove è
messa in evidenza la relatività del concetto. [M. Orsenigo]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
conciliatore e non ve ne è una analoga, invece, per il giudizio innanzi al tribunale.
Orbene la giurisprudenza da epoca risalente (Cass. 28 maggio
1955, n. 922, Foro it., Rep. 1955, voce Impugnazioni civili, n. 33) ed in modo uniforme ha ritenuto che la norma si applicasse non
solo alla parte che si difendeva personalmente, ma pure a quella costituita a mezzo di procuratore legale. Ne traeva la conseguen za che le comunicazioni e notificazioni al procuratore che avesse
la sede del suo studio professionale in altro comune diverso da
quello sede del giudice adito, potevano essere ritualmente eseguite
presso la cancelleria.
Anche se autorevole dottrina propugnava una interpretazione che limitasse la necessità di elezione o dichiarazione alla sola
parte che si difendesse personalmente (traendo spunti dal dettato
dell'art. 170, 3° comma, c.p.c.), l'opinione sopra esposta è rimasta
ferma nella giurisprudenza nel corso degli anni successivi.
Tuttavia, attraverso altra strada la stessa giurisprudenza è
giunta a legittimare la comunicazione al « domicilio reale » del
procuratore legale attraverso la « riesumazione » di una norma
dettata per la disciplina della professione legale. Infatti, con affermazioni di principio che costituiscono per la
uniformità e costanza, « diritto vivente », la Suprema corte di
cassazione ha ribadito numerose volte la operatività dell'art. 82
r.d. 22 gennaio 1934 n. 37 secondo cui, in mancanza di elezione di domicilio nel luogo ove ha sede l'autorità giudiziaria presso la quale è in corso il processo si intende che i procuratori che esercitano il proprio ufficio in una circoscrizione di tribunale « diversa » da quella in cui si svolge il loro ufficio, abbiano eletto
domicilio presso la cancelleria dell'autorità giudiziaria (Cass. 2
agosto 1977, n. 3386, id., Rep. 1977, voce Procedimento civile, n.
58). In forza di tale norma si è ritenuto a contrario che le
comunicazioni e notificazioni per il procuratore esercente « nella »
circoscrizione del tribunale vadano sempre e comunque fatte al
suo studio professionale in qualsiasi comune (nell'ambito della
circoscrizione) sia posto (da ultimo Cass. 23 marzo 1985, n.
2087, id., 1985, I, 2183, nonché Cass. 5 gennaio 1983, n. 4, id.,
Rep. 1983, voce Procedimento davanti al pretore, n. 3). Tale interpretazione appare rispettosa della libertà di ubicazio
ne dello studio professionale e delimita in modo deciso, ma non
asfittico, l'ambito territoriale in cui devono essere fatte le comu
nicazioni (coincidente con la circoscrizione del tribunale), le quali in tal modo risultano al quanto agevolate nella speditezza e
sicurezza.
In questa situazione normativa si è inserita la 1. 24 novembre
1981 n. 689 che all'art. 22, 3°, 4° e 5° comma, dispone: « Il ricorso deve contenere altresì, quando l'opponente non
abbia indicato il suo procuratore, la dichiarazione di residenza
o la elezione di domicilio nel comune ove ha sede il pretore adito.
Se manca la indicazione del procuratore oppure la dichiarazio
ne di residenza o la elezione di domicilio, le notificazioni
vengono eseguite mediante deposito in cancelleria.
Quando è stato nominato un procuratore le notificazioni e le
comunicazioni nel corso del procedimento vengono eseguite nei
suoi confronti secondo le modalità stabilite dal codice di proce dura civile ».
Questo pretore rileva di ufficio la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità di tale norma.
Invero, tra i principi ispiratori della nuova normativa in tema
di giudizio di opposizione contro le sanzioni pecuniarie per violazioni amministrative vi è quello della facoltà dell'opponente (e dell'amministrazione) di difendersi personalmente (art. 23, 5°
comma) senza necessità di alcuna autorizzazione.
In tal modo si è voluto rendere più accessibile la controversia
giudiziaria al privato privo di assistenza legale che, per sanzioni
di modesta entità, poteva trovare troppo dispendioso e complesso affidarsi ad un tecnico legale professionale.
Ma tale « accesso » alla giustizia in posizione paritaria a quella di chi è munito di assistenza legale in seguito alla formu
lazione dei commi 3°, 4° e 5° dell'art. 22, appare vistosamen
te limitato con evidente violazione di due principi costituzio
nali.
In primo luogo sotto il profilo della disparità di trattamento.
Poiché le posizioni delle parti non devono essere pregiudicate dalla circostanza che una sia rappresentata da un procuratore
legale (iscritto nella circoscrizione del tribunale a cui appartiene la
pretura adita) e l'altra si difende personalmente (residente pure nella circoscrizione del tribunale), è evidente che porre soltanto
ad una l'onere di eleggere o dichiarare domicilio nel comune
Il Foro Italiano — 1986.
sede della pretura costituisce una vistosa violazione del prin
cipio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Al primo, infatti, la cancelleria comunica direttamente al suo
studio professionale l'avviso relativo alla udienza fissata dal
pretore per la discussione; al secondo il medesimo avviso è
notificato, simbolicamente, presso la stessa cancelleria, senza che
questi possa saper nulla in concreto, o, comunque, costringendo l'interessato ad una onerosa opera di informazione.
Tale diversità di trattamento non appare giustificata razional
mente sotto alcun profilo. Invero le due posizioni sono funzionalmente sotto lo stesso
piano nel processo di opposizione e la appartenenza di un
procuratore legale ad un ordine professionale è circostanza che
può operare su piani diversi, ma non certo su quello della
identità delle posizioni e degli oneri nell'ambito del rapporto
processuale. Vi è di più: il principio di eguaglianza va valutato in senso
dinamico (art. 3 Cost.) e la parte che si difende personalmente dovrebbe (proprio per la sua caratteristica di « non-professionali tà » e per la presunzione di non essere particolarmente abbiente
cosi da non potersi permettere l'opera di un difensore tecnico) essere posta su un piano di particolare agevolazione processuale,
quantomeno sotto il profilo della semplificazione del rito e degli oneri conseguenti a suo carico. Invece, senza che vi sia una
valida ragione giustificativa, vengono posti a suo carico oneri davvero gravosi.
Si pensi alla persona che sia costretta a recarsi di tanto in tanto nella cancelleria della pretura (che giustamente non fornisce
informazioni attraverso il telefono) posta in un comune diverso da quello ove egli abita, per sapere se e quando il pretore ha fissato l'udienza di comparizione; il tutto con dispendio di
energie e di mezzi, proprio in contrasto con i principi di sem
plificazione processuale solennemente sbandierati in altre norme
(art. 23, 8°, 9° e 10" comma). Se ne trae la conseguenza che la norma di cui all'art. 22, 3°
comma, 1. 24 novembre 1981 n. 689 si profila incostituzionale nei
limiti in cui non prevede che la dichiarazione di residenza o di
elezione di domicilio della parte che si difende personalmente
possa essere legittimamente eseguita in qualsiasi comune del
circondario a cui appartiene l'ufficio di pretura adito (con conse
guente obbligo di notificazione ivi degli atti del processo). Il dubbio di costituzionalità si configura, per quanto è stato
detto, anche sotto il profilo dell'art. 24 Cost. Invero, l'imporre ad
una parte non professionale l'onere di eleggere domicilio in un
comune diverso da quello della sua residenza (posti entrambi nel
medesimo circondario del tribunale) costituisce un aggravio di
costi e di operazioni che, di fatto, rende inutilmente difficile
l'esercizio del diritto di azione; la sanzione, in caso di mancata
elezione o dichiarazione, costituisce ancor più una palese viola
zione del diritto di difesa perché attua una forma di conoscenza
legale fittizia a cui la parte privata può sopperire solo con una
inziativa di informazione che appare del tutto spropositata in
tutti quei casi in cui la difesa personale caratterizza proprio,
secondo ciò che accade normalmente, la infrazione di più mode
sta rilevanza sanzionatoria.
Spetterà, poi, alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 27 1. 11
marzo 1953 n. 87, dichiarare eventualmente che la pronunzia di
incostituzionalità di estenda anche (vi è la medesima ragione
giustificatrice) all'art. 314, 2° comma, c.p.c. e 58 disp. att. c.p.c.;
va opportunamente evidenziato, però, che mentre la norma ogget
to della presente ordinanza di rimessione prevede che per la
omessa elezione o dichiarazione « le notificazioni vengono eseguite
mediante deposito in cancelleria » (senza possibilità alcuna di
agire diversamente), nel caso disciplinato dal codice di procedura
civile la norma usa l'espressione « possono eseguirsi median
te... », lasciando intendere una possibilità discrezionale che,
nondimeno, ad avviso di questo giudicante, non esclude anche in
tale ipotesi una ingiustificata disparità di trattamento, costituzio
nalmente sanzionabile da codesta corte.
Va segnalato altresì' che in una risalente pronunzia avente ad
oggetto la questione di costituzionalità dell'art. 58 disp. att. c.p.c.
(Corte cost., ord. 27 febbraio 1974, n. 49, id., Rep. 1974, voce
cit., n. 10) codesta corte restituì' gli atti al giudice a quo per un nuo
vo esame sulla rilevanza della questione in relazione alla possibilità
di applicazione congiunta degli art. 10 r.d.l. 27 novembre 1933 n.
1578 ed 82 r.d. 22 gennaio 1934 n. 37; circostanza, questa, evidente
mente esclusa per la parte che si difende personalmente.
iPer questi motivi, applicato l'art. 23 1. 11 marzo 1953 n. 87,
dichiara non manifestamente infondata, con riferimento agli art. 3
e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22,
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2943 PARTE PRIMA 2944
3° comma, 1. 24 novembre 1981 n. 689, nei limiti in cui non
prevede che la dichiarazione di residenza o di elezione di domicilio della parte che si difende personalmente possa essere
legittimamente eseguita in qualsiasi comune del circondario a cui
appartiene l'ufficio di pretura adito (con conseguente obbligo di notificazione ivi gli atti del processo); (omissis)
PRETURA DI VERONA; sentenza 27 settembre 1985; Giud.
D'Ascola; Stevanoni (Aw. Bontempini) c. Provincia di Verona
<Aw. Veneri).
PRETURA DI VERONA;
Contravvenzione, depenalizzazione e sanzioni amministrative —
Disposizioni transitorie — Applicabilità — Ambito (L. 24
novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale, art. 12, 22,
23, 40).
Contravvenzione, depenalizzazione e sanzioni amministrative —
Giudizio di opposizione — Annullamento dell'ordinanza-in
giunzione per vizi di forma — Rinnovazione del provvedimento sanzionatorio privo dei vizi — Legittimità (L. 24 novembre 1981 n. 689, art. 22, 23).
La normativa introdotta con la l. 24 novembre 1981 n. 689 si
applica, in base all'art. 40 della menzionata legge, a tutte le violazioni di carattere amministrativo, ancorché commesse prima dell'entrata in vigore della stessa. (1)
È legittima la rinnovazione dell'ordinanza-ingiunzione annullata dal pretore per vizi di forma a seguito di giudizio di oppo sizione, quando nel rinnovare il medesimo provvedimento san zionatorio la competente autorità amministrativa elimini quei vizi motivo del precedente annullamento. (2)
Motivi della decisione. — Il primo contrasto tra le parti è sorto sull'applicabilità nella fattispecie de qua, originata da un fatto anteriore al novembre 1981, della normativa della 1. n.
689/81. Le sezioni unite hanno di recente risolto il dissidio
giurisprudenziale riconoscendo (sent. 26 aprile 1985, n. 2709, Foro
it., Rep. 1985, voce Contravvenzione, n. 51; 7 marzo 1985, n.
(1) In termini, oltre alle sent. n. 2709/85 e 1879/85 citate in motivazione, cfr. Cass., sez. un., 22 aprile 1985, n. 2645, Foro it., 1985, I, 1294, con nota di C. M. Barone; contra, Cass. 23 febbraio 1985, n. 1625, ibid., 2290, con nota di G. Albenzio.
(2) Nulla in termini con riferimento alla normativa introdotta con la 1. n. 689/81.
Sulla legittimità, in genere, della rinnovazione di un atto ammini strativo precedentemente annullato cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 settem bre 1985, n. 273, e 11 gennaio 1985, n. 11, Foro it., Rep. 1985, voce Atto amministrativo, nn. 54, 55; sez. IV 3 novembre 1983, n. 766, id., Rep. 1984, voce oit., n. 112; sez. VI 6 dicembre 1982, n. 638, id., Rep. 1983, voce cit., n. 123; sez. IV 23 giugno 1981, n. 508, id., Rep. 1982, voce cit., n. Ill; sez. VI 18 ottobre 1977, n. 803, id., 1978, III, 7 (in motivazione); sez. V 26 febbraio 1976, n. 296, id., Rep. 1976, voce cit., n. 389; Cass. 23 novembre 1974, n. 3801, id., 1975, I, 2316, con nota di C.'M. Barone, nonché, Cons. Stato, ad. plen., 9 aprile 1974, n. 4, id., 1974, III, 214, con nota di richiami.
Sui vari problemi connessi alla riforma introdotta con la 1. n. 689/81 cfr. i richiami in nota a Pret. Torino 9 ottobre 1985 e Pret. Roma 28 novembre 1984, id., 1986, I, 580.
In dottrina cfr. Virga, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1976, 413, ove espressamente si leg ge che « qualora l'atto amministrativo sia stato annullato per motivi di carattere formale (difetto di motivazione, irregolarità nella convocazio ne, nella seduta, nella votazione), non è preclusa all'amministrazione la facoltà di rinnovare il provvedimento con l'identico contenuto, senza però i vizi che inficiavano quello precedente »; M. S. Giannini, Dirit to amministrativo, Milano, 1970, II, 1060 e 1330.
Per quanto concerne l'ipotesi di annullamento o di rettifica della ordinanza-ingiunzione effettuato dalla competente autorità amministrati va in pendenza di giudizio di opposizione, cons. Vinciguerra, La riforma del sistema punitivo nella l. 24 novembre 1981 n. 689, Padova, 1983, 148 e 163.
Sul giudizio di opposizione in genere, v. Di Nanni-Fusco-Vacca, Depenalizzazione e sanzioni amministrative. Commento teorico-pratico, Napoli, 1982, 145; Vaccarella, Il procedimento di opposizione al provvedimento di applicazione di sanzioni amministrative, in Nuove leggi civ., 1982, 1151; Luiso, in Legislazione pen., 1982, 209, sub art. 23; Bertoni-Lattanzi-Lupo-Violante, Modifiche al sistema penale, Milano, 1982, 335; Guarino, Il nuovo giudizio di opposizione davanti al pretore avverso l'ordinanza-ingiunzione della p.a., in Giur. merito, 1983, 545; Bartolini, Il codice della depenalizzazione, Piacen za, 1985, 190 ss.
Il Foro Italiano — 1986.
1879, ibid., n. 57), che le disposizioni contenute nel capo I
di detta legge regolano anche le violazioni commesse anteriormen
te all'entrata in vigore della legge stessa.
Ciò posto, e riconosciuto che il potere cognitivo e decisorio del
pretore ne risulta notevolmente ampliato, non può ugualmente attribuirsi pregio decisivo ad alcuno dei motivi di ricorso.
La prima ingiunzione emessa dall'amministrazione provinciale venne annullata con sentenza n. 56/83 del Pretore di Verona
perché carente di motivazione nella parte attinente alla motiva
zione della sanzione.
Il ricorrente, invocando il principio del ne bis in idem, assume
l'illegittimità della riproposizione del provvedimento sanzionistico; sostiene inoltre che la riforma dell'atto amministrativo può inter
venire solo prima della decisione giurisdizionale, a seguito della
quale ogni potere rinnovativo della p.a. verrebbe meno.
La tesi sarebbe fondata qualora la sentenza fosse entrata nel meri
to del provvedimento, revocandone in dubbio i presupposti di fatto
o dando una diversa valutazione giuridica del comportamento san
zionato.
Nel caso in esame, il vizio riconosciuto nel provvedimento non
impediva invece all'amministrazione competente di procedere,
dopo la decisione pretorile, alla rinnovazione dell'atto previa correzione delle lacune.
Dottrina e giurisprudenza distinguono infatti la rinnovazione
del provvedimento amministrativo, successiva alla decisione giu risdizionale di annullamento (tra le ultime ed esemplari cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 23 giugno 1981, n. 508, id., Rep. 1982, voce Atto
amministrativo, n. Ili), dai poteri di autotutela su cui si è
soffermata ampiamente la difesa dell'opponente per inferirne la
non reiterabilità, previo emendamento, dell'atto già emanato.
Ben diverso sarebbe stato il giudizio qualora la p.a. avesse
riproposto l'atto con i medesimi vizi che ne avevano cagionato
l'annuallamento; solo in tal caso si sarebbe imposta una declara
toria di illegittimità per violazione dei principi tutelati dall'art. 97
Cost. Ciò non si è verificato nell'odierna fattispecie, tanto che
l'opponente ha solo timidamente adombrato il persistere del vizio
originario. La lettura dell'ordinanza-ingiunzione vale comunque a
fugare ogni dubbio, perché in essa si fa riferimento, per determi
nare la misura della sanzione, sia alla gravità della violazione, sia
agli elementi in possesso della p.a. sulle possibilità economiche
del contravventore (elementi, si ritiene, desumibili dal fatto, ad es.
possesso di fucile, automobile, ecc.), nonché si sottolinea la
carenza di informazioni, da parte dello Stevanoni, sul suo esatto
reddito.
Anche l'altra illegittimità denunziata nell'atto di opposizio ne èinsussistente: a tenore dell'art. 18 1. 689/81 l'obbligo di
sentire gli interessati prima di emanare il provvedimento sanzio
natorio sussiste solo ove questi ne abbiano fatto richiesta; negli scritti difensivi presentati il 4 dicembre 1981 lo Stevanoni non
svolse tale istanza, né essa era implicita nella opposizione già
proposta avverso la prima ordinanza. Si può anzi sostenere che
proprio l'ampio contraddittorio già consumatosi esimeva comun
que la p.a. dall'obbligo di escutere il contravventore sui fatti
oggetto del nuovo provvedimento. Venendo all'esame delle circostanze in cui fu rilevata la viola
zione, si deve concordare con la valutazione dell'amministrazio
ne resistente.
Si apprende dal verbale di accertamento redatto dai guardia caccia che Io Stevanoni fu sorpreso — in atteggiamento di caccia — ad una distanza di 12 metri dalla strada comunale e di 37 metri dalla più vicina abitazione nella riserva comunale alpina di
Boscochiesanuova. Queste circostanze di fatto non possono essere
disattese dal giudicante in assenza di rituale proposizione della
querela di falso (Cass. 9 novembre 1983, n. 6628, id., 1983,
I, 222) e sono state confermate delle deposizioni testimoniali rese
dai verbalizzanti. (Omissis)
PRETURA DI BARI; ordinanza 16 luglio 1985; Giud. Buquic
chio; Soc. Radio Spazio (Avv. Campanile) c. Soc. Abacus
(Avv. Patroni Griffi, Fusi).
PRETURA DI BARI;
Provvedimenti di urgenza — Radiotelevisione — Emittente priva ta locale — Erronea rilevazione statistica degli indici di ascolto — Divulgazione dei dati — Inibitoria — Fattispecie (Cod.
proc. civ., art. 700).
Va accolta la richiesta di provvedimenti cautelari urgenti avanza
ta dal gestore di un'emittente privata locale che lamenti l'erro
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