ordinanza 4 febbraio 1986; Pres. Sciacchitano; imp. PattiSource: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 303/304-305/306Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187300 .
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PARTE SECONDA
Se si intende rimanere nel campo sanzionatorio, insomma, sembra difficile immaginare misure alternative dotate di una forza di dissua sione adeguata alle spinte ideologiche proprie degli obiettori, posto che
neppure la limitazione a lungo termine della libertà personale si è dimostrata in grado di orientarli in una direzione meno intransigente.
Il problema, a questo punto, non può non radicalizzarsi. Il dilemma finale sembra essere costituito, per un verso, dal mantenimento della
normativa oggi in vigore (magari ritoccata e ammodernata, ma lasciata ferma quanto al principio-guida della penalizzazione del rifiuto del
servizio alle armi), e per altro verso dalla sua totale abrogazione, che
consentirebbe un esercizio non più compresso dell'imperativo ideologico di obiettare.
Si tratta senza dubbio di una scelta politica da operare con ogni cautela: « Il riconoscimento del diritto di obiezione da parte dell'ordi
namento ... non costituisce solo il rispetto di un diritto inalienabile del
singolo, ma altresì l'espressione della dignità e della « validità sociale »
di una scelta nell'ambito dei principi fondamentali del nostro sistema
giuridico; il che impone a quest'ultimo di non « emarginare » il ruolo
dell'obiettore, ma di valorizzarne nella maniera più ampia il peculiare contributo alla soluzione dei problemi comuni, quantomeno rispetto a
quelle esigenze preventive ed educative sulle quali può e deve tornare
ad aggregarsi il consenso sociale » (31). Se il fenomeno dell'obiezione
viene considerato (come merita di essere) tanto « presente » e serio da
suggerire problematici correttivi praeter legem, segno è che la legge
appare oggi inadeguata a regolarlo, e anzi ingiustamente vessatoria. Se
invece, nonostante i suoi caratteri, quel fenomeno si vuole ritenere
ancora in contrasto « perdente » con i doveri sanciti dall'art. 52 Cost., la scelta della sua penalizzazione sembra l'unica operabile. Ma, in
quest'ultimo caso, deve trattarsi almeno di una scelta coerente, che
abbia il coraggio di mantenere sino all'ultimo le posizioni prese; e ciò
significa, sul piano applicativo, che i suoi capisaldi devono essere fatti
valere: non ultimo, quello che equipara al servizio militare l'espiazione di una pena o la prestazione di un'attività lavorativa socialmente utile.
Rino Messina
(31) Cosi Stella, La obiezione di coscienza del sanitario nelle
legislazioni europee, in Riv. it. medicina, legale, 1985, 444.
TRIBUNALE DI GENOVA; ordinanza 4 febbraio 1986; Pres.
Sciacchitano; imp. Patti. TRIBUNALE DI GENOVA;
Radiotelevisione e servizi radioelettrici — Emittenti televisive
private — Interconnessione funzionale e strutturale — Travali
camento dell'àmbito locale — Assenza di disciplina antimono
polistica — Questione non manifestamente infondata di costitu
zionalità (Cost., art. 3, 21; d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, t.u.
delle disposizioni in materia postale, di bancoposta e di tele
comunicazioni, art. 195; d.l. 6 dicembre 1984 n. 807, disposi zioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive, art. 3, 4;
1. 4 febbraio 1985 n. 10, conversione in legge, con modificazioni,
del d.l. 6 dicembre 1984 n. 807, art. unico).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi
tuzionale dell'art. 4, comma 3 bis, /. 10/85, nella parte in cui
sancisce la non punibilità delle violazioni del divieto di tra
smettere programmi radiotelevisivi oltre l'àmbito locale com
messe anteriormente al 6 dicembre 1984 e, correlativamente, dell'art. 3 della medesima legge, nella parte in cui consente
trasmissioni ultralocali pur in mancanza di un'adeguata norma
tiva antimonopolistica, in riferimento agli art. 3 e 21 Cost. (1)
(1) Sotto altro rispetto, il « grosso » della disciplina introdotta dalla 1. 10/85 (sulla cui natura di « normativa-ponte » v. A. Fragola,
Radiotelevisione, voce del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1986, VI, 257, che riconosce al provvedimento « il merito di avere finalmente avviato un discorso che avrebbe dovuto avere inizio
all'indomani [di Corte cost. 202/76, Foro it., 1976, I, 2066] »; più « datata » la ricognizione di D. Giacobbe, L'emittenza televisiva
privata, in Giust. civ., 1986, II, 25) era stato impugnato da Pret.
Torino, ord. 25 febbraio 1985, Foro it., 1986, II, 231, con nota di R.
Pardolesi. E così, mentre s'attende di conoscere il quadro completo delle
iniziative giudiziarie a séguito dell'inutile scadenza del termine fissato
con la proroga di cui al d.l. 223/85 e relativa legge di conversione
(della vicenda torinese si è fornito ampio riscontro su queste colonne; dal Notiziario A.N.T.I., 1986/2, 8, « Cronaca di una battaglia decisi
va », apprendiamo che il Pretore di Napoli avrebbe per tempo
prosciolto i responsabili delle reti, mentre il Pretore di Firenze si
sarebbe limitato — a dispetto di quanto pubblicato dalla stampa
quotidiana — a respingere l'istanza di sequestro), il collegio genovese rileva come l'uso delle tecniche d'interconnessione, con conseguente
Il Foro Italiano — 1986.
— Rilevato che, nel procedimento a carico di Patti Giuseppe,
imputato del reato di cui all'art. 195 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156
e succ. mod., la difesa concludeva, in via principale, per l'assolu
zione con formula ampia del proprio assistito e, in subordine, per
l'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 4,
comma 3 bis, 1. 4 febbraio 1985 n. 10. — ritenuto che la sentenza n. 202/76 della Corte costituzionale
(Foro it., 1976, I, 2066), ha liberalizzato, sia pure condizionandola
al rilascio di un'apposita autorizzazione (per l'imposizione e la
regolazione della quale rimanda al legislatore), ogni attività di
teleradiodiffusione svolta via etere in ambito locale, lasciando
persistere la illegittimità anche penale (sanzionata dall'art. 195
d.p.r. n. 156/73), di quelle svolte in ambito ultralocale (tesi confermata dalla Corte di cassazione con la sentenza della sez.
Ili in data 28 gennaio-7 marzo 1981 n. 123, inedita e della
stessa Corte costituzionale con le successive sentenze n. 148/81,
id., 1981, I, 2094, e n. 237/84, id., 1984, I, 2049); — ritenuto, altresì, che tale limite indicato dalla Corte costitu
zionale all'installazione e all'esercizio di impianti di teleradio
diffusione via etere (che devono essere, appunto, di portata non
eccedente l'ambito locale) non è assolutamente rispettato nei casi
di programmazione (contemporanea o non; nel caso di specie,
comunque, per alcune trasmissioni è stata provata anche la
contemporaneità) di cassette pre-registrate da parte di più emit
tenti trasmittenti in ambito rigorosamente locale, ma aderenti ad
un unico net-work e capaci di coprire, complessivamente, la quasi totalità del territorio nazionale: permangono, infatti, in tal modo,
quei rischi di concentrazione oligopolistica dell'informazione tele
visiva che la Corte costituzionale ha indicato come il problema
principale in tutte le sue sentenze in materia.
Del resto, sul fenomeno specifico delle interconnessioni fra
stazioni emittenti locali, « effettuate in modo tale da estendere la
diffusione a tutto il territorio nazionale » e, comunque, tale da
condurre una trasmissione « a travalicare i limiti di liberalizza
zione delineati » con la sentenza n. 202/76, la Corte costituziona
le si è espressamente pronunciata nella sentenza n. 148/81,
rilevando come si mantenga ben vivo, anche in queste ipotesi, il
pericolo di attribuzione ad un soggetto privato, operante in
regime di monopolio o di oligopolio, di « una potenziale capacità
di influenza incompatibile con le regole del sistema democrati
co ». Capacità che si risolve in una palese violazione dell'art. 21
Cost., venendo compressa « la libertà di manifestazione del pen siero di tutti quegli altri soggetti che, non trovandosi a disporre delle potenzialità economiche e tecniche del primo, finirebbero
col vedere progressivamente ridotto l'ambito di esercizio della
loro libertà ». Questi rischi non sono, evidentemente, tenuti in
debito conto da chi sostiene la piena legittimità del sistema della
c.d. « interconnessione funzionale », anche anteriormente all'entra
ta in vigore della 1. n. 10/85, sulla considerazione che una libera
aggregazione tra più emittenti di portata non eccedente l'ambito
locale, non realizzerebbe un vero e proprio « impianto di teleco
municazioni » come quello il cui esercizio è vietato dall'art. 195
d.p.r. n. 156/73, presupponendo questo una stabile collocazione o,
quantomeno, un assetto durevole e il carattere circolare della
telediffusione via etere. — Ritenuto, infine, che anche la tesi secondo cui la riserva al
servizio pubblico riguarderebbe la sola attività di informazione e
non anche quelle più ampiamente culturali, di spettacolo o di
intrattenimento, le quali, dunque, potrebbero costituire oggetto di
trasmissioni diffuse su scala nazionale, appare assolutamente in
sostenibile alla luce della giurisprudenza costituzionale, che ha
sempre configurato (v. sent. n. 81/63, id., 1963, I, 1343 e n.
225/74, id., 1974, I, 1945) il concetto di «libera manifestazione
del pensiero » in senso lato ed onnicomprensivo, si da includervi
sia la informazione in senso stretto, sia la comunicazione a
contenuto spettacolare o culturale. — Considerato, dunque, che, per tutto quanto precede, dovreb
be trovare accoglimento, nel caso in esame, la richiesta, avanzata
in via subordinata dalla difesa dell'imputato, di assoluzione dello
travalicamento dell'ambito locale, sia stato permesso, in attesa di una
più compiuta definizione della materia, senza che fosse divisato alcun
presidio antimonopolistico; prende atto della tendenza interpretativa, delineatasi all'ombra della Mole Antonelliana, a legittimare la prosecu zione dell'attività delle emittenti impegnate in trasmissioni ultralocali; e agita lo spettro della tendenziale definitività di un assetto plateal mente esposto ai pericoli tanto paventati dai giudici della Consulta.
Proprio a questi ultimi — visto il deadlock in cui è rimasto irretito
un legislatore men che convinto — toccherà, dunque, raccogliere i
cocci di un sogno, quello che traluceva dall'intervento del 1976, assai
presto, e brutalmente, sbugiardato dalla realtà. [R. Pardolesi]
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GIURISPRUDENZA PENALE
stesso perché trattasi di persona non punibile ai sensi dell'art. 4, comma 3 bis, 1. 4 febbraio 1985 n. 10.
— Ritenuto, peraltro, che debba essere sollevata d'ufficio la
questione di legittimità costituzionale di detta norma e, in re
lazione ad essa, dell'art. 3, 1°, 2° e 3° comma, 1. 4 febbraio 1985 n.
10, in riferimento all'art. 21 Cost., apparendo detta questione, oltre che rilevante nel caso oggetto del presente procedimento per
quanto fin qui detto, anche non manifestamente infondata, per le
ragioni di seguito esposte. La causa di non punibilità prevista dal
comma 3 bis dell'art. 4 1. n. 10/85 riguarda « le violazioni
amministrative e penali di cui all'art. 195 cod. postale,..., com messe anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ». Da questa dizione normativa emerge inequivocabilmen te, che, fino alla suddetta data, il legislatore — in piena aderenza alle sentenze della Corte costituzionale — ha ritenuto vigente nel
nostro ordinamento, anche in materia di trasmissioni radiotelevi
sive, l'art. 195 succitato; il quale, dopo l'intervento della Corte
costituzionale (sent. n. 202/76), doveva intendersi — per le
ragioni espresse più sopra — come sanzionatorio di ogni attività
privata di teleradiodiffusione che esorbitasse dall'ambito locale.
Ora, la ratio di questa norma, la ragione, cioè, che ha indotto il
legislatore a stabilire la non punibilità delle violazioni pregresse dell'art. 195 del codice postale (previa presentazione di una
comunicazione contenente tutti i dati atti a fotografare esattamen
te le attuali caratteristiche tecniche della emittente interessata), deve ricercarsi nei primi tre articoli della 1. n. 10/85, che
autorizzano, per il futuro, quegli stessi comportamenti prima sanzionati proprio dall'art. 195 suddetto. Gli art. 1 e 2 della
legge, in effetti, ipotizzano la realizzazione di un sistema misto di
emittenza pubblica e privata nel quale sia consentita anche alle
emittenti private la trasmissione di programmi radiotelevisivi su
scala nazionale (v. art. 1, 2° e 5° comma, e art. 2, 2° comma, lett.
e). Tali norme, però, non fanno sorgere problemi di costituzionalità
perché il 5° comma dell'art. 1 prevede che la legge generale sul
sistema radiotelevisivo, nel disciplinare l'attività di radiodiffusione
sonora e televisiva dell'emittenza privata, nazionale e locale, detti
anche le norme « dirette ad evitare situazioni di oligopolio e ad
assicurare la trasparenza degli assetti proprietari delle emittenti
radiotelevisive private, nonché le norme volte a regolare la
pubblicità nazionale e quella locale ». Poiché la stessa Corte
costituzionale, nella sentenza n. 148/81, ha affermato che la
legittimazione delle attività private di radiodiffusione sonora e
televisiva su scala nazionale non è di per sé contraria al dettato
costituzionale, purché sia accompagnata da un'adeguata normativa
antitrust, in grado di ostacolare in modo effettivo la realizzazione
« di concentrazioni monopolistiche e oligopolistiche non solo
nell'ambito delle connessioni fra le varie emittenti, ma anche in
quello dei collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori
dell'informazione, incluse quelle pubblicitarie », deve concludersi
che, sul piano dei principi programmatici, gli art. 1 e 2 1. n.
10/85 non possono essere investiti da un dubbio di costituzionali
tà, essendo perfettamente coerenti con quanto stabilito dalla
Corte costituzionale.
Le norme che, al contrario, appaiono inficiate — proprio per
quanto finora detto — da un vizio di costituzionalità sono quelle
previste nei primi tre commi dell'art. 3 1, n. 10/85. Si tratta di
norme transitorie dettate per consentire, per un certo periodo di
tempo (nel caso di specie non interessa entrare nel merito della
questione, di viva attualità, se l'autorizzazione alla prosecuzione dell'attività delle singole emittenti radiotelevisive private sia vali
da fino all'approvazione della legge generale sul sistema radiote
levisivo o fino alla scadenza del termine previsto nell'art. 3, 1°
comma, 1. n. 10/85 e prorogato con d.l. 1° giugno 1985 n.
223, trattandosi qui di attività poste in essere prima dell'entrata
in vigore del d.l. 6 dicembre 1984 n. 807 (poi convertito nella 1.
n. 10/85, e non essendo soggetta ad alcun termine la validità
dell'art. 4 1. n. 10/85), la prosecuzione dell'attività delle
singole emittenti radiotelevisive private con gli impianti di radio
diffusione già in funzione alla data del 1° ottobre 1984. In
particolare, si precisa espressamente che, in tale attività, deve
intendersi compresa sia la diffusione di programmi mediante
l'utilizzazione di ponti radio tra gli studi di emissione di ogni
singola emittente, i rispettivi trasmettitori e tra gli stessi e i
ripetitori, con l'unica limitazione di mantenere invariate le carat
teristiche tecniche in atto (art. 3, 2° comma); sia la trasmissione, ad opera di più emittenti, dello stesso programma pre-registrato,
indipendentemente dagli orari prescelti (art. 3, 3° comma).
In sostanza, « fermo restando il divieto di determinare situazio
ni di incompatibilità con i pubblici servizi » (art. 3, 1° comma), con tali norme si è voluto autorizzare, in via transitoria, il
Il Foro Italiano — 1986.
ricorso delle emittenti private sia alla c.d. « interconnessione
funzionale » (uso di programmi pre-registrati), sia a quella c.d.
« strutturale » (uso di ponti radio, pur con la limitazione derivan
te dalla conservazione delle attuali caratteristiche tecniche). A
questo punto, delle due l'una: o tale ricorso, non potendo determinare situazioni di incompatibilità con i pubblici servizi,
può avvenire solo entro l'ambito locale, oppure, nei limiti in cui
10 consente la diffusione degli stessi programmi, su scala naziona
le o, comuqnue, ultra-locale, deve ritenersi costituzionalmente
illegittimo, alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia, non essendo stata ancora varata alcuna normativa antitrust.
Poiché la prima interpretazione è stata di fatto superata, essendo
fatto notorio la trasmissione, anche contemporanea, dello stesso
programma pre-registrato da parte di più emittenti locali collegate ad un medesimo net-work, con modalità tali da coprire pressoché l'intero territorio nazionale, ne deriva che deve considerarsi non
manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità riguardante le suddette norme, mancando un'adeguata normativa atta ad
evitare la formazione di oligopoli estremamente perniciosi per la
libera estrinsecazione del pensiero di ogni cittadino (rischio tutt'altro che astratto, come ben dimostra la realtà attuale, nella
quale, accanto a televisioni locali rispettose del dettato della
Corte costituzionale, esistono ben noti net-work nazionali sempre più concentrati nelle mani di un unico o, comunque, di pochissi mi proprietari). Ne consegue, automaticamente, la non manifesta
infondatezza della questione di costituzionalità concernente il
comma 3 bis dell'art. 4 1. n. 10/85 che, statuendo la non
punibilità delle violazioni pregresse dell'art. 195 del codice posta
le, trova la sua ragion d'essere proprio nella legittimazione
fornita, sia pure in via transitoria, da norme di dubbia costitu
zionalità, a quelle attività di teleradiodiffusione che, fino all'entra
ta in vigore del decreto-legge in esame, integravano perfettamente 11 reato previsto dal suddetto art. 195 del codice postale.
Si aggiunga che, qualora si affermasse definitivamente la tesi
interpretativa (che sembra attualmente prevalere nella giurispru denza di merito) secondo cui, nonostante la mancata proroga
governativa del termine di sei mesi previsto dall'art 3 1° comma
(già prorogato una volta con d.l. 1° giugno 1985 n. 223 e
nuovamente scaduto in data 31 dicembre 1985), la prosecuzione dell'attività delle emittenti radiotelevisive private sarebbe ugual mente consentita dalle norme in esame, ne conseguirebbe che una
normativa dettata per regolamentare un regime transitorio po trebbe assumere carattere di definitività qualora si protraesse a
tempo indeterminato la mancanza della legge generale sul sistema
radiotelevisivo; e ciò renderebbe definitiva la lamentata situazione
di illegittimità costituzionale. Anche in questo caso, comunque, non può non rilevarsi come l'equivocità della dizione normativa
riversi ancora una volta sulla magistratura la responsabilità di
una situazione di estrema confusione, esclusivamente dovuta,
invece, alla mancata elaborazione, da parte degli organi legislati
vi, di adeguata regolamentazione generale dell'intero sistema ra
diotelevisivo, pubblico e privato. — Ritenuto, quindi, sulla base delle suesposte considerazioni,
che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma
3 bis, e, in relazione ad essa, dell'art. 3, 1°, 2° e 3° comma 1. 4
febbraio 1985 n. 10, in riferimento agli art. 3 e 21 Cos.t., sia
rilevante nel presente procedimento penale e non manifestamente
infondata per questi motivi ordina la immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale e sospende il procedimento in
corso.
TRIBUNALE DI VERBANIA; sentenza 23 aprile 1985; Pres. ed
est. Volpe; imp. Piscetta. TRIBUNALE DI VERBANIA;
Amnistia, indulto e grazia — Reati tributari — Amnistia —
Emissione di fatture per operazioni inesistenti — Applicabilità
(D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, istituzione e disciplina dell'im
posta sul valore aggiunto, art. 50; d.p.r. 9 agosto 1982 n. 525, concessione di amnistia per reati tributari, art. 1; d.p.r. 22
febbraio 1983 n. 43, concessione di amnistia per reati tributari, art. 1).
È immediatamente applicabile l'amnistia per reati tributari, pre vista dal d.p.r. n. 525/82, alla fattispecie di emissione o
registrazione di fatture per operazioni inesistenti, rappresentan do questi illeciti ipotesi di reato formale e di pericolo, per le
quali l'eventuale evasione d'imposta non rientra fra gli elementi
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