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ordinanza 4 febbraio 1986; Pres. Sciacchitano; imp. Patti

Date post: 30-Jan-2017
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ordinanza 4 febbraio 1986; Pres. Sciacchitano; imp. Patti Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 303/304-305/306 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187300 . Accessed: 28/06/2014 12:59 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.90 on Sat, 28 Jun 2014 12:59:45 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: ordinanza 4 febbraio 1986; Pres. Sciacchitano; imp. Patti

ordinanza 4 febbraio 1986; Pres. Sciacchitano; imp. PattiSource: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 303/304-305/306Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187300 .

Accessed: 28/06/2014 12:59

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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PARTE SECONDA

Se si intende rimanere nel campo sanzionatorio, insomma, sembra difficile immaginare misure alternative dotate di una forza di dissua sione adeguata alle spinte ideologiche proprie degli obiettori, posto che

neppure la limitazione a lungo termine della libertà personale si è dimostrata in grado di orientarli in una direzione meno intransigente.

Il problema, a questo punto, non può non radicalizzarsi. Il dilemma finale sembra essere costituito, per un verso, dal mantenimento della

normativa oggi in vigore (magari ritoccata e ammodernata, ma lasciata ferma quanto al principio-guida della penalizzazione del rifiuto del

servizio alle armi), e per altro verso dalla sua totale abrogazione, che

consentirebbe un esercizio non più compresso dell'imperativo ideologico di obiettare.

Si tratta senza dubbio di una scelta politica da operare con ogni cautela: « Il riconoscimento del diritto di obiezione da parte dell'ordi

namento ... non costituisce solo il rispetto di un diritto inalienabile del

singolo, ma altresì l'espressione della dignità e della « validità sociale »

di una scelta nell'ambito dei principi fondamentali del nostro sistema

giuridico; il che impone a quest'ultimo di non « emarginare » il ruolo

dell'obiettore, ma di valorizzarne nella maniera più ampia il peculiare contributo alla soluzione dei problemi comuni, quantomeno rispetto a

quelle esigenze preventive ed educative sulle quali può e deve tornare

ad aggregarsi il consenso sociale » (31). Se il fenomeno dell'obiezione

viene considerato (come merita di essere) tanto « presente » e serio da

suggerire problematici correttivi praeter legem, segno è che la legge

appare oggi inadeguata a regolarlo, e anzi ingiustamente vessatoria. Se

invece, nonostante i suoi caratteri, quel fenomeno si vuole ritenere

ancora in contrasto « perdente » con i doveri sanciti dall'art. 52 Cost., la scelta della sua penalizzazione sembra l'unica operabile. Ma, in

quest'ultimo caso, deve trattarsi almeno di una scelta coerente, che

abbia il coraggio di mantenere sino all'ultimo le posizioni prese; e ciò

significa, sul piano applicativo, che i suoi capisaldi devono essere fatti

valere: non ultimo, quello che equipara al servizio militare l'espiazione di una pena o la prestazione di un'attività lavorativa socialmente utile.

Rino Messina

(31) Cosi Stella, La obiezione di coscienza del sanitario nelle

legislazioni europee, in Riv. it. medicina, legale, 1985, 444.

TRIBUNALE DI GENOVA; ordinanza 4 febbraio 1986; Pres.

Sciacchitano; imp. Patti. TRIBUNALE DI GENOVA;

Radiotelevisione e servizi radioelettrici — Emittenti televisive

private — Interconnessione funzionale e strutturale — Travali

camento dell'àmbito locale — Assenza di disciplina antimono

polistica — Questione non manifestamente infondata di costitu

zionalità (Cost., art. 3, 21; d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, t.u.

delle disposizioni in materia postale, di bancoposta e di tele

comunicazioni, art. 195; d.l. 6 dicembre 1984 n. 807, disposi zioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive, art. 3, 4;

1. 4 febbraio 1985 n. 10, conversione in legge, con modificazioni,

del d.l. 6 dicembre 1984 n. 807, art. unico).

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi

tuzionale dell'art. 4, comma 3 bis, /. 10/85, nella parte in cui

sancisce la non punibilità delle violazioni del divieto di tra

smettere programmi radiotelevisivi oltre l'àmbito locale com

messe anteriormente al 6 dicembre 1984 e, correlativamente, dell'art. 3 della medesima legge, nella parte in cui consente

trasmissioni ultralocali pur in mancanza di un'adeguata norma

tiva antimonopolistica, in riferimento agli art. 3 e 21 Cost. (1)

(1) Sotto altro rispetto, il « grosso » della disciplina introdotta dalla 1. 10/85 (sulla cui natura di « normativa-ponte » v. A. Fragola,

Radiotelevisione, voce del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1986, VI, 257, che riconosce al provvedimento « il merito di avere finalmente avviato un discorso che avrebbe dovuto avere inizio

all'indomani [di Corte cost. 202/76, Foro it., 1976, I, 2066] »; più « datata » la ricognizione di D. Giacobbe, L'emittenza televisiva

privata, in Giust. civ., 1986, II, 25) era stato impugnato da Pret.

Torino, ord. 25 febbraio 1985, Foro it., 1986, II, 231, con nota di R.

Pardolesi. E così, mentre s'attende di conoscere il quadro completo delle

iniziative giudiziarie a séguito dell'inutile scadenza del termine fissato

con la proroga di cui al d.l. 223/85 e relativa legge di conversione

(della vicenda torinese si è fornito ampio riscontro su queste colonne; dal Notiziario A.N.T.I., 1986/2, 8, « Cronaca di una battaglia decisi

va », apprendiamo che il Pretore di Napoli avrebbe per tempo

prosciolto i responsabili delle reti, mentre il Pretore di Firenze si

sarebbe limitato — a dispetto di quanto pubblicato dalla stampa

quotidiana — a respingere l'istanza di sequestro), il collegio genovese rileva come l'uso delle tecniche d'interconnessione, con conseguente

Il Foro Italiano — 1986.

— Rilevato che, nel procedimento a carico di Patti Giuseppe,

imputato del reato di cui all'art. 195 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156

e succ. mod., la difesa concludeva, in via principale, per l'assolu

zione con formula ampia del proprio assistito e, in subordine, per

l'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 4,

comma 3 bis, 1. 4 febbraio 1985 n. 10. — ritenuto che la sentenza n. 202/76 della Corte costituzionale

(Foro it., 1976, I, 2066), ha liberalizzato, sia pure condizionandola

al rilascio di un'apposita autorizzazione (per l'imposizione e la

regolazione della quale rimanda al legislatore), ogni attività di

teleradiodiffusione svolta via etere in ambito locale, lasciando

persistere la illegittimità anche penale (sanzionata dall'art. 195

d.p.r. n. 156/73), di quelle svolte in ambito ultralocale (tesi confermata dalla Corte di cassazione con la sentenza della sez.

Ili in data 28 gennaio-7 marzo 1981 n. 123, inedita e della

stessa Corte costituzionale con le successive sentenze n. 148/81,

id., 1981, I, 2094, e n. 237/84, id., 1984, I, 2049); — ritenuto, altresì, che tale limite indicato dalla Corte costitu

zionale all'installazione e all'esercizio di impianti di teleradio

diffusione via etere (che devono essere, appunto, di portata non

eccedente l'ambito locale) non è assolutamente rispettato nei casi

di programmazione (contemporanea o non; nel caso di specie,

comunque, per alcune trasmissioni è stata provata anche la

contemporaneità) di cassette pre-registrate da parte di più emit

tenti trasmittenti in ambito rigorosamente locale, ma aderenti ad

un unico net-work e capaci di coprire, complessivamente, la quasi totalità del territorio nazionale: permangono, infatti, in tal modo,

quei rischi di concentrazione oligopolistica dell'informazione tele

visiva che la Corte costituzionale ha indicato come il problema

principale in tutte le sue sentenze in materia.

Del resto, sul fenomeno specifico delle interconnessioni fra

stazioni emittenti locali, « effettuate in modo tale da estendere la

diffusione a tutto il territorio nazionale » e, comunque, tale da

condurre una trasmissione « a travalicare i limiti di liberalizza

zione delineati » con la sentenza n. 202/76, la Corte costituziona

le si è espressamente pronunciata nella sentenza n. 148/81,

rilevando come si mantenga ben vivo, anche in queste ipotesi, il

pericolo di attribuzione ad un soggetto privato, operante in

regime di monopolio o di oligopolio, di « una potenziale capacità

di influenza incompatibile con le regole del sistema democrati

co ». Capacità che si risolve in una palese violazione dell'art. 21

Cost., venendo compressa « la libertà di manifestazione del pen siero di tutti quegli altri soggetti che, non trovandosi a disporre delle potenzialità economiche e tecniche del primo, finirebbero

col vedere progressivamente ridotto l'ambito di esercizio della

loro libertà ». Questi rischi non sono, evidentemente, tenuti in

debito conto da chi sostiene la piena legittimità del sistema della

c.d. « interconnessione funzionale », anche anteriormente all'entra

ta in vigore della 1. n. 10/85, sulla considerazione che una libera

aggregazione tra più emittenti di portata non eccedente l'ambito

locale, non realizzerebbe un vero e proprio « impianto di teleco

municazioni » come quello il cui esercizio è vietato dall'art. 195

d.p.r. n. 156/73, presupponendo questo una stabile collocazione o,

quantomeno, un assetto durevole e il carattere circolare della

telediffusione via etere. — Ritenuto, infine, che anche la tesi secondo cui la riserva al

servizio pubblico riguarderebbe la sola attività di informazione e

non anche quelle più ampiamente culturali, di spettacolo o di

intrattenimento, le quali, dunque, potrebbero costituire oggetto di

trasmissioni diffuse su scala nazionale, appare assolutamente in

sostenibile alla luce della giurisprudenza costituzionale, che ha

sempre configurato (v. sent. n. 81/63, id., 1963, I, 1343 e n.

225/74, id., 1974, I, 1945) il concetto di «libera manifestazione

del pensiero » in senso lato ed onnicomprensivo, si da includervi

sia la informazione in senso stretto, sia la comunicazione a

contenuto spettacolare o culturale. — Considerato, dunque, che, per tutto quanto precede, dovreb

be trovare accoglimento, nel caso in esame, la richiesta, avanzata

in via subordinata dalla difesa dell'imputato, di assoluzione dello

travalicamento dell'ambito locale, sia stato permesso, in attesa di una

più compiuta definizione della materia, senza che fosse divisato alcun

presidio antimonopolistico; prende atto della tendenza interpretativa, delineatasi all'ombra della Mole Antonelliana, a legittimare la prosecu zione dell'attività delle emittenti impegnate in trasmissioni ultralocali; e agita lo spettro della tendenziale definitività di un assetto plateal mente esposto ai pericoli tanto paventati dai giudici della Consulta.

Proprio a questi ultimi — visto il deadlock in cui è rimasto irretito

un legislatore men che convinto — toccherà, dunque, raccogliere i

cocci di un sogno, quello che traluceva dall'intervento del 1976, assai

presto, e brutalmente, sbugiardato dalla realtà. [R. Pardolesi]

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GIURISPRUDENZA PENALE

stesso perché trattasi di persona non punibile ai sensi dell'art. 4, comma 3 bis, 1. 4 febbraio 1985 n. 10.

— Ritenuto, peraltro, che debba essere sollevata d'ufficio la

questione di legittimità costituzionale di detta norma e, in re

lazione ad essa, dell'art. 3, 1°, 2° e 3° comma, 1. 4 febbraio 1985 n.

10, in riferimento all'art. 21 Cost., apparendo detta questione, oltre che rilevante nel caso oggetto del presente procedimento per

quanto fin qui detto, anche non manifestamente infondata, per le

ragioni di seguito esposte. La causa di non punibilità prevista dal

comma 3 bis dell'art. 4 1. n. 10/85 riguarda « le violazioni

amministrative e penali di cui all'art. 195 cod. postale,..., com messe anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ». Da questa dizione normativa emerge inequivocabilmen te, che, fino alla suddetta data, il legislatore — in piena aderenza alle sentenze della Corte costituzionale — ha ritenuto vigente nel

nostro ordinamento, anche in materia di trasmissioni radiotelevi

sive, l'art. 195 succitato; il quale, dopo l'intervento della Corte

costituzionale (sent. n. 202/76), doveva intendersi — per le

ragioni espresse più sopra — come sanzionatorio di ogni attività

privata di teleradiodiffusione che esorbitasse dall'ambito locale.

Ora, la ratio di questa norma, la ragione, cioè, che ha indotto il

legislatore a stabilire la non punibilità delle violazioni pregresse dell'art. 195 del codice postale (previa presentazione di una

comunicazione contenente tutti i dati atti a fotografare esattamen

te le attuali caratteristiche tecniche della emittente interessata), deve ricercarsi nei primi tre articoli della 1. n. 10/85, che

autorizzano, per il futuro, quegli stessi comportamenti prima sanzionati proprio dall'art. 195 suddetto. Gli art. 1 e 2 della

legge, in effetti, ipotizzano la realizzazione di un sistema misto di

emittenza pubblica e privata nel quale sia consentita anche alle

emittenti private la trasmissione di programmi radiotelevisivi su

scala nazionale (v. art. 1, 2° e 5° comma, e art. 2, 2° comma, lett.

e). Tali norme, però, non fanno sorgere problemi di costituzionalità

perché il 5° comma dell'art. 1 prevede che la legge generale sul

sistema radiotelevisivo, nel disciplinare l'attività di radiodiffusione

sonora e televisiva dell'emittenza privata, nazionale e locale, detti

anche le norme « dirette ad evitare situazioni di oligopolio e ad

assicurare la trasparenza degli assetti proprietari delle emittenti

radiotelevisive private, nonché le norme volte a regolare la

pubblicità nazionale e quella locale ». Poiché la stessa Corte

costituzionale, nella sentenza n. 148/81, ha affermato che la

legittimazione delle attività private di radiodiffusione sonora e

televisiva su scala nazionale non è di per sé contraria al dettato

costituzionale, purché sia accompagnata da un'adeguata normativa

antitrust, in grado di ostacolare in modo effettivo la realizzazione

« di concentrazioni monopolistiche e oligopolistiche non solo

nell'ambito delle connessioni fra le varie emittenti, ma anche in

quello dei collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori

dell'informazione, incluse quelle pubblicitarie », deve concludersi

che, sul piano dei principi programmatici, gli art. 1 e 2 1. n.

10/85 non possono essere investiti da un dubbio di costituzionali

tà, essendo perfettamente coerenti con quanto stabilito dalla

Corte costituzionale.

Le norme che, al contrario, appaiono inficiate — proprio per

quanto finora detto — da un vizio di costituzionalità sono quelle

previste nei primi tre commi dell'art. 3 1, n. 10/85. Si tratta di

norme transitorie dettate per consentire, per un certo periodo di

tempo (nel caso di specie non interessa entrare nel merito della

questione, di viva attualità, se l'autorizzazione alla prosecuzione dell'attività delle singole emittenti radiotelevisive private sia vali

da fino all'approvazione della legge generale sul sistema radiote

levisivo o fino alla scadenza del termine previsto nell'art. 3, 1°

comma, 1. n. 10/85 e prorogato con d.l. 1° giugno 1985 n.

223, trattandosi qui di attività poste in essere prima dell'entrata

in vigore del d.l. 6 dicembre 1984 n. 807 (poi convertito nella 1.

n. 10/85, e non essendo soggetta ad alcun termine la validità

dell'art. 4 1. n. 10/85), la prosecuzione dell'attività delle

singole emittenti radiotelevisive private con gli impianti di radio

diffusione già in funzione alla data del 1° ottobre 1984. In

particolare, si precisa espressamente che, in tale attività, deve

intendersi compresa sia la diffusione di programmi mediante

l'utilizzazione di ponti radio tra gli studi di emissione di ogni

singola emittente, i rispettivi trasmettitori e tra gli stessi e i

ripetitori, con l'unica limitazione di mantenere invariate le carat

teristiche tecniche in atto (art. 3, 2° comma); sia la trasmissione, ad opera di più emittenti, dello stesso programma pre-registrato,

indipendentemente dagli orari prescelti (art. 3, 3° comma).

In sostanza, « fermo restando il divieto di determinare situazio

ni di incompatibilità con i pubblici servizi » (art. 3, 1° comma), con tali norme si è voluto autorizzare, in via transitoria, il

Il Foro Italiano — 1986.

ricorso delle emittenti private sia alla c.d. « interconnessione

funzionale » (uso di programmi pre-registrati), sia a quella c.d.

« strutturale » (uso di ponti radio, pur con la limitazione derivan

te dalla conservazione delle attuali caratteristiche tecniche). A

questo punto, delle due l'una: o tale ricorso, non potendo determinare situazioni di incompatibilità con i pubblici servizi,

può avvenire solo entro l'ambito locale, oppure, nei limiti in cui

10 consente la diffusione degli stessi programmi, su scala naziona

le o, comuqnue, ultra-locale, deve ritenersi costituzionalmente

illegittimo, alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia, non essendo stata ancora varata alcuna normativa antitrust.

Poiché la prima interpretazione è stata di fatto superata, essendo

fatto notorio la trasmissione, anche contemporanea, dello stesso

programma pre-registrato da parte di più emittenti locali collegate ad un medesimo net-work, con modalità tali da coprire pressoché l'intero territorio nazionale, ne deriva che deve considerarsi non

manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità riguardante le suddette norme, mancando un'adeguata normativa atta ad

evitare la formazione di oligopoli estremamente perniciosi per la

libera estrinsecazione del pensiero di ogni cittadino (rischio tutt'altro che astratto, come ben dimostra la realtà attuale, nella

quale, accanto a televisioni locali rispettose del dettato della

Corte costituzionale, esistono ben noti net-work nazionali sempre più concentrati nelle mani di un unico o, comunque, di pochissi mi proprietari). Ne consegue, automaticamente, la non manifesta

infondatezza della questione di costituzionalità concernente il

comma 3 bis dell'art. 4 1. n. 10/85 che, statuendo la non

punibilità delle violazioni pregresse dell'art. 195 del codice posta

le, trova la sua ragion d'essere proprio nella legittimazione

fornita, sia pure in via transitoria, da norme di dubbia costitu

zionalità, a quelle attività di teleradiodiffusione che, fino all'entra

ta in vigore del decreto-legge in esame, integravano perfettamente 11 reato previsto dal suddetto art. 195 del codice postale.

Si aggiunga che, qualora si affermasse definitivamente la tesi

interpretativa (che sembra attualmente prevalere nella giurispru denza di merito) secondo cui, nonostante la mancata proroga

governativa del termine di sei mesi previsto dall'art 3 1° comma

(già prorogato una volta con d.l. 1° giugno 1985 n. 223 e

nuovamente scaduto in data 31 dicembre 1985), la prosecuzione dell'attività delle emittenti radiotelevisive private sarebbe ugual mente consentita dalle norme in esame, ne conseguirebbe che una

normativa dettata per regolamentare un regime transitorio po trebbe assumere carattere di definitività qualora si protraesse a

tempo indeterminato la mancanza della legge generale sul sistema

radiotelevisivo; e ciò renderebbe definitiva la lamentata situazione

di illegittimità costituzionale. Anche in questo caso, comunque, non può non rilevarsi come l'equivocità della dizione normativa

riversi ancora una volta sulla magistratura la responsabilità di

una situazione di estrema confusione, esclusivamente dovuta,

invece, alla mancata elaborazione, da parte degli organi legislati

vi, di adeguata regolamentazione generale dell'intero sistema ra

diotelevisivo, pubblico e privato. — Ritenuto, quindi, sulla base delle suesposte considerazioni,

che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma

3 bis, e, in relazione ad essa, dell'art. 3, 1°, 2° e 3° comma 1. 4

febbraio 1985 n. 10, in riferimento agli art. 3 e 21 Cos.t., sia

rilevante nel presente procedimento penale e non manifestamente

infondata per questi motivi ordina la immediata trasmissione

degli atti alla Corte costituzionale e sospende il procedimento in

corso.

TRIBUNALE DI VERBANIA; sentenza 23 aprile 1985; Pres. ed

est. Volpe; imp. Piscetta. TRIBUNALE DI VERBANIA;

Amnistia, indulto e grazia — Reati tributari — Amnistia —

Emissione di fatture per operazioni inesistenti — Applicabilità

(D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, istituzione e disciplina dell'im

posta sul valore aggiunto, art. 50; d.p.r. 9 agosto 1982 n. 525, concessione di amnistia per reati tributari, art. 1; d.p.r. 22

febbraio 1983 n. 43, concessione di amnistia per reati tributari, art. 1).

È immediatamente applicabile l'amnistia per reati tributari, pre vista dal d.p.r. n. 525/82, alla fattispecie di emissione o

registrazione di fatture per operazioni inesistenti, rappresentan do questi illeciti ipotesi di reato formale e di pericolo, per le

quali l'eventuale evasione d'imposta non rientra fra gli elementi

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