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ordinanza 6 marzo 1996; Giud. Bresciani; De Benedetti c. Banco Ambrosiano

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ordinanza 6 marzo 1996; Giud. Bresciani; De Benedetti c. Banco Ambrosiano Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 10 (OTTOBRE 1997), pp. 3071/3072-3079/3080 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192553 . Accessed: 24/06/2014 22:35 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.156 on Tue, 24 Jun 2014 22:35:09 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: ordinanza 6 marzo 1996; Giud. Bresciani; De Benedetti c. Banco Ambrosiano

ordinanza 6 marzo 1996; Giud. Bresciani; De Benedetti c. Banco AmbrosianoSource: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 10 (OTTOBRE 1997), pp. 3071/3072-3079/3080Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192553 .

Accessed: 24/06/2014 22:35

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Page 2: ordinanza 6 marzo 1996; Giud. Bresciani; De Benedetti c. Banco Ambrosiano

3071 PARTE PRIMA 3072

che gli attori sono comproprietari della strada controversa, po tendosi addirittura ipotizzare, quale titolo d'acquisto, l'usuca

pione, posto che le testimonianze assunte, riguardo al possesso loro o dei loro danti causa, fanno riferimento agli «anni 60».

Si deve pertanto ritenere che la contestazione del convenuto, che non afferma ed anzi nega un proprio diritto di proprietà sul bene, in ordine alla prova del diritto di proprietà degli atto

ri, oltre a palesarsi in prima battuta intrinsecamente debole, non indicando minimamente a chi il bene apparterebbe, risulta

in ogni caso destituita di ogni fondamento. L'ambiguità della

linea difensiva del convenuto, peraltro, si manifesta anche sul

piano sostanziale, posto che il medesimo non ha chiesto, in via

riconvenzionale, l'accertamento della costituzione, eventualmente

per usucapione, della servitù di uso pubblico che asserisce sussi

stere «da tempo immemorabile».

Sul piano della prova della libertà del fondo in contestazione

tutti i testi degli attori hanno categoricamente escluso che la

strada in questione sia mai stata adibita a transito pubblico, essendo servita sempre ed esclusivamente all'accesso alle pro

prietà frontiste (cfr. testimonianze di Ernesta Dereani, Giaco mo Dereani e Irene Dereani). Non solo, ma l'assunto è stato

confermato anche dal teste del convenuto Guerrino Adami, men tre i testi Roberto Della Schiava e Onorio Vuerli nulla hanno

saputo dire al riguardo. Sul piano giuridico si deve rilevare che il diritto affermato

del comune si qualifica come una c.d. «servitù di uso pubbli co», rientrando nel riferimento di cui all'art. 825 c.c., seconda

parte, ai diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni... per il conseguimento di fini di pubbico interesse

corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi. Il caso

più importante consiste proprio nel diritto di passaggio sulle

c.d. strade vicinali, che, sotto il profilo tecnico-giuridico, con trariamente alle c.d. servitù pubbliche, ossia servitù a favore di fondi demaniali (art. 825, prima parte, c.c.), non può pro priamente qualificarsi come vero e proprio diritto di servitù per l'assenza di un fondo dominante. Si tratta in sostanza di uno ius in re aliena di natura reale e pubblicistica, configurabile co me diritto di godimento a favore di una collettività per il conse

guimento di un fine di pubblico interesse, corrispondente a quelli cui servono i beni demaniali, e comportante l'obbligo per il pro prietario privato di sopportare che i componenti, appunto, la collettività godano del suo bene.

Ne deriva che per aversi una servitù c.d. di uso pubblico oc corre da un lato una comunità di persone che si presenti come una collettività indeterminata di individui, considerati non uti

singuli ma uti cives e cioè quali titolari di interesse di carattere

generale e, dall'altro, una publico utilitas, ossia una utilità che renda possibile la realizzazione di un fine di pubblico interesse, corrispondente al fine cui servono i beni demaniali. Questa con notazione finalistica si risolve nella generalità di un uso indi scriminato da parte dei singoli e presuppone l'oggettiva idoneità del bene privato al soddisfacimento di una esigenza comune ad una collettività indeterminata di cittadini (cfr. Cass. 23 maggio 1995, n. 5637, id., Rep. 1995, voce Servitù pubbliche, n. 3; 29 aprile 1995, n. 4755, ibid., n. 2).

Nel caso di specie la circostanza che la strada controversa conduca esclusivamente ad un numero ben delimitato di pro prietà private, esclude la publico utilitas e l'idoneità del bene ad essere utilizzato per un fine di interesse pubblico. La giuris prudenza ha infatti da tempo avuto modo di precisare che deve escludersi la sussistenza della servitù di uso pubblico, «quando l'uso è esercitato soltanto dalle persone che si trovano in una

posizione qualificata rispetto al bene che si pretende gravato, come nel caso di passaggio di cui usufruiscano soltanto i pro prietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubi cazione di questi o coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione» (Cass. 23 maggio 1995, n. 5637, cit.; 16 novembre 1989 n. 4895, id., Rep. 1989, voce Strade, n. 10).

Inoltre, la servitù di uso pubblico non può fondarsi pura mente e semplicemente sul mero esercizio di fatto, che peraltro nel caso di specie manca del tutto, ma solo ed esclusivamente su di un preciso titolo costitutivo, che può essere una conven

zione, un atto di ultima volontà, la legge, la c.d. dicatio ad

patriam, ossia nel fatto del proprietario di mettere a disposizio ne del pubblico un bene di sua proprietà (Cass. 17 marzo 1995, n. 3177, id., Rep. 1995, voce Servitù pubbliche, n. 1), ed anche

l'usucapione (Cass. 29 aprile 1995, n. 4755, cit.; 24 marzo 1993, n. 3525, id., Rep. 1993, voce cit., n. 2).

Il Foro Italiano — 1997.

Ebbene, il convenuto non ha provato, né ha chiesto di farlo, nessuno dei titoli costitutivi citati, essendosi limitato a richia

marsi agli atti amministrativi esistenti al riguardo. In particola re, il convenuto pretende di fondare l'esistenza della servitù af

fermata dalla delibera comunale 19 dicembre 1960, n. 71 di ap

provazione dell'elenco delle strade comunali, dalla nota 26

febbraio 1988, n. 1443 dalla delibera 17 marzo 1990, n. 57 di

approvazione del «nuovo stradario», dall'autorizzazione urba

nistica 30 agosto 1991, n. 6332 e, infine, dall'ordinanza 9 mag

gio 1994, n. 749, atti tutti che definiscono la strada de qua come strada vicinale o comunque ad uso pubblico.

Si deve in contrario osservare, con l'unanime giurisprudenza di legittimità, che «l'assoggettamento di un'area privata a servi

tù di uso pubblico non è determinato dal semplice uso di fatto

o da unilaterale manifestazione di volontà della pubblica ammi

nistrazione...» (Cass. 24 marzo 1993, n. 3525, cit.; 8 settembre

1986, n. 5468, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1). Infatti l'iscrizio ne nell'elenco delle vie pubbliche ha natura semplicemente di

chiarativa e mai costitutiva (Cass. 5 luglio 1994, n. 6337, id.,

Rep. 1994, voce Strade, n. 6; 28 novembre 1988 n. 6421, id.,

Rep. 1988, voce cit., n. 12). La domanda degli attori va pertanto accolta.

PRETURA DI TORINO; ordinanza 6 marzo 1996; Giud. Bre

sciani; De Benedetti c. Banco Ambrosiano.

PRETURA DI TORINO;

Esecuzione forzata in genere — Opposizione all'esecuzione —

Titolo esecutivo giudiziale — Deduzione di fatti sopravvenuti — Ammissibilità — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 474, 615).

Esecuzione forzata in genere — Precetto — Intimazione per somma superiore a quella dovuta — Nullità — Esclusione — Sospensione parziale dell'esecuzione (Cod. proc. civ., art.

480, 624).

Il giudice dell'opposizione all'esecuzione non può esercitare al cun controllo sul contenuto intrinseco del titolo esecutivo e

l'opponente non può proporre alcuna questione superata dal

l'esistenza del titolo stesso ed in contrasto con il suo contenu

to; possono, invece, farsi valere solo fatti impeditivi, modifi cativi ed estintivi del rapporto consacrato nel titolo esecutivo che si sono verificati successivamente alla sua formazione (nella specie, transazione successiva alla sentenza costituente titolo

esecutivo). (1)

(1) Nel senso che il giudice dell'esecuzione non possa effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo esecutivo giudiziario (diretto ad invalidar ne l'efficacia, in base ad eccezioni che potevano essere dedotte nel giu dizio definito con il titolo medesimo) ma debba soltanto limitarsi a controllare l'attuale validità ed esistenza del titolo stesso, così da poter stabilire se esso stesso stia effettivamente a base dell'esecuzione o sia venuto meno per fatti posteriori alla sua formazione, cfr. Cass. 18 giu gno 1991, n. 6893, Foro it., Rep. 1991, voce Esecuzione forzata in genere, n. 45; App. Palermo 5 novembre 1990, ibid., n. 46, e Temi siciliana, 1990, 454; Pret. Buccino 20 giugno 1989, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 51, e Arch, civ., 1990, 172; Cass. 20 maggio 1987, n. 4617, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 39, e Arch, locazioni, 1988, 91; 22 aprile 1981, n. 2385, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 44; 23 novembre 1978, n. 5496, id., Rep. 1978, voce cit., n. 31; 24 agosto 1978, n. 3952, ibid., n. 32. Sul punto, si veda anche Cass. 23 ottobre 1976, n. 3817 (id., Rep. 1976, voce cit., n. 25), la quale, dopo aver ribadito il principio di cui sopra, ha altresì ritenuto che «tuttavia, poi ché l'opposizione all'esecuzione dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione il cui ambito di trattazione è rimesso al potere dispositivo delle parti, l'opponente può introdurvi questioni estranee all'esistenza o validità del titolo esecutivo, che il giudice deve decidere se la contro parte accetta il contraddittorio (nella specie: gli esecutanti in forza di sentenza di risoluzione di un contratto di vendita, nell'intimare il rila scio dell'immobile, avevano dichiarato di compensare il loro credito per risarcimento danni con quello di pari importo dell'esecutato per la restituzione dell'anticipo del prezzo della vendita; l'opponente soste neva che alla somma a lui dovuta dovevano essere aggiunti gli interessi e che, pertanto, residuando un debito degli esecutanti, gli stessi non potevano ottenere il rilascio)».

Sulla possibilità, per l'opponente, di far valere, in sede di opposizio ne all'esecuzione, solo i fatti modificativi o estintivi del rapporto so

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Page 3: ordinanza 6 marzo 1996; Giud. Bresciani; De Benedetti c. Banco Ambrosiano

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

L'intimazione di precetto per somma superiore a quella dovuta

non produce la nullità del precetto stesso ma dà luogo soltan

to alla riduzione della somma domandata nei limiti di quella dovuta e l'esecuzione forzata non potrà essere totalmente so

spesa dovendosi, invece, procedere alla sospensione parziale della stessa. (2)

stanziale, consacrato dal giudicato, che si siano verificati successivamente alla formazione del giudicato stesso e non anche quei fatti che, in quan to verificatisi in epoca precedente, avrebbero potuto essere dedotti nel

giudizio di cognizione preordinato alla costituzione del titolo giudiziale, cfr. Pret. Chioggia 13 dicembre 1990, id., 1991, I, 3253, con nota di

richiami; Cass. 5 dicembre 1988, nn. 6605-6608, id., Rep. 1988, voce

cit., nn. 25-28; 22 novembre 1988, nn. 6278-6285, ibid., nn. 29-36; 17 ottobre 1988, n. 5650, ibid., n. 37; 28 gennaio 1988, n. 766, ibid., n.

38; Pret. Novara 10 ottobre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 40; Cass. 15 ottobre 1985, n. 5062, id., Rep. 1985, voce cit., n. 33; 21 marzo

1985, n. 2067, ibid., n. 27; 11 gennaio 1983, n. 181, id., Rep. 1983, voce cit., n. 29; Pret Viareggio 9 dicembre 1982, ibid., n. 31; Cass. 22 aprile 1981, n. 2385, id., Rep. 1981, voce cit., n. 44; 17 febbraio

1979, n. 1059, id., 1979, I, 2677, con nota di richiami; 15 maggio 1978, n. 2369, id., Rep. 1978, voce cit., n. 42; 10 maggio 1978, n. 2259, ibid., n. 37; 21 gennaio 1978 n. 274, ibid., n. 41; 23 luglio 1976, n. 2960, id., Rep. 1976, voce cit., n. 26; 15 giugno 1976, n. 2241, ibid., n. 27; 29 aprile 1976, n. 1527, ibid., n. 28; Pret. Napoli 15 gennaio 1974, id.,

Rep. 1976, voce cit., n. 29, e Giur. merito, 1976, I, 36. Sul punto si veda peraltro Cass. 26 giugno 1978, n. 3150 (Foro it., Rep. 1978, voce

cit., n. 40), la quale ha ritenuto che «nel giudizio di opposizione del debitore all'esecuzione forzata, fondata su sentenza passata in giudicato (nella specie: pronuncia di risoluzione di un preliminare di vendita e di condanna del promittente alla restituzione di parte delle somme rice

vute), il divieto di far valere fatti estintivi o modificativi del rapporto sostanziale, i quali si siano verificati prima della formazione del giudica to, e siano conseguentemente coperti dal medesimo, non può essere esteso a quei fatti al cui eventuale verificarsi, ancorché in data antecedente, la sentenza stessa abbia espressamente riconosciuto idoneità a modifica re la concreta quantificazione dell'obbligo del debitore (nella specie: en tità delle somme effettivamente versate dal promissario)». Nonché Pret. Roma 10 gennaio 1995 (id., Rep. 1995, voce cit., n. 34, e Dir. e giur., 1995, 190, con nota di Rossi): «il giudice dell'esecuzione, adito in sede di opposizione, può valutare il titolo e gli eventuali fatti successivi, mo

dificativi o estintivi, che incidono sul diritto di procedere esecutivamen

te, ma non i fatti concorrenti alla formazione del titolo (nella specie, sentenza di risoluzione), e quindi non può valutare gli opposti inadem

pimenti a fronte dell'eccezione di inadempimento». Sullo specifico profilo inerente una transazione intervenuta fra le parti,

e quale espressione del principio generale di cui sopra, dominante in

giurisprudenza, si veda Cass. 10 dicembre 1979, n. 6412, Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 46: «la transazione intervenuta anteriormente al giu dicato e non fatta valere nel giudizio non ha efficacia paralizzatrice della susseguente azione esecutiva, la quale può essere combattuta effi

cacemente solo da fatti o cause modificatrici della situazione di diritto

posteriori al giudicato». Sostanzialmente negli stessi termini, con riferi

mento all'efficacia di cosa giudicata del decreto ingiuntivo dichiarato

esecutivo e ad una transazione intervenuta anteriormente alla dichiara

zione di esecutività, è Cass. 16 aprile 1968, n. 1125, id., 1968, I, 1475, con nota di richiami ed ampi riferimenti sulla dottrina più risalente

in materia. Per la dottrina più recente, sui limiti dell'opposizione all'e

secuzione quando il titolo esecutivo è giudiziale, vedi, per tutti, Oriani,

Opposizione all'esecuzione, voce del Digesto civ., XIII, appendice, To

rino, 590 ss. ed ivi ampi riferimenti sulla dottrina dominate che ravvisa

nell'opposizione all'esecuzione la sede naturale per far valere fatti veri

ficatisi (o norme introdotte) successivamente alla formazione del giudi cato (rectius: all'ultimo momento utile per dedurre il fatto stesso nel

processo di cognizione), non potendosi, invece, far valere eccezioni che

si sarebbero dovute far valere in sede di cognizione. Per un esame del

problema anche con riferimento ai titoli esecutivi stragiudiziali, con ampi riferimenti giurisprudenziali, vedi Vaccarella, Titolo esecutivo, pre cetto, opposizioni, in Giur. sist. dir. proc. civ. diretta da A. Proto

Pisani, 2a ed., Torino, 1993, 243 ss.

(2) Nel senso che l'intimazione di precetto per somma superiore a

quella dovuta non produce la nullità del precetto stesso ma dà luogo soltanto alla riduzione della somma domandata nei limiti di quella do

vuta, cfr. Cass. 16 febbraio 1993, n. 1874, Foro it., Rep. 1993, voce

Esecuzione forzata in genere, n. 20; 11 marzo 1992, n. 2938, id., Rep.

1992, voce cit., n. 28; 15 giugno 1964, n. 1512, id., Rep. 1964, voce

cit., n. 41; 18 gennaio 1962, n. 77, id., Rep. 1962, voce cit., n. 26.

Sulla possibilità per il giudice dell'opposizione all'esecuzione di so

spendere parzialmente l'esecuzione, cfr. Cass. 16 febbraio 1993, n. 1874,

cit.; Pret. Napoli 30 ottobre 1993, id., Rep. 1994, voce cit., n. 87, e Arch, civ., 1994, 429; Cass. 19 giugno 1984, n. 3637, Foro it., Rep.

1984, voce cit., n. 21. In dottrina, sulla sospensione dell'esecuzione, vedi, fra gli altri: Fur

no, La sospensione del processo esecutivo, Milano, 1956; Bucolo, La

sospensione nell'esecuzione, Milano, 1972; Bonsignori, L'esecuzione for

zata, Torino, 1990, 339 ss.; Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto,

Il Foro Italiano — 1997 — Parte 1-59.

Sgombrato così il campo dalle questioni preliminari, non re

sta che procedere all'esame dei motivi posti da Carlo De Bene detti a fondamento delle proprie istanze.

Deduce il De Benedetti, in primo luogo: che il pignoramento del banco è nullo, perché effettuato il giorno stesso della notifi ca del precetto, malgrado l'assegnazione, contenuta in quest'ul timo, per il pagamento, del termine di dieci giorni.

Ammette, peraltro, l'attore opponente che il pretore aveva

autorizzato l'esecuzione immediata, con provvedimento, reso in

base al dettato normativo dell'art. 482 c.p.c., a margine del

precetto.

Afferma, però, che tale autorizzazione è irrilevante, giacché inidonea, da sola e senza la presenza nel precetto di una intima

zione immediata, a prevalere sul termine di dieci giorni già men

zionato.

Si duole, poi, il De Benedetti del provvedimento pretorile emes

so in base all'art. 482 sopra indicato, giacché gli avrebbe impe dito la proposizione dell'opposizione a precetto prevista dall'art.

615, 1° comma, c.p.c.

Peraltro, osserva il pretore: che le prime due censure dell'opponente sono infondate alla

luce dell'impostazione dominante in giurisprudenza (si vedano

le sentenze della Corte di cassazione n. 1039 del 1972, Foro

it., Rep. 1972, voce Esecuzione forzata in genere, n. 14, e n.

739 del 1967, id., Rep. 1967, voce cit., n. 27), in base alla quale deve ritenersi che il termine indicato nel provvedimento pretori le prevalga su quello presente nel precetto, che viene superato ed assorbito, e che il pignoramento, anche se eseguito immedia

tamente, non è nullo, non sussistendo alcuna incertezza circa

la volontà del creditore di esigere l'adempimento immediato; che la terza questione sollevata è inammissibile e, comunque,

tardiva, giaeché ogni doglianza riguardante il provvedimento pre torile adottato in base al disposto dell'art. 482 del codice di rito, riverberandosi sul pignoramento, inteso quale atto esecutivo, de

ve essere fatta valere tramite opposizione agli atti esecutivi — e

non, come nel caso di specie, tramite opposizione all'esecuzione — e, comunque, entro il termine perentorio di cinque giorni dal

la avvenuta notifica del provvedimento (si veda la sentenza della

Suprema corte n. 1426 del 1971, id., Rep. 1971, voce cit., n. 83); che il pignoramento è stato notificato all'opponente in data

9 ottobre 1995; che la doglianza dell'opponente inerente il provvedimento au

torizzativo in esame è stata espressa per la prima volta in data

23 novembre 1995, quando il termine previsto dall'art. 617 c.p.c. era già abbondantemente scaduto.

Gli argomenti finora esaminati, pertanto, non consentono l'a

dozione del provvedimento sospensivo invocato dall'opponente.

Peraltro, quest'ultimo deduce, quali motivi preponderanti posti a sostegno dell'opposizione:

che il credito azionato dal banco si è azzerato o, comunque, massicciamente decurtato in conseguenza delle transazioni sti

pulate dal banco medesimo con numerosi altri condebitori soli

dali nonché in conseguenza di altri fatti estintivi (conguagli e

ricavi incassati, plusvalenze realizzate, sopravvenienze attive, azio

ni restitutorie, risarcitone e revocatone già definite);

che, tramite tali transizioni tali fatti estitivi, il banco ha già incassato ingenti somme ed effettuato remissioni di credito per ammontare ancor più ingenti;

che vi sono trattative per ulteriori transazioni che comporte ranno ulteriori incassi.

Osserva, in merito, prima di tutto il pretore: che per quanto concerne il titolo esecutivo giudiziale (come

quello azionato nel caso di specie ed identificantesi nella senten

za n. 1390 dell'anno 1992 del Tribunale penale di Milano), vige il principio secondo il quale il giudice dell'opposizione all'ese

cuzione non può esercitare alcun controllo sul contenuto intrin

seco dello stesso, che è fonte del diritto accertato, giacché ciò

costituirebbe interferenza indebita in una materia devoluta esclu

sivamente alla competenza del giudice della cognizione; che non può, pertanto, dall'opponente essere proposta alcu

na questione superata dall'esistenza del titolo ed in contrasto

con il suo contenuto (si veda la sentenza n. 5496 del 1978 della

opposizioni, cit., 381 ss.; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1994, 784 ss.; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, 10" ed., Torino, 1995, III, 159 ss.; Corsaro-Bozzi, Manuale

dell'esecuzione forzata, 2a ed., Milano, 1992, 517 ss.; Castoro, Il pro cesso di esecuzione nel suo aspetto pratico, 7a ed., Milano, 1994, 817 ss.

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3075 PARTE PRIMA 3076

Corte di cassazione, id., Rep. 1978, voce cit., n. 31); che possono farsi valere solo fatti impeditivi, modificativi od

estintivi del rapporto consacrato nel titolo esecutivo che si sono

verificati successivamente alla sua formazione (si veda la sen

tenza della Corte di cassazione n. 2241 del 1976, id., Rep. 1976, voce cit., n. 27);

che, a tal fine, potrà eccepirsi la transazione (si veda la sen

tenza della Suprema corte n. 6412 del 1979, id., Rep. 1979, voce cit., n. 46) non preesistente alla sentenza e che il debitore

non avrebbe potuto far valere nel procedimento concluso con

la formazione del titolo esecutivo, perché avvenuta dopo la for

mazione del titolo esecutivo medesimo;

che, in virtù del dettato normativo dell'art. 2697 c.c., i fatti

modificativi, impeditivi ed estintivi del rapporto consacrato nel

titolo esecutivo, successivi alla formazione del titolo esecutivo

medesimo, devono essere dedotti e dimostrati, anche sotto il

profilo quantitativo, dall'opponente (si vedano le sentenze della

Suprema corte n. 2259 del 1978, id., Rep. 1978, voce cit., nn.

36, 37; n. 3247 del 1975, id., Rep. 1975, voce cit., n. 35; n.

780 del 1979, id., Rep. 1979, voce cit., n. 44). Ora, esaminando tutti i fatti posti dall'attore opponente a

fondamento della pretesa, in quanto modificativi, impeditivi o

estintivi del credito azionato dal banco, osserva il pretore quan to segue.

Appare evidente, in primo luogo, l'irrilevanza del riconosci

mento, effettuato dal Nuovo Banco Ambrosiano società per azio

ni a favore della creditrice procedente, in sede di cessione al

Nuovo Banco medesimo, da parte della creditrice stessa, delle

attività e passività dell'azienda di credito, di un conguaglio di

350 miliardi correlato all'avviamento dell'impresa, perché detto

riconoscimento, avvenuto in data 8 agosto 1982, si è verificato

in periodo ampiamente antecedente alla formazione del titolo

esecutivo.

Né può assumere rilevanza, in quanto risalente al 24 maggio 1984 (e, quindi, antecedente alla formazione del titolo), l'accor

do in base al quale l'Istituto per le opere di religione (d'ora in poi denominato Ior, per comodità) pagò al Banco Ambrosia

no la somma di 250 milioni di dollari statunitensi.

Non possono, inoltre, assumere rilevanza, in questa sede, tut

ti quei fatti inidonei ad estinguere il credito, perché privi di

efficacia satisfattiva.

Cosicché, appare irrilevante, ad avviso del pretore, la trattati

va attualmente pendente con uno degli imputati, Bruno Tassan

Din, perché l'opponente non ha dimostrato, allo stato, che essa

è sfociata nel perfezionamento di un fatto estintivo del credito

(quale, ad esempio, la stipulazione di una transazione).

Appare, altresì, evidente l'irrilevanza delle ordinanze di asse

gnazione di crediti pignorati al De Benedetti, emesse recente

mente dal Pretore di Torino, giacché non aventi, da sole e sen

za l'effettiva ottemperanza alle medesime da parte delle parti terze pignorate, attitudine estintiva.

Sul punto, in particolare, osserva il pretore che il dettato nor

mativo dell'art. 2928 c.c. stabilisce espressamente che «se og

getto dell'assegnazione è un credito, il diritto dell'assegnatario verso il debitore che ha subito l'espropriazione non si estingue che con la riscossione del credito assegnato».

Uguale irrilevanza assume, ad avviso del pretore, il sequestro conservativo eseguito dal banco, a Ginevra, su valori ed attività di Licio Gelli, per l'ammontare di cento milioni di franchi sviz

zeri, sia perché avvenuto prima della formazione del titolo ese

cutivo (e, precisamente, nell'estate del 1983) sia perché inidoneo

di per sé a produrre effetti satisfattivi del credito, avendo mera

natura cautelare e non comportando, da solo, la percezione ef

fettiva, da parte del banco, di alcuna somma.

Con riferimento, invece, alle transazioni stipulate dal banco

con altri condebitori solidali, osserva il pretore quanto segue. È pacifico, tra le parti, e parzialmente confermato dai verbali

delle udienze tenute innanzi alla Corte d'appello di Milano, pro dotti dalle parti medesime, quanto emerge dalla dichiarazione

scritta, avente, tra l'altro, natura confessoria, datata 26 gen naio 1996 e proveniente dal commissario liquidatore del banco, Lanfranco Gerini, in base alla quale risulta:

che, a fronte dell'intero danno patito dal banco, e fino alla

data del 26 gennaio 1996, il banco stesso ha concluso transazio ni con quindici dei trentatrè imputati (tutti condebitori solidali nei confronti della creditrice opposta) per l'importo di lire

39.560.000.000; che, sempre fino alla data del 26 gennaio 1996, a fronte della

Il Foro Italiano — 1997.

provvisionale, il banco ha riscosso, a seguito di esecuzione mo

biliare in danno dell'imputato Mario Davoli (anch'egli rivesten

te la qualità di condebitore solidale) la somma di lire 62.800.000. Emerge, poi, dal verbale dell'udienza tenuta in data 31 gen

naio 1996 innanzi alla Corte d'appello di Milano, che, in data

successiva al 26 gennaio 1996, anche con il Davoli è intervenuta

transazione.

In sostanza, il banco, per quanto risulta in atti, ha stipulato, allo stato, transazioni con sedici dei trentatrè imputati.

Ora, è evidente, ad avviso del pretore, che tutte le transazioni

sono successive alla formazione del titolo, perché, come si de

duce dalla dichiarazione confessoria del Gerini e dalle risultanze

dei verbali sopra menzionati, sono state stipulate con tutti gli

imputati quando erano già stati condannati dal Tribunale di

Milano e quando, quindi, si era già formato il titolo esecutivo.

Pertanto, ad avviso del pretore, l'opponente ha provato l'esi

stenza di fatti estintivi (anche se in misura solo parziale) del

credito azionato dal banco.

Peraltro, sia il banco sia taluno degli intervenuti eccepiscono: che le transazioni di cui si tratta sono già state sottoposte

all'esame della Corte d'appello di Milano, in sede di delibazio

ne delle istanze di revoca o sospensione della provvisoria esecu

zione della provvisionale concessa dal giudice di primo grado a favore del banco;

che la corte d'appello le ha considerate irrilevanti; che le transazioni che non riguardano il rapporto obbligato

rio nascente dalla provvisionale e che riguardano, invece, l'inte

ro rapporto obbligatorio controverso, nei limiti, peraltro, della

quota interna di ciascun condebitore solidale, devono essere im

putate a quest'ultimo e non alla provvisionale, che permarrebbe nella sua entità originaria.

Ora, in merito osserva il pretore: che la Corte d'appello di Milano, nella parte motiva dell'or

dinanza sopra menzionata, espressamente ha affermato che «sol

tanto in sede di eventuale esecuzione, le parti civili — che han

no dichiarato di avere transatto i rapporti economici con taluni

degli imputati — dovranno fornire ai coobbligati in via solidale

la prova dell'ammontare della differenza tra gli importi delle

provvisionali concesse e gli importi già coperti dalle avvenute

transazioni»;

che, pertanto, la corte fa riferimento, con piena condivisione

di questo pretore, ai seguenti due principi, già in parte accenna

ti e per i quali: le transazioni perfezionate successivamente alla formazione

del titolo esecutivo, malgrado non assumano rilevanza in sede

di revoca o sospensione della provvisoria esecuzione della prov visionale concessa, nel procedimento penale, dal giudice di pri mo grado, rilevando nella fase esecutiva, quali fatti estitivi del

credito consacrato nel titolo azionato; dette transazioni, se successive, rilevano anche se, non defi

nendo soltanto il rapporto obbligatorio sorto tra gli stipulanti a seguito della provvisionale, riguardano l'intera quota interna

del rapporto obbligatorio controverso.

Ciò è vero sia perché definiscono anche il rapporto obbliga torio nascente dalla provvisionale (anche se non solo quello) sia per il motivo di seguito esposto.

Dette transazioni, pur riguardando la sola quota interna del

debitore, riducono l'intero debito solidale per l'importo corri

spondente alla quota transatta (si vedano le sentenze della Cor

te di cassazione nn. 13701 e 7413 del 1991, id., Rep. 1991, voce

Obbligazioni in genere, nn. 51, 50). Ora, nel caso di specie, è evidente che l'intero debito solidale

che si riduce, non può che essere quello consacrato nel titolo

esecutivo, che è l'unico finora accertato.

Certamente, il valore da scomputare a seguito delle transazio ni non può essere detratto, in questa sede, come preteso dal

banco, «dall'immenso danno patito, pari ad alcune migliaia di

miliardi», perché, allo stato, e fino a quando il giudice della cognizione non assumerà decisioni diverse, il danno patito dal

banco è pari a cento miliardi ed il giudice dell'esecuzione non

può certo interferire su una materia — determinazione del dan

no arrecato al banco stesso — demandata all'esclusivo esame del giudice della cognizione. Le transazioni in esame hanno,

quindi, efficacia estintiva parziale del credito azionato dal ban co. Afferma, peraltro, il De Benedetti che, a suo avviso, dette

transazioni hanno efficacia estintiva totale di tale credito.

Sostiene, all'uopo, in primo luogo: che, nel caso di specie, deve applicarsi il disposto dell'art.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

1292 c.c., in base al quale, nei rapporti obbligatori solidali, «l'a

dempimento da parte di uno (dei condebitori solidali) libera gli altri».

Ora, sul punto, osserva il pretore che, anche a voler prescin dere dal fatto, comunque indubitabile, che la norma invocata

è inapplicabile nel caso di specie, giacché riguarda l'adempi mento — e non il fatto estintivo rilevante in questa sede, ossia

la transazione — comunque, secondo l'orientamento dominan

te in giurisprudenza (si veda la sentenza della Corte di cassazio

ne n. 1320 del 1962, id., Rep. 1962, voce Obbligazioni e con tratti, n. 153), il pagamento parziale (che, tra l'altro, per la

precisione, non può neanche essere qualificato come adempi

mento) libera gli altri condebitori per la parte e non per l'inte

ro, continuando, pertanto, a permanere il credito residuo.

Pertanto, solo l'adempimento in senso stretto, possedendo at

titudini pienamente satisfattive del credito, ha efficacia total

mente estintiva.

Assume, però ancora, il De Benedetti:

che, in virtù del dettato normativo dell'art. 1301 c.c., deve

essere detratto dall'importo della provvisionale (pari a cento mi

liardi) non l'importo delle transazioni (pari a circa quaranta

miliardi), ma il valore delle quote di spettanza dei singoli tran

sigenti; che, partendo dal presupposto che il credito effettivo del banco

sia pari a duecentocinquanta miliardi, tenuto conto del fatto

che i condebitori solidali sono in numero di trentatrè, rilevato

che la quota di ciascuno sarebbe pertanto pari a sette miliardi

e mezzo circa (pari ad un trentatreesimo di duecentocinquata

miliardi), rilevato che coloro che hanno stipulato le transazioni

sono in numero di quindici — evidentemente l'opponente non

tiene conto della transazione intercorsa col Davoli —, ritenuto

che la quota complessiva di tutti coloro che hanno perfezionato

le transazioni dovrebbe, quindi, essere pari a più di centodieci

miliardi (pari a quindici trentatreesimi di duecentocinquanta mi

liardi), il valore complessivo delle quote di spettanza di coloro

che hanno stipulato i negozi (centodieci miliardi circa), essendo

superiore all'ammontare della provvisionale (cento miliardi),

avrebbe totale efficacia estintiva nei confronti di quest'ultima.

Osserva, però, il pretore:

che, ancora una volta, la norma invocata dall'opponente, l'art.

1301 c.c., non può essere applicata in questa sede, giacché non

riguarda il fatto estintivo rilevante nel caso di specie — la tran

sazione — ma un fatto estintivo estraneo e diverso — la remis

sione —;

che, comunque, tutto l'assunto attoreo si fonda su un pre

supposto — presenza di un credito di titolarità del banco pari

a duecentocinquanta miliardi di lire — che non può rilevare

in questa sede, giacché non conforme alle risultanze del titolo

esecutivo e perché oggetto di accertamento esclusivo, giova an

cora ricordarlo, da parte del giudice della cognizione, derivan

do così l'impossibilità, per il giudice dell'esecuzione, di fondare

qualunque argomentazione sul medesimo.

Deduce, però, ancora ed infine, il De Benedetti, onde dimo

strare la totale estinzione del credito azionato:

che le transazioni in esame non sono novative, perché non

accompagnate dalle volontà dei transigenti di estinguere il rap

porto obbligatorio originario ma finalizzate alla sola modifica

del medesimo (ed in effetti tale circostanza non è nemmeno con

troversa e, comunque, non vi sono elementi per ritenerne la

sussistenza);

che, pertanto, non è possibile applicare (come appare condi

visibile anche al pretore, per il motivo sopra accennato) la nor

mativa prevista dall'art. 1300 c.c., che prevede che «qualora...

si sia voluto limitare la novazione a uno solo dei debitori, gli

altri non sono liberati che per la parte di quest'ultimo»;

che, invece, deve essere applicato il disposto dell'art. 1304

c.c., nella parte in cui dispone che «la transazione fatta dal

creditore con uno dei debitori in solido non produce effetto

nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne

profittare». È pacifico, peraltro, tra le parti, che, come si deduce dalla

dichiarazione del commissario liquidatore del banco, tutte le tran

sazioni stipulate dal banco stesso recano la clausola «Le parti

del presente accordo si danno reciprocamente atto che la pre

sente transazione, oggetto e risultato di laboriose e specifiche

valutazioni ed intese, non riguarda l'intero debito solidale, ben

sì è limitata alla quota interna del debitore» o altra dello stesso

tenore.

Il Foro Italiano — 1997.

Evidenzia, però, in punto, l'attore opponente che solo appa rentemente queste clausole dimostrano che i contratti in esame

assumono la natura di transazioni «parziali»:

perché, in primo luogo, non ricorrono nella specie quelle «ra

gioni personali» (speciale condizione giuridica, soggetto di dirit

to internazionale, esenzione dalla giurisdizione italiana a norma

dell'art. 11 del trattato del Laterano) ricorrenti nel caso ecce

zionale della transazione perfezionata, prima della formazione

del titolo, tra il Banco Ambrosiano e lo Ior;

perché, comunque, secondo un'impostazione dottrinaria pe raltro già abbastanza risalente nel tempo, ma comunque assai

autorevole, e pienamente in linea con il tenore letterale dell'art.

1304 c.c., dovrebbe negarsi l'ipotizzabilità di transazioni par ziali nelle obbligazioni solidali, perché la transazione «parziale»

investirebbe, comunque e in ogni caso, l'obbligazione nella sua

interezza; ed anzi, in particolare, non potrebbe essere stipulata una tran

sazione non novativa limitatamente alla quota del debito solida

le ed intercorrente tra il creditore e il singolo condebitore, per

ché necessariamente riguardante l'intero credito: rectius, l'inte

ro rapporto litigioso; cosicché il condebitore estraneo al negozio avrebbe la possibi

lità di appropriarsi degli effetti della transazione in conformità

al dettato normativo dell'art. 1304 c.c. e tale potere, avendo

la natura di diritto potestativo, non potrebbe essergli tolto da

una clausola della transazione limitativa degli effetti ai soli tran

sigenti. Pertanto, l'opponente afferma di voler profittare delle tran

sazioni in esame, a norma dell'art. 1304 c.c.

Ora, però, osserva il pretore:

che, secondo l'insegnamento autorevole della Suprema corte

(si vedano le sentenze nn. 3140 del 1971, id., Rep. 1971, voce

Obbligazioni in genere, n. 101; 7413 del 1991, cit.; n. 13701

del 1991, cit.) ed a prescindere dal tenore letterale dell'art. 1304

c.c., il debitore solidale rimasto estraneo alla transazione con

clusa con il creditore non può profittare della stessa, a norma

dell'art. 1304 medesimo, ove tale transazione non riguardi l'in

tero debito solidale bensì sia limitata alla quota del debitore

che l'abbia stipulata;

che, pertanto, sempre secondo tale insegnamento, detta tran

sazione produrrà solo la riduzione dell'intero debito per l'im

porto corrispondente alla quota transatta, senza interferenza di

sorta sulla quota interna degli altri condebitori solidali;

che ciò si giustifica perché una simile convenzione, non inter

ferendo sulle quote interne degli altri condebitori, produce au

tomaticamente lo scioglimento del vincolo solidale tra lo stipu

lante e gli altri consorti.

Da tutto ciò discende:

che, nelle obbligazioni solidali, è possibile ipotizzare il perfe

zionamento di transazioni «parziali» (rectius, limitate alla sin

gola quota del condebitore stipulante); che tale perfezionamento è possibile a prescindere dalla pre

senza di situazioni particolarissime (quali quelle ricorrenti nel

caso della transazione tra il banco e lo Ior);

che il condebitore estraneo al negozio ha diritto di profittare, in base al disposto dell'art. 1304 c.c., solo qualora la transazio

ne riguardi l'intero rapporto obbligatorio e non solo una quota

del medesimo;

che, nel caso di specie, stante il tenore delle clausole inserite

nei negozi transattivi e tenuto conto del fatto che, come si de

duce dai verbali delle udienze tenute innanzi alla Corte d'appel

lo di Milano, nei quali si dà atto che il Banco Ambrosiano

revoca la costituzione di parte civile, a seguito di transazione,

nei soli confronti di coloro che hanno stipulato tale negozio,

non intendendo pretendere più alcunché da costoro ma conti

nuando a tener ferme le pretese risarcitone contro gli altri con

debitori solidali, non è possibile, per l'attore opponente, profit

tare ai sensi dell'art. 1304 c.c.;

che, pertanto, non si può ritenere totalmente estinto il credito

azionato,

che, peraltro, tale credito deve ritenersi parzialmente ridotto,

per l'importo — così afferma la Cassazione — corrispondente

alla quota transatta, ossia, nel caso di specie, all'entità delle

quote transatte.

Ovviamente, il valore della quota transatta, quale misura ideale

dell'intero debito solidale, tenuto conto del fatto che quest'ulti

mo, allo stato, deve considerarsi pari a cento miliardi, tenuto

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Page 6: ordinanza 6 marzo 1996; Giud. Bresciani; De Benedetti c. Banco Ambrosiano

3079 PARTE PRIMA 3080

conto del fatto che i condebitori sono trentatrè, tenuto conto

del fatto che ciascuna quota deve presumersi uguale alle altre,

in assenza, come nel caso di specie, di risultanze diverse (si ve

da, in proposito, il dettato normativo dell'art. 1298 c.c.), è pari a lire 3.033.333.333;

pertanto, il valore complessivo delle quote transatte, conside

rato che hanno transatto sedici condebitori, è pari a lire

48.533.333.328; cosicché, il credito azionato deve considerarsi ridotto a lire

51.466.666.672. Ora, osserva il De Benedetti:

che, se l'importo precettato è maggiore di quello realmente

azionabile, il giudice dell'esecuzione dovrebbe dichiarare la nul

lità del precetto e non potrebbe dar corso all'esecuzione forza

ta, sospendendo totalmente il procedimento esecutivo;

che dette conseguenze si giustificherebbero perché, nel caso

di esorbitanza tra la cifra precettata e la cifra realmente dovuta,

il debitore non potrebbe avvalersi, nel corso del procedimento

esecutivo, degli strumenti giuridici prescritti dagli art. 494, 495

e 496 c.p.c. (pagamento nelle mani dell'ufficiale giudiziario, con

versione e riduzione del pignoramento); che dette conseguenze si giustificherebbero anche in conside

razione dell'indirizzo giurisprudenziale della Suprema corte (si

vedano, ad esempio, le sentenze n. 5489 del 1984, id., Rep.

1984, voce Esecuzione forzata in genere, n. 13; n. 4516 del 1987,

id., Rep. 1987, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecu

niarie, n. 30; n. 2938 del 1992, id., Rep. 1992, voce Esecuzione

forzata in genere, n. 28) in base al quale l'opposizione può bene

investire solo una parte del credito azionato, giacché l'opponen te può ben contestare il diritto di procedere ad esecuzione for

zata anche solo sotto il profilo quantitativo.

Peraltro, osserva il pretore che, fermo restando tale indiriz

zo, che, come vedremo, non incide che marginalmente sulle que stioni ora in esame, la Corte di cassazione ha più volte afferma

to, anche recentemente (si vedano le sentenze n. 77 del 1962,

id., Rep. 1962, voce cit., n. 26; n. 1512 del 1964, id., Rep.

1964, voce cit., n. 41; n. 2938 del 1992, cit.; n. 1874 del 1993,

id., Rep. 1993, voce cit., n. 20): che l'intimazione di precetto per somma superiore a quella

dovuta non produce la nullità del precetto stesso, dando luogo soltanto alla riduzione della somma domandata nei limiti di quella

dovuta; che la conseguente rettifica potrà essere validamente operata

nel corso del procedimento di esecuzione, anche, ma non solo, a seguito di proposizione di giudizio di opposizione, senza che

il precetto perda validità;

che, quindi, per la parte di credito riconosciuta sussistente, l'esecuzione proseguirà regolarmente;

che non potrà essere totalmente sospesa l'esecuzione forzata,

perché detto provvedimento potrà essere emesso solo in caso di estinzione totale del credito azionato per capitale, accessori

e spese;

che, pertanto, dovrà sospendersi parzialmente l'esecuzione,

restringendone la portata entro i limiti delle somme dovute.

Evidenzia, altresì, la Suprema corte che, in effetti, il legisla tore non prevede espressamente, nel caso di specie, la possibili tà di sospendere parzialmente l'esecuzione; peraltro, la sospen sione parziale è prevista in un caso talmente simile a quello in esame (stabilito dall'art. 624, ultimo comma, c.p.c. per il

caso di controversie in sede di distribuzione del ricavato) che,

per identità di ratio, può essere disposta anche in quest'ultimo.

Ora, detta impostazione della Suprema corte, chiaramente im

prontata all'esigenza di evitare che, per assurdo, venga sospesa totalmente l'esecuzione in caso di minimi errori per eccesso con

tenuti nell'atto di precetto e giustificata anche dal fatto che,

comunque, anche in caso di discrepanze maggiori, come nel ca

so di specie, sarebbe assurdo, ancora una volta, addivenire alla

sospensione totale, visto che, fino a quando il credito titolato

non è pienamente estinto per capitale, interessi e spese, sussiste

ancora, in capo al creditore, il diritto di procedere ad esecuzio

ne forzata, appare a questo pretore pienamente condivisibile.

Cosicché, nel caso di specie, dovrà sospendersi parzialmente

l'esecuzione, limitatamente alla somma di lire 48.533.333.328.

Dovrà, inoltre, disporsi la prosecuzione del procedimento

espropriativo, per l'importo di lire 51.466.666.672. (Omissis)

Il Foro Italiano — 1997.

Rivista di giurisprudenza costituzionale e civile

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Equo indennizzo — Revisione — Termini — Atto privo di forza di legge —

Questione manifestamente inammissibile di costituzionalità

(Cost., art. 3, 38; d.p.r. 3 maggio 1957 n. 686, esecuzione

del t.u. 10 gennaio 1957 n. 3, art. 56).

È manifestamente inammissibile, in quanto avente ad oggetto un atto privo di forza di legge, la questione di legittimità costi

tuzionale dell'art. 56 d.p.r. 3 maggio 1957 n. 686, nella parte in cui prevede che entro cinque anni dalla comunicazione del

decreto di liquidazione dell'equo indennizzo, nel caso di aggra vamento della menomazione dell'integrità fisica per la quale sia

stato concesso il beneficio, l'amministrazione può provvedere,

per una sola volta, alla revisione dell'indennizzo stesso, in rife

rimento agli art. 3 e 38 Cost. (1)

Corte costituzionale; ordinanza 27 giugno 1997, n. 208 (Gaz

zetta ufficiale, la serie speciale, 2 luglio 1997, n. 27); Pres. Gra

nata, Est. Mirabelli; Abbate c. Min. difesa. Ord. Tar Lombar

dia 22 novembre 1995 (G.U., la s.s., n. 14 del 1996).

(1) La corte ribadisce che il giudizio di legittimità costituzionale ha ad oggetto leggi ed atti aventi forza di legge, mentre il controllo sulla

legittimità dei regolamenti, quali fonti secondarie, spetta al giudice co mune (v., in tal senso, Corte cost. 25 luglio 1997, n. 273, G.U., la

s.s., n. 33 del 1997; 18 dicembre 1995, n. 509, Foro it., 1996, I, 784, con nota di richiami; 1° giugno 1995, n. 220, ibid., 47, con nota di

richiami). Nel merito, il giudice a quo denunciava in particolare la previsione

per cui il termine, entro cui è possibile proporre istanza di revisione, decorre dalla data di concessione dell'equo indennizzo, anziché dalla data in cui sono insorti i denunziati aggravamenti.

Nel senso che — ai fini del computo del quinquennio entro il quale, ai sensi dell'art. 56 d.p.r. 686/57, deve sopravvenire l'aggravamento dell'infermità perché possa avere rilievo ai fini di una revisione dell'e

quo indennizzo — si tiene conto della data di presentazione della do manda di revisione per aggravamento, e non già del momento di accer tamento del medesimo, v. Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1996, n.

156, id., Rep. 1996, voce Impiegato dello Stato, n. 1112. Secondo Tar Sardegna 11 febbraio 1988, n. 42, id., Rep. 1988, voce

cit., n. 1207, la finalità dell'art. 56 d.p.r. 686/57 è quella di assicurare al dipendente, menomato permanentemente nell'integrità fisica da in fermità dipendente da causa di servizio, un adeguamento di indennizzo

corrispondente ad un maggior livello di inabilitazione derivante da ag gravamento della menomazione, né vi è nella norma alcuna preclusione a che il maggior danno derivante dall'aggravamento non debba essere

preso in considerazione ai fini dell'indennizzabilità solo perché il dipen dente non abbia potuto fruire, per qualsiasi motivo, della prima con cessione, per cui è illegittimo il diniego di liquidazione dell'equo inden nizzo relativo all'aggravamento (nella specie, determinante la morte) di una infermità già riconosciuta dipendente da causa di servizio, moti vato con la preclusione derivante dalla circostanza che la precedente istanza diretta alla concessione dell'equo indennizzo era stata presenta ta fuori termine.

In ordine all'ambito di applicazione ed alla natura del termine quin quennale fissato dall'art. 56 d.p.r. 686/57, v. pure Tar Sicilia, sez. Ca tania, 20 ottobre 1993, n. 719, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1210; Cons.

Stato, sez. IV, 7 aprile 1993, n. 394, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1300; Tar Lazio, sez. I, 26 gennaio 1987, n. 196, id., Rep. 1987, voce cit., n. 1205; 10 aprile 1985, n. 507 e 19 dicembre 1984, n. 1169, Tar Cam

pania, sez. II, 20 ottobre 1984, n. 315, id., Rep. 1985, voce cit., nn. 986, 976 e voce Militare, n. 34.

In tema di equo indennizzo per gli impiegati dello Stato, v. Cass. 19 dicembre 1996, n. 11395, id., 1997, I, 1176, con nota di richiami, circa l'attribuzione del relativo beneficio al personale dipendente delle Ferrovie dello Stato e la natura retributiva (quindi rivalutabile) del rela tivo credito.

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