ordinanza 8 marzo 1985; Giud. Salvi; Soc. Radio Tele Europa (Avv. Modena, Vaccaro) c. CircostelAnconaSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 6 (GIUGNO 1985), pp. 1831/1832-1841/1842Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178560 .
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1831 PARTE PRIMA 1832
certezza della ripresa produttiva mentre l'intervento era caratteriz
zato dalla transitorietà; al requisito della certezza fu poi sostituito
quello della « probabilità » della ripresa produttiva per giungere
poi alla mera possibilità con le leggi più recenti.
Non v'è dubbio che, in questo processo, il collegamento esclusi
vo con l'interesse imprenditoriale si sia attenuato e, nel contempo, si siano ampliate le caratteristiche assistenziali; ma non per
questo è venuto meno l'interesse dell'imprenditore sol che si
consideri che, sia pure come possibilità, il presupposto per la
concessione della c.i.g. è sempre ricollegato a situazioni che
riguardano non i lavoratori ma l'azienda (situazioni aziendali
dovute a eventi transitori o determinate da situazioni temporanee di mercato per la c.i.g. ordinaria; crisi economiche settoriali o
locali, ristrutturazioni, riorganizzazioni o conversioni aziendali per la ci.g. straordinaria: art. 1 1. 20 maggio 1975 n. 164).
La tutela degli interessi dei lavoratori, benché forse prevalente nell'ottica di questa legislazione, è solo indiretta perché le leggi non prendono in considerazione direttamente il loro interesse e le
loro esigenze ma quelle della produzione; non vengono in rilievo situazioni soggettive, individuali o generalizzate, di impossibilità di effettuare la prestazione, ma situazioni aziendali o di mercato. E se questi sono i presupposti per l'intervento della c.i.g. non si
comprende come si possa considerare insussistente l'interesse del
l'imprenditore al collocamento dei dipendenti in c.i.g. anche in
considerazione della circostanza che, in caso di rifiuto della c.i.g., il datore di lavoro rimane esposto all'azione (non importa se
fondata o meno) dei lavoratori per ottenere il pagamento della
retribuzione.
Ma, si afferma nella citata sentenza della Suprema corte, i
datori di lavoro non hanno alcun interesse alla c.i.g. perché se la stessa viene concessa « erogano salari con denaro non pro prio ... mentre se la domanda non viene accolta hanno sempre il diritto di procedere a licenziamenti collettivi ».
Ma anche questa argomentazione è solo apparentemente convin
cente. La drastica alternativa tra cassa integrazione e licenziamen
ti è valida solo per le ipotesi patologiche dell'impossibilità della
ripresa (nelle quali, a rigore, la c.i.g. dovrebbe di norma essere
negata), o ito quelle in cuii la ristrutturazione, riorganizzazione, ecc.
conduca, in una situazione di impossibile allargamento del merca
to, a un ridimensionamento dell'organico aziendale. Nelle altre
ipotesi è invece interesse dell'imprenditore avere la possibilità di
attingere a questa riserva di lavoratori professionalizzati allorché
cessino le esigenze che avevano dato luogo all'intervento della
c.i.g.; è di questi giorni la notizia che una nota casa automobi
listica italiana ha richiamato anticipatamente dalla c.i.g. un certo
numero di lavoratori per adibirli alla produzione di un modello
di autovettura che aveva avuto un imprevisto successo di mercato.
Ecco un caso in cui l'interesse dell'imprenditore si è realizzato
molto più opportunamente con l'intervento della c.i.g. piuttosto
che con i licenziamenti collettivi.
Per concludere può affermarsi che il complesso di leggi che
regolano l'istituto della ci.g., sia nella forma ordinaria che
in quella straordinaria, hanno di mira la tutela di un du
plice interesse per lo più convergente, quello dei lavorato
ri e quello degli imprenditori; nessuno tra questi soggetti può
pertanto essere ritenuto privo di interesse nei giudizi aventi ad
oggetto il riconoscimento dei diritti conseguenti alla concessione, o
al diniego, della cassa integrazione.
II. - Nel merito. Oggetto del presente giudizio è un problema
interpretativo sorto per la differente formulazione letterale di due
norme, l'art. 2 1. 5 novembre 1968 n. 1115 (estensione, in favore
dei lavoratori, degli interventi della c.Lg. ecc.) e l'art. 1
1. 8 agosto 1972 n. 464 (modifiche ed integrazioni della 1. 5
novembre 1968 n. 1115 in materia di integrazione salariale, ecc.).
La prima norma ricordata attribuisce infatti il diritto all'inte
grazione salariale « agli operai delle aziende industriali, comprese
quelle dell'edilizia e affini, che siano sospesi dal lavoro o
lavoranti ad orario ridotto in dipendenza di crisi economiche ... »,
mentre la seconda norma, al suo 4° comma, estende le disposi
zioni della 1. 1115/68 «agli impiegati sospesi dal lavoro».
Fondando la sua tesi esclusivamente su questa differenza lettera
le l'I.n.p.s. sostiene che solo per gli operai sarebbe consentito
l'intervento straordinario della c.i.g. nel caso di sospensioni parzia
li mentre per gli impiegati l'integrazione sarebbe dovuta solo a
favore di coloro che siano sospesi a zero ore.
Questa tesi, oltre che irrazionale e discriminatoria (per cui, se
accolta, imporrebbe un severo vaglio di costituzionalità), è infon
data anche sul piano ermeneutico letterale che pure pretende di
salvaguardare.
Il Foro Italiano — 1985.
Non ritiene il giudicante che occorrano argomentazioni partico larmente approfondite per dimostrare come il sostantivo « so
spensione » abbia carattere di genericità e acquisisca un significato
più preciso solo con l'aggiunta dell'aggettivo (ad es. « totale » o
« parziale »). Basti, del resto, far riferimento al dibattito Sin corso
sul part-time per rendersi conto che di sospensione si parla comunemente non solo nel caso di mancata prestazione a periodi
alterni (part-time c.d. «verticale») ma anche nel caso di man
cata parziale prestazione giornaliera (part-time c.d. « orizzontale »).
Insomma, quando si parla di « sospensione » senza alcuna
specificazione è arbitrario ritenere che ci si debba riferire esclusi
vamente alla sospensione totale. E allora la specificazione contenu
ta nell'art. 2 1. ti. 1115/68 non può essere ritenuta altro che
un'inutile specificazione di un concetto che, per il suo carattere
di generalità, già lo ricomprendeva.
Di ciò sembra essersi reso conto il legislatore del 1972 che,
difatti, non usa più la doppia locuzione non solo per gli impiegati
(nel qual caso potrebbe sorgere il dubbio su un'effettiva volontà
di differenziazione) ma neppure per gli operai, per cui se fosse
esatta l'impostazione dell'I.n.p.s. — secondo cui per sospensione deve intendersi soltanto quella zero ore — coerenza vorrebbe che
la si applicasse anche agli operai.
In realtà l'art. 1 1. 464/72 non ha più usato, né per operai né
per impiegati, la doppia formulazione ritenendola evidentemen
te superflua. Ciò corrisponde ad un processo di equiparazione delle due categorie, anche sotto il profilo che interessa, di cui la
1. del 1972 è una tappa e di cui la successiva eliminazione dello
sfavorevole « tetto » all'integrazione degli impiegati costituirà tap
pa successiva. Processo che, invece, verrebbe clamorosamente
smentito dall'accoglimento della tesi sostenuta dall'istituto conve
nuto.
Ma v'è di più: oltre al processo di cui si è detto ve n'è in
atto, ormai da decenni, uno più generale che, preso atto della
arbitrarietà e delle difficoltà interpretative create dalla tradizionale
differenziazione tra operai e impiegati, fondata su criteri di
difficile e spesso impossibile lettura (si pensi al criterio della
« collaborazione »), tende al definitivo superamento della biparti zione. Questo superamento è già stato attuato nella gran parte delle contrattazioni collettive con l'adozione dell'inquadramento unico.
Il valore interpretativo delle considerazioni svolte non viene
posto nel nulla dalla circostanza che la successiva 1. 20 maggio 1975 n. 164 contenga nuovamente (art. 1) la specificazione, accanto ai casi di sospensione, degli operai « che effettuino
prestazioni di lavoro a orario ridotto ». Sul valore ermeneutico di
questa disposizione — palesemente modellata sul testo dell'art. 1
1. 1115/68 — possono infatti ripetersi le osservazioni già svolte.
Il ricorso deve dunque essere accolto e l'I.n.p.s. va dichiarato
tenuto a corrispondere l'integrazione salariale anche agli impiegati non sospesi a zero ore. (Omissis)
I
PRETURA DI PERUGIA; ordinanza 8 marzo 1985; Giud.
Salvi; Soc. Radio Tele Europa (Avv. Modena, Vaccaro) c.
Circostel Ancona.
PRETURA DI PERUGIA:
Provvedimenti di urgenza — Radiotelevisione — Emittente privata locale — Provvedimento amministrativo di disattivazione —
Sospensione provvisoria — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art.
700; d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, t.u. delle disposizioni le
gislative in materia postale, di bancoposta e telecomunicazioni,
art. 240; 1. 4 febbraio 1985 n. 10, conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 6 dicembre 1984 n. 807, recante disposi zioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive, art.
unico).
Posto che: a) l'attività di telediffusione in ambito locale costitui
sae esercizio di un diritto soggettivo; b) la prosecuzione di tale
attività è espressamente consentita dalla l. 10/85; c) è viziato
da carenza di potere il provvedimento amministrativo che
ordini la disattivazione di una trasmittente privata per la sua
incompatibilità con un impianto del servizio pubblico, attivato
successivamente, va disposta, in accoglimento dell'istanza cautp
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
lare urgente avanzata dal titolare dell'emittente privata, la
sospensione provvisoria del provvedimento di disattivazione. (1)
II
PRETURA DI BOLOGNA; ordinanza 22 febbraio 1985; Giud.
D'Atti); Soc. Valsambro Center (Avv. Ballerini, Brentazzoli,
Vaccaro) c. Circostel Bologna.
Radotelevisione e servizi radioelettrici — Emittente privata locale — Diritto soggettivo dell'esercente — Giurisdizione ordinaria.
Provvedimenti di urgenza — Radiotelevisione — Emittente privata locale — Provvedimento amministrativo di disattivazione —
Sospensione provvisoria — Conferma (Cod. proc. civ., art. 690,
700; d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, art. 240).
L'attività privata di teleradiodifjusion,? in ambito locale costituisce
esercizio di un diritto soggettivo, come tale tutelabile in via
generale anche nei confronti della p.a. (2) Posto che, in difetto di comprovate interferenz,?, è viziato per
carenza di potere il provvedimento con cui un organo periferi co dell'amministrazione postale abbia disposto la disattivazione
di impianto di radiodiffusione operante su banda di frequenza
per la quale è prevista l'utilizzazione ad opera del ministero
della difesa, va confermato il provvedimento, reso inaudita
altera parte, con cui si è interinalmente ordinata la sospensione di ogni attività diretta a conseguire la predetta disattivazio
ne. (3)
III
PRETURA DI FIRENZE; ordinanza 11 novembre 1984; Giud.
Sergio; Soc. Video Spazio International (Avv. Vaccaro) c.
Circostel Firenze.
Provvedimenti di urgenza — Radiotelevisione — Emittente privata locale — Provvedimento amministrativo di disattivazione —
Accertamento dell'illegittimità — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 700; d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, art. 240; 1. 18 aprile 1983 n. 110, protezione delle radiocomunicazioni relative all'as
sistenza e alla sicurezza del volo, art. 3).
Va accolta, in via cautelare urgente, l'istanza del privato, titolare
di emittente privata televisiva, volta ad accertare l'illegittimi tà del provvedimento con cui un organo periferico dell'ammi
nistrazione postale abbia ordinato la disattivazione di impian to trasmittente su banda di frequenza assegnata ai ministeri
poste e difesa, senza dedurre disturbi o interferenze causati
dall'impianto stesso né rispettare le procedure previste dalla l.
110/83. (4)
I
Premesso che al fine della decisione occorre risolvere i seguenti
quesiti: a) se l'interesse, per la cui tutela è stato introdotto il
presente giudizio, assurga la dignità di diritto soggettivo, onde
(1-4) Se l'ordinanza del Pretore di Firenze mostrava chiari segni d'insofferenza verso l'orientamento che le sezioni unite avrebbero ribadito pochi giorni più tardi (Cass. 3 dicembre 1984, n. 6337, Foro
it., 1984, I, 2955, con nota di R. Pardolesi, La storia infinita: guerra dell'etere, problemi di giurisdizione), il provvedimento del Pretore di Bologna dà il segnale della rivolta e, forte del dictum che Cor te cost. 30 luglio 1984, n. 237, ibid., 2049 (cui hanno fatto seguito le ordinanze 23 e 77/85, entrambe inedite) riprendeva, avallandolo, da uno dei provvedimenti di rimessione circa l'« assoluta libertà » delle trasmissioni via etere su scala locale (in quanto si svolgono « in
regime di totale carenza legislativa »), accusa la Cassazione di resisten za rispetto a « questa lapalissiana e semplice realtà », cui si pretende di sostituire una terza via — quella di « rimpolpare » lo « scheletro » individuato dai giudici della Consulta « con il tessuto di varie norme esistenti e con altre operazioni di plastica ricostruttiva » — « costitu zionalmente aberrante » e « concretamente improduttiva », perché « l'edificio interpretativo immaginato dal Supremo collegio condu ce a risultato identico a quello cui conduce la tesi della mera
programmaticità delle pronunzie della Corte costituzionale ». E non è tutto. Infatti, mentre questo giudicante si avvale del c.d. Berlusconi bis — id est, 1. 10/85, in Leggi, 1985, 306: per un primo commento, v. E. Roppo, in Corriere giuridico, 1985, 248 — come argomento ad
adiuvandum, il Pretore di Bologna ne cava lumi per retrocedere a
rango di reperto d'antiquariato il responso delle sezioni unite, non foss'altro perché l'intervento legislativo sottrae, per almeno sei mesi, a
capricci autorizzatori l'attività delle stazioni radiotelevisive già operan ti il 1° ottobre 1984.
Insomma, la neverending story sembra proprio non volersi smentire: va avanti, eccome!
Il Foro Italiano — 1985 — Parte 1-118.
possa essere tutelato da questa autorità giudiziaria ordinaria; b) se tale interesse non risulti legittimamente affievolito per effetto del provvedimento amministrativo 18 febbraio 1985, con cui il direttore del circolo costruzioni T.T. di Ancona ha ordinato la disattivazione dell'impianto di riadiodiffusione televisiva della ri
corrente, onde tale interesse sia privo di tutela presso questa a.g.o.; c) se il provvedimento richiesto rientri nei poteri del
l'a.g.o.; d) se sussista l'urgenza di provvedere per effetto di un
pregiudizio irreparabile che, nelle more del giudizio di merito, colpirebbe l'interesse fatto valere; c) se la pretesa appaia, sia
pure ad un giudizio sommario, non priva di probabilità di
accoglimento nel futuro giudizio di merito; ritenuto quanto al punto sub a) che non può esservi dubbio
che la ricorrente sia portatrice di un diritto soggettivo, perché: I/o) le emissioni radiotelevisive che la p.a. intende vietare sono il mezzo con cui la ricorrente gestisce una impresa commerciale, attività, questa, il cui esercizio costituisce un diritto soggettivo ai sensi dell'art. 41 Cost., ed inoltre sono il mezzo con cui la ricorrente notoriamente manifesta il proprio pensiero, con notizia
ri, programmi di attualità politica, ecc. attività, anche questa, il cui libero esercizio è non solo un diritto soggettivo ai sensi dell'art. 21 Cost., ma è addirittura uno dei pilastri su cui la Costituzione si fonda; 2/a) tale attività, poi, non si pone in contrasto né con l'utilità generale, né con specifiche norme
limitatrici, e ciò dal momento che la Corte costituzionale, con
ripetute pronunzie, si è espressa nel senso che l'utilità generale non corre alcun pericolo per il fatto che i cittadini diffondano,
programmi televisivi in ambito locale, ed ha dichiarato incostitu
zionali le norme che tale diffusione, nel predetto ambito, vietavano;
3/a) che alla luce delle citate pronunzie della Corte costituziona
le, sembra arduo sostenere (Cass. 3 dicembre 1984, n. 6337, Foro
it., 1984, I, 2953) la insussistenza di un diritto soggettivo da parte del privato cittadino in tal materia, a cagione della pretesa
sopravvivenza di norme che, viceversa, si presentano chiaramente
collegate con il sistema monopolistico in vigore prima di detta
sentenza; e ciò massime ove ulteriormente si considerino gli effetti sulla materia della recentissima 1. n. 10/85 che, col
consentire espressamente, senz'uopo di autorizzazione alcuna, l'at
tività delle emittenti radiotelevisive private già operanti all'ottobre
1984, ha incontestabilmente sottratto tale attività al regime della
autorizzazione, ove pure tale regime avesse resistito alle citate
pronunzie della Corte costituzionale;
ritenuto quanto al punto b) che la pronunzia di un provvedi mento amministrativo affievolisce il diritto soggettivo che ne sia
oggetto nei soli casi in cui nella p.a. sussista il potere di emanare
quel provvedimento (Cass., sez. un., 9 marzo 1983, n. 1754, id.,
Rep. 1983, voce Espropriazione per p.i., n. 272) e ritenuto altresì
che nella specie si verta ito ipotesi di carenza di potere perché:
1/b) la p.a. ha espressamente fondato il proprio provvedimento di
disattivazione dell'impianto, di cui qui si discute, sull'art. 240 del codice postale (d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156). Tale articolo consente alla p.a. in presenza di « disturbi ed interferenze » alle
telecomunicazioni, di procedere coattivamente alla disattivazione
dell'impianto che di tali disturbi ed interferenze sia responsabile.
Orbene, anche a voler prescindere dalla questione circa l'applica bilità di tale articolo a fattispecie e non previste né prevedibili dal legislatore del 1973 (in senso contrario alla applicabilità Pret.
Bologna, ord. 22 febbraio 1983, id., 1985, II, 1833), osta al riconosci mento del potere della pja. di emanaire il ricordato provvedimento di disattivazione il fatto che è impossibile qualificare « disturbo
od interferenza di telecomunicazioni una attività che, i privato
svolge, come nella fattispecie, nell'esercizio di un potere ricono
sciutogli dalla citata 1. n. 10/85; 2/6) sostiene infatti la ricorren
te, ed è fatto notorio, che le sue emissioni si svolgono pacifica mente dal 1981, e, quindi, la ricorrente stessa ha un incontestabile diritto d'i continuare in tale attività; giusta quanto espressamente le riconosce la citata 1. n. 10/85, secondo cui: « è consentita la
prosecuzione dell'attività delle singole emittenti radiotelevisive pri vate con gli impianti di radiodiffusione già in funzione alla data
del 1° ottobre 1984» (art. 3). ritenuto quanto al punto sub c) che la ricorrente ha chiesto la
sospensione provvisoria, in attesa dell'esito del giudizio di merito, dell'esecuzione dell'ordine di) disattivazione 18 febbraio 1985
del circolo costruzioni T.T. di Ancona e che non è inibito a
questa autorità giudiziaria di emettere una pronunzia che incida
sull'esecuzione di tale atto amministrativo dal momento che, come
dimostrato sub 1/b e 2/6), la p.a. è carente di potere in modo
assoluto alla emissione del provvedimento ex art. 240 d.p.r. n.
156/73 e, di conseguenza, non è operante il divieto di cui all'art.
4 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E; ritenuto quanto al punto sub d) che il periculum in mora
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1835 PARTE PRIMA 1836
risulta evidente, sol che si consideri che la società ricorrente vive delle entrate che le provengono dalla pubblicità commerciale, e la interruzione delle trasmissioni per tutto il tempo necessario ad un normale giudizio, ne provocherebbe inevitabilmente il dissesto;
ritenuto quanto al punto e) che valgono le considerazioni svolte sub 1 /b e 2/6, cuii è opportuno aggiungere che: 1/e) accertato che la ricorrente usa di un diritto riconosciutole dalla
citata 1. n. 10/85 sembra potersi escludere che si trovi tuttavia nella situazione prevista dall'ultima parte dell'art. 3, e cioè che le sue emissioni determinano « situazioni di incompatibilità con i
pubblici servizi ». Infatti, posto che la ricorrente medesima, come
sopra detto, da vari anni irradia i suoi programmi senza interferi re col servizio pubblico, e che solo da qualche mese si sarebbero verificate tali interferenze, devesi ritenere che l'incompatibilità si sia verificata per l'attivazione di un nuovo impianto della società
pubblica concessionaria, la quale nel fare ciò avrebbe peraltro agito sia in violazione dell'art. 12 della convenzione di concessio ne del pubblico servizio (d.p.r. 10 agosto 1981 n. 521) togliendo completamente spazio ad una emittente privata che pacificamente se ne serviva da più anni, mentre avrebbe dovuto viceversa assicurarle adeguato spazio secondo quell'artìcolo, sia firn viola zione del principio sancito dall'art. 2 1. n. 10/85, secondo cui nel
gestire il sistema radiotelevisivo « lo Stato si informa ai principi di libertà di manifestazione del pensiero e di pluralismo dettati dalla Costituzione per realizzare un sistema misto di emittenza
pubblica e privata; 2/é) sicuramente sussisterebbe violazione di
tal principio, ove fosse consentito all'ente, gestore del servizio
pubblico di sistemare impianti ovunque ritenesse, e poi lamentare
l'incompatibilità con emittenti private esistenti ed ottenere la
soppressione di queste ultime, perché il tal modo non avrebbe
alcuna tutela l'emittenza privata che, viceversa, come sopra am
piamente si è riportato, accanto al servizio pubblico, gode e deve
godere di un adeguato spazio in virtù della legge e della
Costituzione.
Per questi motivi, sospende provvisoriamente l'esecuzione del
provvedimento in data 18 febbraio 1985 emesso nei confronti
della ricorrente dal direttore del circolo costruzioni T.T. di
Ancona e fissa per la comparizione delle parti dinanzi a sé al
fine della conferma o revoca del presente provvedimento la udienza del 3 aprile 1985 ore 10 con termine per la notifica al 15
marzo 1985.
II
La valutazione della possibilità ed opportunità di confermare o
meno il provvedimento emesso in via provvisoria ed urgente e
con il quale si ordinava la sospensione di ogni attività diretta a
conseguire la disattivazione dell'impianto di radiodiffusione di
cui al ricorso disposta con provvedimento amministrativo che il
direttore del circolo costruzioni T.T. di Bologna ha ritenuto di
poter emettere, presuppone considerazioni sommarie ma pregiudi ziali e rilevanti sulla giurisdizione di questo ufficio ad emettere il provvedimento di cui si tratta e dell'a.g.o. a conoscere della causa di merito alla quale esso prelude. L'asserito difetto di
giurisdizione di questo ufficio e dell'a.g.o. è d'altra parte il
principale, per non dire unico, motivo di contestazione del
provvedimento emesso, da parte della convenuta p.a. rappresenta ta dall'avvocatura dello Stato.
Va preliminarmente precisato che questo ufficio non ritiene di
poter condividere l'opmiilone recentemente peraltro fatta propria da una pairte della giurisprudenza di merito, secondo cui, iin
considerazione della inesistenza di adeguati mezzi di tutela degli interessi dei cittadini in via cautelare ed urgente dinanzi agli
organi di giustizia amministrativa, sarebbe possibile all'a.g.o. adot
tare provvedimenti di urgenza ex art. 700 anche in materia
riservata nel merito alla giurisdizione del giudice amministrativo.
La erroneità di tale opinione appare evidente se si consideri
che il provvedimento di urgenza può anticipare taluni effetti di
una probabile decisione di merito ma non può superare i limiti
della stessa e che esso si configura come una fase iniziale di un
provvedimento che dovrà seguirli ed in relazione al quale inoltre
il giudice dell'urgenza, deve esprimere un sommario giudizio di
fondatezza del tutto inconcepibile per materie sottratte alla sua
giurisdizione. La sussistenza della giurisdizione di questo ufficio in relazione
alla domanda proposta presuppone quindi necessariamente il
riconoscimento della giurisdizione dell'a.g.o. in relazione alla
causa di merito che all'emittendo provvedimento dovrà conse
guire. Ciò premesso deve però ritenersi per le ragioni che si espor
ranno che la giurisdizione dell'a.g.o., e per quanto attiene alla
Il Foro Italiano — 1985.
fase di urgenza la giurisdizione e la competenza di questo ufficio,
sussistono in ordine alle domande proposte perché il diritto del
quale si chiede la tutela è un diritto soggettivo. Per chiarire
questo pregiudiziale ed essenziale aspetto della controversia va
innanzi tutto considerato che l'attività di trasmissione radiotele
visiva si attua e concreta con l'attivazione di impianti ed appa recchiature che, utilizzando una particolare entità naturale deno
minata « campo elettromagnetico » e provocando perturbazioni nello stesso, trasmettono suoni ed immagini, a chiunque disponga, entro certi limiti territoriali, di un apparecchio idoneo a riceverli.
Tali perturbazioni vengono definite « onde » in analogia con le
onde sonore che sono a loro volta nient'altro che perturbazioni meccanicamente provocate in un fluido (liquido o gassoso). Poi
ché la tecnologia ha elaborato sistemi che consentono di utilizza
re precise e predeterminate « onde » di una certa lunghezza o
frequenza, è possibile che nello stesso ambito territoriale siano
separatamente emesse e separatamente ricevute diverse trasmis
sioni.
A ciò si riferiscono ed alludono i correnti termini di « canali »
e « frequenze ».
Tale sommaria ed empirica esposizione è sufficiente a chiarire
perché I « campo elettromagnetico », i « canali o frequenze » e
tutto ciò che costituisce il presupposto naturale necessario perché si realizzi una trasmissione radio-televisiva, non solo, come è
pacifico, non è certamente compreso tra i beni che l'art. 822 c.c.
indica come appartenenti al « demanio pubblico », ma non po trebbe in nessun caso farne parte nemmeno in via di estensione di
tale norma, poiché trattasi di realtà non definibili come « beni »
ai sensi dell'art. 810 c.c.
Da ciò consegue che i diritti di chi esercita una impresa nel
campo delle radio-telecomunicazioni non possono ritenersi come
originariamente e necessariamente affievoliti e trasformati in inte
ressi legittimi in relazione alla natura e qualità del mezzo o
fenomeno naturale che detta impresa utilizza (campo elettroma
gnetico) come invece certamente avviene per quelle imprese che
presuppongono la utilizzazione del lido del mare o delle acque di
un fiume o di ogni altro bene appartenente al demanio.
Fatta questa premessa va in via generale ricordato che l'art. 41
Cost., stabilendo che « l'MMzfiativa economica privata è libera »,
attribuisce a tutti i cittadini il diritto di intraprendere ed esercita
re liberamente, senza necessità di preventive autorizzazioni e
licenze, qualsiasi attività nel campo della produzione e commer
cializzazione di beni e servizi.
Tale generale principio viene condizionato e limitato dai suc
cessivi due comma dell'art. 41 predetto con i quali si attribuisce
al legislatore il potere di assoggettare d'attività economica a
programmi e controlli che la indirizzano a fini sociali. Perchè
quindi il generale diritto soggettivo perfetto di libera intrapresa
economica si affievolisca a mero interesse legittimo, come sostan
zialmente previsto e consentito dal 3° comma dell'art. 41 è
necessario che una legge abbia fissato per la specifica attività di
cui si tratta limiti e condizioni e che tali limiti e condizioni
corrispondano effettivamente a concrete necessità sociali e siano
quindi costituzionalmente legittimi.
La 1. 14 aprile 1975 n. 103, ricalcando peraltro per questo
aspetto la precedente legislazione, aveva ritenuto di potere regola
re la materia che qui interessa, riservando monopolisticamente allo Stato l'esercizio della diffusione via etere di programmi radiofonici e televisivi.
Tale legge era stata emanata anche per la necessità di prendere atto di precedenti decisioni della Corte costituzionale (sent. 225 e
226/74, Foro it., 1974, I, 1945) che, sulla via del graduale riconoscimento del diritto di libera impresa radiotelevisiva e di
libera espressione del pensiero e trasmissione della cultura con
questo mezzo, aveva abrogato gli art. 1-183 e 195 del t.u. 29
marzo 1973 n. 156.
Tali articoli venivano infatti sostituiti dall'art. 45 1. 14 aprile 1975 ma la successiva sent. n. 202/76 (id., 1976, I, 2066) emessa
dalla Corte costituzionale abrogava anche tale articolo, unitamen
te agli art. 1 e 2 della stessa legge « nella parte in cui non sono
consentiti, previa autorizzazione statale e nei sensi di cui alla
motivazione, l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione
radiofonica e televisiva via etere, di portata non eccedente l'ambi
to locale ».
Con la predetta sentenza veniva anche dichiarata la illegittimità dell'art. 14 1. 103/75.
La abrogazione di tali norme ha chiaramente fatto venire meno lo strumento legislativo che aveva sostanzialmente soppresso il
generale diritto di libera iniziativa imprenditoriale nel campo delle emissioni radiotelevisive.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La sentenza ha anche delineato i limiti nei quali tale diritto di
libera impresa avrebbero potuto essere legittimamente commesso e limitato e quindi « affievolito » auspicando altresì un intervento in tal senso ed in tali limiti del legislatore.
È peraltro altrettanto certo che un simile intervento non vi è
stato almeno fino al recente d.l. 6 dicembre 1984 n. 807 ora
convertito in legge ed al quale si farà cenno in seguito.
Conseguenza ovvia e necessaria in base alle premesse che si sono fatte è che, venuta meno la norma che affievoliva (ed anzi
escludeva) il diritto di libera impresa nel settore, tale diritto ha
ripreso vigore e validità nella pienezza ed integrità dei suoi
termini.
Della ovvietà e necessità di tale conseguenza è stato sempre
consapevole il legislatore, che in diversi provvedimenti si mostra
conscio della esistenza ed in qualche misura tutore delle imprese
private esercenti teleradiotrasmissioni.
A questo punto appaiono puntuali i riferimenti che la difesa
della ricorrente fa a varie disposizioni e le argomentazioni ed i
richiami contenuti nel provvedimento in diata 11 novembre 1984, in causa Video Spazio International c. Circostel di' Firenze (id.,
1985, I, 1833), emesso dal Pretore di Firenze e prodotto in copia, cosicché appare superflua una specifica trattazione.
Eguale consapevolezza ha mostrato e mostra il giudice costitu
zionale che infatti, trattando, sia pure incidentalmente, il proble ma sulla motivazione di una diversa recente decisione (30 luglio 1984, n. 237, id., 1984, I, 2049) precisa: « quest'ultima sentenza
(la 202/76) ha dunque riconosciuto il diritto d'iniziativa privato
per l'installazione e l'esercizio di impianti per le trasmissioni via
etere di programmi .radiofonici e televisivi su scala locale ».
Nel riconoscere un tale diritto la corte ha però affermato anche
la necessità dell'intervento del legislatore perché stabilisce l'orga no dell'amministrazione centrale dello Stato competente a prov vedere all'assegnazione delle frequenze ed all'effettuazione dei
conseguenti controlli e fissi le condizioni che consentono l'auto
rizzazione all'esercizio di tale diritto in modo che questo si
armonizzi e non contrasti con il preminente interesse generale e
si svolga sempre nel rigoroso rispetto dei doveri ed obblighi anche internazionali conformi a Costituzione ».
Più avanti la stessa sentenza precisa « la trasmissione via etere
su scala locale, esercitata da privati per effetto della citata sent.
202/76 è assolutamente libera nel senso che si svolge in regime
di totale carenza legislativa ».
Solo la Cassazione ha finora rifiutato di recepire e prendere atto di questa lapalissiana e semplice realtà ed in diverse senten
ze, anche recenti, probabilmente nell'ambito di quello spirito di
supplenza che spesso a ragione (ma qualche volta a torto) la
giurisprudenza ha sviluppato nei confronti di un potere legislativo che è, o sembra essere, disattento, approssimativo, troppo lento o
latitante, ha ritenuto di poter seguire una terza via tea le tesi
definite opposte della totale (anche se temporanea) libertà di
impresa radiotelevisiva ed invece quella della asserita mera pro
grammaticità della decisione assunta dalla Corte costituzionale
che potrebbe diventare operativa solo a seguito della emanazione
da parte del legislatore di una normativa che regoli la attribuzio
ne ai privati di licenze ed autorizzazioni per l'esercizio di tali
attività.
Il Supremo collegio esplicitamente riconosce la infondatezza di
tale tesi che porterebbe alla conclusione che il contenuto precet tivo contenuto nella decisione della Corte costituzionale risulte
rebbe « vano e mistificatore se fosse consentito al legislatore ordinario di rinviare indefinitivamente l'attuazione ».
La corte ritiene però anche di non poter aderire alla contrap
posta tesi della totale attuale libertà di impresa radiotelevisiva
ritenendola non compatibile con gli interessi generali e con il
sistema giuridico per i motivi che la Corte costituzionale ha
ritenuto idonei a legittimare una legislazione limitatrice ed auto
rizzativa (ma non preclusiva) nei confronti di tali imprese e cerca
di ipotizzare una terza soluzione che considera intermedia e
risolutrice del contrasto, sforzandosi di desumere dalle leggi esistenti uno schema normativo che corrisponda al sistema di tipo
autorizzativo che la Corte costituzionale ha considerato possibile
e legittimo.
La logica e la tecnica di tale presunta soluzione del problema
viene cosi esplicitata dalla sent. 1° ottobre 1980, n. 5336 (id.,
1980, I, 2391) pronunciata a sezioni unite della Cassazione e della
quale a questo ufficio è nota la motivazione: « ora nella specie è
ben possibile enucleare dall'ordinamento disposizioni che, sebbene
dettate con riferimento a fattispecie distinte (ma non del tutto
dissimili) da quella in esame, sono anche ad essa applicabili per
la loro portata ampia, per la loro ratio e per i principi generali
Il Foro Italiano — 1985.
da esse sottesi. E tali dlisposlizionii, opportunamente interpretate e
coordinate, integrano in sostanza un quadro normativo che risulta
in armonia con i principi ed i criteri applicativi formulati dalla
Corte costituziionale e che permette d'i dare una esauriente soluzio
ne ai problemi suscitati da quella pronuncia ed in parte dibattuti:
nella presente controversia».
A tale enunciazione di principio il Supremo collegio fa seguire un accurato esame di norme diverse il cui collage sarebbe ad avviso della predetta oorte idoneo a configurare uo sistema normativo
idoneo allo scopo che si proponeva di conseguire. Tale operazione appare però giuridicamente infondata, costitu
zionalmente illegittima e concretamente improduttiva e quindi in
ogni caso non condivisibile da parte di questo ufficio.
Essa appare giuridicamente infondata perché presuppone un
uso degli strumenti della interpretazione analogica ed estensiva
estraneo alla logica ed alle legittime possibilità operative ad essi
riconoscibili.
Con tali strumenti è infatti certamente possibile colmare vuoti
normativi, affrontare e risolvere problemi e fattispecie non espres samente previsti e regolamentati ma sempre in coerenza e nel
l'ambito di una sicura ed identificabile intenzione del legislatore, e coerentemente ad un sistema normativo che ne sia manifesta
testimonianza ed espressione. Nel caso di specie invece il sistema normativo precedente alla
sent. 202/76 della Corte costituzionale era predisposto e struttura
to all'espresso e dichiarato fine di riservare allo Stato l'esercizio
delle radiotelecomunicazioni via etere. In nessuna delle norme
predette poteva quindi ritenersi implicita e contenuta la volontà del legislatore di regolamentare in senso positivo la concessione a
privati di autorizzazioni a trasmettere via etere immagini o suoni.
Ipotizzare che, soppresse le norme che direttamente sancivano il
monopolio statale di tale settore, quelle residue possono essere in
terpretate come idonee a regolamentare un sistema autorizzativo,
presuppone la invenzione di una volontà del legislatore mai in tal
senso espressa o manifestata ed è quindi certamente estranea ad
ogni possibile applicazione degli strumenti di mera interpretazione delle norme esistenti.
Una simile tesi appare anche quindi certamente costituzional
mente illegittima, poiché si concreta in un chiaro travalicamento dei poteri di interpretazione della norma propri del potere
giudiziario ed in una invasione del potere legislativo che non può essere considerata praticabile e legittima nemmeno se riferita al
giudice costituzionale. È infatti ovvio che la Corte costituzionale
ipotizzando lo schema di un sistema autorizzativo non ha e non ha inteso costituire una disciplina alternativa a quella che veniva
abrogata, ma solo indicare al legislatore, al quale unicamente
competeva e compete l'onere ed il potere relativo, quali erano e sono i limiti di costituzionalità che la nuova normativa avrebbe
dovuto rispettare ed entro i quali quindi la discrezionalità politi ca avrebbe potuto e dovuto fare le sue scelte.
La tesi secondo cui lo schema di legittimità individuato dalla Corte costituzionale potrebbe costituire uno scheletro che, rim
polpato dall'interprete con il tessuto di varie norme esistenti e con altre operazioni di plastica ricostruttiva e senza l'intervento del legislatore sia in grado di costituire un nuovo sistema norma
tivo valido e funzionante, appare costituzionalmente aberrante. Giustamente la Corte costituzionale non la prende in considera
zione, tranquillamente riconoscendo che a seguito delle abroga zioni operate dalla sentenza 202/76 ed in assenza di successivi interventi del legislatore la trasmissione via etere su scala locale
deve intendersi « assolutamente libera nel senso che si svolge in
regime di totale carenza legislativa » (sentenza citata). Va inoltre considerato che se pure per assurdo la formulazione
ipotizzata dalla Suprema corte avesse caratteri di legittimità e fondatezza essa sarebbe concretamente improduttiva poiché la struttura di un sistema autorizzativo non può operativamente attuarsi con la mera identificazione di poteri e di organi ai quali attribuirli poiché solo la concreta definizione di modalità, condi
zioni, termini e caratteristiche considerando i quali tali poteri devono attivarsi ed operare, può consentire il funzionamento del
meccanismo e tutto ciò il più volenteroso e fantasioso degli
interpreti non è in grado di' crearlo.
Cosi ad esempio se pure fosse vero che, come sostiene il
Supremo collegio e con riferimento all'art. 1, 2° comma, cod. post, cosi come modificato dall'art. 45 1. 103/75, « all'autorizzazione
prescritta per gli impianti di diffusione via cavo e per i ripetitori privati (lett. a e b) deve ora intendersi soggetta per identità di
ratio ed in funzione del criterio dell'analogia anche l'esercizio di emittenti private in ambito locale » ed ammettendo anche per assurdo che il ministro competente sia convinto della esistenza dei poteri che secondo il Supremo collegio gli sarebbero attribuiti,
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1839 PARTE PRIMA 1840
è però egualmente certo che in assenza della definizione di
criteri, parametri e condizioni specifiche egli non sarebbe in
grado di esercitare positivamente tali poteri. Egli non potrebbe tali criteri, parametri e condizioni dedurli in via analogica da
quelli fissati per diverse fattispecie caratterizzate da diverse
esigenze e condizioni operative e quindi in realtà egli non
potrebbe, come infatti è avvenuto, rilasciare alcuna licenza od
autorizzazione.
Deve quindi concludersi che il risultato concreto al quale l'edificio interpretativo immaginato dal Supremo collegio conduce è
identico a quello a cui conduce la tesi della mera programmatici tà della pronuncia della Corte csotituzionale, che pure il Supremo
collegio ha espressamente considerato e dichiarato inaccettabile.
Per tutte le ragioni sopra espresse questo giudice ritiene di non
poter aderire alla opinione pur autorevolmente espressa dal
Supremo collegio.
Conclusione ovvia e necessaria di tutto quanto sopra esposto è la convinzione di questo ufficio che nella attuale situazione
normativa l'esercizio di una impresa di teleradiocomunicazioni si
configura come esercizio di un diritto soggettivo perfetto dell'e
sercente e come tale è tutelabile in via generale anche nei confronti della p.a.
Va a questo punto però considerato un ulteriore aspetto del
problema. È infatti pacifico che anche un diritto soggettivo originariamen
te perfetto può essere affievolito da un idoneo provvedimento emesso dalla p.a. e nel caso di specie deve quindi considerarsi se il provvedimento emesso dal direttore del circolo costruzioni di
Bologna, contenente l'ordine di disattivazione dell'impianto di
proprietà del ricorrente relativamente alla specifica frequenza di
cui al ricorso sia o meno idoneo a determinare l'affievolimento
del diritto soggettivo di cui si tratta. L'esame di questo aspetto del problema importerà anche necessariamente considerazioni in
ordine alla fondatezza del ricorso nel merito.
Ciò premesso va considerato che perché un atto amministrativo
possa determinare l'effetto di affievolire un diritto soggettivo è
necessario che un simile potere sia dal legislatore attribuito in
specifiche circostanze alla p.a. e che il provvedimento emesso sia
contenuto nei limiti estrinseci del potere attribuito. È poi anche
ovviamente necessario che il provvedimento sia legittimo sotto il
profilo procedurale e di merito, ma ciò attiene alla tutela del
diritto ormai affievolito e divenuto interesse legittimo.
Nel caso di specie deve però ritenersi che non si configuri affievolimento del diritto soggettivo di cui si tratta perché il
potere relativo non risulta essere stato attribuito dalla legge alla
p.a. e comunque perché il provvedimento è stato emesso con
chiaro travalicamento dei poteri che in ogni caso potrebbero ritenersi conferiti con la norma alla quale si ritiene di potere fare
riferimento.
Tale norma è l'art. 240 d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156 che
attribuisce ai diretori dei circoli delle costruzioni telegrafiche ed
ai capi degli ispettorati di zona dell'azienda di Stato per i servizi telefonici il potere di « provvedere direttamente in via ammini strativa » nei confronti di chi arreca disturbi o causa interferenze
alle comunicazioni ed alle opere ad essa inerenti. Tale norma
però certamente non poteva riferirsi a disturbi ed interferenze
derivanti da altre emittenti radiotelevisive poiché essa è inserita
in un sistema normativo nel quale la esistenza di tali emittenti
era espressamente preclusa e vietata. In base ai principi generali non sembra possibile ritenere che la sopravvenuta possibilità ed
esistenza di tali emittenti legittimi una interpretazione estensiva
della norma di cui si tratta poiché ogni norma che attribuisca
alla p.a. il potere di diretto intervento e quindi di affievolimento
nei confronti dei diritti soggettivi dei cittadini, ha carattere di
eccezionalità e quindi non si applica oltre i casi ed i tempi in
essa considerati (art. 14 preleggi).
Il legislatore è perfettamente consapevole di ciò ed infatti in
relazione alla grave ed evidente necessità di intervenire in merito
alla sicurezza dei voli con la 1. 8 aprile 1983 non ha affatto
previsto che l'amministrazione delle poste potesse agire nei con
fronti degli impianti di telecomunicazioni che emettono segnali idonei a disturbare i servizi di radiotelevisione applicando l'art. 240
cod. post., mia ha invece giustamente ritenuto necessario con gli art. 3 e 4 attribuirne alla p.a. specifici poteri, con 11 riconoscimento
di particolari garanzie e modalità <351 tutela dei diritti ded privato. Va inoltre considerato che, se pure fosse possibile, contro ogni
evidenza, ritenere che l'art. 240 attribuisce alla p.a. un potere di
intervento diretto in via amministrativa anche nei confronti di
impianti privati esercenti la propria attività nel campo delle
telecomunicazioni, presupposto estrinseco della legittimità di tale
Il Foro Italiano — 1985.
intervento è la esistenza di interferenze nei confronti delle
telecomunicazioni.
È invece assolutamente certo e pacifico che il provvedimento nei confronti del quale il ricorso è stato proposto non fa alcun
riferimento ad interferenze da parte dell'impianto gestito dal
ricorrente nei confronti di altro impianto di telecomunicazioni, ovviamente di pubblico interesse, concretamente esistente ed ope rante ed è motivato invece dalla semplice affermazione che
l'impianto utilizza frequenze che il piano nazionale della riparti zione assegna ad altri fini e funzioni. Il ricorrente contesta nel
merito tale assunto e sostiene invece che la frequenza di cui si
tratta è o può essere destinata all'uso della radioemittenza privata. A prescindere però da ogni considerazione di merito che
appare in questa sede estranea risulta evidente il chiaro travali
camento dei poteri attribuiti alla p.a. anche in relazione ad una
ipotetica interpretazione estensiva della norma di cui all'art. 240
predetto che comunque non consentirebbe intervieniti diretti della
p.a. al di fuori delle ipotesi di accertare ed individuate interfe
renze. Pertanto in base ai principi convalidati e giurisprudenzia lmente pacifici, ne consegue la inidoneità di un simile atto
amministrativo ed essere fonte e presupposto di affievolimento dei
diritti soggettivi nei confronti dei quali è diretto il provvedimento medesimo.
Va a questo punto preso atto e considerata anche la incidenza del sopravvenuto d.l. 6 dicembre 1984 n. 807 ora trasformato in
legge. Esso costituisce con l'art. 1 nei suoi vari comma ed in
specie 1-2 e 5 una prima esplicita manifestazione, successiva alla sent. 202/76, della volontà del legislatore di istituire un sistema di emittenza radiotelevisiva misto, pubblico e privato e di
regolamentare, nell'ambito di un sistema autorizzativo, la emitten za privata.
Tale norma ha però chiaramente un valore di affermazione di
principio e di impostazione programmatica in quanto rinvia alla « legge generale sul sistema radioteleviso » di futura emissione
(come esplioitamente chiarisce anche l'art. 3) la instaurazione del
predetto sistema autorizzativo. Essa pertanto non costituisce per ora un superamento della problematica di cui sopra ma consente alcune rilevanti considerazioni.
Con la norma predetta il legislatore nuovamente chiarisce in modo esplicito ed incontrovertibile che il sistema autorizzativo che il Supremo collegio ha ritenuto di poter dedurre in via
interpretativa dalle leggi in vigore in realtà non esiste e che la sua promulgazione costituisce solo un futuro, anche se preciso, impegno del legislatore stesso.
Riconosce altrettanto esplicitamente in assenza di tale sistema la legittimità dell'attività delle emittenti radiotelevisive già in
funzione con il solo limite della incompatibilità con i pubblici servizi che è concetto diverso dalla mera interferenza ed a
maggior ragione della semplice asserita utilizzazione di fre
quenze destinate ad altri usi. Fa infatti riferimento al piano nazionale di assegnazione delle frequenze (art. 2) ma solo con
riferimento all'attuazione del futuro sistema autorizzativo e senza
immediata incidenza su quanto stabilito in via transitoria con l'art. 3.
Pone come unico limite anticipativo del futuro sistema autoriz
zativo, quello dell'effettifvo esercizio dell'attività alla data del 1°
ottobre 1984.
Ne consegue la ancor più certa ed evidente illegittimità del
provvedimento oggetto del ricorso che certamente non ipotizza nemmeno la esistenza di una « incompatibilità con i pubblici servizi». Tale illegittimità è certamente attinente, per le già
esposte ragioni, alla carenza del potere che la p.a. ha ritenuto di
poter esercitare e comunque a totale assenza dei presupposti per il suo esercizio e pertanto deve sotto questo profilo ritenersi certamente sussistente la giurisdizione dell'a.g.o. e la competenza di questo ufficio ai fini della disapplicazione dell'atto illegittimo.
Va anche considerato che il riconoscimento di tale competenza non esclude affatto la possibile concorrente competenza del giudi ce amministrativo per altri fini (valutazione nel merito del
provvedimento opposto) ed altri scopi (annullamento e non mere
disposizioni dirette alla sua disapplicazione). Deve quindi concludersi che si configurano motivi idonei a
ritenere sussistente il fumus boni iuris e cioè la fondatezza della
domanda che si ha intenzione di proporre e, essendo pacifica la
sussistenza degli altri elementi legittimanti ed in specie quello della irreparabilità del danno, appare opportuna e legittima la
conferma del provvedimento già emesso in via immediata e
provvisoria. La ricorrente Valsambro oltre a proporre domanda di tutela ex
art. 700 c.p.c. per quanto attiene al provvedimento emesso dal
Circostel di Bologna con riferimento al trasmettitore sito in
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
località monte Oggioni ed operante sul cosiddetto canale 68 UHF
'corrispondente a MHZ 846-884 ha proposto domanda di reintegra nei confronti dello stesso Circostel assumendo di aver subito, a
seguito di precedente analogo provvedimento, lo spoglio di altro
proprio impianto installato in località Beverara-Corticella ed ope rante sul cosiddetto canale 37 UHF.
Benché però appare evidente che il predetto provvedimento della p.a. era da ritenersi viziato dagli stessi motivi di illegittimità che sono stati riconosciuti con riferimento all'altra domanda
proposta, non appare possibile ritenere che nell'attività della p.a. che ne è conseguita siano configuragli gli estremi della violenza
o clandestinità che unicamente caratterizzano lo « spoglio » tute
labile con le azioni previste dagli art. 703 ss. c.p.c. Deve quindi ritenersi che le ragioni della ricorrente a questo
proposito potranno trovare tutela solo dinanzi al giudice di
merito sia per quanto attiene alla disapplicazione del provvedi mento illegittimamente emesso ed eseguito sia per quanto attiene
al risarcimento del danno.
Ili
Visti gli atti e sciogliendo la riserva formulata sulla domanda
di parte ricorrente espressamente limitata nei soli confronti del
Circostel Firenze, rileva ed osserva quanto segue. A) Con provvedimento n. 261 del 20 aprile 1984 il Circostel di
Firenze, richiamandosi ai poteri attribuitigli dall'art. 240 cod.
post., ordinava ila disattivazione dell "impianto trasmittente delle
emittenti Video Spezia International, ubicato in località S. Lucia
ed operante sul canale 69 UHF. Il provvedimento era giustificato dal rilievo che tale canale ricade nella banda 838-882 MHZ, che
si afferma essere stata assegnata al ministero della difesa per il
servizio fìsso ed al ministero p.t. per il servizio di radiodiffusione,
previo, coordinamento tecnico preventivo fra il ministero p.t. e il
ministero difesa.
B) Il potere di procedere in via amministrativa che l'art. 240
codice postale, richiamato dal Circostel Firenze, riconosce all'am
ministrazione risulta espressamente subordinato alla esistenza di « disturbi o interferenze alle telecomunicazioni ed alle opere ad
esse inerenti ».
Nella specie, nel provvedimento qui considerato, nulla viene
precisato o dedotto in ordine all'esistenza di disturbi o interferen
ze addebitabili alla società ricorrente.
Va rilevato inoltre che con la recente 1. 18 aprile 1983 n. 110
viene fatto obbligo all'amministrazione dell'osservanza di parti colari procedure prima di procedere alla disattivazione di ufficio
di impianti di telecomunicazioni e ciò pur in presenza di situa
zioni tali da compromettere il funzionamento dei servizi di
radionavigazione e la sicurezza delle operazioni di volo.
In particolare viene fatto obbligo all'amministrazione di esegui
re particolari controlli e verifiche con l'intervento di organi
tecnici, di assicurare un contraddittorio col titolare dell'impianto
cui si addebitano interferenze dannose e di far precedere la
disattivazione da una specifica diffida.
La normativa di cui alla 1. n. 110/83, se da un lato introduce
specifiche garanzie in ordine allo svolgimento dell'attività ammi
nistrativa nel settore (e, come tale, non può non ritenersi mo
dificativa della norma di cui all'art. 240 codice postale emanata
con d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156), d'altro canto dà significativa
conferma che il potere di intervento (e nella specie di disattiva
re impianti esistenti) viene riconosciuto alla p.a. solo in presenza di disturbi o di interferenze ad essi addebitabili.
Nel caso in esame non risultano osservate le procedure pre
scritte dalla 1. n. 110/83 che ben può ritenersi di portata generale
giacché, se obbligatorie per la p.a. per l'intervento a tutela di
situazioni di eccezionale importanza per la collettività (protezione dell'assistenza e sicurezza del volo), tali procedure debbono a
maggior ragione essere osservate anche nell'ipotesi di intervento
in situazioni di minore rilievo.
Ma oltre che di « scorretto uso del potere », ben può farsi
questioni nella specie di « inesistenza » del potere, giacché non
risulta nemmeno precisata o dedotta l'esistenza di disturbi o
interferenze cui la legge subordina e condiziona il potere di
intervento della p.a.
C) Né appare sufficiente a tal fine dare rilievo alla utilizzazio
ne, da parte della emittente ricorrente, delle bande di frequenza
menzionate nel provvedimento preso in esame.
Il richiamo alle disposizioni contenute nel « piano nazionale di
ripartizione delle radiofrequenze » di cui al d.m. 31 gennaio 1983
potrebbe in verità avere portata decisiva (anche allo scopo di
inferirne, anche in via indiretta, un principio di prova circa
l'esistenza di « disturbi o interferenze ») ove avesse luogo con
Il Foro Italiano — 1985.
riferimento a bande di frequenza assegnate in via esclusiva ad altri soggetti.
Ma tale non è la situazione di specie. Come è infatti precisato nella nota n. 9 con riferimento alle
bande di frequenza 838-862 MHZ (menzionate nel provvedimento in esame), è espressamente previsto che tali frequenze siano
utilizzate dal ministero p.t. per la definizione dei piani di
assegnazione alle stazioni di radiodiffusione televisiva pubbliche e
private. Ed inoltre che, sino alla definizione di tali piani, l'utiliz zazione delle bande in oggetto da parte delle stazioni private sia
vincolata alla compatibilità — da accertarsi dal ministero p.t. —
con le assegnazioni di frequenze alle stazioni del servizio pubbli co nazionale.
E inoltre, ancora, in base alla nota 44 contenuta nell'introdu zione generale al piano, specificamente si prescrive che « quando una banda di frequenza è attribuita a più servizi o per un
servizio sono previsti più utilizzatori, non vi sono ordini di
priorità fra gli stessi, a meno di esplicita nota contraria con
apposita nota.
Nel caso di utilizzatori di una stessa banda di frequenze il ministero p.t. effettua il coordinamento tecnico ».
Nella specie non risulta che il ministero p.t. abbia definito i
piani per l'assegnazione delle frequenze alle stazioni pubbliche e
private esplicitamente facoltizzate a servirsi delle bande in discus
sione, né che abbia formulato valutazioni di compatibilità (cfr. nota 9 sopra citata), né ancora che abbia eseguito un coordina mento tecnico (cfr. nota 44 sopra citata). E deve anzi essere dato
atto che in altre procedure consimili alla presente, in cui pure l'amministrazione era costituita in giudizio, sono rimaste senza
risposta le richieste di chiarimenti e notizie in ordine agli
adempimenti suddetti ad essa rivolte da questo giudice. È pertanto ragionevole ritenere che tali interventi non siano
stati eseguiti dal ministero competente. Per conseguenza, sino a quando non sia compiuta con esito
negativo la verifica di compatibilità espressamente demandatale, non ha fondamento la pretesa dell'amministrazione di escludere dall'utilizzazione delle frequenze 838-862 MHZ una emittente
privata, quale la ricorrente, che ad esse ha un diritto di accesso
esplicitamente riconosciuto dal d.m. 31 gennaio 1983 in base alla nota n. 9 sopra menzionata.
D) Da un punto di vista più generale poi, deve rilevarsi che la
configuazione della posizione soggettiva della ricorrente in termini di diritto soggettivo perfetto ha ricevuto una recente autorevole conferma nella sent. n. 237 del 13 luglio 1984 (Foro it., 1984, I, 2049), pronunziata dalla Corte costituzionale. In tale decisione la
corte, dopo aver fatto una sommaria ricognizione della normativa
vigente in materia (quale risulta anche per effetto delle sentenze da essa corte pronunciate), ha ritenuto di affermare perentoria mente che — allo stato — « la trasmissione via etere su scala
locale, esercitata da privati, per effetto della citata sentenza n.
202/76 (id., 1976, I, 2066) è assolutamente libera nel senso che si
svolge litri regime di totale oairenza legislativa ».
E) Riconosciuta pertanto la pienezza della posizione soggettiva della (ricorrente ed accertata l'inesistenza, nel caso di specie, del
potere che la p.a. ha inteso esercitare, appare fondata la richiesta di tutela cautelare avanzata dalla Video Spezia International s.a.s
Il periculum in mora lamentato dalla istante consiste infatti nella forzata inattività della stazione emittente disattivata (con conseguenti intuibili danni sia per l'immagine sia per le entrate pubblicitarie) ed inoltre nel fatto che la banda di frequenza già utilizzata dalla ricorrente viene attualmente occupata da altra emittente. La tutela cautelare può ovviamente essere accordata nei limiti consentiti all'a.g.o. dalla vigente normativa e preci samente cioè con una pronuncia di contenuto dichiarativo. È
appena il caso di aggiungere che la mancata rimozione del
provvedimento censurato espone la p.a. ed i suoi funzionari (art. 28 Cost.) ad un'ulteriore responsabilità civile.
PRETURA DI NAPOLI; sentenza 4 febbraio 1985; Giud. Pani
co; D'Hauw (Avv. Coppola) c. Di Gennaro (Aw. Fusco).
PRETURA DI NAPOLI;
Competenza civile — Nuova disciplina della competenza e del
giudizio di equità del conciliatore — Giurisdizione speciale del conciliatore — Esclusione (Cost., art. 102; cod. proc. civ., art. 7,
113; 1. 30 luglio 1984 n. 399, aumento dei limiti di competenza del conciliatore e del pretore, art. 1, 2, 3).
Competenza civile — Nuova disciplina della competenza e del
giudizio di equità del conciliatore — Natura funzionale della
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