ordinanza 9 gennaio 1986; Giud. Fancelli; Steffensen c. CodraroSource: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2343/2344-2345/2346Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180682 .
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2343 PARTE PRIMA 2344
nel quale al loro restar vincolati alla attesa della possibile manifestazione di volontà dell'altra parte non faceva riscontro
alcun beneficio contrattuale, per essere in tale fase inoperante il
sinallagma creato dalla scrittura, meno che per l'opportunità riser
vatasi dal teatro. Ci si trova quindi di fronte a clausole onerose, aventi le ulteriori caratteristiche di cui al 1° comma dell'art. 1341, e che non sono state specificamente approvate per iscritto. Le
stesse sono quindi nulle per mancanza della forma prevista ad
substantiam, conseguendone l'infondatezza delle domande del Teatro regionale toscano, fondate appunto sul dedotto inadempi mento dei due convenuti all'obbligo derivante da simili condizio ni. La controvertibilità della questione (si veda il verbale del ' comitato sindacale per il teatro ', il quale ritenne l'inadempienza
del Mazzenga, cosi confortando in qualche misura l'azione giudi ziaria del Teatro regionale toscano, pur sulla base di un inatten dibile inquadramento della clausola come ' diritto d'opzione ', trattandosi invece di condizione inserita in un regolamento con
trattuale, intesa a disciplinarne il riprodursi degli effetti per il
futuro) induce a ravvisare l'esistenza di giusti motivi per l'inte
grale compensazione delle spese defensionali tra le parti.
PRETURA DI ROMA; ordinanza 9 gennaio 1986; Giud. Fan
celli; Steffensen c. Codraro.
PRETURA DI ROMA;
Provvedimenti di urgenza — Separazione di coniugi — Modifica
delle condizioni relative all'affidamento dei figli — Inammissi
bilità (Cod. proc. civ., art. 700).
È inammissibile la richiesta di provvedimento di urgenza per mo
dificare le condizioni della separazione personale relativamente
all'affidamento dei figli, in quanto non sussiste il diritto sog
gettivo dei genitori all'affidamento della prole, che giustifica
l'applicazione dell'art. 700 c.p.c. (1)
(1) Conformemente all'ordinanza qui riportata, ha escluso l'applica zione dei provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. in materia di
rapporti tra coniugi relativamente all'affidamento della prole, durante o dopo il procedimento di separazione, Pret. Napoli 13 luglio 1981, Foro it., Rep. 1982, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 104. Ma l'orientamento prevalente è in senso contrario: cfr. Trib. Genova 20
gennaio 1982, id., Rep. 1983, voce Separazione di coniugi, n. 86; Trib.
Napoli 10 dicembre 1981, id., 1982, I, 2952, con nota di richiami, cui adde Pre!. Bologna 28 luglio 1979, id., Rep. 198 i. voce Provvedimenti
d'urgenza, n. 173. Va peraltro sottolineato che queste tre decisioni, nel risolvere
positivamente il problema dell'ammissibilità di un provvedimento d'ur
genza per la modifica delle statuizioni sull'affidamento dei figli di
coniugi separati, hanno trascurato l'esame della questione inerente alla sussistenza del diritto soggettivo del genitore ricorrente, che nell'ordi nanza del Pretore di Roma risulta invece decisiva; le tre ordinanza citate sono pervenute al medesimo risultato positivo dopo aver affron tato problemi giuridici diversi e cioè rispettivamente: a) il Tribunale di Genova ha superato l'ostacolo dell'inammissibilità del procedimento ex art. 700 c.p.c., in questa materia, data l'esistenza di altri strumenti cautelari volti allo stesso fine (nella specie: il potere del g.i. ex art.
708, ult. comma, c.p.c. di modificare l'ordinanza presidenziale); b) il
collegio partenopeo si è posto il problema se il provvedimento cautelare ex art. 700 debba esclusivamente conservare lo stato di fatto attuale o possa anche essere diretto al mutamento dello stato di fatto
quando il suo perdurare potrebbe rendere inoperante la successiva decisione di merito (richiamando comunque in motivazione il principio in base al quale « l'affidamento deve essere deciso * con esclusivo riferimento all'interesse, morale e materiale ' della piole e che, quindi, esso non costituisce un diritto dell'uno o dell'altro genitore, bensì un munus »); c) il Pretore di Bologna si è occupato in particolare della
competenza del tribunale per i minori (che, ex art. 336, ult. comma, c.c., ha poteri di intervento d'urgenza tali da escludere il ricorso all'art. 700 c.p.c.) ovvero del tribunale ordinario in materia di revisione delle disposizioni circa l'affidamento della prole assunte in sede di separazione personale tra i coniugi.
L'esistenza di un « diritto » nei confronti dei figli è stata affermata
da Cass. 20 gennaio 1978, n. 259, id., Rep. 1978, voce Matrimonio, n.
151, secondo cui la circostanza che in caso di separazione o di
divorzio, il genitore cui non sia stata affidata la prole conserva il
diritto-dovere di vigilare e collaborare allo sviluppo fisico e psichico dei figli nonché alla loro educazione ed istruzione limita in qualche modo il potere discrezionale del giudice relativamente ai provvedimenti sui figli.
Sotto altro profilo il problema della ricorrenza di contrapposti « diritti dei genitori » all'affidamento dei figli minori è sorto in
relazione alla ricorribilità per cassazione del decreto della corte
d'appello emesso in sede di reclamo avverso il provvedimento del
Fatto. — Con ricorso depositato in cancelleria il 14 febbraio
1985 Ulla Hagen Steffensen esponeva quanto segue: 1) di essere
consensualmente separata dal marito Codraro Natale, come dal
verbale del 13 maggio 1983, omologato il 15 giugno 1983; 2) che
tra le condizioni della separazione era previsto che i figli Fran
cesco e Stefania, nati dalla predetta unione, venissero affidati al
padre, il quale avrebbe provveduto al loro mantenimento e inoltre
che la casa coniugale di via Raffaele de Cosa n. 68 dovesse restare affidata al marito; 3) che circa due mesi dopo la separa zione consensuale la figlia Stefania era andata a vivere con la stessa esponente e che l'altro figlio aveva più volte manifestato il
desiderio e la necessità di essere affidato alla madre a causa del
negligente comportamento del padre nei suoi confronti; 4) che il
marito, impiegato presso le Ferrovie dello Stato, aveva rifiutato il
consenso all'affidamento del figlio Francesco alla madre e, negli ultimi mesi, non aveva corrisposto l'assegno mensile di lire
150.000 per il mantenimento della figlia, con grave pregiudizio per la continuazione degli studi da parte di quest'ultima; 5) che il
marito aveva acquistato la proprietà di un appartamento. Tutto ciò premesso e sul presupposto dei gravissimi e irreparabili danni
cagionati ai figli dalla condotta paterna, la ricorrente faceva istanza a questo pretore, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., per ottenere, nell'esclusivo interesse dei figli, la modifica delle condizioni di
separazione e, in particolare, l'affidamento del minore Francesco,
l'assegnazione della casa coniugale di via Raffaele de Cosa, nonché la determinazione della misura dell'assegno di manteni
mento per i figli da porsi a carico del padre. Si costituiva ritualmente il resistente eccependo in via pregiudi
ziale l'incompetenza del giudice adito, per essere la controversia
di competenza del tribunale ratione materiae e chiedendo in via
subordinata il rigetto del ricorso, per essere lo stesso inammissbile
e, comunque, infondato.
All'udienza del 17 dicembre 1985, acquisito l'interrogatorio libero di entrambe le parti, veniva espletata una breve istruttoria
con l'assunzione di sommarie informazioni testimoniali, dopo di
che il giudicante si riservava ordinanza.
Diritto. — L'eccezione pregiudiziale proposta dalla difesa del
resistente è infondata e va respinta. E infatti, se è vero che la
competenza a decidere sulla richiesta di modifica delle condizioni
della separazione consensuale tra coniugi (e in particolare quelle relative all'affidamento dei figli e all'assegno di mantenimento)
spetta al tribunale ordinario ex art. 710 e 711, ult. comma, c.p.c. e art. 38 disp. att. c.c. (vedi Cass., sez. un., 2 marzo 1983, n. 1551
Foro it., Rep. 1983, voce Competenza civile, n. 22, che ha risolto
un grave conflitto di giurisprudenza su tale problema), è altresì
vero che il potere di emanare i provvedimenti di urgenza ai sensi
dell'art. 700 c.p.c. è attribuito in ogni caso, se non vi è causa
pendente nel merito, al pretore (art. 701 c.p.c.). Il carattere
tribunale per i minorenni in tema di potestà dei genitori (art. 333
c.c.): cfr. nel senso dell'ammissibilità del ricorso Cass. 16 giugno 1983, n. 4128, Foro it., Rep. 1983, voce Potestà dei genitori, n. 11; 24 febbraio 1981, n. 1115, id., 1982, I, V144, con nota di A. Jìnnarelli; 17 ottobre 1980, n. 5594, id., 1981, 1, 69, con nota di G. Salmè. Contra: Cass. 21 febbraio 1983, n. 1306, id., Rep. 1983, voce cit., n.
12; 28 aprile 1982, n. 2643, id., Rep. 1982, voce cit., n. 21. Cfr. inoltre A. Lugo-G. Gualtieri, in Rassegna di giurisprudenza
sul codice di procedura civile, diretta da M. Stella Richter, Libro
IV, Milano, 1968, 478 ss., nonché G. Gualtieri, in Appendice di
aggiornamento, Milano, 1973, III, 1883, cui si rinvia per i riferimenti
giurisprudenziali relativi alla discussa questione dell'ammissibilità di
provvedimenti d'urgenza a tutela di un diritto che sorgerà solo in
conseguenza di una sentenza costitutiva o, comunque, non ancora sorto.
Da segnalare, infine, la recente ordinanza emessa da Trib. Genova 26 settembre 1984, Dir. famiglia, 1985, 25, con nota di M. G. Branca, che ha ritenuto non manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 24 e 30 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 708
c.p.c., in relazione all'art. 155 c.c., nella parte in cui non prevede la nomina di un curatore speciale che rappresenti in giudizio il minore, figlio di genitori separandi, in ordine alla pronuncia sull'affidamento della prole e ad ogni altro provvedimento che la prole stessa riguardi.
In dottrina cfr., di recente, G. Manera, Il minore come soggetto di
diritti, ossia rilevanza della sua volontà nell'affidamento ad uno dei
genitori, in Giur. merito, 1983, I, 360 (nota a Trib. Napoli 10 dicembre 1981, cit.), che propone un'interessante articolazione tra i doveri (i munera su cui dottrina e giurisprudenza fondano l'essenza della potestà) e i diritti dei genitori in ordine all'affidamento dei minori e M. Doguotti, Revisione delle disposizi:m sull'a'fidamente) della prole tra tribunale minorile e tribunale ordinario, in Giur.
merito, 1981, I, 981 (nota a Pret. Bologna 28 luglio 1979, cit.), che esamina anche il problema, affrontato nella motivazione dell'ordinanza
riportata, dell'adozione del rito camerale nei procedimenti ex art. 710
c.p.c. in rapporto all'ammissibilità della tutela atipica d'urgenza.
Il Foro Italiano — 1986.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
« urgente » della tutela, pertanto, è sufficiente a radicare la
competenza di questo giudice, indipendentemente da ogni riferi
mento normativo alla « materia » della controversia, volto a
disciplinare esclusivamente il processo ordinario di cognizione.
I dubbi sull'ammissibilità del ricorso sono invece di diversa natura e il giudicante ha il dovere di porli in evidenza, anche a
prescindere da un'eccezione di parte, trattandosi di questioni che, concernendo i presupposti stessi della misura cautelare invocata,
possono e debbono essere trattate, anche di ufficio. Il primo problema da affrontare è quello dell'ammisibilità o meno di un
provvedimento di urgenza che vada ad incidere sugli effetti di
un precedente provvedimento giurisdizionale, con il quale sia
stata già disposta la composizione (non importa se definitiva o
provvisoria) degli interessi in conflitto. Sull'inammissibilità della
misura cautelare atipica ogni qualvolta la controversia abbia avuto una composizione in via giurisdizionale e si voglia rimediare al
pregiudizio dipendente dall'esecuzione di un provvedimento del
giudice la giurisprudenza prevalente e la migliore dottrina sono
assolutamente concordi e tale indirizzo non può che essere condiviso in via generale, dal momento che la procedura di
urgenza non può mettere in discussione, a posteriori, questioni che sono state già risolte da altro giudice, con inammissibile alterazione del regime delle impugnative. Se non che, la fattispecie in esame presenta delle caratteristiche tutte particolari, in quanto il provvedimento di cui si chiede la revisione è subordinato alla
clausola rebus sic stantibus e può essere modificato in ogni tempo ove se ne presenti la necessità o la semplice opportunità, e ciò è tanto vero che gli art. 710 e 711, ult. comma, c.p.c. prevedono espressamente la facoltà delle parti di chiederne la modificazione con le forme del processo ordinario. Lungi dall'alterare, quindi, il
regime delle impugnative, il provvedimento di urgenza, nel caso
specifico, non è altro che un modo di assicurare gli effetti di una futura decisione di merito, che tenda a comporre nuovamente il conflitto di interessi tra le parti, sulla base di una situazione di fatto diversa da quella presa in esame con il precedente provve dimento giurisdizionale.
Altra obiezione più volte sollevata in dottrina e in giurispru denza è quella secondo cui la misura cautelare atipica di
urgenza, essendo preordinata esclusivamente in vista del provve dimento del giudizio ordinario di cognizione, non potrebbe trova re applicazione tutte le volte in cui il conflitto tra le parti debba
sfociare nel rito del procedimento in camera di consiglio. Se non
che, la dottrina più recente, alla quale non può non prestarsi incondizionata adesione, ha opportunamente osservato che la dizione inserita nell'art. 700 c.p.c.: « far valere il suo diritto in via ordinaria » non significa necessariamente che la misura caute lare atipica debba essere raccordata con il solo procedimento ordinario di cognizione di cui al libro secondo del codice di rito, ma deve essere intesa come equivalente al processo a cognizione piena ed esauriente, non preceduto da altre forme di tutela
urgente, tali da assicurare adeguata e pronta soddisfazione al
diritto fatto valere in giudizio. Orbene, nella fattispecie in esame, nonostante l'applicazione dell'art. 38 disp. a't c.c., cosi come
modificato dall'art. 221 1. 19 maggio 1975 n. 151, non vi è dubbio
che la revisione delle condizioni di separazione personale debba
essere richiesta, a norma degli art. 710 e 711 c.p.c., con le forme
del processo ordinario, anche se poi il tribunale competente dovrà
provvedere con le formalità semplificate del rito della camera di
consiglio, previa cognizione piena delle varie questioni prospettate dalle parti. La piena compatibilità tra le « forme del procedimen to ordinario» previste dall'art. 710 c.p.c. e il provvedimento «in
camera di consiglio » stabilito dalla novella del 1975 appare
inconfutabile, dal momento che lo stesso art. 148, ult. comma,
c.c., nel nuovo testo dopo la riforma del diritto di famiglia,
prevede la proposizione del giudizio ordinario, pur in presenza di
una norma generale che stabilisce il rito camerale per l'emanazio
ne del provvedimento del giudice.
Ciò che è essenziale, quindi, è l'esistenza di un procedimento a
cognizione piena, nel quale peraltro si faccia questione di diritti.
Orbene, dalla stessa formulazione del ricorso, appare indubbio
che la ricorrente ha agito, in primo luogo, per ottenere l'anticipa
zione degli effetti di una successiva decisione di merito attinente
all'affidamento del figlio minore e all'esercizio della potestà che
le spetterebbe a causa del negligente comportamento del marito
nei confronti del figlio medesimo. Nonostante alcuni significativi
precedenti giurisprudenziali in senso difforme (vedi Pret. Bologna 28 luglio 1979, id., Rep. 1981, voce Provvedimenti di urgenza, n.
173; e Trib. Napoli 10 dicembre 1981, id., 1982, I, 2952) non
sembra che le questioni inerenti all'affidamento dei figli siano
inerenti a un diritto soggettivo in senso sostanziale, tale da poter
giustificare l'applicazione dell'art. 700 c.p.c. Sembra corretto rite
nere, infatti, che l'affidamento della prole e l'esercizio esclusivo
della potestà sul minore non costituiscano dei « diritti » familiari
spettanti ai genitori, ma siano strumenti necessari all'espletamento della funzione educativa da svolgersi nell'esclusivo interesse dei
figli. Più esattamente, il genitore, per il fatto stesso della procrea
zione, è titolare di un ufficio privato che è obbligato ad esercitare
(art. 147, 316 e 317, ult. comma, c.c.) per consentire al figlio di
raggiungere la maturità psico-fisica e l'autonomia nella cura dei
propri interessi, essendo in tale compito condizionato dalla volon
tà dell'altro genitore e comunque soggetto alle decisioni del
giudice (vedi infatti l'art. 316, 2°, 3°, 5° e 6° comma, c.c.). Per
tale motivo costituisce ius reception in giurisprudenza che nella
separazione personale l'affidamento della prole e l'esercizio della
potestà non costituiscono un diritto dell'uno o dell'altro genitore, bensì un munus, la cui privazione, in ogni caso, non può essere
intesa come una punizione e che deve essere giustificata esclusi
vamente dall'interesse dei figli in base alla maggiore idonietà del
coniuge a cui essi verranno affidati (vedi Cass. 25 giugno 1981, n.
4127, id., Rep. 1981, voce Separazione di coniugi, n. 71; 7 giugno 1982, n. 3438, id., Rep. 1982, voce cit.., n. 78; 2 giugno 1983, n.
3776, id., Rep. 1983, voce cit., n. 56). In tale indagine, evidentemen
te, non può farsi questione di un « diritto », come invece è richie
sto dall'art. 700 c.p.c. dal momento che il giudice agisce nell'eserci
zio di un potere discrezionale « a difesa di un superiore interesse
dello Stato, alla tutela e alla cura dei minori »
Nella stessa prospettiva di cui sopra va vista anche la richiesta
di assegnazione della casa familiare avanzata dalla ricorrente
nell'atto introduttivo del giudizio. Ciò dicasi in virtù del disposto dell'art. 155, 4° comma, c.e.
che, nell'accordare al giudice una limitata facoltà di scelta,
suggerisce comunque di dare la preferenza a quello dei coniugi a
cui vengono affidati i figli, con ciò escludendo che si possa
separare la relativa decisione da quella principale e assorbente
circa l'esercizio della potestà sui minori.
A diversa valutazione può pervenirsi per quanto si riferisce,
infine, alla richiesta di un assegno di mantenimento per entrambi
i tìgli. Trattandosi di una pretesa avente un contenuto esclusiva mente patrimoniale, ben può ravvisarsi, in linea di principio, l'affermazione di un diritto tale da poter trovare riconoscimento
in questa sede. Peraltro, nessun provvedimento potrà in concreto
essere adottato nella fattispecie, non avendo la ricorrente un
interesse ad ottenerlo. Per quanto si riferisce al figlio minore,
infatti, non esiste attualmente un rapporto di convivenza in base
al quale la madre sia tenuta a provvedere alle sue necessaità e, d'altra parte, è pacifico tra le parti che, giusta le condizioni di
separazione, il ragazzo è affidato al padre il quale deve provve dere direttamente al suo mantenimento. Per quanto riguarda, invece, l'altra figlia, pur dovendosi dare atto che essa convive con la madre e che si trova in stato di bisogno, non avendo ultimato
1 suoi studi, non vi è dubbio che la ricorrente è priva della
legittimazione attiva, in quanto la ragazza è maggiorenne e capace di tutelare da sola i propri interessi. Il giudicante non ignora che, secondo autorevole giurisprudenza, il genitore convivente è legit timato ad agire nei confronti dell'altro genitore per il rimborso di
quanto da lui anticipato in favore del figlio (vedi Cass. 25 maggio 1981, n. 3416, id., Rep. 1982, voce Matrimonio, n. 103). Se noa
che, a parte il fatto che, in quest'ultimo caso, non è dato ravvisare un pregiudizio imminente e irreparabile sulla base di un
danno avente natura esclusivamente economica (con la conseguen te impossibilità di dare ingresso alla misura cautelare innominata
di cui all'art. 700 c.p.c.), è bene evidenziare che nella fattispecie in esame la ricorrente non agisce per ottenere il rimborso di
quanto in precedenza versato per le necessità della figlia, ma solo
per ottenere in proprio favore un assegno di mantenimento che
tocca invece alla figlia richiedere e pretendere come diritto
spettante esclusivamente a lei, non essendo consentita, in questa
particolare ipotesi, la sostituzione processuale (vedi Trib. Genova
2 dicembre 1980, id., Rep. 1982, voce cit., n. 104).
Il ricorso va pertanto integralmente respinto. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1986.
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