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Ordine dei Chierici Regolari di S. Paolo – Barnabiti ......2016/06/10  · di un humus specifico:...

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Eco dei Barnabiti 2/2016 36 E ccellenza carissima, quando lei sorprendentemente mi chiese di commemorare il suo ses- santesimo di sacerdozio rimasi piut- tosto perplesso dinanzi alla comples- sità della sua vita. Mi chiedevo quale aspetto privilegiare e perché? Ciò po- teva far apparire secondari gli altri; imbastire una rapida panoramica on- nicomprensiva? Sarebbe stato un dire poco o nulla, deludente. Dopo tanto pensare e ripensare, ho trovato final- mente la risposta nel capitolo «Radi- ci» del libro del cardinale Etchegaray «Tiro avanti...come un asino. Scrive il cardinale: «Quando si vuole cono- scere bene qualcuno, si cerca sem- pre di scoprire quali sono le sue radi- ci, in quale terreno si nutrono. Quali le radici, tale l’albero. Quale il paese natio, tale l’uomo. Infelice l’uomo che non ha radici o che non ne ha più: diventa irriconoscibile a se stes- so e agli altri. Fortunato l’uomo che ha conservato o ritrovato le sue radi- ci: respira la fiducia nell’uomo e in se stesso». E mi son detto: «Perché non celebrare il sessantesimo di sacerdo- zio con un rimembrare delle passate cose, ripercorrendo le tappe della sua formazione, radice essenziale del suo essere e ricordando i suoi educa- tori?». Mi è sembrata un’armoniosa nota in sintonia con la festa odierna e l’ho trasformata nella riflessione che sottopongo alla sua pazienza e a quella di tutti i presenti. Riflessione di un semplice barnabita su un emi- nente confratello, certamente non esaustiva. Pazienza! Tutti noi siamo qui perché cono- sciamo, stimiamo e amiamo monsi- gnor Erba. Ognuno conserva in sé immagini, riflessioni, consigli, eventi che riportano a lui, e tutti concordia- mo sul suo profondo tratto umano e la sua elevata caratura spirituale e culturale: schivo e riservato, lavorato- re instancabile, irradia simpatia, ti mette a tuo agio, non ti sa mai dire di no, non conosce che cosa sia l’ambizione, ama la semplicità, di- sarma con il suo sorriso e l’immedia- tezza dell’amicizia. Se assommiamo queste diverse immagini di monsi- gnor Erba possiamo disegnare per impercettibili mutazioni l’intero arco della sua vicenda: la forza d’animo che si trasforma in pazienza della vo- lontà mentre il volto si scava e cono- sce le prime rughe, l’intelligenza che diventa finezza intellettuale mentre il sorriso si vela e si fa più retrattile senza mai scomparire, la risolutezza che trapassa in saldezza interiore, l’esperienza degli uomini che matura in comprensione, solidarietà, dialo- go, ascolto, accoglienza, perdono. E sappiamo anche, specialmente oggi- giorno, che il prete è sempre un so- spetto: ciascuno pretende di trovarlo conforme a un ruolo e di domandar- gli se è quel che deve essere, e se crede in ciò che dice; ciascuno lo vuole coerente con l’idea che se n’è fatta e in continuo contatto con l’as- soluto e il sublime; ciascuno si stupi- sce per il coraggio d’una scelta che per la sua irreversibilità s’è cambiata in destino. Noi conosciamo il punto di arrivo dell’avvincente avventura umana e spirituale che ha portato Monsignore ad essere l’uomo, il barnabita, il sa- cerdote, l’educatore, l’intellettuale, il Consultore e Membro della Congre- gazione per le Cause dei santi (ne ha ANDREA MARIA ERBA, BARNABITA VESCOVO EMERITO DI VELLETRI-SEGNI (Biassono, 1° gennaio 1930 – Velletri, 21 maggio 2016) Il 21 maggio 2016, vigilia della Solennità della SS. Trinità, il Signore ha chiamato a sé mons. Andrea Maria Erba. Dopo i solenni funerali, celebrati il 24 maggio e presieduti dal cardinale Francis Arinze, con l’omelia di mons. Vincenzo Apicella, attuale vescovo di Velletri-Segni, mons. Erba riposa nella cattedrale di Velletri ai piedi del quadro della Madonna Addolorata. Lo vogliamo qui ricordare richiamando i tratti fondamentali della sua vita, richiamati da padre Giuseppe Moretti, superiore della Comunità della Curia Generalizia di cui era membro sua eccellenza, in occasione del suo 60° di sacerdozio, celebrato il 17 marzo ultimo scorso. stemma episcopale di mons. Andrea M. Erba IN RICORDO DI MONS. ANDREA MARIA ERBA
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  • Eco dei Barnabiti 2/201636

    Eccellenza carissima, quando leisorprendentemente mi chiesedi commemorare il suo ses-

    santesimo di sacerdozio rimasi piut-tosto perplesso dinanzi alla comples-sità della sua vita. Mi chiedevo qualeaspetto privilegiare e perché? Ciò po-teva far apparire secondari gli altri;imbastire una rapida panoramica on-nicomprensiva? Sarebbe stato un direpoco o nulla, deludente. Dopo tantopensare e ripensare, ho trovato final-mente la risposta nel capitolo «Radi-ci» del libro del cardinale Etchegaray«Tiro avanti...come un asino. Scrive ilcardinale: «Quando si vuole cono-scere bene qualcuno, si cerca sem-pre di scoprire quali sono le sue radi-ci, in quale terreno si nutrono. Qualile radici, tale l’albero. Quale il paesenatio, tale l’uomo. Infelice l’uomoche non ha radici o che non ne hapiù: diventa irriconoscibile a se stes-so e agli altri. Fortunato l’uomo cheha conservato o ritrovato le sue radi-ci: respira la fiducia nell’uomo e in sestesso». E mi son detto: «Perché noncelebrare il sessantesimo di sacerdo-zio con un rimembrare delle passatecose, ripercorrendo le tappe dellasua formazione, radice essenziale delsuo essere e ricordando i suoi educa-tori?». Mi è sembrata un’armoniosanota in sintonia con la festa odiernae l’ho trasformata nella riflessioneche sottopongo alla sua pazienza e aquella di tutti i presenti. Riflessione

    di un semplice barnabita su un emi-nente confratello, certamente nonesaustiva. Pazienza!Tutti noi siamo qui perché cono-

    sciamo, stimiamo e amiamo monsi-gnor Erba. Ognuno conserva in séimmagini, riflessioni, consigli, eventiche riportano a lui, e tutti concordia-mo sul suo profondo tratto umano ela sua elevata caratura spirituale eculturale: schivo e riservato, lavorato-re instancabile, irradia simpatia, timette a tuo agio, non ti sa mai dire

    di no, non conosce che cosa sial’ambizione, ama la semplicità, di-sarma con il suo sorriso e l’immedia-tezza dell’amicizia. Se assommiamoqueste diverse immagini di monsi-gnor Erba possiamo disegnare perimpercettibili mutazioni l’intero arcodella sua vicenda: la forza d’animoche si trasforma in pazienza della vo-lontà mentre il volto si scava e cono-sce le prime rughe, l’intelligenza chediventa finezza intellettuale mentre ilsorriso si vela e si fa più retrattilesenza mai scomparire, la risolutezzache trapassa in saldezza interiore,l’esperienza degli uomini che maturain comprensione, solidarietà, dialo-go, ascolto, accoglienza, perdono. Esappiamo anche, specialmente oggi-giorno, che il prete è sempre un so-spetto: ciascuno pretende di trovarloconforme a un ruolo e di domandar-gli se è quel che deve essere, e secrede in ciò che dice; ciascuno lovuole coerente con l’idea che se n’èfatta e in continuo contatto con l’as-soluto e il sublime; ciascuno si stupi-sce per il coraggio d’una scelta cheper la sua irreversibilità s’è cambiatain destino.Noi conosciamo il punto di arrivo

    dell’avvincente avventura umana espirituale che ha portato Monsignoread essere l’uomo, il barnabita, il sa-cerdote, l’educatore, l’intellettuale, ilConsultore e Membro della Congre-gazione per le Cause dei santi (ne ha

    ANDREA MARIA ERBA,BARNABITA VESCOVO EMERITO

    DI VELLETRI-SEGNI(Biassono, 1° gennaio 1930 – Velletri, 21 maggio 2016)

    Il 21 maggio 2016, vigilia della Solennità della SS. Trinità, il Signore ha chiamato a sé mons.Andrea Maria Erba. Dopo i solenni funerali, celebrati il 24 maggio e presieduti dal cardinaleFrancis Arinze, con l’omelia di mons. Vincenzo Apicella, attuale vescovo di Velletri-Segni, mons.Erba riposa nella cattedrale di Velletri ai piedi del quadro della Madonna Addolorata. Lovogliamo qui ricordare richiamando i tratti fondamentali della sua vita, richiamati da padreGiuseppe Moretti, superiore della Comunità della Curia Generalizia di cui era membro suaeccellenza, in occasione del suo 60° di sacerdozio, celebrato il 17 marzo ultimo scorso.

    stemma episcopale di mons. AndreaM. Erba

    IN RICORDO DI MONS. ANDREA MARIA ERBA

  • trattate ben 373 tra le quali padrePio, don Orione, don Alberione, Da-niele Comboni, suor Bakhita, ecc.) ilvescovo che festeggiamo, ma proba-bilmente ignoriamo o sorvoliamosulla sua feconda e solida formazio-ne, sulle sue radici, conoscenza ne-cessaria, invece, se si vuole scoprirequalcosa sulla sua anima segreta e lasua profonda fisionomia interiore.Perché padre Erba nella sua comples-sa personalità non è frutto dell’im-provvisazione o del caos. Cerchiamo,allora, di dissotterrare questeradici iniziando da quelle fa-miliari. «La vita cristiana eraintensa da parte dei miei geni-tori (Francesco e Anna Mon-guzzi), dei miei due fratelli edue sorelle; ci volevamo bene.Non partecipavamo mai aduna festa senza andare inchiesa, io servivo la Messa. Lamia mamma mi buttava giùdal letto e cominciavano lepreghiere e mi accompagnavain chiesa… Godevo l’ambien-te della famiglia, dove erava-mo tutti profondamente unitie felici».È in famiglia ove si impara a

    vivere la quotidianità con lepersone che il Signore ci hamesso accanto, con le loro di-versità, e a camminare insie-me nella fede. Non è fuoriluogo comparare questa unitàfamiliare con la motivazionepiù frequente della richiesta didispensa dai voti o di secola-rizzazione o di dimissioni de-gli ultimi decenni: la fatica divivere la vita comunitaria. EDio si diverte a spargere il se-me della vocazione sacerdota-le e religiosa particolarmentenelle famiglie con sane radiciumane e religiose perché sache il terreno è fertile e il se-me accuratamente coltivato. Ma perfruttificare, questo seme ha bisognodi un humus specifico: il seminario.«Veramente, entrare in seminario nonè stata una decisione da parte mia,un atto della mia volontà – scrivemonsignore –, ma piuttosto un attodi obbedienza e di accoglienza dellavoce di Dio, soprattutto attraversol’iniziativa del mio parroco». Acco-glienza della voce di Dio e obbe-dienza: è il programma base del sa-cerdozio e della vita consacrata, «Io

    facevo il chierichetto e un giorno ilmio parroco, d’accordo con i mieigenitori, mi chiese di andare nel se-minario minore dei Barnabiti [da noichiamato “Scuola Apostolica” e“Apostolini i candidati] a Cremona eio ho detto volentieri di sì. Ero felicedi diventare sacerdote e non mi sonomai pentito di aver detto di sì, né diaverlo detto all’età di 12 anni...».Tra parentesi, debbo dire che il pae-

    se di mons. Erba, Biassono in Lombar-dia, grazie soprattutto al parroco, è

    stato una miniera di vocazioni dioce-sane e religiose. «Oltre le vocazionimaschili – scrive Monsignore – ci fu-rono a quel tempo moltissime voca-zioni femminili. In un paese di circacinquemila abitanti si contavano forsecento suore!». A noi barnabiti oltre asua eccellenza ha dato anche unSuperiore generale il padre Luigi Villae altri religiosi. Una sorella di monsi-gnore entrò nelle suore di Maria Bam-bina e «fu una religiosa fervente finoalla morte» scrive suo fratello.

    A Cremona inizia la sua formazio-ne che anno dopo anno si approfon-dirà e consoliderà grazie ai validiformatori che la Provvidenza glimetterà accanto. Formazione che siispira all’accorata esortazione che ilsanto fondatore Antonio Maria Zac-caria rivolse ai primi nostri padri il4 ottobre 1534 in un momento di gra-ve prova: «...Noi che abbiamo sceltoper padre e guida un apostolo cosìgrande (San Paolo) e ci siamo impe-gnati a seguirlo, sforziamoci di met-

    tere in pratica la sua dottrinae i suoi esempi. Non sarebbeconveniente infatti che sottoun tale capo vi siano soldativili o disertori, né che sianoindegni i figli di un così gran-de padre», perché i Barnabi-ti debbono essere, dovrebbe-ro essere “Figlioli e Piante diPaolo” come voleva il santoFondatore (Lettera VII). Deglianni di Cremona (1942-47)padre Erba ricorda: «Studia-vamo molto e pregavamo mol-to. Avevamo dei Superioribravissimi: ci insegnavano tut-to... Fin da allora mi appas-sionavo alla storia; ero bravoanche in latino, ma facevo fa-tica a capire la matematica. IPadri ci dicevano che studio epietà erano i pilastri fonda-mentali per la vocazione alsacerdozio. Ci insegnavano conimpegno, sacrificio e compe-tenza e noi eravamo avidi diimparare...». Sincera è la ri-conoscenza per i suoi educa-tori: i padri Beati, Magni,Ponzoni, Piombino, Granci-ni, Dalla Noce, Gonfalonie-ri, Colombo. «Studio e pie-tà» i due pilastri base chehanno caratterizzato per se-coli la nostra formazione, esui quali il giovane Erba ha

    costruito la sua vita. «La fedeltà allapreghiera o il suo abbandono sonoil paradigma della vitalità o delladecadenza della vita religiosa» scri-verà Paolo VI nella “Evangelica Te-stificatio”.Non sarà di certo sfuggito quel: «Fin

    da allora mi appassionavo alla storia!».Passione che avrà il suo compimentodivenuto professore ordinario di Storiaecclesiastica alla Pontificia UniversitàUrbaniana. Gli anni di Cremona sonoanni duri «tempo di guerra, di fame e

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    mons. Andrea M. Erba

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  • mangiavamo quello che c’era, anchese non ci piaceva, A me non piaceva-no le zucche, e ce le davano quasitutti i giorni e dovevamo mangiarle aocchi chiusi. C’era molta austerità,temprata dalla gioia e dalla giovinez-za». Gli educatori avviavano gli apo-stolini alla conoscenza e alla devo-zione del Santo Fondatore e deglialtri beati e santi della congregazio-ne, soprattutto alla devozione per laMadonna della Divina Provvidenza,la Madonna dei Barnabiti, e leggeva-no un celebrato libretto “Santa Fami-glia nostra” per conoscere tanti bar-nabiti morti in fama di santità. «Que-sto ci entusiasmava, ricorda padreErba, perché anche noi potevamoentrare in questa famiglia disanti. Nostro pascolo quotidia-no erano i tre volumi di storiabarnabitica del Padre Premoli,i dodici volumi del Menologioe altri testi di spiritualità. Finda allora mi sono dedicato aleggere la storia dei Barnabi-ti, quattro secoli di vita. Da“grande”, annota, io stesso hoscritto... e continua a scriveretante biografie dei miei con-fratelli». C’è un passo partico-lare nelle sue Memorie chemerita una speciale riflessione:“Nel mio tempo (a Cremona)siamo arrivati a circa 70 semi-naristi distribuiti in 5 classi.Grazie a Dio abbiamo avutoun boom eccezionale: circa50 siamo diventati sacerdoti.Della mia classe eravamo in12 e 11 diventammo sacerdo-ti. Il segreto di tanta fecondi-tà? Penso alla seria educazio-ne ricevuta, alla gioia nell’au-sterità, alla grazia straordinariache il Signore non ci ha lascia-to mancare; soprattutto vorreisottolineare la testimonianzadei nostri superiori: i loro esem-pi hanno lasciato un ricordoindelebile, che portiamo dietroancora dopo più di 50 anni.Quando ci incontriamo noicompagni ci diciamo:”Ti ricor-di quello che diceva il Padretale?”. Sono certo che la no-stra perseveranza è dovuta principal-mente ai loro esempi». L’incidenzadell’esempio.Terminata la quinta ginnasio si en-

    trava in Noviziato a Monza (1947-1948), il “Carrobiolo!”, famoso nella

    Congregazione perché da 400 annivi è passata la maggior parte dei Bar-nabiti (per informazione: in noviziatocon la vestizione dell’abito barnabiti-co si aggiungeva il nome di Maria aquello di battesimo e il titolo di“don” sino al sacerdozio, quando sidiventava “padre). Il Carrobiolo eraun ambiente saturo di spiritualità, diricordi, di tradizioni. Un vero santua-rio, dove temporaneamente accanto-nati «gli studi leggiadri e le sudatecarte» delle materie profane ci si im-mergeva nello studio e nella medita-zione della Sacra Scrittura, in parti-colare, di San Paolo, degli scritti delFondatore, della Storia del Barnabitie... del celeberrimo Rodriguez! «Ho

    un ricordo bellissimo del noviziato. Lìho vissuto un anno in paradiso, conun Padre Maestro santo»: il padreFrancesco Castelnuovo.Un vero uomo di Dio che più con

    l’esempio e l’affetto che con la paro-

    la sapeva immergere i novizi in unaprofondità spirituale tale, da segnarliper tutta la vita. Il novizio Erba inparticolare si affezionò al suo Mae-stro come un figlio lasciandogli pie-na libertà di plasmare in lui l’im-pronta essenziale della spiritualitàbarnabitica. Tutti coloro che hannoavuto padre Castelnuovo come pa-dre Maestro lo ricordano con vene-razione e si meravigliano che non siastata introdotta la causa di beatifica-zione. «In un tempo nel quale si ten-ta di minimizzare le forme di santitàconsacrata dalla tradizione quasi fos -sero superate, per esaltare un tiponuovo di “santità addolcita e senzasforzo personale” (Pio XII), noi siamo

    convinti che il P. Castelnuovopossa ancora parlare al nostrospirito e toccare i nostri cuori»scrive monsignore nella prefa-zione dell’opuscolo “Martiriobianco” dedicato al suo padreMaestro morto consunto dalcancro a 50 anni. «L’arte pe-dagogica di questo direttorespirituale può essere compen-diata in una semplice espres-sione: l’amore paterno. P. Ca-stelnuovo non si atteggiò maia “maestro”, sentì invece inmodo vivissimo la “paternità”.Padre, prima di maestro...!suoi novizi e studenti li pla-smava con infinita pazienza e perseveranza, ma con qua-le finezza di tocco! Rispetta-va gelosamente la libertà del-le anime, considerandole ilregno della Grazia e possessoesclusivo dell’unico MAESTRO,Cristo... Pur non essendo undotto nel senso tecnico dellaparola, egli possedeva la scien-za illuminata dall’amore, quel-la “sapienza del cuore” che è prerogativa degli uomini diDio...».E la “paternità” sarà l’incon-

    fondibile fisionomia del padreErba, sempre: vice-maestro epoi maestro dei nostri chierici,superiore, ma in particolarequando diverrà parroco a SanCarlo ai Catinari 1982-1988):

    «Ho vissuto sei anni in questo am-biente, forse tra i più belli della miavita, grazie alla paternità spirituale ealle innumerevoli amicizie e spessodicevo tra me: “Guai a chi mi toc-ca!”, anche se non dimenticavo il

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    mons. Andrea M. Erba consacrato vescovo dalpapa Giovanni Paolo II

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  • detto: “Parochus in Urbe, episcopusin Orbe”. E invece…. come un ful-mine a ciel sereno mi giunse la no-mina a vescovo».E proprio da vescovo espresse al

    massimo la sua paternità spiritualeche volle impressa nello stemmaepiscopale: «In uno Spiritu». Voleree impegnarsi a costruire l’unità del-la famiglia, della comunità, dei par-rocchiani, della diocesi è propriodella vera paternità. Lo dichiaravanel discorso di ingresso nella dioce-si il 22 gennaio 1989: «Un solo Spi-rito dovrà condurre a Cristo l’unicopopolo di Dio che è in Velletri, Se-gni, Colleferro ecc...tutti dobbiamoformare una sola famiglia perchéuna sola è la nostra fede, uno solo ilnostro salvatore, uno solo il nostroSpirito...».In particolar modo sarà “Padre”

    per la Famiglia Religiosa del VerboIncarnato e dell’Istituto delle “Servedel Signore e della Vergine di Mata-rà”. Ad perpetuam rei memoriam: il24 marzo 2004 Mons. Erba eressecanonicamente le “Servidoras”, leServe del Signore e della Vergine diMatarà e l’8 maggio 2004 l’Istitutodel Verbo Incarnato. C’è un altroaspetto della vita del Padre Castel-nuovo che si inciderà profonda-mente nel novizio don Andrea Ma-ria Erba e che lo caratterizzerà co-me parroco e vescovo: «PadreCastelnuovo amava farsi strumentodella Provvidenza per i poveri, chemai bussarono invano alla porta delsuo cuore». Di padre Erba parrocoè stato scritto: «Ebbe una particola-re sensibilità per i poveri praticatacon molta discrezione e grandesemplicità. Visse profondamente lasollecitudine della Chiesa per cia-scuno dei suoi figli. A contatto con idrogati di don Picchi (ai quali misea disposizione i locali della parroc-chia) con la povertà nascosta di cer-ti bassifondi sociali, coi problemidei malati, dei senza tetto, dellepersone sole, della fede tradizionaleo elastica di tanta parte del suogregge, maturò in lui quello spiritodi totale affidamento alla Provviden-za che gli faceva ripetere spesso:“lo non credo nella Provvidenza: ione sono sicuro!”». E nella prima in-tervista da neo-vescovo, rilasciata il15 gennaio 1989 diceva: «Vorreiche mia vita di vescovo sia un anda-re verso tutti, specie i sofferenti, co-

    me Cristo che ha guarito le animeattraverso i corpi. Non mi sento diessere il buon Pastore, perché Pasto-re è Cristo solo. A me piacerebbeessere il buon samaritano, cioè co-lui che va incontro a chiunque habisogno. L’ordine di Gesù è per tut-ti: va’ e fa’ così anche tu! Più fac-ciamo il bene, più ne riceviamo: è ilparadosso-realtà del Cristianesimo».Tutti i religiosi della Comunità del

    Noviziato, i padri Cicardi, Olgiati,Gay, Casiraghi, con la loro vita esem-plare confermavano quanto il padreMaestro insegnava ai novizi. L’8 set-tembre 1948 la professione sempli-ce. Non ho trovato alcun suo scrittoa commento di questo atto, ma riten-go che lo abbia compiuto non solocon grande gioia, ma soprattutto conla determinazione di rinnovarla an-nualmente sempre più convinto sinoalla Professione solenne. E subito do-po la professione semplice fu chia-mato a metter in pratica il voto di ob-bedienza che, come si leggeva nellevecchie Costituzioni «huius Instituticaput est», e l’obbedienza distingue-rà don Andrea Maria.Da Monza l’obbedienza lo desti-

    nava a Firenze per riprendere seria-mente «gli studi leggiadri e le sudatecarte». Due erano allora le nostrescuole dove i chierici frequentavanoil liceo classico: Lodi nel CollegioSan Francesco o a Firenze nel Colle-

    gio “Alla Querce”. Poiché tutti isuoi compagni erano lumbard, cer-tamente avrebbero preferito andarea Lodi per continuare a respirare lebrume patrie, invece l’obbedienza lispedì a sciacquare i panni in Arno,e sono certo che per il giovane Erbafu una piacevolissima obbedienza ecomprese immediatamente qualestraordinario dono la Provvidenzaoffriva a lui, avido di sapere e ap-passionato di storia, trascorrere i treanni (1948-1952) di liceo classico,seguiti da un anno di esperienza pe-dagogica e di studio della filosofiascolastica, in un luogo dove aveva-no vissuto e insegnato barnabiti ec-cellenti per la vita religiosa e gli stu-di come Camillo Melzi d’Eril, Leo-poldo De Feis, Timoteo Bertelli,Domenico Bassi e ultimo della serieGiuseppe Boffito morto il 16 settem-bre 1944, quattro anni prima del-l’arrivo di don Andrea a Firenze.Una figura che nell’ambiente enell’opinione pubblica dei Barnabitie non solo evoca contemporanea-mente due immagini che sembranoin apparenza antitetiche.La prima è l’immagine del dotto

    per antonomasia, il mostro del sape-re, il topo di biblioteca, il bibliografoprincipe, lo scienziato di fama inter-nazionale e di immensa erudizione,l’esploratore instancabile di conti-nenti cartacei, l’erudito che si inseri-

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    mons. Andrea M. Erba “orgoglioso” della sua amicizia con il papa Benedetto XVI

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  • sce tra i primi posti nella tradizioneculturale e scolastica tipica del no-stro Ordine.La seconda è l’immagine del con-

    fratello umile e schivo, silenzioso,semplice, modesto e riservato. Unostraordinario esempio e punto di rife-rimento per padre Erba scrittore, ri-cercatore, storico. La bibliografia delpadre Erba conta oltre 60 titoli di stu-di confluiti in brochures e articolid’impegno e di divulgazione. Gli ar-ticoli apparsi su quotidiani e periodi-ci superano i 200, per non parlare direcensioni e note di cronaca. Fu di-rettore dell’Eco dei Barnabiti e diEuntes docete rivista dell’UniversitàUrbaniana. Il suo gioiello è comun-que La Chiesa nella storia. Duemilaanni di cristianesimo (per la Elledici –Torino) scritta con il suo ex -allievo,ora professore di Storia della Chiesaalla Università Cattolica di MilanoPier Luigi Guiducci. «Questi due vo-lumi sono stati ideati per coloro chedesiderano conoscere un disegno

    complessivo delle vicende che hannosegnato, nell’arco di oltre due millen-ni, il cammino della Chiesa cattolica.Due le caratteristiche di fondo del la-voro di Erba e Guiducci: da un lato,il metodo apertamente interdiscipli-nare (contributi archeologici, pittori-ci, letterari, ecc.), dall’altro una visio-ne della Chiesa fortemente ispirata alConcilio Vaticano II, quella cioè, del“Popolo di Dio”in cammino». Ripor-to solo due recensioni: la prima diceche siamo al cospetto di un piccologioiello di sintesi storica, la secondadella Civiltà Cattolica è più punti-gliosa nell’analisi, ma soggiunge che«questi rilievi non intendono esserealtro che un contributo criticamentecostruttivo» e conclude riconoscen-do che «questo manuale è un lavoroserio e documentato». L’opera perfet-ta non esiste.Alla Querce i nostri chierici dove-

    vano competere per intelligenza eserietà di studio con i compagni laiciesterni e convittori, e Andrea Erba,

    come attestano i registri,fu sempre tra i miglioridella sua classe, conclu-dendo il liceo con un’ot-tima maturità classica.Se a Monza mons. Er-

    ba aveva assimilato l’im-pronta del religioso bar-nabita, a Firenze assimilòquella dello studioso bar-nabita. La città, la scuo-la, la comunità religiosaerano uno stimolo inces-sante alla cultura e allostudio, all’incanto dinan-zi alla divina bellezzadell’arte e degli amma-lianti colli fiorentini. Tut-ti i padri della Comunitàerano laureati, dal padreMaestro dello Studenta-to, l’indimenticabile pa-dre Luigi Rima, professo-re di latino e greco, masoprattutto un uomo im-merso nell’assistenza aibambini disabili, impe-gno nel quale coinvolge-va anche i suoi chiericiperché si abituassero aservire tutte le classi so-ciali, in particolare quel-le più disagiate, ai padriCambiaghi, rettore e pre-side, Carcano, Mariani,Amodio, Madonini, Ia-

    cobelli, Caporali ecc. Esempi che in-fluivano nella crescita spirituale eculturale dei giovani barnabiti perchéla vita religiosa pulsava non menointensa di quella culturale. Tra l’altro,vicino al collegio i barnabiti stavanocostruendo la futura parrocchia dellaDivina Provvidenza, ma erano già at-tivamente operanti nel campo pasto-rale, sia pure in ambienti provvisori.Respirando a pieni polmoni le fosco-liane «felici aure fiorentine pregne divita» don Andrea Erba maturava lasua natura di uomo di cultura. C’èforse anche una premonizione: trevescovi barnabiti del ‘900 erano statisodali del Collegio “Alla Querce”:mons. Luigi Grassi, vescovo di Alba,mons. Cambiaghi, vescovo di Cremae poi di Novara, mons. MicheleGiambelli, vescovo di Bragança inBrasile, Andrea Erba sarà il quarto tracotante eccellenze.Ricordando i suoi educatori ho ci-

    tato soltanto i padri, ma un preziosocontributo alla sua formazione han-no dato con il loro esempio anche ifratelli Coadiutori, uomini umili, diintensa preghiera, ricchi della sapien-za dei semplici che quando non ave-vano in mano gli attrezzi da lavoro,avevano il rosario. Usavano più ildialetto dell’italiano, ma quandodovevano farsi capire, il loro parla-re era chiarissimo. Esemplare il loroattaccamento alla Congregazione.Li ho conosciuti tutti, a Cremona:fr. Oreste, fr. Giuseppe Mulazzani,fr. Daniele e fr. Materno; a Monza:fr. Emilio Brioschi, pietra miliare delCarrobiolo; a Firenze: fr. Giustino,fr. Giulio e fr. Luigi; a Roma: fr. Cec-chino, fr. Carlo e fr. Vincenzo. Ecome dimenticare e soprattutto co-me non ringraziare fratel Gianfran-co da decenni fedelissimo custosepiscopi?Terminato l’anno di propedeutica,

    finalmente Roma (1952-1956) dovela Provvidenza continuava a sorri-dere a don Andrea e ai suoi compa-gni perché la loro fu la prima classedi chierici barnabiti iscritta allaPontificia Università Urbaniana perconseguire i titoli accademici, men-tre in precedenza lo studio dellateologia si svolgeva entro le muradello Studentato. Cambiava l’am-biente, ma soprattutto cambiava laqualità, all’Urbaniana i nostri tro -vavano docenti professionalmentequalificati come Piolanti, Garofalo,

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    il feretro di mons. Andrea M. Erba ai piedidell’altare della cattedrale di Velletri

    IN RICORDO DI MONS. ANDREA MARIA ERBA

  • Fabro, Visser, Bugnini, Sfeir, ecc.«Devo dire che con gli studi classiciche avevamo fatto a Firenze, erava-mo molto preparati, all’Urbaniananon abbiamo sofferto, né abbiamofatta molta fatica con le lezioni cheerano tutte in latino. Siamo stati an-che premiati». Un’altra grazia gli ri-serbava il Signore: essere accompa-gnato negli ultimi anni di formazio-ne, i più difficili e i più impegnativi,perché quelli decisivi, dal suo ama-to Maestro di Noviziato, il padreCastelnuovo, nominato nel 1952Assistente generale e Maestro degliStudenti teologi, trasferito da Mon-za a Roma. La Comunità dello Stu-dentato era particolarmente nume-rosa perché comprendeva il Supe-riore generale con tutta la suaCuria: il rev.mo padre Emile Schot ei padri Carfora, Castelnuovo, Man-zini, Colciago, Cambiaghi, Fasola,Codato più altri religiosi membridella Comunità e 4 classi di teologi,cioè una cinquantina di chierici.Erano anni durante i quali ci si pre-parava ai due traguardi fondamenta-li: la professione solenne come reli-giosi e il Presbiterato come chierici.Nel corso dei primi tre anni, con ilrinnovo annuale della professionesemplice si ricevevano gli ordiniminori: tonsura, lettorato, esorcista-to, accolitato.Mons. Erba ricorda così la vita

    nello studentato romano: «Vita distudio, di pietà, di carità fraterna, diamicizia. Era una vita austera, comenel Noviziato, però a Roma era unacosa meravigliosa, perché la dome-nica dopo le messe andavamo in vi-sita ai monumenti e alle chiese, apiedi, andata e ritorno. Celebrava-mo inoltre tante funzioni, sia nellanostra chiesa al Gianicolo, sia nellaparrocchia di San Carlo ai Catinari,che è dei Barnabiti. Vicino allo Stu-dentato c’era l’oratorio dei ragazzi etenevamo loro lezioni di catechismoe giocavamo insieme. Anch’io gio-cavo, eh! (Non so se fosse di già ti-foso del Milan). A Roma ho trascor-so degli anni bellissimi, studiandoteologia. Quelli romani furono annidi vita intensa, piena, senza grilli intesta». Ammesso alla professionesolenne, per prepararsi adeguata-mente, ritornò con i suoi compagnidi classe nel noviziato di Monzaper i tradizionali “tre mesi” di pre-ghiera, meditazione, esercizi spiri-

    tuali, discernimento e decisione. Il7 ottobre 1954 professava davanti alSuperiore generale la sua libera, vo-lontaria, consapevole e totale con-sacrazione alla vita religiosa confor-me al carisma del fondatore san-t’Antonio Maria Zaccaria. Se unuomo si lascia determinare dallapersona di Gesù Cristo come dalmodello fondamentale di una visio-ne e di una prassi di vita, intervienein lui una trasformazione totale.Gesù Cristo, infatti, non è un tra-guardo esteriore, una dimensionevaga, una norma generale di com-portamento, un ideale al di fuori deltempo. Influisce e incide sulla vita esulla condotta dell’uomo non tantodall’esterno, quanto dall’interno.Seguire il Cristo implica non tantouna informazione, quanto una for-mazione: non un mutamento in su-perficie, ma un mutamento profon-do del cuore e quindi un mutamen-to dell’uomo intero. Ora potevaaccedere agli ordini maggiori: ilsuddiaconato, il diaconato e infineil presbiterato il 17 marzo 1956 dalcard. Carlo Confalonieri, nella stes-sa chiesa ove oggi celebra il 60° disacerdozio. Il sacerdozio non eraperò il traguardo finale di padre An-drea Erba.Altro aveva riservato per lui la

    Provvidenza. Il 19 dicembre 1988 a

    mezzogiorno nella sala San Paolo diSan Carlo ai Catinari dove padre Er-ba era parroco, il rev.mo Superioregenerale dei Barnabiti, padre Giu-seppe Bassotti leggeva la bolla dinomina: «Giovanni Paolo II, servodei servi di Dio, al diletto figlio An-drea Maria Erba della Congregazio-ne dei Chierici regolari di San Paolodetti Barnabiti, eletto Vescovo diVelletri-Segni, salute e ApostolicaBenedizione...». Giovanni Paolo IIgli conferirà la consacrazione epi-scopale il 6 gennaio e mons. An-drea Maria Erba farà il suo ingressonella diocesi suburbicaria di Velle-tri-Segni domenica 22 gennaio: unadata molto significativa nella storiadi Velletri, il disastroso bombarda-mento della città durante la secon-da guerra mondiale. Molte le vitti-me, molti i danni. Con questo gestodi profonda sensibilità umana e pa-storale il nuovo pastore voleva di-mostrare che ormai la vita della suadiocesi, in ogni sua manifestazione,era la sua vita, attuando l’esortazio-ne di san Paolo: «Gaudere cum gau-dentibus, flere cum flentibus». Ve-scovo dunque di Velletri-Segni! Sidirà: ma era una minuscola diocesi,una ventina di parrocchie. È vero,ma si cambia idea quando se ne co-nosce la storia: prima di tutto è unadelle 7 diocesi suburbicarie quelle

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    il card. Francis Arinze, che ha presieduto la celebrazione del solenne funeraledi mons. Andrea M. Erba, ne incensa la bara nel momento dell’ultimo saluto

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  • cioè che hanno come titolari i car-dinali dell’ordine dei Vescovi chesono normalmente i più importantidel Collegio cardinalizio, poi ben11 vescovi veliterni sono beati osanti e 13 divenuti Pontefici! Nonso quante altre diocesi possanovantare tanta gloria! Raccontarecon precisione e completezza i 17anni di Mons. Erba pastore di que-sta diocesi richiederebbe un tempoillimitato. Dato che stiamo cele-brando un anniversario di ordina-zione sacerdotale, mi limito al temadel sacerdozio: «forse nessun ve-scovo Veliterno-Segnino – riferisco-no le cronache – ha trasmesso l’or-dine sacro diaconale e sacerdotalequanto mons. Erba a numerosi sa-cerdoti diocesani (10) e barnabiti(12)». Fuori diocesi si ricorda laconsacrazione di candidati soma-schi, focolarini, comunità di san-t’Egidio, frati conventuali, Istitutodella Madre di Dio, e soprattuttodel Verbo Incarnato. A questo pro-posito è memorabile l’ordinazionesacerdotale di ben 49 ordinandi inun’unica e straordinaria celebrazio-ne avvenuta nella cattedrale di LaPlata in Argentina l’8 agosto 2001.Ha consacrato e benedetto 11 chie-se nuove di cui 7 parrocchie. In-somma durante i 17 anni di episco-pato la diocesi somigliava ad uncantiere non solo di edilizia ma an-che fonte di spiritualità e di aposto-lato. Impossibile ignorare la visitadi Madre Teresa a Velletri, accantoal vescovo durante la celebrazionedella Messa. Ma una persona è par-ticolarmente cara a Monsignore:Benedetto XVI, che dal 1993 sinoalla elezione papale è stato il Cardi-nale titolare di quella diocesi subur-bicaria. «Noi ci siamo legati a Bene-detto XVI con vincoli di estrema am-mirazione e simpatia»: vincoli cheavranno un momento particolar-mente emozionante il 24 aprile2005, durante la Messa di inizio delministero Petrino. Benedetto XVIscelte personalmente il vescovo del-la chiesa suburbicaria di Velletri-Se-gni a rappresentare i vescovi di tut-to il mondo. «Un gesto di benevo-lenza che mi ha commosso e,umanamente parlando, procuratouna grande soddisfazione. Salendoal trono papale, al cospetto dì tutti icardinali e dell’immensa folla di fe-deli, nello splendore dei riti e dei

    canti liturgici, mi frenavano le gam-be e soprattutto il cuore batteva for-te». Mons. Erba ha conosciuto beneil cardinal Ratzinger e così lo ricor-da: «Lungi dall’essere una personadura e austera come spesso vienedipinta da alcuni giornali, Ratzingerè uomo mite e cordiale, affabile esorridente, l’amabilità in persona».Si avrà modo di parlare approfondi-tamente del suo episcopato quandofra tre anni, enshallah (bisogna in-cominciare ad abituarsi a questofraseggiare islamico!), se ne cele-brerà il trentesimo anniversario.La solidità della formazione reli-

    giosa e sacerdotale di Mons. Erba ri-cevuta nel periodo pre-conciliare simanifestò specialmente negli anniturbolenti del post-concilio, durantei quali l’aggiornamento della vita re-ligiosa fu spesso interpretato comeuna liberalizzazione o secolarizza-zione totale, tanto da indurre PaoloVI a scrivere nel 1971 l’EsortazioneApostolica “Evangelica Testificatio”per «rispondere all’inquietudine, al-l’incertezza ed instabilità che alcunidimostrano, ed incoraggiare, pari-menti, coloro che cercano il verorinnovamento della vita religiosa.L’audacia di certe arbitrarie trasfor-mazioni, un’esagerata diffidenza ver-so il passato, anche quando esso at-testa la sapienza ed il vigore delletradizioni ecclesiali, una mentalitàtroppo preoccupata di conformarsiaffrettatamente alle profonde trasfor-mazioni, che scuotono il nostro tem-po, hanno potuto indurre taluni aconsiderare caduche le forme speci-fiche della vita religiosa. Non si è ar-rivati addirittura a far appello, abusi-vamente, al concilio per rimetterla indiscussione fin nel suo stesso princi-pio?...». Il giovane sacerdote AndreaErba, forte della validità della forma-zione ricevuta e soprattutto assimi-lata, non si lasciò ammaliare dallalaicizzazione della vita religiosa,stette «come torre ferma, che noncrolla/ già mai la cima per soffiare diventi» (Purg. V, 14-15) e applicò conlungimiranza, spirito di intelligenteriformulazione di orientamenti di vi-ta, di disciplina religiosa, di vita pa-storale i testi del Concilio letti conl’attenzione dello studioso e del reli-gioso legato alla tradizione e non altradizionalismo, alla novità e nonalla moda. Scrive padre Gentili:«Rammento l’attento dosaggio con il

    quale l’allora padre Erba, responsa-bile di diverse comunità da Roma aMilano, seppe creare un non facileconsenso su modelli di vita comuni-taria e apostolica, chiamati entrambia fronteggiare le sfide di quella “eranuova” di cui papa Giovanni XXIII,all’apertura del Concilio Vaticano II,aveva solennemente quanto profeti-camente annunciato il sorgere». For-se padre Erba conosceva già e con-divideva la riflessione di FrançoisMauriac: «Voi, sacri ministri, perde-rete sempre se vorrete uguagliarvi anoi sul terreno laico... Vinceretesempre se vi stabilirete con gioia,con forza, con semplicità radiosa inciò che è il vostro incomunicabiledominio di consacrati alla causa diCristo. Vi domandiamo, anzitutto eal di sopra di tutto, di dare a noi Diocon quei poteri di consacrare e diperdonare che voi solo avete...». Dicerto aveva ben radicata come pro-gramma di vita l’esortazione che PioXII aveva rivolto a lui e ai suoi com-pagni novelli sacerdoti nell’udienzaloro riservata: «Siate forti nella fede,costanti nella santità e purezza di vi-ta, fedeli nella dottrina della Chiesasenza deviazioni; ubbidite con ge-nerosità ai Superiori del vostro Ordi-ne, che noi conosciamo, amiamo estimiamo».Eccellenza ho terminato, ho tenta-

    to di riportare le sue radici alla lucedel sole, offrirle un dolce rimembraredelle passate cose, ci ho provato. Af-fido la conclusione alla preghierache Benedetto XVI ha composto peril proprio sessantesimo di ordinazio-ne sacerdotale.

    Signore,noi ti ringraziamoperché hai aperto il tuo cuore per noi;perché nella tua morte e nella tuaresurrezione sei diventato fonte di vita.Fa’ che siamo persone viventi, viventi dalla tua fonte,e donaci di poter essere anche noi fonti,in grado di donare a questo nostrotempo acqua della vita.Ti ringraziamoper la grazia del ministero sacerdotale.Signore, benedici noie benedici tutti gli uomini di questotempo che sono assetati e in ricerca.

    Amen.

    Giuseppe Moretti

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