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OTTIMIZZAZIONE DI PROCESSI AZIENDALI: INTEGRAZIONE DI … › download › ERP_BPMN_WORKFLOW.pdf ·...

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4/2013 SISTEMI INFORMATIVI CONTROLLO DI GESTIONE 30 OTTIMIZZAZIONE DI PROCESSI AZIENDALI: INTEGRAZIONE DI BPM, STRUMENTI DI WORKFLOW E SISTEMI ERP N elle aziende l’organizzazione rappresenta il vero strumento che consente la concretizzazione della strategia; ma il potere di un’organizzazione efficiente ed efficace, ovvero degli strumenti che rendono l’ottimizzazione dei processi una realtà fruibile, è ancora troppo poco noto. Il contributo desidera offrire una «mappa» di orientamento per meglio comprendere e collocare il corretto utilizzo di soluzioni che, integrate con il «classico» sistema informativo ERP, possono permettere una «rappresentazione digitale» ottimizzata dell’impresa prendendo le mosse da un’analisi specifica delle attività e dei processi che la caratterizzano. Generalità Uno degli effetti più evidenti dell’economia globalizzata che caratterizza l’attuale scenario di mercato è il ruolo, sempre più dominante, della comunicazione e del marketing; le differenze sociali, culturali e geografiche devono trovare un comune denominatore nei messaggi di lancio, oppure consolidamento, di prodotti o servizi da offrire al mercato. Tali messaggi si devono adattare a media differenti ma di fatto standardizzati, sia nel formato che nel look, per poter catturare l’attenzione di consumer altrettanto differenti. Poiché il potenziale target utenti è molto più vasto rispetto al contesto economico e sociale «ante web 2.0», risulta necessaria non solo la sintesi come prerequisito essenziale per l’efficacia del messaggio ma anche, lato consumer, una capacità di filtro e di successivo approfondimento per essere in grado di cogliere il reale contenuto del messaggio stesso. L’information technology, per sua natura, è uno dei contesti sociali in cui tale mix tra «contenitore e contenuto» appare più bisognoso di filtri successivi per una corretta interpretazione; in effetti, uno dei risultati più evidenti nell’aver reso la tecnologia sempre più a «portata di utente finale» è la pericolosa assenza di un livello di separazione netto tra quella che può essere considerata informatica individuale e quella che può, in tutta generalità, rientrare nella classificazione di informatica aziendale: ed ecco come l’acquisto di tecnologia, per talune aziende, appare ancora come la risposta automatica alla gestione di un problema, trascurando il fatto che la tecnologia nelle organizzazioni si deve misurare non tanto e non solo con l’individuo a sé stante, ma con gruppi di individui, le cui attività sono articolate in processi correlati, talvolta asincroni, nei quali la tecnologia in sé non è affatto sufficiente a risolvere un problema se non opportunamente contestualizzata nell’insieme più ampio delle attività che la stessa deve asservire. Un esempio vissuto riguarda un’azienda che, alcuni anni fa, decise di istituire un processo di web order management a seguito di un’analisi interna che ne decretò la sostanziale maggiore efficienza rispetto alla consolidata procedura manuale di gestione dell’ordine cliente. Il paradosso si creò nell’analisi delle attività di dettaglio, nella quale emerse la necessità di gestire una firma manuale da parte del general manager per sancire la fattibilità dell’ordine ed abilitare il processo di fabbricazione del prodotto richiesto. Si pensò che la firma digitale potesse rappresentare un valido «surrogato» dell’analoga attività di firma manuale; predisposto, quindi, l’hardware ed il software necessario, l’attività «reingegnerizzata» prevedeva la firma digitale dell’ordine cliente elaborato dall’ufficio commerciale come conclusione del flusso di lavoro (workflow) di elaborazione della richiesta, certificato da un messaggio di notifica dell’avvenuta validazione da parte del GM. Il processo apparirebbe corretto da un punto di vista formale; anche da un punto di vista sostanziale, le attività manuali del processo nel loro complesso furono riviste ed ognuna di esse trovò una qualche «corrispondenza digitale» nel nuovo processo reingegnerizzato, firma del GM compresa. Ma qual è il problema di fondo di questo approccio? Semplicemente che il processo non ha evidenziato metriche di miglioramento; la «coda» documentale cartacea presente nel processo manuale as is si è semplicemente trasformata in una «coda digitale» nel processo «reingegnerizzato» will be sulla scrivania del GM, non portando alcun beneficio sensibile all’azienda nella gestione del lead time complessivo che va dalla ricezione dell’ordine cliente alla sua collocazione nel magazzino dei finiti. di Bruno Stefanutti APICS CPIM CSCP e TUTOR. Amministratore di Consept, società di consulenza specializzata in organizzazione, processi e tecnologia.
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4/2013

SISTEMIINFORMATIVICONTROLLO

DI GESTIONE

30

OTTIMIZZAZIONE DI PROCESSIAZIENDALI: INTEGRAZIONE DI BPM, STRUMENTI DI WORKFLOWE SISTEMI ERP

N elle aziende l’organizzazione rappresenta il vero strumento che consente la concretizzazione della strategia; ma il potere di

un’organizzazione efficiente ed efficace, ovvero degli strumenti che rendono l’ottimizzazione dei processi una realtà fruibile, è ancora troppo poco noto. Il contributo desidera offrire una «mappa» di orientamento per meglio comprendere e collocare il corretto utilizzo di soluzioni che, integrate con il «classico» sistema informativo ERP, possono permettere una «rappresentazione digitale» ottimizzata dell’impresa prendendo le mosse da un’analisi specifica delle attività e dei processi che la caratterizzano.

Generalità

Uno degli effetti più evidenti dell’economia globalizzata che caratterizza l’attuale scenario di mercato è il ruolo, sempre più dominante, della comunicazione e del marketing; le differenze sociali, culturali e geografiche devono trovare un comune denominatore nei messaggi di lancio, oppure consolidamento, di prodotti o servizi da offrire al mercato. Tali messaggi si devono adattare a media differenti ma di fatto standardizzati, sia nel formato che nel look, per poter catturare l’attenzione di consumer altrettanto differenti. Poiché il potenziale target utenti è molto più vasto rispetto al contesto economico e sociale «ante web 2.0», risulta necessaria non solo la sintesi come prerequisito essenziale per l’efficacia del messaggio ma anche, lato consumer, una capacità di filtro e di successivo approfondimento per essere in grado di cogliere il reale contenuto del messaggio stesso. L’information technology, per sua natura, è uno dei contesti sociali in cui tale mix tra «contenitore e contenuto» appare più bisognoso di filtri successivi per una corretta interpretazione; in effetti, uno dei risultati più evidenti nell’aver reso la tecnologia sempre più a «portata di utente finale» è la pericolosa assenza di un livello di separazione netto tra quella che può essere considerata informatica individuale e quella che può, in tutta generalità, rientrare nella

classificazione di informatica aziendale: ed ecco come l’acquisto di tecnologia, per talune aziende, appare ancora come la risposta automatica alla gestione di un problema, trascurando il fatto che la tecnologia nelle organizzazioni si deve misurare non tanto e non solo con l’individuo a sé stante, ma con gruppi di individui, le cui attività sono articolate in processi correlati, talvolta asincroni, nei quali la tecnologia in sé non è affatto sufficiente a risolvere un problema se non opportunamente contestualizzata nell’insieme più ampio delle attività che la stessa deve asservire. Un esempio vissuto riguarda un’azienda che, alcuni anni fa, decise di istituire un processo di web order management a seguito di un’analisi interna che ne decretò la sostanziale maggiore efficienza rispetto alla consolidata procedura manuale di gestione dell’ordine cliente. Il paradosso si creò nell’analisi delle attività di dettaglio, nella quale emerse la necessità di gestire una firma manuale da parte del general manager per sancire la fattibilità dell’ordine ed abilitare il processo di fabbricazione del prodotto richiesto. Si pensò che la firma digitale potesse rappresentare un valido «surrogato» dell’analoga attività di firma manuale; predisposto, quindi, l’hardware ed il software necessario, l’attività «reingegnerizzata» prevedeva la firma digitale dell’ordine cliente elaborato dall’ufficio commerciale come conclusione del flusso di lavoro (workflow) di elaborazione della richiesta, certificato da un messaggio di notifica dell’avvenuta validazione da parte del GM. Il processo apparirebbe corretto da un punto di vista formale; anche da un punto di vista sostanziale, le attività manuali del processo nel loro complesso furono riviste ed ognuna di esse trovò una qualche «corrispondenza digitale» nel nuovo processo reingegnerizzato, firma del GM compresa. Ma qual è il problema di fondo di questo approccio? Semplicemente che il processo non ha evidenziato metriche di miglioramento; la «coda» documentale cartacea presente nel processo manuale as is si è semplicemente trasformata in una «coda digitale» nel processo «reingegnerizzato» will be sulla scrivania del GM, non portando alcun beneficio sensibile all’azienda nella gestione del lead time complessivo che va dalla ricezione dell’ordine cliente alla sua collocazione nel magazzino dei finiti.

di Bruno StefanuttiAPICS CPIM CSCP e TUTOR. Amministratore di Consept, società di consulenza specializzata in organizzazione, processi e tecnologia.

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della sua strategia; anzi, la strategia si concretizza unicamente tramite una corrispondente organizzazione del business in processi. La missione aziendale prevede, infatti, la realizzazione di un prodotto/servizio al mercato con l’obiettivo di ottenerne un profitto minimizzando i costi di produzione e massimizzando il servizio al cliente in senso lato: qualità, tempi di consegna, rispetto delle specifiche funzionali, ecc. Il processo aziendale rappresenta, quindi, il nucleo tramite il quale ogni obiettivo si concretizza, perché è solo esso che raccoglie in sé compiutamente tutte le componenti aziendali che concorrono all’offerta di quel prodotto/servizio al mercato: tempi di esecuzione, risorse, sistemi, metodologie, documenti, ecc. Proprio per questo, il sistema informativo aziendale dovrebbe rappresentare questa connotazione strategica dei processi nella modalità più fedele possibile, in quanto esso null’altro è se non la rappresentazione digitale dell’impresa a sé stessa ed al mondo esterno. In particolare, come mappa digitale dell’azienda relativamente all’insieme dei processi caratterizzanti la supply chain, il cosiddetto sistema ERP1 deve necessariamente contribuire a creare senza ambiguità una corrispondenza tra attività aziendali (ricezione ordine cliente, ordine a fornitore, produzione, fatturazione, ecc.) e dati ad esse afferenti; i processi aziendali, come naturale collezione di attività aziendali, ne rappresentano il prerequisito di fondo per un corretto

Il punto che sfuggì nell’analisi che quell’azienda condusse è che qualsiasi sistema fisico si muove alla velocità del suo elemento più lento; se tale elemento non è oggetto di «incrementi di velocità», ovvero miglioramenti sensibili del proprio lead time, qualsiasi innesto di elemento di innovazione si rivelerà del tutto sterile. L’azienda continuerà a muoversi secondo la velocità dettata dal suo vincolo.Ecco un esempio di come il ricorso alla tecnologia individuale (l’applicazione di una firma digitale come certificazione della paternità di uno specifico atto da parte di un altrettanto specifico individuo) in un contesto aziendale senza un’analisi complessiva a supporto del processo, può trasformarsi in una mossa inefficiente; e spesso questo approccio è riscontrabile nelle aziende che desiderano dotarsi di un sistema integrato ERP, nel goffo tentativo di risolvere tecnologicamente un problema che è in realtà organizzativo e di processo.In sostanza, da un punto di vista aziendale, la spinta mediatica spesso complica la comprensione delle reali opportunità e potenzialità degli strumenti «sottotraccia» agli acronimi che, per amore della già richiamata necessità di sintesi, governano i messaggi pubblicitari; tutto ciò impedisce un reale accesso ed un’effettiva abilitazione all’ottimizzazione dei processi aziendali. E proprio dal «processo» occorre partire, dal «come» più che dal «cosa»; l’insieme dei processi aziendali rappresenta di fatto la rappresentazione plastica dell’organizzazione e

Tavola 1 – Relazione tra ERP e ES

erp, es es

PROCESSI ERP NON

COMPRESI IN UN TIPICO ES

● Forecasting vendite

● Sales&operations planning

● Advanced planning system (APS)

● Metriche analisi fornitori

● Metriche di performance

PROCESSI ERP

IN UN TIPICO ES

● Master production scheduling

● Rough-cut Capacity planning

● MRP

● Capacity requirements planning

● Distribution requirements planning

● Customer order entry

● Contabilità clienti

● Contabilità fornitori

● Contabilità generale

● Cash management

● Crm

● HR

● Data wharehouse

● Workflow management

● Business process management

PROCESSI NON ERP

IN UN TIPICO ES

erp

1 ERP è l’acronimo di Enterprise Resource Planning e rappresenta il classico sistema informativo gestionale presente in numerose aziende, benché non tutti i sistemi gestionali aziendali rientrino nella categoria degli ERP.

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erogazione del servizio, conoscenza del mercato), risulta meno vero per altri. La struttura aziendale che si sviluppa intorno all’originaria idea di business, intorno alla «persona» imprenditore, presto o tardi diventa qualcosa di più complesso ed articolato e più difficilmente controllabile nella sua evoluzione: l’organizzazione, intesa come insieme di mezzi e persone, sviluppa autonomamente nel tempo routine spontanee e processi operativi che, benché non formalizzati e implicitamente condivisi, reggono l’operatività quotidiana, utilizza e viene condizionata nel suo funzionamento dagli strumenti di lavoro (si pensi solo al massiccio impiego di tecnologia). In definitiva, l’azienda si trasforma e si articola in un insieme di processi spesso correlati, talvolta indipendenti, comunque coesistenti. A ben vedere non è, quindi, strano che il piccolo-medio imprenditore possa avere qualche seria difficoltà a rappresentarla a sé stesso ed agli altri. In particolare, decisamente complessa è la relazione esistente tra piccola e media azienda e l’impiego di tecnologia, visto che il sopra descritto approccio imprenditoriale ha, per sua natura, decisamente influito sull’attuale disorganicità dei sistemi informativi aziendali. Tali sistemi sono spesso cresciuti in modo disarticolato e poco organico, con modalità che si potrebbero definire «a stratificazione» e/o a patchwork, ossia con soluzioni applicative che nel tempo si sono sovrapposte, stratificate o affiancate le une alle altre, quasi sorte spontaneamente per rispondere alle peculiari necessità operative di una funzione, un’area, un ufficio se non addirittura di un singolo utente. Ed è proprio in questo contesto che, oramai una ventina di anni fa, sono comparse le prime soluzioni di workflow, ovvero strumenti informatici che si ponevano l’obiettivo di originare, gergalmente parlando, delle macro ovvero dei flussi automatici di azioni compiute da un programma per replicare talune attività manuali che caratterizzavano la specifica e granulare attività utente. L’enfasi sull’attività del singolo era evidente. Ad ogni buon conto, questo approccio ha storicamente condotto a sfavorire soluzioni informatiche (e, quindi, organizzative) per processo rispetto a quelle puntuali ovvero per funzione, determinando la nascita e la cristallizzazione, in azienda, di vere e proprie isole di automazione slegate tra loro, nelle quali lo strumento tecnologico utilizzato ha fortemente condizionato l’organizzazione del lavoro. Questo approccio ha prodotto due effetti tangibili: in primo luogo, si è perso il senso primario dell’innovazione tecnologica in azienda come portatrice di miglioramento dell’organizzazione, prima che del miglioramento degli strumenti con i quali si lavora, confondendo la «soluzione al problema» con la «soluzione software»; in secondo luogo, dal punto di vista pratico resta il fatto che è solo all’interno del

funzionamento. Ed i flussi informativi caratterizzanti i processi aziendali e le attività «atomiche» utente, unite ai relativi documenti, (workflow management) devono trovare essi stessi una puntuale mappatura nel sistema informativo, pur se talvolta caratterizzati da una granularità che l’ERP nativamente non offre. Sembra, quindi, naturale trovare all’interno di altre soluzioni informatiche questa «mappa digitale di dettaglio», per consentire la totale integrazione dei processi nel sistema aziendale. Già da questa introduzione emerge il ruolo correlato tra processi ERP e workflow management che si specificherà nel seguito. Non si dimentichi, infatti, che il sistema informativo aziendale (ES, Enterprise System) è una definizione più ampia rispetto a quella di sistema ERP, nel senso che un ES può comprendere anche altre componenti software necessarie al completamento della corrispondenza digitale dei processi aziendali ed alla gestione complessiva delle attività, tra i quali gli strumenti di Business Process Management e gli strumenti di Workflow (si veda la colonna di destra nella Tavola 1 a pag. 31).

Il concetto di «processo aziendale» nelle piccole e medie imprese

Perché sembra così difficile pensare all’azienda organizzata per processi? Qual è, quantomeno in Italia, il reale o stacolo alla definitiva presa di coscienza della necessità di una visione orizzontale dell’impresa? Probabilmente la motivazione è storica e culturale al tempo stesso. In Italia, infatti, le piccole e medie imprese rappresentano una realtà caratteristica del tessuto connettivo imprenditoriale nazionale; l’Italia è il Paese occidentale con la più alta concentrazione di aziende sotto i 10 dipendenti (circa il 95% delle imprese nazionali), dato quest’ultimo che è di ben 6 punti percentuali superiore alla media degli altri Paesi europei. Il fenomeno dei distretti ha esaltato, in alcune aree geografiche del Paese, questo tipo di approccio imprenditoriale in alcune aree geografiche, al punto tale che esistono province del Nord Est che da sole esportano quanto interi Paesi europei. Ma cosa significa da un punto di vista organizzativo e di controllo di gestione questo approccio al fare impresa? La dimensione dell’impresa fa trasparire una connotazione imprenditoriale incentrata sulla figura del «titolare», spesso «padrone» e forte della propria idea di business, che imprime un’impronta personale all’organizzazione. Egli controlla e conosce a fondo l’impresa che ha creato. Se tutto questo è certamente vero per taluni aspetti, ossia, come già evidenziato, soprattutto per gli aspetti che riguardano il «saper fare» il proprio mestiere (realizzazione fisica del prodotto,

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dualmente, è proprio questa lacuna informativa a segnalare inequivocabilmente all’imprenditore che la rappresentazione digitale dell’azienda e quella reale divergono, creando problemi pratici di vario tipo: marginalità di prodotto non congrua oppure approssimazione nel calcolo dei costi di prodotto, ritardi di consegna, rilavorazioni frequenti, varianti di produzione non pianificate, livelli di magazzino incoerenti, ecc. Ed è proprio in questa necessità di rappresentazione organizzativa che si innesta un tema interessante quanto necessario, ovvero la nuova possibile visione del processo aziendale come entità da analizzare, misurare e migliorare: ma con quali metodologie e strumenti?

La definizione di «processo aziendale»

Definito il contesto in cui tale contributo vuole collocarsi, risulta utile un approccio più formale alla definizione corretta di «processo aziendale», anche se a livello puramente introduttivo. Ogni organizzazione, così come ogni sua parte, può essere vista come un insieme di processi che, a loro volta, sono definibili in vari modi. Da un punto di vista generale si propongono due definizioni che possono dare il senso pratico di cosa si intenda per processo aziendale:

sistema informativo, pure disorganico e lacunoso, che «fisicamente» risiede o dovrebbe risiedere la maggior parte dei dati necessari per qualsiasi elaborazione o analisi inerente il controllo di gestione inteso nella sua accezione più ampia, ovvero come insieme di dati dai quali ricavare ed aggregare informazioni rilevanti per le decisioni strategiche siano esse di breve, medio o lungo periodo. In sintesi, al piccolo e medio imprenditore spesso è mancata (e spesso manca) una visione complessiva e sintetica della propria azienda e soprattutto, unachiave di lettura per interpretare tale visione integrata,fatta sì di tecnologia ma sempre più di organizzazione che la tecnologia deve servire (Tavola 2).A ben vedere l’Enterprise System, in veste di insieme delle «mappe digitali» dei processi aziendali, dovrebbe scaturire da una «corrispondenza tecnologica» dei flussi di attività che caratterizzano l’azienda; la bontà e l’aderenza di tale mappatura rispetto al reale contesto operativo risulta misurabile dalla qualità ed integrità dei dati prodotti dal sistema informativo stesso, dati sui quali in ultima analisi si basano le decisioni aziendali di breve, medio e lungo periodo. Ecco perché, spesso, è dalla mancanza di informazioni, dalla difficoltà nel reperirle o, più semplicemente, dalla loro incongruità che scaturisce una prima ma forte necessità di un intervento di analisi organizzativa prima che tecnologica;

Tavola 2 -Relazione tra processi aziendali e moduli software di un sistema ERP

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il proprio sistema informativo (inteso come insieme di informazioni che caratterizzano l’intera azienda) di una nuova entità e di opportuni strumenti software per gestirla: l’entità «processo» è degna di essere analizzata, monitorata, modificata al fine di estrarre da essa nuove informazioni che possono avere impatti di tipo organizzativo e decisionale estremamente importanti per l’impresa.Spesso, invece, l’informazione viene trattata come un’entità a sé stante rispetto al processo che la genera nel senso che, altrettanto spesso, si perde l’evidenza del fatto che il generico «dato» è, comunque lo si veda, il prodotto indiscutibile di una o più attività distinte ma correlate all’interno di un processo aziendale; ciò genera un’indeterminazione nella reale ed efficace azione da intraprendere per attuare le necessarie azioni correttive. L’unico criterio per valutare la validità di iniziative di innovazione e per definire nuovi programmi di miglioramento risiede nella capacità di misurare le caratteristiche del processo. Da un punto di vista formale un processo aziendale (Tavola 4) risulta sempre e comunque caratterizzato:- da input ed output - i punti di ingresso ed uscita, anche molteplici, consentono di vedere ciò che entra/esce nel/dal processo e, potenzialmente, di misurarlo; gli input sono elementi (tangibili o meno) che fluiscono dall’ambiente esterno all’interno del processo (informazioni, materiali, danaro, risorse, macchinari, ecc..), gli output (materiali, informazioni, flussi monetari, soddisfazione del cliente, tempi di servizio, ecc..) fluiscono dal processo di ritorno verso l’ambiente esterno. Input ed output costituiscono l’interazione dell’impresa3con il suo ambiente di riferimento;- dalle «unità di flusso» o «transazioni» (flow unit) - ovvero ciò che fluisce nel processo (cosa il processo «tratta»: un prodotto finito, un cliente, un semilavorato, un servizio, ecc.);- dalla «rete» di attività all’interno del processo collegate tra loro e dai tempi/costi legati a tali attività; spesso le attività in un processo aziendale

a) una serie di attività elementari, correlate le une alle altre che, nel loro complesso, trasformano degli input in output;b) un insieme di attività strutturate e misurate, progettato per produrre uno specifico output per un mercato o un cliente particolare.Con riferimento alla definizione b), Davenport indicava2 che essa implica «….una forte enfasi su come il lavoro viene svolto all’interno di un’organizzazione, in contrasto con il concentrarsi su cosa viene prodotto. Un processo diviene così uno specifico ordine logico dato dalle attività lavorative nel tempo e nello spazio, con un inizio, una fine, input ed output chiaramente identificati. E’ una struttura per agire……le compagnie americane investono nella ricerca e sviluppo di nuovi prodotti una quota doppia di quella spesa per lo sviluppo di nuovi processi; queste proporzioni sono ribaltate in Giappone…». Un processo può essere rappresentato, al livello più alto di astrazione, come una black box ovvero come una «scatola nera» che attua la suddetta trasformazione di input in output (Tavola 3). Per valutare e migliorare le performance di un processo si deve, quindi, necessariamente guardare dentro questa black box, esaminando con maggiore dettaglio e con opportuni strumenti come gli input attraversano il processo dando origine gli output attesi, a seguito delle trasformazioni attuate dalla serie di attività che lo costituiscono.Riprendendo l’osservazione di Davenport, l’industria automobilistica giapponese offre un interessante esempio di visione del processo come fonte aggiuntiva di informazioni di controllo e monitoraggio dell’efficienza aziendale; «…gli obiettivi di produzione giornaliera, il numero di macchine effettivamente prodotte, i tempi medi di avaria degli impianti, la necessità di lavoro straordinario, sono riportati su un visore luminoso che può essere letto da ogni postazione di lavoro». Un tale approccio al processo (in questo caso produttivo) rende evidente la necessità di corredare

Tavola 3 - Processo aziendale come black box

2 T.H. Davenport «Innovazione dei processi: riprogettare il

lavoro attraverso l’information technology», Ed. Franco Angeli,

pag. 25.3 Intesa come insieme di

processi.

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disorganica di tecnologia, ovvero sganciata da una visione globale di processo, può creare velocità diverse di smaltimento delle unità di flusso all’interno dell’organismo azienda, sicché paradossalmente la maggiore velocità di trattamento dell’informazione da parte di una specifica funzione, ottenuta con interventi di miglioramento sull’efficienza di una o più attività, potrebbe risultare deleteria per le attività a valle, incapaci di assorbire il maggiore carico di flow unit nell’unità di tempo in funzione del numero di risorse disponibili.Sul concetto di velocità del flusso è opportuno insistere ancora: è, infatti, intuitivo che alla realizzazione di un sistema produttivo o «di servizio» caratterizzato da una maggiore velocità media del flusso del prodotto/servizio verso il mercato corrisponderà una maggiore puntualità delle consegne, una minore necessità di rilavorazioni e presenza di scarti, un minore livello medio del work in process (WIP) con un effetto positivo sul cash flow aziendale, in quanto si incasserà prima rispetto al momento di esborso per l’approvvigionamento delle risorse necessarie a quella produzione (Tavola 5di pag. 36). Poiché ogni intervento di miglioramento di processo che non si ponga come obiettivo il miglioramento del lead time dell’elemento più lento della catena di attività non modificherà affatto la velocità del sistema, occorre concentrarsi sui vincoli e rimuoverli, o comunque migliorarne le perfomance

sono correlate e gli input di un’attività a valle sono rappresentati dagli output dell’attività a monte; le attività sono i mattoni fondamentali costituenti un processo; l’arte del disegno e dell’analisi di processo è proprio di discriminare tra le attività evidenziando quelle realmente rappresentative della realtà che si sta esaminando, eliminando i dettagli che non portano valore aggiunto; questo comporta la scelta di un opportuno livello di dettaglio, commisurato a ciò che si vuole misurare;- dai cosiddetti buffers, ovvero zone di attesa (di prodotto o servizio); un buffer agisce di fatto sulla dimensione tempo della flow unit che attraversa il processo, generando un ritardo;- dalle risorse coinvolte (persone, macchinari, ecc.) e quindi dai loro costi;- dalle informazioni descrittive di contesto, che migliorano il contenuto informativo del processo da esaminare.Anche da questa iniziale formalizzazione del concetto di processo appare chiaro come, ad esempio, l’introduzione di elementi di innovazione tecnologica in azienda abbia impatti inevitabili sull’organizzazione, in quanto andrà fatalmente ad innestarsi in un qualche punto della mappa di attività, magari a cavallo fra due o più di esse oppure sostituendo attività ritenute inefficienti. Ma proprio per lo stretto legame con il processo aziendale in cui viene innestata, l’introduzione

Tavola 4 - Le caratteristiche base di un processo

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nelle sue attività componenti è fondamentale per pilotarne correttamente non solo il miglioramento, ma anche la gestione corrente; la simulazione, che consente di dare forma alla previsione o all’ipotesi, permette di costruire e testare scenari differenti ed alternativi (i cosiddetti scenari «what if»), allo scopo di verificare gli effetti pratici del miglioramento ottenibile in un processo, indipendentemente da come tale miglioramento viene ottenuto (aumento delle risorse disponibili, inserimento di innovazione tecnologica, eliminazione di attività ridondanti, eliminazione di certi costi, riduzione dei tempi di attesa, ecc.). Un contesto di simulazione consente di analizzare scientificamente e testare gli interventi prima di attuarli, comparandone gli effetti ottenibili con altri possibili interventi. Il processo, visto come entità informativa, è caratterizzato da proprietà che lo identificano in modo preciso. A titolo esemplificativo, un ciclo di lavoro di un prodotto, le cui fasi elementari siano corredate da tempi di esecuzione, esprime un preciso concetto per il reparto produttivo relativamente al processo di realizzazione; analogamente, la distinta base di un prodotto, opportunamente compilata, connota il prodotto stesso in modo univoco dal punto di vista del fabbisogno di materia prima ed accessori con i quali dovrà essere realizzato, nonché del processo di approvvigionamento da esso sotteso.

sfruttandoli completamente dal punto di vista dell’ottimizzazione dell’output cercato. Tali vincoli rappresentano, di fatto, le aree/attività/risorse che condizionano il successo dell’intera azienda; essere in grado di individuare un vincolo diviene, quindi, attività non solo necessaria ma vitale per i manager che siano implicati, ad un qualsiasi livello operativo o strategico, nella ricerca dell’ottimo aziendale. Questo concetto è alla base della moderna Theory of Constraint (Teoria dei Vincoli) introdotta nel 1984 da E. M. Goldratt nell’ormai celeberrimo testo The Goal4. Quindi, se le risorse vengono ottimizzate senza una visione di «ottimo globale», si otterranno probabilmente massime performance locali, ma in un sistema che continuerà ad essere lento se non è stato migliorato, o rimosso, il vincolo/i vincoli; e questo è un aspetto che anche nelle realtà più strutturate non è sempre chiaro, anche perché spesso non sono davvero chiari quali siano i vincoli.Il miglioramento di efficienza nei confronti di elementi della catena del valore che non siano vincoli non porta ad un reale miglioramento del sistema nel suo complesso, in quanto la velocità del sistema continuerà ad essere dettata dall’elemento più lento, se non è stato interessato dall’intervento in questione.Ecco come la previsione e la simulazione di ciò che accade nella modifica di un processo aziendale

Tavola 5 - Relazione tra cash flow e miglioramento dei lead time in un generico processo

4 Si veda a cura dello stesso autore «Implementazione di

un ERP nelle piccole e medie imprese: analisi dei requisiti,

soluzioni, gestione del cambiamento organizzativo ». Ed. IPSOA-WOLTERS KLUWER

Agosto 2012.

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ordini nel corso dell’ultimo mese. Oggi, viceversa, esistono strumenti in grado di «sostenere e supportare» dal punto di vista informativo i processi aziendali, di analizzarli, di simularne l’andamento al variare di determinati parametri endogeni od esogeni (analisi what if). Ma questi strumenti rappresentano un qualcosa di non nativamente disponibile nei sistemi ERP e, proprio per questo, soggetti ad una disciplina metodologica e concettuale del tutto specifica rispetto ai temi della Supply Chain o delle Operations, propri degli Enterprise Resources Planning Systems.Ecco come i sistemi informativi ERP hanno originato una dicotomia tra dati elementari e processi che originano quei dati, in quanto il dato nei data base dell’azienda è, per sua natura e storia, «monodimensionale». Risulta interessante però la possibilità di associare il dato al processo che in qualche modo contribuisce a generarlo, in quanto ciò consentirebbe di fatto la creazione di un metadato, ovvero di un «dato esteso» in cui al valore numerico caratterizzante il «fatto» (quantità prodotte, costo di realizzazione, materiale consumato, ore uomo necessarie alla fabbricazione) si accompagni la possibilità di agire sul contesto che ha generato quel dato, per verificare se al cambiamento del contesto possa corrispondere un dato diverso in termini di efficienza, qualità, soddisfazione del cliente, ecc. Ed ecco quindi la seconda coordinata possibile del dato: il contesto di processo che lo ha generato (Tavola 6).A supporto della visione aziendale per processo viene in soccorso la metodologia e l’impianto concettuale costituito dal Business (Flows) Process

Dai «processi» ai «dati»: il Business Process Management ed i sistemi ERP

Come si è avuto modo di sottolineare nelle pagine precedenti, l’esperienza aziendale porta a dire che soprattutto nelle realtà medio - piccole del territorio nazionale l’entità processo resta per lo più, quand’anche «nota» sostanzialmente «vuota», ovvero non risultano formalizzate ed utilizzate appieno le proprietà «numeriche» che caratterizzano il processo se non da un punto di vista descrittivo e/o di corredo, a parte le naturali caratteristiche «anagrafiche» legate allo specifico insieme di attività che quel processo deve rappresentare: dati di ordine cliente, dati di produzione, dai di fatturazione, ecc. In definitiva, si è in grado di rappresentare ed utilizzare il processo, ma senza sfruttarne il contenuto informativo delle metriche che lo caratterizzano e senza disporre di strumenti in grado di ipotizzare cosa possa accadere al processo (e quindi all’organizzazione che lo utilizza) al mutare di quelle metriche; questo perché è innegabile che il sistema informativo ERP sia finalizzato alla gestione coerente dei dati «anagrafici» caratterizzanti il processo ed al suo output5 più che ad informazioni di performance quali i tempi di esecuzione delle attività, le risorse assegnate ed il loro livello di saturazione, il tempo di ciclo del processo, i costi associati, ecc. Tutti i sistemi informativi ERP, nessuno escluso, raccolgono le informazioni relative ai soli dati di output del processo, cosicché un ristretto numero di dirigenti è costretto a gestire (spesso fuori sistema informativo) informazioni relative, ad esempio, ai tempi di sviluppo di un nuovo prodotto o il tempo medio di evasione degli

Tavola 6 - Esempio di metriche caratterizzanti la simulazione di un processo di gestione delle visite mediche presso un ambulatorio

5 L’emissione di un ordine cliente e relativa conferma, l’emissione della fattura, l’emissione di un ordine di produzione, la creazione di una distinta base, ecc.

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- si modifica il software. La modifica di processo interno non è di per sé un approccio negativo, in quanto generalmente (e provocatoriamente) potrebbe essere un «portato» a valore aggiunto di un progetto di implementazione ERP in azienda proprio quello di poter rivedere criticamente i propri processi per renderli più efficienti ed efficaci; in questo senso è anche possibile che il processo implementato nel software scelto possa anche essere migliore, in quanto «per costruzione» è il risultato di esperienze raccolte presso una moltitudine di altri clienti (le cosiddette best practices); in sostanza vi è un buon indice di probabilità di poter trovare un miglioramento indotto nel processo dell’azienda con il semplice utilizzo del software.È pur vero, d’altra parte, che il processo interno potrebbe essere così caratteristico e caratterizzante da non poter essere modificato; in questo caso non resta che la strada di fare aderire il software al processo aziendale, implementando le cosiddette «personalizzazioni». Chiaramente le personalizzazioni hanno un costo e vanno ponderate, in quanto si va comunque in deroga ad una costruzione standard. Il costo delle personalizzazioni potrebbe non essere tanto di breve periodo o di realizzazione, ma soprattutto di lungo periodo; infatti, le personalizzazioni devono essere sviluppate in armonia con i dettami di sviluppo del fornitore del software (Oracle®, SAP®, Microsoft®, ecc.) al fine di garantirne l’aggiornamento nel tempo con le versioni successive. Se questo non avvenisse, si potrebbe correre il rischio di dover riscrivere le personalizzazioni a seguito di cambi di versione del software, ciclicamente rilasciati, o comunque pagare dazio in termini di attività sistemistiche aggiuntive durante le attività di aggiornamento di release. Evidentemente, come richiamato nella Tavola 2, ogni attività caratteristica del processo deve trovare una sua collocazione nel modulo software in questione; è proprio in questa mappatura che potrebbero comparire delle attività nuove non previste dal processo originario, che magari hanno un impatto organizzativo da considerare; oppure, viceversa, talune attività potrebbero essere assorbite e quindi eliminate dalla mappa di processo will be.

Business Process Management e Workflow Management: differenze e scenari di integrazione

In virtù delle precisazioni precedenti, appare ora più chiaro come la ricerca dell’ottimo aziendale e della vera efficienza debba inevitabilmente passare attraverso la considerazione di tre concetti cruciali

Management, una disciplina relativamente nuova ma solida che ha introdotto un percorso rigoroso fatto di teoria, conoscenza ed esperienze che consentono il raggiungimento di un reale e tangibile risultato: massimizzare l’efficienza non partendo dalle informazioni tout court ma dalle caratteristiche dei processi che generano quelle informazioni. È curioso, però, notare come la visione per processo e quindi per attività (alla base di tecniche di analisi organizzativa e contabile sofisticate ed innovative quali l’Activity Based Costing o Activity Based Management), possa provocatoriamente essere considerata tutt’altro che recente, essendo di fatto analizzata già nel 1776 da Adam Smith nel testo che ne ha consacrato la grandezza con l’esempio del produttore di spilli.6 Accade sempre che la necessità di visione «dell’organismo azienda» per processo emerga nei progetti di implementazione ERP, ma purtroppo ancora troppo spesso in un’accezione negativa; si intende dire che, qualora l’approccio all’implementazione del sistema informativo ERP non sia stato condotto con una metodologia rigorosa e formale che abbia messo a cardine e prerequisito dell’analisi i processi aziendali attuali (as is) e futuri (will be), l’implementazione della soluzione diverrà certamente l’aspetto più critico nel ciclo di vita del sistema, non fosse altro per il fatto che il disegno definitivo dell’ERP è - utilizzando una metafora presa in prestito dal settore edile - equivalente ad una colata di cemento: finché lo stesso è fresco, risulta malleabile e modificabile; quando si solidifica, le modifiche sono sicuramente ancora possibili ma necessitano di un lavoro di smantellamento molto pesante, in quanto integrato con altri moduli. È, quindi, fondamentale l’analisi preliminare ed il censimento dei propri processi interni nell’implementazione del proprio ERP, sottoponendo tale attività ad una tempistica adeguata e ben monitorata dal capo progetto interno (al limite anticipata rispetto alla partenza vera e propria del progetto); è altrettanto ovvio che tale attività non dovrebbe essere demandata completamente al partner esterno; è l’azienda che conosce sé stessa ed è l’azienda che, al limite con l’aiuto di una guida indipendente, deve mettersi nelle condizioni di specificare nel modo più preciso possibile le proprie peculiarità. Ciò detto, il primo output per una corretta implementazione è il censimento dei propri processi interni e la verifica, da parte del fornitore di soluzione, della «percentuale di sovrapposizione» degli stessi rispetto ai processi così come implementati dal software standard; se i processi non aderiscono con un grado di sovrapposizione ritenuto accettabile, le strade sono due:- si modifica il processo interno;

6 Adam Smith, «La ricchezza delle nazioni», Ed. I Mammut,

pag. 66. «Un operaio non addestrato a questo compito

che la divisione del lavoro ha reso un mestiere distinto,

e non abituato a usare le macchine che vi si impiegano,

all’invenzione delle quali è probabile abbia dato spunto la stessa divisione del lavoro,

applicandosi al massimo difficilmente riuscirà a fare uno spillo al giorno e certo

non arriverà a farne venti. Ma dato il modo in cui viene svolto oggi questo compito, non solo tale lavoro nel suo complesso

è divenuto un mestiere particolare, ma è diviso in un certo numero di specialità , la

maggior parte delle quali sono anch’esse mestieri particolari. Un uomo trafila il metallo, un

altro raddrizza il filo, un terzo lo taglia, un quarto gli fa la

punta, un quinto lo schiaccia all’estremità dove deve inserirsi la capocchia; fare la capocchia

richiede due o tre operazioni distinte; inserirla è un’attività

distinta, pulire gli spilli un’altra….sicchè l’importante

attività di fabbricare uno spillo viene divisa in circa diciotto

distinte attività….».

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devono essere chiare agli stessi responsabili di funzione indipendentemente dal loro ruolo e dalla «porzione» di processo gestita, per poterli certificare ed effettuare le analisi di merito. La nascita di un linguaggio condiviso in azienda per la rappresentazione univoca dei processi aziendali è un portato del BPM, che tramite il Business Process Modeling Notation7 (per un esempio si veda la Tavola 7) definisce e concretizza questa necessità di disporre di un linguaggio comune, grazie al ricorso ad un formale e rigoroso insieme di simboli (Tavola 8 di pag. 40) necessari e sufficienti a rappresentare senza ambiguità le varie attività componenti i processi aziendali. Per fare un esempio è sempre più frequente al giorno d’oggi che vi sia la necessità di far comunicare in modo fluido esperti di business process reengineering con esperti di information technology, in quanto spesso l’analisi di processo deve considerare gli strumenti informatici come attività facenti parte integrante dell’analisi stessa.

Workflow Management

Fatta questa precisazione, è più semplice interpretare correttamente il Workflow Management, che spesso viene confuso con il Business Process Management sopra descritto; in effetti il Workflow

della gestione, che mescolano imprescindibilmente tecnologia ed organizzazione e consentono di declinare opportuni strumenti software di supporto al processo di miglioramento continuo.

Business Process Management

L’attività primaria alla base di qualsiasi progetto di miglioramento aziendale è certamente l’analisi dei processi implicati, in virtù del loro ruolo di depositari, più o meno consapevolmente, della strategia aziendale corrente; qualora strategia e organizzazione non si concretizzino in una mappa coerente di processo, l’azienda avrà delle difficoltà a raggiungere i propri obiettivi; questo aspetto è il core del Business Process Management, ovvero di quell’insieme di metodologie concettuali ed operative che mettono il management nella condizione di analizzare compiutamente e con rigore i flussi di attività e le risorse che quei flussi governano, in un disegno che porta, se correttamente interpretato ed implementato, ad una condivisione dei processi aziendali secondo una visione univoca e condivisa da gruppi eterogenei di business; infatti la rappresentazione logico/grafica e la trasversalità dei processi, che per loro natura attraversano orizzontalmente più funzioni aziendali,

Tavola 7 - Mappatura di un processo di gestione ordine cliente con il linguaggio BPMNvisite mediche presso un ambulatorio

7 Si veda a questo proposito dello stesso autore «Business Process Modeling Notation: rappresentazione e misurazione dei processi aziendali». IPSOA Controllo di gestione, 1/2010

Tavola 8 - Alcuni simboli caratteristici del linguaggio BPMN per la rappresentazione dei processi aziendali

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sulla singola attività, compresa l’integrazione tecnologica con sistemi informativi differenti, anche per l’eventuale coerente integrazione nel flusso operativo di elementi documentali, di messaggistica e, sempre più, di azioni nativamente «ERP embedded», sono caratteristiche sempre più comuni negli strumenti di Workflow Management. Essi divengono, in sostanza, dei veri e propri motori ed orchestratori di flusso, con cui possono essere rese operative le strategie e le analisi di merito globali effettuate con le metodologie e gli strumenti di BPM. Da qui discende che implementare un Workflow Management senza un’analisi preventiva del processo con strumenti e metodologie di Business Process Management è semplicemente un errore, tanto quanto quello che si può commettere implementando sistemi informativi partendo dalle necessità del singolo ufficio8 senza considerare le interazioni organizzative ed i flusso dati tra i vari processi che caratterizzano l’insieme più esteso delle aree aziendali afferenti ad uno stesso processo; in sostanza, il Workflow Management è strettamente orientato al flusso di lavoro nell’accezione più pura del termine, ovvero definisce ed esegue regole per l’esecuzione «materiale» delle attività caratterizzanti il flusso stesso (invio di una mail, stampa di un documento, notifica di un’azione all’addetto X dell’ufficio Y, ecc..); il Workflow Management, in ultima analisi, non pone tanto l’accento sulle ipotesi di miglioramento dei processi aziendali, sulla definizione/ottimizzazione delle risorse a supporto, sulla misura di caratteristiche salienti del processo (tempo di esecuzione, code, percentuale

Management si occupa letteralmente della gestione operativa dei flussi e dei documenti caratterizzanti le singole attività utente descritte nei processi, nonché del modo in cui tali attività devono essere svolte da un punto di vista strettamente esecutivo: ad esempio, si considerano come «esecutive» attività specifiche e puntuali quali l’invio di un mail di conferma contestuale alla ricezione di un ordine cliente, un contestuale avviso ad un sales manager per la validazione dell’ordine in questione, un’azione di stampa aggiornata dei materiali «da ricevere» a seguito dell’attivazione di una proposta di acquisto, la gestione di notifiche/messaggi relativi al processo di approvazione di note spese in un ufficio commerciale, ecc. Tutte queste attività sono attività strettamente operative, caratterizzate da granularità minima, che compongono lo strato aziendale operativo del flusso dati; in questa accezione tali attività riguardano la parte puramente esecutiva della metodologia BPM; quest’ultima si occupa, viceversa, del disegno strategico ed organizzativo dei flussi e dei processi, consentendo di definire le macro-attività di riferimento per la comprensione corretta di un processo aziendale, attività che evidentemente rappresentano esse stesse (o contengono) «sottoprocessi» puntuali ed «operativi». Si badi che il livello di granularità degli strumenti di BPM è comunque assolutamente idoneo a fornire informazioni determinanti relative alle metriche di processo, quali i tempi di esecuzione, la percentuale di occupazione delle risorse impegnate, i costi associati al processo, ecc. Viceversa, il dettaglio puntuale ed esecutivo

8 Se non del singolo utente.

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svolte da esseri umani o da sistemi, ed in questo senso la visione è evidentemente più generale ed organizzativa che puntuale ed applicativo/tecnologica. Il processo come entità viene analizzato, misurato, validato ed auspicabilmente, ottimizzato dando origine ad uno scenario di lavoro will be che sarà quello sul quale il motore di workflow attuerà le proprie funzionalità puntuali, sviluppando e realizzando in termini operativi l’attività indicata, anche grazie ai sopra citati gateway di integrazione con altri sottosistemi software eventualmente facenti parte dello scenario di processo.

ERP

Da ultimo, si analizza il ruolo in questo contesto del sistema informativo aziendale ERP; l’argomento ERP è vasto e non è questa la sede idonea per approfondirne gli aspetti organizzativi e tecnologici implicati9; quello che si può dire é che, certamente, l’ERP rappresenta la «mappa digitale» dell’azienda, ovvero fa corrispondere tramite maschere, report, stampe alle attività utente la loro traduzione digitale in un archivio centralizzato, partendo dal processo in cui l’attività utente in questione é inserita e catturandone i dati afferenti, per consentire di trasformarle in informazioni. Così, almeno,

di occupazione delle risorse, ecc.) oppure sulla simulazione del processo will be, ma piuttosto punta direttamente alla sua esecuzione, implementandolo e rendendolo operativo. Il Workflow Management coordina specificamente l’interazione tra persone e sistemi software; pur essendo una tecnologia che esiste da circa vent’anni, si è evoluta nel tempo per divenire vero e proprio software a sé stante, che riesce a interagire con più applicazioni distinte grazie ad appositi gateway di interfaccia. Negli ultimi anni la tecnologia di workflow si sta manifestando in forme molto specializzate, che consentono di inserire controlli software sulle attività umane per meglio coordinarle e di integrarsi con una moltitudine di sistemi ERP; questa forma di workflow si distingue dalla classica accezione di workflow centrato sulle attività documentali, per divenire un oggetto che abilita il routing generalizzato di messaggi ed azioni, attivando funzionalità con effetti su sistemi differenti. Per contro, il BPM è una disciplina che enfatizza di più l’approccio olistico al processo, per rappresentare flussi di attività e loro relazioni in funzione di un contesto complesso, che è fatto di persone, sistemi, risorse e macchine, calendari, tempi di esecuzione, eventi asincroni e sincroni da modellare. E proprio la testé richiamata modellazione di un processo interpreta le attività allo stesso modo, siano esse

Tavola 9 - Componenti necessarie ad un efficace Business Process Management: la definizione del Gartner Group

9 Si veda a tal proposito, dello stesso autore «Implementazione di un sistema informativo ERP nelle piccole e medie aziende: analisi dei requisiti, soluzioni, gestione del cambiamento organizzativo», WOLTERS KLUWER Agosto 2012.

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nel suo nucleo base un’ampia collezione standard di possibili set up, generalmente possibili grazie all’ampia diffusione sul mercato. È evidente, infatti, che il poter annoverare tra i propri clienti il maggior numero di settori merceologici diversi e, quindi, potenzialmente un maggiore numero di varianti di processo ed esperienze nella gestione complessiva dei processi caratteristici della supply chain, diviene garanzia di una maggiore probabilità di riconoscimento all’interno dell’impianto standard, cui corrisponde una più facile individuazione di possibili leve di adattamento della versione out of the box alla propria realtà. Ecco come il concetto di parametrizzazione prende il sopravvento su quello di «personalizzazione», rendendo comunque la soluzione sufficientemente flessibile per gli scopi di gestione che l’azienda intende coprire. Con questa approccio, definito best practice, i partner che si occupano dell’implementazione di un sistema ERP offrono sicuramente una risposta alle eventuali necessità di modifica di processo che il cliente potrebbe istanziare come desiderata; d’altra parte questo approccio comporta per il cliente comunque una capacità/possibilità di adattamento ad una nuova versione del processo digitale proposto, che potrebbe essere non esattamente identico a quello che si utilizzava nel sistema legacy, magari perché ritenuto strategico e quindi irrinunciabile. In questi casi, la personalizzazione diviene pressoché inevitabile, ma qualora tali situazioni risultino percentualmente comprese tra il 10% e 15% dei processi aziendali il problema non si pone e un progetto specifico di personalizzazione entro questi limiti potrebbe ancora essere giustificato. Qualora però la percentuale di non aderenza tra «processi reali» e «processi rappresentati nel software» salga, é probabile che il sistema ponga dei limiti oggettivi all’evoluzione strategica dell’azienda. Occorre anche dire che, spesso, le modifiche di processo che interessano i sistemi ERP ricadono nell’ambito della gestione documentale, della gestione di notifiche e, ancora più spesso, in una diversa rappresentazione delle informazioni ed interazione con esse; é raro che tali modifiche riguardino processi standard dei sistemi ERP, anche perché le best practice sono tali per definizione e non avrebbe senso ipotizzare modifiche ad un impianto concettuale di riferimento acquisito e certificato da più di cinquantanni10. In tali casi, l’integrazione di un sistema ERP con strumenti di Workflow Management potrebbe essere una soluzione interessante per ovviare alle personalizzazioni del sistema; in effetti, da questo punto di vista, gli strumenti di Workflow Management hanno trovato una loro precisa collocazione nel panorama di integrazione con i sistemi ERP, nel senso che consentono con sforzi decisamente più contenuti di sviluppare delle

dovrebbe essere. Qualora, viceversa, la distanza tra processi e «rappresentazione digitale» dei processi all’interno dell’ERP risulti rilevante, ecco che si originano le note discrepanze organizzative che caratterizzano progetti di implementazione non proprio di successo: il sistema non rappresenta più la realtà organizzativa e, quindi, gli utenti devono trovare altre strade per colmare il gap: fogli di calcolo, data base locali, supporti cartacei più o meno efficaci ed efficienti per dare coerenza a comunicazioni diversamente non coerenti in quanto incomplete; il sistema ERP ignora gli input/output di determinate attività e non può, quindi, considerarle come parte integrante della «rappresentazione digitale» del processo reale; a ciò corrisponderà una mancanza di dati associati a quelle attività che vivranno e, probabilmente, prolifereranno «extra sistema», rendendo nel tempo la situazione sempre più complessa da gestire.Ciò sarà sempre più vero quanto su tali attività dovessero anche innestarsi futuri progetti di integrazione con altri processi aziendali o sistemi software, interni od esterni: il fatto di non reperire all’interno dell’ERP i dati che sarebbe necessario scambiare per rendere tali integrazioni effettive, rappresenta un blocco oggettivo alla possibile reingenerizzazione ed ottimizzazione del processo. Ed é proprio quest’ultimo aspetto a rappresentare nello stesso tempo un’opportunità ed un punto di contatto tecnologico ed organizzativo tra sistemi ERP e strumenti di Workflow Management, intesi come strumenti di esecuzione delle logiche di business e delle metodologie caratteristiche del Business Process Management (si veda la Tavola 9): taluni gap di processo, ovvero attività non mappate o non mappabili all’interno del sistema ERP se non a prezzo di «personalizzazioni» possono, in determinate talune circostanze, rappresentare un valido motivo per ricorrere all’integrazione con sistemi di Workflow Management. In effetti, é noto che la gestione delle «personalizzazioni» nei sistemi ERP è un tema delicato. Tali sistemi nascono, infatti, per essere utilizzati principalmente nella loro versione standard, nel senso che tale utilizzo garantisce non solo l’integrazione fra i moduli componenti ma anche la possibilità di applicare upgrade di versione senza tener conto di modifiche «customizzate» che possono necessitare di interventi ad hoc da parte del software vendor o del partner che ha realizzato l’implementazione. È evidente che un tale approccio all’implementazione di un ERP può generare preoccupazioni e legittimi timori da parte dei potenziali clienti che si apprestano ad affrontare un simile progetto di innovazione; ma, in realtà, la necessità di personalizzazione appare meno stringente, se non addirittura non rilevante, quanto più il sistema ERP scelto contempli nativamente

10 Lo standard de facto per le logiche di funzionamento

corretto dei sistemi informativi aziendali ERP è stabilito

dall’APICS (http://www.apics.org) che dal 1950 definisce

e formalizza l’impianto concettuale e metodologico secondo il quale i processi

caratterizzanti la supply chain dovrebbero essere gestiti per

essere ritenuti «ottimi» (best practices) e, di conseguenza, essere correttamente mappati

negli ERP. APICS offre allo scopo percorsi di certificazione

e di formazione ad hoc.

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- il sistema di workflow implementa il processo da un punto di vista di instradamento fisico delle informazioni dal sistema informativo del cliente verso il fornitore e viceversa, realizzando l’auspicata integrazione tra i due sistemi. Tale integrazione é resa possibile dal sistema di workflow tramite un automatismo; il motore di workflow implementerà, probabilmente, un cosiddetto gateway che rappresenta l’interfaccia standard di connessione al modulo acquisti del sistema ERP con una fonte esterna, consentendo di rendere il processo coerente ed integro come se l’attività fosse stata eseguita manualmente.

Conclusioni

Il contributo si è posto come obiettivo la definizione, l’analisi del ruolo e la corretta integrazione reciproca di tre dei più importanti concetti che caratterizzano l’attuale panorama organizzativo e tecnologico a livello di impresa, benché non ancora del tutto interpretati dalle aziende come concreta opportunità di sviluppo ed ottimizzazione del proprio business: il Business Process Management, il Workflow Management ed i sistemi ERP. Il passaggio fondamentale per la ricerca dell’ottimo aziendale è considerare che l’organizzazione è, di fatto, lo strumento con il quale la strategia può concretizzarsi. L’idea d’impresa si manifesta, sempre e comunque, in un insieme di obiettivi da cogliere che non possono prescindere da un altrettanto definito insieme di processi e di risorse adeguatamente definiti allo scopo. Partendo dai processi è facile intuire come risulti inevitabile, ad un certo punto del percorso di ottimizzazione, l’integrazione degli stessi con la tecnologia, che dovrà rendere quei processi il più possibile affidabili, coerenti e rapidi oltre che sempre allineati con la strategia. Ecco perché occorre saper individuare correttamente gli strumenti tecnologici adeguati, per non incorrere di affidare la rappresentazione digitale dell’azienda solo ed esclusivamente al sistema informativo ERP, che per sua natura non copre e, quindi, non risolve lo specifico tema dell’ottimizzazione dell’organizzazione e dei processi dal punto di vista delle loro metriche caratteristiche: tempo di esecuzione, tempo di fuori servizio, percentuale di occupazione delle risorse, evidenza dei colli di bottiglia (code), ecc. . Si tratta di metriche che non vengono «coperte» dal sistema ERP, il quale è progettato per ottimizzare i processi dal punto di vista dell’output transazionale: ordine cliente, ordine a fornitore, pianificazione MRP, forecast delle vendite, gestione logistica, fatturazione, ecc. Le metriche di perfomance non sono semplicemente

«scorciatoie applicative», permettendo di mettere in collegamento sistemi tecnologicamente anche molto diversi; si pensi, ad esempio, ad un processo tutt’altro che banale quale la conferma degli ordini di acquisto da parte di un fornitore; é evidente che la data di conferma di arrivo merce presso il cliente che ha effettuato l’ordine, consente al sottosistema Material Requirement Planning di validare la pianificazione delle attività successive a detto arrivo, che potrebbero riguardare l’alimentazione della linea produttiva e/o dei terzisti secondo il piano proposto dall’ Material Requirement Planning stesso. Ed è altrettanto evidente che quanto prima tale informazione é presente nel sistema informativo, tanto prima la validazione del piano diventa coerente e «digitalmente affidabile» per le attività a valle. Uno strumento di Workflow Management potrebbe inviare ai fornitori gli ordini di acquisto sotto forma di e-mail «interattive», dotate di pulsanti che possono essere utilizzati dal ricevente per la conferma delle date e delle quantità presenti nell’ordine emesso dal cliente; quando il fornitore conferma con l’apposito pulsante quantità e data di una determinata riga ordine, il comando generato direttamente dal suo client di posta potrebbe interagire con il sistema informativo ERP del cliente che ha effettuato l’ordine, andando a confermare la riga ordine in questione ed attivando i processi successivi; ecco un esempio di integrazione applicativa che collega la posta elettronica ed il sistema gestionale tramite un middleware di workflow, il quale intercetta le azioni utente (in questo caso del fornitore) e le indirizza propriamente verso il sistema che le deve recepire (l’ERP del cliente). Un’integrazione di questo tipo a livello di sistema ERP, qualora desiderata, dovrebbe essere sviluppata ad hoc con costi evidentemente molto alti, comportando la necessità di interfacciare appositamente un modulo standard del sistema ERP stesso (il modulo acquisti) con il client di posta del fornitore. Ecco, viceversa, in questo semplice esempio le tre componenti al lavoro perfettamente integrate e definite nei loro ruoli:- il BPM, in questo scenario, ha consentito di disegnare il processo (che, in questo caso, prevede anche la partecipazione di un attore esterno) e di modellarlo correttamente, definendo ruoli, responsabilità, risorse, tempi di esecuzione, sistemi implicati e costi associati; probabilmente tramite l’analisi del processo si sono anche ottimizzate le performance, studiando il routing più corretto tra il sistema informativo del cliente ed il sistema informativo del fornitore dal punto di vista dell’assorbimento di risorse interne;- il sistema ERP mette a disposizione le funzionalità standard necessarie a confermare un ordine a fornitore, e garantite come best practice;

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contemplate nei sistemi ERP, che si occupano per loro natura del dato «anagrafico» che caratterizza il processo, non del processo stesso come entità. Ma poiché proprio nei processi risiede il nucleo della strategia aziendale, è fondamentale comprendere come al giorno d’oggi l’utilizzo di tecniche evolute come il Business Process Management ed il Workflow Management possano, se opportunamente comprese ed integrate nel sistema aziendale, fornire un insieme di strumenti e di opportunità straordinarie per una concreta ricerca dell’ottimo. Analizzare i processi dal punto di vista delle loro performance è altra cosa che raccoglierne, più o meno efficacemente, i dati caratteristici prodotti. Non va, infatti, dimenticato che ogni sistema fisico si muove alla velocità del suo elemento più lento; se l’intervento di miglioramento non si concentra con strumenti opportuni sullo smaltimento del carico ovvero sull’aumento di velocità di smaltimento dell’informazione dei «colli di bottiglia», il sistema continuerà a muoversi alla stessa velocità precedente all’auspicato intervento di miglioramento. E per trovare i vincoli del

sistema azienda, migliorarli oppure rimuoverli occorre necessariamente mettere in campo cultura e strumenti che trovano nel Business Process Management e nel Workflow Management la loro corretta collocazione.

Bibliografia

BRUNO STEFANUTTI, «Implementazione di un ERP nelle piccole e medie imprese: analisi dei requisiti, soluzioni, gestione del cambiamento organizzativo». Ed. IPSOA-WOLTERS KLUWER Agosto 2012

ELYHAHU M. GOLDRATT: «The Goal: a process of ongoing improvement», 1984, Ed. «The North River Press»;

BRUNO STEFANUTTI, «Teoria dei vincoli applicata al controllo della produzione», IPSOA Controllo di gestione, 4/2011;

BRUNO STEFANUTTI, «Business Process Flow Management: un metodo di qualità». IPSOA Controllo di gestione, 4/2006

BRUNO STEFANUTTI, «Business Process Flow Management: analisi di scenario e di performance». IPSOA Controllo di gestione, 5/2006

BRUNO STEFANUTTI, «Business Process Modeling Notation: rappresentazione e misurazione dei processi aziendali». IPSOA Controllo di gestione, 1/2010.


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