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P O A R CHE U P PROTEZIONE UNIONE CIVILE VOLONTARI … · Silvia Mosso Carlo Vigo Hanno collaborato...

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UNIONE VOLONTARI CULTURALI ASSOCIATI G R U P P O A R C H E O L O G I C O T O R I N E S E PROTEZIONE CIVILE REGIONE PIEMONTE
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UNIONEVOLONTARICULTURALIASSOCIATI

GRU

PP

OARCHEOLOGICO

TO RI NESE

PROTEZIONECIVILEREGIONEPIEMONTE

Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007

Tiratura: 500 copieChiuso in Redazione

il 19 Gennaio 2007

Stampa: Tipografia NoireTorino - Gennaio 2007

Edoardo AccattinoGianfranco BongioanniEmilio Di CianniEnrico Di NolaFabrizio DiciottiValentina FaudinoAnna FerrareseAngela CrostaJacopo CorsiFabio BottoLivio LambarelliLuca NejrottiSilvia MossoCarlo Vigo

Hanno collaboratoa questo numero:

Sommario

Pezzo a pezzo, la Torino romana e medievale continua a riemergere lentamente durantegli scavi che negli ultimi anni hanno interessato il centro storico. A onor del vero, pezzo apezzo qualcosa sta anche scomparendo (avete presente la Casa del Senato in piazza IVMarzo?), ma per il momento lasciamo perdere, occupiamoci invece di quanto è statorecuperato.

Che c’entra, dunque, la Torino misteriosa con la Torino archeologica? Niente, verrebbeda rispondere pensando alle tante castronerie che si raccontano sulla nostra città, secondoalcuni dotata di grotte alchemiche, gallerie romane e medievali plurichilometriche, puntimagici a bizzeffe. Tuttavia la Torino archeologica resta per certi versi misteriosa, ovverosconosciuta, alla maggior parte dei Torinesi, anche quando i suoi resti sono sotto gli occhidi tutti (come dimostra la nostra inchiesta sull’area archeologica, a pag. 4) e, a maggiorragione, quando tali resti sono invece poco evidenti, quando non addirittura celati. A ciòsi aggiunga la manifesta impermeabilità dei Torinesi che hanno difficoltà a “digerire” e afar proprie le novità del tessuto urbano. Gli esempi non mancano e ve ne propongo qualcuno.

La torre romana nel parcheggio sotterraneo di via Viotti. Nota agli archeologi da bensettant’anni, è ancora una sorpresa per molti; occorre scendere nel parcheggio, oltrepassareuna porta generalmente accostata e ci si trova di fronte al basamento di una delle torri delmuro di cinta romano, in buono stato di conservazione e corredata da esaurienti pannelliesplicativi; peccato che in superficie nulla faccia supporre la sua presenza, se non il nomestesso del parcheggio (“Torre romana”), e anche una volta discesi non sia chiara la suaubicazione. Ma “chi cerca trova”, avranno pensato i progettisti...

Il muro di cinta romano tra Palazzo Madama e l’Armeria Reale. Rinvenuto nel 1999,si trova attualmente sommerso da una struttura in cemento armato, vetro e legno, che nelleintenzioni dei poco lungimiranti progettisti avrebbe dovuto consentire la visione dei restisottostanti. Che invece non si vedono, perché i vetri hanno la seccante abitudine di sporcarsie di attirare condensa. Risultato: il lungo tratto murario è scomparso da anni alla vista deicittadini e dovremo probabilmente attendere l’apertura del percorso sotterraneo di PalazzoMadama per tornare ad ammirarlo.

Il pilastro romano di via Botero. Questo reperto è ben visibile a tutti da molti decenni,a fianco della chiesa dei Ss. Martiri, ma è ben difficile accorgersi che si tratta di un pilastroportante di un importante edificio pubblico romano, munito anche di scolo interno dell’acqua.Per la verità, nessuno ne sa molto di più poiché non è mai stato dato il via all’esame delsottosuolo circostante. È gioco facile profetizzare che, quando si darà il via allo scavo diquesto importante isolato, emergeranno sorprese notevoli.

Gli ambienti romani in corso XI febbraio. Scoperti nel 1997 durante lo scavo delparcheggio-silos, sono stati risparmiati e inglobati nella nuova costruzione. Purtroppo, sonodel tutto occultati alla vista di chiunque, trovandosi da dieci anni all’interno di una stanzachiusa. Ci si chiede a cosa sia servito risparmiarli.

Resti di ambienti termali in via Conte Verde. Si tratta forse del più triste e incomprensibilesito archeologico torinese. Si trova al n. 13, lungo la rampa di discesa ai garage di uncondominio. Se volete demoralizzarvi, andate a visitarlo....

Le finestre medievali del quadrilatero. Beh, qui la “colpa” è della disattenzione deicittadini, che sovente non si accorgono dei tanti resti della città medievale che compaionoqua e là sulle pareti del centro storico, alcuni rinvenuti in tempi recenti com’è il caso di unafinestra con mensola recuperata in via Bellezia, tra via San Domenico e via Santa Chiara.Per inciso, nel medesimo isolato attualmente fervono i lavori per recuperarne il cantonenord-orientale: speriamo che i resti di finestre gotiche ornate in cotto, visibili prima deilavori, vengano opportunamente salvaguardati, almeno in omaggio a quei pochi che siaccorgeranno della loro esistenza.

Le chiese sottostanti il Duomo. Uno dei più bei recuperi degli ultimi anni: dopo attenteindagini, nel 2006 sono definitivamente riemerse da un oblio di secoli le antiche chiese diSan Salvatore e di Santa Maria, con le precedenti strutture romane, ed è diventata fruibilela cripta del Duomo. Anche le tavole descrittive sono esaurienti, nulla di cui lamentarsi,dunque. L’unico neo è che la visibilità sia limitata alla concomitanza con eventi particolari.Un vero peccato, viste l’importanza e la bellezza dell’area; speriamo che diventi possibilevisitare questi resti archeologici con regolarità.

Il presbiterio di San Salvatore. Anche qui, il recupero archeologico è stato eccellente(si può sindacare sulla piramide, ma è poca cosa) e alla cittadinanza è stato restituito il belmosaico romanico raffigurante la ruota della fortuna, insieme a ciò che resta del presbiteriodella chiesa altomedievale. Il pannello esplicativo è ben redatto. Purtroppo pochi torinesihanno trovato la voglia di deviare di pochi metri rispetto al loro abituale percorso a piedie dunque, incredibilmente, a tutt’oggi questo sito non è granché noto.

L’elenco qui proposto non è affatto esaustivo, ma basta a rendere l’idea di una città che,per ragioni diverse e non sempre imputabili alle istituzioni, stenta ad appropriarsi di sestessa e del suo passato più antico.

È comunque evidente che il compito degli enti preposti alla tutela dei beni storico-archeologici non si esaurisce con il semplice recupero fisico dei manufatti, ma deveproseguire con la loro effettiva restituzione ai cittadini – ossia promuovendone laconsapevolezza – e con una costante manutenzione.

Con ciò non intendo dire che le istituzioni non ottemperino mai a queste direttive; gliesempi positivi, lo abbiamo visto, non mancano e la buona volontà dei singoli funzionarispesso si scontra con la burocrazia e con la cronica mancanza di fondi che attanaglia tuttoil nostro sistema culturale. Tuttavia, il problema oggettivo rimane ed è bene tenerlo presente,anche perché non bisogna dimenticare la regola secondo cui “non si possiede ciò che nonsi conosce”, traducibile anche così: perché il cittadino dovrebbe interessarsi del patrimonioculturale quando nemmeno sa che esiste?

Fabrizio Diciotti - Direttore del GAT

Torino misteriosaIl rapporto delle istituzioni e dei cittadinicon i resti archeologici torinesi.

Torino misteriosa II di copertinaIl volontariato archeologico e […] 1Cavalli & cavilli. Il maneggio de “La Mandria” 2Inchiesta sull’Area Archeologica di Torino 4Spunti di riflessione […] sull’Area Archeologica 6Torna a battere l’antico cuore di Torino 9Campo “Monti del Fiora” 2006 11Boschi & Castelli 2007: le nuove iniziative 14Volontariato archeologico in Calabria (Sellia m.) 16L’Antiquarium di Cropani 18La monetazione incusa della Magna Grecia 19La necropoli di Morano sul Po 20La Legio III Gallica 22Itinerari storici e paleontologici a Masserano 23La città romana di Industria 24La “cavalcata dei vizi” nella pittura […] 26Per saperne di più... - Recensioni 28Qualche notizia dal 2006 - Rassegna stampa 30Bric San Vito dal passato al presente 32Anteprima sui Programmi 2007 33

Responsabile editoriale: Enrico Di Nola • TAURASIA è un periodicodistribuito gratuitamente ai Soci del Gruppo Archeologico Torinese; vienecomposto, impaginato e stampato interamente a cura dell’Associazione.

La responsabilità deicontenuti degli articoliè dei rispettivi autori.

E D IT O RI A L E

Lo zoccolo durodell’archeologiaStruttura soprastantele mura romane est,in piazza Castello.

SCHEGGE

Il volontariato archeologicoe il rapporto con la professione

Strategie per il domani – Il GAT nel panorama del Volontariato Culturale

Rieccoci qui: il nostro appuntamento an-nuale per fare il punto su quanto fatto, masoprattutto su quanto resta da fare.

Per superare il blocco dello scrittore,non tutti sono Salgari quando si trovanodavanti alla pagina bianca, prendo spuntoda un bel dossier di Giampiero Galasso,comparso sul numero di novembre 2006di «Archeonews», rivista d’informazioneculturale e professionale per gli archeologi.

Questo dossier, per altro degnissimo einteressante, costituisce una sorta di puntodella situazione per quanto riguarda la pro-fessione dell’archeologo; vorrei sottolineareun passaggio, quando riporta i risultati diun sondaggio dell’Associazione NazionaleArcheologi: il 7% ha un impiego stabile,il 32% ha un impiego a tempo determinato,il 16% presta la propria opera professionalecome libero “imprenditore di se stesso” epoi “vi è ben il 17% di archeologi che lavoragratuitamente, svolgendo volontariato, sta-ges o tirocinii”, il restante 28% è comple-tamente disoccupato.

Al di là della tristezza che comporta questocensimento, come mai il Volontariato facapolino in questo resoconto degli sbocchiprofessionali?

Non sto sindacando con il dott. Galasso,il cui contributo prosegue affrontando inumerosi problemi della professione, nécon l’ANA, quanto piuttosto mi preme sot-tolineare un equivoco comune, tenacementeradicato nell’immaginario collettivodell’intero settore dei Beni Culturali: daun lato che lavorare a titolo gratuito siavolontariato, o meglio che il Volontariatosi limiti a questo concetto ristretto, edall’altro che il volontariato sia uno sboccoprofessionale per gli archeologi, o, quantomeno, una sorta di palestra da sfruttareper ottenere quelle abilità professionalialtrimenti inaccessibili a molti.

Questo madornale imbroglio, nato in buo-na fede, fa comodo a molti: a chi ha bisognodi professionisti a basso o nullo costo, chesfrutta così una manovalanza prona ad ognisuo capriccio, a chi non ha, per sfortunao incapacità, risorse economiche per svol-

gere la propria normale attività e preferiscel’accesso più facile, e soprattutto menofiscalmente controllato, alle risorse fornitedagli Enti Finanziatori al mondo del Vo-lontariato, a chi, infine, ha deciso di proporsisurrettiziamente come ente di paraforma-zione o paratutela o pararicerca. Questoavviene per diverse ragioni: di solito pre-sunzione e frustrazione.

L’equivoco è facile ed ha radici lontane:il settore Cultura, si sa, è irrorato di risorseben al di sotto delle proprie necessità, inoltre,in ambiente accademico, come in quellodella Tutela, il lavoro dell’archeologo vieneconsiderato così affascinante e divertente,che il giusto compenso economico passaautomaticamente in secondo piano e dasempre torme di giovani sono impiegatein attività anche altamente specialistichea titolo gratuito. Capita spesso che il sem-plice, malinteso, privilegio di parteciparead un progetto di ricerca o tutela giustifichil’iniquità o l’assenza del compenso.

È da questo humus fertile che nasce lamalapianta del volontariato come fratellominore della professione. Al contrario, perrimanere nella metafora: non sono neancheparenti, al massimo buoni amici che si dannouna mano alla bisogna.

Questa situazione contorta e non facil-mente risolvibile porta ad aberrazioni

anche gravi; pochi anni fa, su unoscavo professionale, mi è

capitato di discutere conil tecnico che si occupavadei rilievi delle strutture:la mia preoccupazioneconsisteva nel sincerarmiche questi fosse in regola

con l’assicurazione antinfortunistica previstaa norma di legge. Il tecnico, persona squisitae di grande acume per altro, mi rassicurò:era in regola eccome! Aveva «l’assicurazioneannuale dei Gruppi Archeologici d’Italia»!

Ho durato fatica a spiegargli che taleassicurazione valeva soltanto in caso diattività di Volontariato approvate dal Gruppoa cui era iscritto e che in nessun caso potevacoprirlo nello svolgersi della propria normaleattività professionale. Per costui non viera alcuna differenza tra professione e vo-lontariato.

Ancora: vi sono Associazioni di cosiddetto«volontariato culturale» che per potersiassicurare un congruo numero di «soci»pensano bene di attirarli proponendo loroincontri in cui spiegano gli sbocchi profes-sionali in archeologia, le modalità di reda-zione di una tesi, di una bibliografia o diun intervento ad un convegno. Tutte com-petenze che spetterebbe all’Università fornireagli studenti.

Il più delle volte a capo di questi circhivi sono professionisti che non vedono l’oradi avere un manipolo di giovani apprendistiper sfruttarli nel far ricerca utile ai proprifini professionali in cambio di quel pocodi formazione – se fossero davvero in gambanon avrebbero bisogno di ricorrere a questimetodi contorti – che possono trasmetterglie che, bisogna ammetterlo, sovente nonviene fornita dagli enti di formazione pre-posti. Così l’equivoco si complica e si dif-fonde!

Il GAT può fare molto per proporre unacultura del Volontariato diversa, ma è pa-cifico che la strada sia tutta in salita, sterratae, spesso, solitaria. Questo perché lo statodi cose fa comodo alla maggioranza e unaforma di collaborazione proficua, ma concompiti ben distinti tra professione e Vo-lontariato, è delicata e ardua da praticare.

Sta di fatto, però, che questo andazzocol tempo non farà altro che prosciugarele poche risorse disponibili indirizzandoleai miopi progetti a corto di fiato di pochie desertificando il Volontariato dei valoriimportanti ed esclusivi di cui è portatore.

L’avvocato del diavolo ora mi si oppor-rebbe dicendo che è inevitabile che chi fapratica con il volontariato possa avvantag-giarsene nella vita professionale. Inoltre,con un sorriso sardonico, mi farebbe notareche lo stesso GAT, nel 2007, propone uncorso di disegno archeologico e che neglianni precedenti ha condotto, e con successo,corsi di metodologia archeologica.

Se un simile rompiscatole mi dicesse

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Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007Gruppo Archeologico Torinese

&ArcheologiaVolontariato

GATGruppoArcheologicoTorinese

il gate glialtri

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Giochiamo. Immaginate di possedere,in mezzo a una metropoli, una villa recintatacon un giardino – anzi un parco – moltogrande, ben curato. È l’ultima villa dellacittà, l’unico resto di un tempo passato.Fate finta, dico così, di abitare a Torinoe possedere la Tesoriera, quella che si af-faccia su corso Francia.

Fuori, traffico, caos, costruzioni modernee spesso orribili. Dentro, nella vostra tenuta,calma, spazi verdi, alberi e la vostra bellavilla. Vi dà sicurezza il fatto che la vostrasia un’area protetta, da salvaguardare infunzione della sua unicità. Fuori dalla re-cinzione, il progresso la fa da padrone;dentro, la vostra perla è salva.

Ora immaginate che, in virtù di un pianoregolatore impazzito, diventi possibile sov-vertire le regole, ovvero che qualcuno de-cida di realizzare un edificio enorme proprioall’interno del vostro parco, un edificiodestinato a occupare quello che prima eraun bellissimo prato (uno dei pochi soprav-vissuti, in città) e per di più a ridosso dellavostra villa, una villa storica (una dellepoche sopravvissute, in città), un edificiopensato come base di un progetto che invoi desta scarso interesse, un edificio (eun progetto) che potevano benissimo essererealizzati altrove, non necessariamenteall’interno del vostro preziosissimo parco;il tutto con l’avallo delle istituzioni e senzache nessuno vi abbia chiesto il permesso.Come vi sentireste? Non definireste questaoperazione come un sopruso? Non ravvi-sereste, nei propugnatori del progetto, unagrave miopia nel decidere con convinzione

di cancellare una fetta importante di parco,di quel parco che una recinzione e soprat-tutto delle leggi sembravano poter tutelareefficacemente da progetti faraonici?

Quella appena raccontata per metaforaè una storia realmente accaduta, occorrecambiare appena i protagonisti e i luoghi.Il parco della villa è il Parco Regionaledella Mandria; il proprietario della villasiete voi, siamo noi; il piano regolatoreimpazzito è un progetto avallato dalla stessaRegione Piemonte; l’edificio è il Centrodel Cavallo con tanto di pista per il chi-lometro lanciato (sic!); la villa storica èil castello medievale della Rubianetta, pres-so la porta di Druento, con l’annessa chiesadi San Giuliano (dotata di splendidi affre-schi medievali); il prato su cui sorgel’edificio è una vasta area erbosa negliimmediati pressi delle costruzioni citate.

Ad aggravare la realtà, il fatto che gliscavi per il mastodontico edificio abbianocentrato in pieno, intaccato (e, con tuttaprobabilità, almeno in parte compromesso)i resti di quello che presumibilmente eral’antico borgo medievale inerente il castelloe la chiesa. La Soprintendenza per i BeniArcheologici del Piemonte, venuta a co-noscenza dei ritrovamenti, nel dicembredel 2005 ha immediatamente promossoscavi archeologici che hanno in parte ri-mediato allo sfacelo, ma si è comunquetrattato di un intervento d’urgenza, a can-tiere aperto e a fondazioni praticamentecompletate, e si sa come va a finire in

Cavalli & cavilliIl maneggio all’interno del Parco La Mandria: perché?

una cosa del genere, gli farei notare chelo scopo del GAT è avvicinare l’archeologiaai non addetti ai lavori e che il taglio datoai nostri corsi ha sempre fatto sì che nonsi sostituissero alle lezioni universitarie,ma, anzi, proponessero sempre gli argomentisotto l’ottica del Volontario, mai del pro-fessionista. Se un aspirante archeologo trarràvantaggio dai nostri corsi non potremo cheesserne felici, ma essi non sono diretti spe-cificatamente a lui, bensì a tutti coloro chedesiderano un’infarinatura di archeologiaper potere avvicinarsi al settore culturalecon maggiore responsabilità e consapevo-lezza. Inoltre potrei fargli presente che nellenostre attività di supporto agli Enti di Ricercae Tutela ci siamo sempre vantati di poterfornire un apporto costruttivo e fondatosu solide basi scientifiche, pur nei limiti,da tenere sempre presenti, del Volontariato.Questo si può realizzare solo dopo unaprofonda preparazione dei nostri Soci.

Il corso «Archeomatite 2007» è un esem-pio lampante di quanto intendiamo fare:una serie, titanica invero, di lezioni chenon partono dalla grafica in archeologia,come proporrebbe un qualsiasi corso uni-versitario, bensì dalla pratica grafica estem-poranea, dal gesto del disegnatore, per poidare indicazioni del complesso mondo dellagrafica scientifica. Il profano sarà così ac-compagnato in un settore complesso altri-menti fuori della propria portata, il profes-sionista e l’aspirante tale otterranno spunti,suggerimenti e compendi utili e preziosi,ma non surrogati della preparazione uni-versitaria.

Su questa linea sono improntate tutte levarie ed articolate attività del GAT: dalcontinuo monitoraggio delle realtà culturalidel nostro territorio, finalizzato ad indivi-duare i punti deboli come a esaltare i casidi eccellenza, all’attività di ricognizioneche fornisce un valido supporto alla cono-scenza del nostro Patrimonio Culturale equindi alla sua tutela; dalle attività di di-vulgazione, il carnet di mostre ed eventiè sempre molto denso grazie all’impegnocostante ed entusiasta dei nostri settori,all’attività di valorizzazione che può passareanche attraverso momenti conviviali comele gite.

Questo si dovrebbe proporre qualsiasiseria Associazione di Volontariato Archeo-logico: essere d’aiuto a tutti, con la dovutaumiltà, ma non dimenticare mai di essereun punto di vista peculiare, spesso critico,ma sempre costruttivo, del complesso pa-norama del Patrimonio Culturale.

Luca Nejrotti

Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007Gruppo Archeologico Torinese

Gennaio 2005 - Il cantiere del maneggio all’internodel Parco Regionale La Mandria, regione Rubianetta.La freccia indica gli scavi archeologici sopravvenutia lavori già cominciati.

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questi casi: malgrado la buona volontàdegli archeologi, i tempi per l’indaginesi fanno ristrettissimi, cresce esponenzial-mente il rischio di perdita di informazionie ci si trova sovente di fronte a scelte dra-stiche che non si sarebbero dovute affron-tare se lo scavo fosse stato correttamenteprevisto prima dell’inizio dei lavori.

Costo del progetto: circa otto milionidi euro pagati da noi contribuenti, poichél’unico finanziatore risulta essere la RegionePiemonte, con l’Università e la FederazioneItaliana Sport Equestri che forniranno for-matori e istruttori.

Otto milioni di euro per devastare ulte-riormente un parco regionale sul qualegià pesano pesanti ipoteche, quali edificistorici e meno storici (come la pista Fiat),per non parlare della sempre più difficileconservazione di quella che era l’anticaforesta planiziale che copriva tutta la pia-nura padana, di cui la Mandria è uno degliultimi lembi rimasti. Difficile pensare cheil delicatissimo equilibrio tra tutela dellaforesta, attività antropiche e fruizione daparte dei visitatori, già precario allo statoattuale e considerato da molti addetti ailavori in costante pericolo, non venga ul-teriormente compromesso da una strutturaimpattante come quella in costruzione.

L’edificio in questione sarà infatti grandequanto un campo da calcio e verrà utilizzatocome maneggio; qui sorgerà la Fondazioneper l’allenamento del cavallo sportivo,che da progetto arriverà a coprire una su-perficie di ben 40 ettari. Certo con scopiformativi, di ricerca, didattici, ma doveè previsto che i cavalli vengano usati dalpubblico qualsiasi solo in minima parte,poiché lo scopo principale sarà allenarliper gareggiare negli ippodromi.

Nel frattempo, la bellezza del luogo è

stata brutalmente – e chissà per quantotempo – compromessa; dalla collina sullaquale sorge il Castlas medievale, che untempo dominava quello che probabilmenteera il sottostante villaggio e, in tempi re-centi, prati e alberi, ora si potrà goderedella vista di centinaia di metri quadri dilamiere, cemento, palizzate con qualchecavallo trottante o lanciato come un missile.Niente contro cavalli & affini, beninteso.Ma perché realizzare tutto ciò proprio qui?

Senza aver interpellato i protagonistinon siamo in grado, in questa sede, diesaminare il problema dal punto di vistaprogettuale e decisionale; fatto sta cheun’area che credevamo protetta – e cheoggi abbiamo ragione di credere che nonlo sia affatto – è stata violentata in manieraprofonda e probabilmente irreversibile;fatto sta che ora anche Druento possiedeil suo ingombrante “ecomostro”; fatto stache tutto ciò appare incomprensibile e,come di fronte a un disastro inatteso, cichiediamo con tristezza: come è stato pos-sibile?

Ricostruire le motivazioni e i pas-saggi che hanno portato alla realizza-zione del Centro del Cavallo e dellarelativa Fondazione, così come doman-dare ai diretti interessati “il perché eil percome”, sono impegni che Taurasiaintende assumere come oggetto di unafutura inchiesta.

Nell’attesa, magari (perché no?), anchedi una risposta a questo articolo, lasciatecisospirare di tristezza dinanzi allo scempio.

Fabrizio DiciottiEnrico Di Nola

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La chiesa diSan GiulianoUn gioiello poco noto all’internodel Parco Regionale La Mandria

Gennaio 2005 - La torrGennaio 2005 - La torre principale del Castellaccioe principale del Castellaccio(ël Castlas), la fortificazione che dominava il villaggio(ël Castlas), la fortificazione che dominava il villaggiomedievale della Rubianetta.medievale della Rubianetta.

Gennaio 2005 - La torre principale del Castellaccio(ël Castlas), la fortificazione che dominava il villaggiomedievale della Rubianetta.

È posta in adiacenza al complesso dellaRubbianetta, oltre il rio Torto, lungo la stradadel Galiasso che da qui parte.

Fu edificata intorno al 1263 quale cappellabenedettina dedicata a San Giuliano, e vennepoi ricostruita nel XV secolo; a quest’epocarisalgono gli affreschi conservati all’interno,mentre la facciata, molto semplice, è diepoca seicentesca.

L’impianto tardoromanico originario dellaCappella di San Giuliano, risalente alla finedel XII secolo, ha subito trasformazioni eampliamenti a partire dalla metà del 1300.

Intorno al 1440 viene realizzata l’absidepoligonale in laterizio contestualmenteall’arco a sesto acuto che separa il transettodalla navata e ai due tratti di muro che con-giungono i punti di innesto dell’abside conle pareti laterali.

Gli interventi secenteschi riguardanol’erezione della facciata barocca e il modestocontrosoffitto ligneo a doghe.

Alla fine del secolo XV sono databili gliaffreschi interni della Cappella, alcuni com-missionati da tale Giovanni Marcheto; sonoriconoscibili S. Antonio Abate, S. Francesco,Sant’Anna, il Beato Antonio Neirotti daRivoli, S. Ferreolo, S. Michele, S. Sebastiano,S. Andrea, S. Domenico, S. Pietro, S. An-tonio, S. Giovanni Battista, S. Giacomo,S. Grato.

I resti, molto rovinati, di affreschi presentisulle pareti dell’abside risalgono alla secondametà del XVII secolo e sostituiscono dipintiprecedenti, coevi a quelli superstiti, dei qualirestano sono tracce.

La trave lignea ospita la copia (l’originaleè al sicuro) di un crocefisso dipinto su tavola(periodo XIV-XV sec.), da alcuni studiosiattribuito alla scuola dello Jacquerio.

(Notizie in parte desunte dal sito www.parks.it/parco.mandria)

San Giovanni Battista, Sant’Anna (che porta sulle ginocchiala Vergine col Bambino) e San Giacomo Maggiore.

Finito in fretta e furia per onorarel’appuntamento olimpico, il Parco Ar-cheologico delle Porte Palatine è ormaifruibile da circa un anno. Ma cosa nepensano i cittadini? L’operazione è riu-scita? La più importante area archeo-logica della città ne ha guadagnato?Se sì, in che cosa? È aumentata neitorinesi la conoscenza del proprio pas-sato? A queste domande ha cercato didar risposta un “manipolo” di cinqueardimentosi soci GAT, guidati dal nostroDirettore Fabrizio Diciotti, improvvi-satosi per l’occasione intervistatored’assalto. I cinque, in un freddo pome-riggio pre-natalizio, si sono infattiappostati sotto la Porta Palatina, bloc-cando e intervistando turisti indigeni,passanti carichi di regali, padroni coni loro cani (in visita al Parco per motivifisiologici…).

La nostra piccola inchiesta si è rivelatadavvero proficua: attraverso poche esemplici domande si è riusciti a stimolaregli intervistati a interrogarsi ed esprimereun parere. Da queste chiacchierate sonoemersi molti spunti di riflessione e so-prattutto è stato possibile delineare unquadro abbastanza esaustivo sulla per-cezione che i torinesi hanno della nuovaArea Archeologica.

Il primo dato che accomuna tutti gliintervistati è la soddisfazione di poter

di nuovo usufruire di uno spazio al qualeper anni è stato vietato l’accesso. Lapossibilità di passare sotto la Porta epoterla vedere da vicino viene vissutadalla cittadinanza come la riconquistadi uno spazio prima negato. Tutti ap-prezzano, poi, che si sia finalmenteanche solo “fatto qualcosa per uno deinostri più importanti monumenti”, con-sci che la sistemazione precedente

dell’area non fosse in alcun modo ade-guata. Infine, la creazione di un nuovospazio verde aperto a tutti è sicuramentepiaciuta ed è ulteriore motivo di sod-disfazione generale.

Fin qui i riscontri positivi, perchénon mancano invece dubbi e critichesul progetto e su alcuni aspetti realiz-zativi.

Il colonnato che circonda il Parco èforse l’elemento che suscita più perples-sità. C’è chi non ne apprezza tout courtil gusto estetico e chi avrebbe magaripreferito un materiale da costruzionepiù in linea con quello della Porta, “tipomattoni antichi (sic!) o antichizzati”.Altri notano che le colonne disturbanol’osservazione prospettica della Porta,che dovrebbe invece essere sgombrada impedimenti visivi in quanto fulcrodell’area. A tal proposito alcuni si in-terrogano, poi, su quale sia stato il cri-terio alla base della suddivisione deglispazi: “Perché la cancellata che delimital’area verde esclude la Porta Palatinae la strada che a questa conduce? Per-ché si è deciso di metterla lì?”. Questoviene vissuto come un elemento di evi-dente confusione rispetto alla ricostru-zione storica del luogo: sono in moltia chiedersi se la cancellata con colonnerispecchi strutture effettivamente esisten-ti all’epoca della Porta. Chi tra gli in-

Inchiesta sull’Area Archeologica di TorinoCosa ne pensano i Torinesi del Parco sorto intorno alle Porte palatine?

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tervistati sa che tale struttura non cor-risponde alla realtà storica esprime inproposito un giudizio negativo; alcunila interpretano come il risultato di unascelta progettuale con finalità scenogra-fiche, “quasi a voler creare uno stiledivertente, da Las Vegas!”; altri comeuno spazio recintato per cani…

Proprio in merito al Parco i visitatoriabituali rilevano che non è molto fre-quentato, forse perché non adeguatamen-te attrezzato né per uso turistico né comeparco cittadino.

In coda alle domande rivolte dal nostroimpavido intervistatore è stata effettuatauna breve “interrogazione” per capirese la nuova sistemazione dell’Area Ar-cheologica dia la possibilità ai visitatoridi ricevere più informazioni sulla PortaPalatina e sulla sua storia. “Sa dirmia grandi linee a quando risale questo

monumento? Che funzione aveva? Dache parte è la facciata?”, queste ledomande. Se tutti gli intervistati hannosaputo inquadrare storicamente l’epocadi realizzazione, pochi erano in gradodi individuare il lato della facciata enessuno ha riconosciuto le statue comeestranee al contesto di età romana (alcunisi sono lamentati perché “hanno resistitointatte per più di duemila anni e adessoci sono le scritte sopra”). Nonostantela diffusa insicurezza e i tentennamentinel rispondere, alla domanda: “Secondolei, adesso la Porta Palatina è valoriz-zata? Le informazioni fornite sono suf-ficienti?”, tutti hanno risposto afferma-tivamente, senza mostrare la necessitàdi saperne di più. Fatto notare il solocartello esplicativo presente, posto almargine della strada, al vero un po’discosto da questa e non troppo in vista,

alcuni degli intervistati riconosconoche avrebbero preferito una sistemazionepiù centrale, direttamente fruibile dachi percorre la strada attraversando laPorta.

Per trarre le conclusioni di questapiccola inchiesta, in cui volutamenteci siamo astenuti dall’esprimere un giu-dizio perché l’intento era quello di“sentire il polso” dei cittadini, possiamodire che la riguadagnata fruibilità dellaPorta è sicuro motivo di soddisfazionenonché di un risvegliato interesse perl’antico ingresso della Torino romana;permangono tuttavia dubbi e perplessitàsu alcune scelte progettuali, chel’inchiesta dimostra non giovare peraltroalla corretta comprensione del monu-mento e del suo inquadramento storico.

Come Associazione di volontari par-ticolarmente sensibile alle tematicheche qui si affrontano e, da statuto, im-pegnata nella divulgazione delle cono-scenze storico-archeologiche e nellavalorizzazione dei beni culturali delnostro territorio, ci sentiamo di toglierela maschera e offrire almeno uno spuntodi riflessione. Dall’inchiesta emergeinfatti un dato interessante: nessunodegli intervistati ha espresso la necessitàche, a fronte della nuova sistemazione,venisse ampliato l’apparato didattico-esplicativo relativo all’Area Archeolo-gica. Questo dato rivela una diffusamancanza di curiosità e uno scarso bi-sogno di approfondire le conoscenzedi cui si dispone, aspetti non imputabilitanto al singolo cittadino, quanto alleIstituzioni, il cui preciso compito sarebbequello di offrire gli strumenti per sti-molare l’interesse e valorizzare, a piùlivelli, il patrimonio comune.

A questo proposito, concludendo, ri-teniamo che parte irrinunciabile di ogniopera di riqualificazione di un benestorico-archeologico debba essere larealizzazione di un adeguato e ampioapparato didattico, in grado di innescareun circolo virtuoso di curiosità versoil nostro passato e capace di svilupparenei cittadini quel “bisogno di cultura”che troppo spesso viene ignorato.

Il GAT intende proporsi presso gliEnti competenti per collaborare concre-tamente alla realizzazione di tale ma-teriale didattico, nello spirito di sinergiache sempre deve animare il rapportovolontariato/istituzioni.

Fabrizio Diciotti, Emilio Di Cianni,Enrico Di Nola, Valentina Faudino,

Silvia Mosso

Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007Gruppo Archeologico Torinese

Sicuramente ognuno avrà le sue opinioni in merito all’areaarcheologica recentemente risistemata: un’alta opera d’ingegnoarchitettonico-urbanistico, un pasticcio che si poteva evitare, ladegna valorizzazione di un monumento illustre, l’inadeguatoimpiego di risorse pubbliche, la restituzione al pubblico di unospazio ora vivibile, la creazione di uno spazio avulso da qualunquecontesto storico, la migliorata percezione dei monumenti, lapeggiorata percezione dei monumenti.

Dovendo esprimere un giudizio sull’area archeologica ormaiquasi ultimata, si deve anzitutto tentare di rispondere a due domande.La prima: “A cosa doveva servire l’intervento?”. La seconda:“Quali sono i risultati ottenuti?”.

Ma non basta farsi le domande giuste, occorre anche darsi lerisposte corrette. Se alla prima domanda, “A cosa doveva servirel’intervento”, rispondessimo semplicemente: “A riqualificarel’area”, ne dovrebbe conseguire che i risultati sono stati soddisfa-centi. Infatti, la riqualificazione di un’area è, di per sé, un’operazionedalle tinte molto sfumate; nella sua accezione più basilare, perriqualificare un’area, ossia restituirle “qualità”, è sufficiente darleuna bella ripulita, confezionando un prodotto piacevole e ordinato,ottemperando così alla bisogna. Non c’è dubbio che l’area dellaPorta Palatina ha – in questo senso – riacquisito “qualità”; è oggi

un piacere per i torinesi poter passeggiare presso le antiche murae addirittura attraversare la porta, come non si poteva fare dadecenni, mentre lo sguardo si bea alla vista del colonnato e deinuovi alberi che hanno preso il posto del precedente parcheggio.Sicuramente, l’impatto estetico può – sottolineo: può – risultaregradevole, specialmente ai tanti che non hanno cognizione di causae non si pongono particolari domande sui resti archeologici cheosservano, accontentandosi di ricevere un appagante stimolo visivo.

Ma non ci si può fermare a un maquillage superficiale, inparticolar modo non quando l’oggetto dell’intervento è di cosìstraordinaria importanza culturale e non quando si sono avuti adisposizione 5 milioni di euro da spendere. Da spendere bene, almeglio, puntando al massimo risultato. Peccato che qualcuno sisia evidentemente dimenticato che la riqualificazione non puòprescindere, quando si tratta di elementi archeologici, da unacorretta contestualizzazione e da una reale volontà di migliorare,non solo di meravigliare. Infatti, il suscitare meraviglia, stimolandoil conseguente apprezzamento del popolo abbacinato, sembraessere stato il principale tema conduttore di questa iniziativaurbanistica. In questo senso, l’area non solo non è stata riqualificata,ma ha subito un ulteriore tracollo d’immagine, seppure apparente-mente appaia l’esatto contrario. È stata infatti rigorosamente seguitala moderna e deprecabile italica tendenza che recita: apparire èsempre più importante di essere.

La risposta giusta alla domanda “A cosa doveva servirel’intervento” non è dunque un generico: “A riqualificare l’area”,bensì un più impegnativo: “A restituire l’area archeologica aicittadini”. Restituzione nel senso più ampio del termine. Restitu-zione in quanto possibilità da parte del cittadino di “acquisire” ilbene culturale, di sentirlo proprio, di comprenderlo appieno.

Invece si è scelta la strada più avvilente, come se – scusate lacausticità – per esaltare le qualità di una bella donna fosse sufficientecaricarla di trucchi e orpelli, magari accorciando un po’ la gonna,ma impedendole di parlare.

Rispondiamo ora alla seconda domanda: “Quali sono i risultatiottenuti?”.

La mia laconica risposta è contenuta in un’altra domanda: inche cosa sarebbe veramente migliorata l’area, se non per lascomparsa delle auto parcheggiate e la creazione di un erbosogiardinetto, a uso e consumo pressoché monopolistico di varie –sebbene incolpevoli – razze canine?

Vi sembro troppo cattivo? Bene, analizziamo i fatti concreti.

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Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007Gruppo Archeologico Torinese

Spunti di riflessione critica sull’Area Archeologica

Gennaio 2007. La facciata della Porta Palatina.

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L’Area Archeologica vista da Corso Regina Margherita,con il nuovo bastione-giardino-autorimessa.

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La cancellata. L’area archeologica della Porta Palatina è di fattoseparata in due da una cancellata che delimita tutto il prato davantie dietro la cinta di mura. Anche un tempo c’era una recinzione,ma prendeva tutta l’area, Porta e mura, e di fatto serviva a proteggerei resti archeologici. Adesso che si può arrivare nuovamente aridosso della Porta e delle mura, perché si è dovuta recintare unaparte dell’area? Non bastava una semplice cancellata lungo viaXX Settembre, giusto per evitare che i bambini finissero sotto iltram? Non si dica – come è stato detto – che serve per poterchiudere l’area alla sera e impedire che vi entrino i malintenzionati:basta scavalcare la cinta là dove si innesta il bastione, propriodavanti alla Porta Palatina (provare per credere) e così, alla sera,l’area si può trasformare in una riserva naturale di varia umanità.Dunque, perché questa recinzione, se non per creare un’areaattrezzata per cani, munita nella sua parte più estrema di qualchepanchina per i relativi padroni? Questa è riqualificazione urbana,forse, ma che c’entra con un’area archeologica?

Le colonne. Strepitose, bellissime, un po’ neogotiche e un po’stile Impero, senza dubbio colpiscono. Ma a cosa servono?

A niente. La cancellata, visto che si era deciso di metterla, stavasu da sola, come quella di prima. Il problema è che non sono soloinutili, ma anche dannose. Rievocano forse elementi archeologicirealmente rinvenuti? No. Ricalcano il tracciato di qualcosa? Sì,della cancellata, che però non ricalca a sua volta un bel niente. Inpiù, dato il loro numero elevato e la generosa dotazione di strabor-danti allori metallici, impediscono da più parti la godibilità deimonumenti romani che vorrebbero sottolineare, interrompendonela visibilità. Altro che sottolineare: cancellare, si dovrebbe dire.

Gli alberi. Si dirà che davvero ce l’ho con tutto e con tutti seme la prendo anche con gli alberi. Abbiamo capito, gli alberi sonobelli e più ce n’è e meglio è (inoltre, i cani li adorano); tuttavia,qualcuno ha pensato che carpini, acacie e tigli hanno l’abitudinedi crescere, chioma compresa? E quando saranno cresciuti, darannoman forte alle colonne per nascondere i resti archeologici alla vistadei frequentatori dell’area archeologica.

La strada romana. Qui si è toccato il livello minimo di proget-tazione e il livello massimo di faccia tosta. La realizzazione delprolungamento della strada romana (il cardo maximus), che giàprima dell’intervento era in gran parte ricostruita, ma almenoplausibile, deve avere avuto luogo quando ormai in cassa eranorimasti solo cento euro o, in alternativa, mancava mezz’orettaall’inaugurazione. Non si spiega altrimenti come si sia frettolosa-mente e superficialmente deciso di utilizzare, al posto di unapavimentazione simil-romana, delle lastre in gneiss sottratte daaltre zone della città, come dimostrano le strisce gialle e blu deiparcheggi che, oggi, campeggiano sui neo-basoli del neo-cardo.

Un antico romano costruttore di strade, che, attraversando isecoli, si trovasse ad “ammirare” l’attuale sistemazione del cardomassimo, non potrebbe frenare il suo disgusto.

Una realizzazione raffazzonata che, piuttosto, era meglio evitare.Lo sterrato conserva pur sempre il suo fascino.

La cartellonistica. Cosa è possibile ricavare, a livello informativo,dall’area archeologica, ora che è stata rimessa a nuovo? Ci sonopannelli illustrativi? No. Ma come, mancano i cartelli? Ah, no, icartelli ci sono, ma per lo più invitano a non “arrampicarsi suiruderi” o a non “condurre i cani senza guinzaglio” (invito,quest’ultimo, largamente disatteso, il che la dice lunga su come itorinesi abbiano interpretato l’area), e via così.

Per la verità un cartello esplicativo c’è. Un bel cartello ovale apochi metri dalla porta, robusto, in metallo, con ben dieci righedi testo, titolo compreso (però tradotte in francese e inglese, cosìfanno più righe). Non c’è un’immagine, tranne lo stemma dellacittà. Il testo è sostanzialmente inutile (la traduzione inglese riportaperò che la porta fu costruita “in brick and stone”, perché si sache gli inglesi ci vedono poco) e così striminzito e insulso darisultare offensivo per chi cerca informazioni. Per vostro diletto,ecco il testo: “PORTA SETTENTRIONALE ROMANA: PORTAPALATINA. Porta principale sinistra della città romana di AugustaTaurinorum, era stata costruita in forma monumentale intorno al25 a.C.. Si apriva sul cardine maggiore, le attuali vie San Tommasoe Porta Palatina, che terminava sul lato opposto con PortaMarmorea (abbattuta nel 1935). L’aspetto odierno della porta èil risultato dei restauri (dal 1872 al 1934) che hanno annullatole stratificazioni urbane sopravvenute nei secoli: infatti nel 1724era diventata carcere vicariale e nel 1877 Liceo musicale.”. Finito,evviva la sintesi. Niente male per essere la descrizione di uno deimonumenti simbolo della città, con duemila anni di storia.

L’assedio degli autoveicoli. Lungi dall’essere terminato, ilparcheggio selvaggio lungo la Porta Palatina continua, proprio làdove le porte dovrebbero essere guardate, cioè dalla parte dellafacciata (il lato verso corso Regina Margherita). In questo modosi perpetra l’errore marchiano commesso a conclusione dei restauridegli anni ’30 quando, sull’onda di analoghe iniziative in tuttaBBasolaasolatto desolao desolatto…o…Basolato desolato…

CCancancellaellata cta cancancellanellantte…e…Cancellata cancellante…

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Italia, vennero collocate le copie delle statue diAugusto e Cesare, “ribaltando”, per così dire,la facciata dell’edificio sulla parte interna (e daallora tutte le foto e le cartoline ritraggono ilmonumento dal suo lato “peggiore”, quello sud).

Il bastione. Non mi esprimo negativamentesul neobastione solo perché, in questa vicenda,è l’unico ad avere una qualche utilità, essendonato per ospitare i carretti del mercato di portapalazzo e un domani, chissà, forse per diventareuna sede espositiva; inoltre, può non piacere, maalmeno è stato costruito – più o meno – dovesorgeva effettivamente uno dei bastioni dellacittà barocca, dunque ha un barlume di valenzafilologica.

Con buona pace degli architetti Gabetti, Isola,Durbiano e Reinerio, che hanno ideato e firmatol’attuale veste dell’area, e di tutti coloro chehanno prima avallato e poi applauditol’operazione, è mio parere che i risultati ottenutisiano esclusivamente estetici, e anche qui non necessariamentepositivi. È stata spesa una mole vergognosa di denaro per realizzareuna sorta di area recintata extralusso per cani e produrre un cardomassimo falso come una banconota da 15 euro; la soffocante selvadi colonne mi lascia perplesso, i lampioni stile tardoimpero appaionocome inutili guizzi megalomani, la cartellonistica è risibile; si è

pomposamente detto di aver restituito aicittadini la Porta Palatina e l’area circostantema non si è pensato di restituire coscienzadi cosa essa sia stata (eppure gli esempi po-sitivi, a due passi, a fianco e sotto il Duomo,non mancavano).

L’Area Archeologica non è ancora com-pleta: mancano il passaggio sotterraneo dicollegamento dal “parco” alle rovine del teatroromano e l’allestimento della manica delMuseo di Antichità destinata a ospitare imateriali rinvenuti nel territorio torinese(evento da anni atteso da archeologi, spe-cialisti, studiosi e semplici appassionati).Purtroppo, per quanto riguarda l’area in su-perficie, il danno è ormai fatto.

Stupisce che neppure la supervisionecongiunta da parte delle soprintendenze aibeni archeologici e ai beni architettonici,insieme all’amministrazione comunale, abbiaconsentito, a suo tempo, di preconizzare il

risultato e pretendere drastiche revisioni al progetto.Mi rendo conto che il mio commento è feroce e che avrei forse

potuto esprimere le mie perplessità quando, prima che cominciasseroi lavori, il progetto divenne di dominio pubblico. Mi permetto dirimarcare però la differenza tra chi assiste, da cittadino, allarealizzazione di opere come questa, anche fidandosi dei prestigiosi

nomi messi in gioco e non essendo per forzatenuto a immaginare come un modellino inscala si trasformerà in realtà, e chi, profes-sionista ben pagato, ha il dovere di evitarea priori certe mancanze e anche... certestravaganze.

Sia chiaro, sono felice che Torino, negliultimi anni e grazie all’attenzione degli entipreposti, abbia saputo in più di un’occasionerivalutare i suoi beni culturali (e archeologiciin particolare). La stessa Porta Palatina è stataoggetto, in anni recenti, di un progetto direstauro che ha dato frutti positivi, resti-tuendole dignità, così come sta avvenendoper il teatro romano e come è già avvenutoper i resti archeologici inerenti il Duomo eper lo splendido Palazzo Madama.

Qui, però, siamo di fronte a un altro generedi intervento, assai poco dignitoso e, quel cheè peggio, di enorme portata. Se infatti si puòconsiderare un fatto normale che su un grandeprogetto si possa sbagliare qualche particolare,non è certo scusabile – ed è persino impro-babile – che la quasi totatilità del progettosi riveli una sciocchezza.

Pensando ad analoghe operazioni di valo-rizzazione torinesi e piemontesi, decisamentemeno criticabili e anzi lodevoli, promossedalle medesime istituzioni qui coinvolte, sirimane necessariamente sbigottiti.

Non resta che augurarci che, trascorso unnumero congruo d’anni per poter digerire ilboccone amaro, qualcuno trovi modo di ri-mediare, anche solo abbattendo le colonneinfami. Spendendo necessariamente altri soldi,ahinoi, ma almeno restituendo dignità di areaarcheologica all’attuale, inutilmente pomposo,giardinetto urbano.

Fabrizio Diciotti

Bel cartello, ma con notizie scarse, poco chiaree scelte con criterio evidentemente casuale.

In alto: l’area archeologica prima della sua ultima sistemazione (2005). Sebbene l’intera zona fosse racchiusada una cancellata, la Porta Palatina e le mura contigue formavano un unico spazio archeologico, a differenzadi quanto capita oggi. Inoltre, l’assenza delle attuali colonne permetteva una visuale del monumento da quasitutte le aree limitrofe senza che ne fosse perturbata la leggibilità (foto in basso).

Come avremmo potuto sottacere unavvenimento culturale di grande portatacome la riapertura di Palazzo Madamae del Museo d’Arte Antica? Si tratta,infatti, di una restituzione straordinariaai cittadini, e, in particolare, di unascoperta preziosa per coloro che nonhanno mai avuto l’opportunità di am-mirare il Palazzo o le splendide colle-zioni ivi conservate.

È impossibile descrivere in questasede compiutamente le quasi 4000 opereesposte, o dare conto della complessastoria dell’edificio, testimone delle vi-cende della città a partire dalla sua fon-dazione romana fino ai nostri giorni

passando attraverso le fortificazionimedievali e gli alloggi delle madamereali.

Quel che ci preme invece sottolineareè come, attraverso il completo riallesti-mento degli spazi e delle collezioni,finalmente Torino sia dotata di un mo-derno museo di arte antica, in gradodi dialogare con le maggiori realtà mu-seali italiane ed europee e spiccare perla qualità e quantità degli oggetti e lanovità della presentazione degli stessi.Infatti, l’ampiezza delle collezioni per-mette – e richiede – al visitatore ditornare più volte per scoprire semprenuovi “tesori” e lasciarsi catturare dai

numerosi spunti suggeriti dalla riorga-nizzazione degli spazi e dall’esposizionedelle opere.

Innovativa la possibilità di visitarei depositi, spazi museali solitamenteinaccessibili e che per questa ragionenormalmente suscitano ora lecite curio-sità, ora critiche e appetiti ingiustificatie pretestuosi; apprezzabile l’idea dirispettare gli allestimenti degli anniTrenta del Novecento per le collezionidi arti decorative, esposte in un percorsoper materiali e tecniche e per manifattureitaliane ed europee dal Medioevo alXIX secolo. Il piano nobile accoglieopere di età Barocca, momento in cuiil Piemonte rivaleggiava con le maggioricorti europee in quanto a sfarzo e gustonegli arredi e nelle decorazioni dei pa-lazzi.

L’allestimento di una “Torre deitesori”, che riunisce le opere di maggiorrichiamo, rende il museo godibile ancheper chi abbia poco tempo da dedicarealla visita e nel contempo agevola ilpercorso di chi desidera approfondirecon calma e agio alcune tematiche, al-cuni nuclei, alcuni spazi.

Segnaliamo ancora i puntuali sussidiper la comprensione delle opere e degliambienti – didascalie, pannelli, schedoni,audioguide – nonché il divertente, anchese un po’ lento, supporto multimediale,dedicato ai confronti e agli approfon-dimenti sulle singole opere, sulle tec-niche, sui luoghi e i personaggi prota-gonisti delle collezioni spesso fortementelegate al territorio piemontese e valdo-stano. Certo ambiziosa, e segnale di

Torna a battere l’antico cuore di TorinoLa riapertura del Museo Civico d'Arte Antica a Palazzo Madama

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Dicembre 2006: dopo una lunga chiusura per restauri (dal 1988),riapre in Palazzo Madama il Museo Civico d’Arte Antica,un evento atteso da tutti i torinesi e accoltocon grande soddisfazione.

Palazzo Madama ospita i restidella porta romana orientalee della contigua cinta muraria.

Palazzo Madama nella prima metà del XIX secolo.Il Museo Civico è ancora là da venire

e l’edificio viene utilizzato anchecome specola astronomica.

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una vivacità e disponibilità a rinnovarsie a riproporsi continuamente, è la vo-lontà di allestire ogni anno nuove mostrenella Sala del Senato. La prima, in pro-gramma per questa primavera, dal titolo«Sulla via di Alessandro» [vedi riqua-dro], sarà dedicata all’illustrazione dellevicende culturali, artistiche, politicheed economiche dell’Asia dopo le con-quiste di Alessandro e, in particolare,l’incontro della civiltà ellenistica conquella mesopotamica, quella iranica equella del subcontinente indiano.

L’allestimento delle collezioni, chetiene conto di opere eterogenee per ti-pologia, materiale, epoca e “ingombro”,dai dipinti alle miniature, dalle sculturelignee alle ceramiche, dai vetri alla gra-fica, deve avere comportato una mol-teplicità di problematiche complesseaffrontate di volta in volta con soluzioniconservative e di fruizione mirate ediversificate che richiedono al visitatorequalche “passo in più” e la disponibilitàa curiosare e passeggiare più che ad

incanalarsi in unpercorso obbligato;g l i a m a n t i d e i“binari museali”,che prevedono unpercorso stabilito eobbligato, magaricon rigorose se-quenze cronologi-che, r imarrannoforse spaesati: pertutti gli altri la visitarisulterà appagantee stimolante.

Col passare deltempo, gradual-m e n t e , a l c u n epecche di minore

importanza si andranno risolvendo, co-me la scarsa intuitività del percorso,o la difficoltosa leggibilità di alcunedidascalie dovuta alla non felice sceltadei supporti, altri forse rimarranno, mastemperati nel fascino complessivo in-discutibile dell’allestimento. Il Museostesso dovrà cercare di comunicare allapopolazione sempre di più spiegando

e valorizzando le motivazioni delle pro-prie scelte di allestimento.

Per concludere, alcuni consigli perl’uso: il Museo di Palazzo Madama,per i Torinesi, non sia considerato unluogo da “una visita e via”. Godiamoceloe torniamoci, visitandolo un po’ pervolta, magari concedendoci, a volte, illusso di una pausa nella caffetteria conla splendida vista che si gode dalle lu-minose verande o nel fossato, provandoad immaginare come doveva essere neltardo Medioevo con la sua vegetazionerigogliosa, o sulla torre panoramica,percependo così tutta la scenograficavisione di piazza Castello con le suequinte, e di Torino tutta, nella sua com-plessità e ricchezza urbanistica, archi-tettonica, storica.

È l ’occas ione g ius ta pe r f a rel’Abbonamento Musei, altra iniziativalodevole che non ha eguali in Italia eche viene incontro al desiderio dei cit-tadini di fruire più liberamente del pa-trimonio piemontese.

Luca Nejrotti

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Museo Civico d'Arte Antica e Palazzo MadamaPiazza Castello, 10122 Torino

Informazioni - Tel. +39 011 4433501email: [email protected]

Orari:

Scalone e Corte Medievale - ingresso liberoda martedì a venerdì, domenica: ore 9-19sabato: ore 9-20

Museo Civico d'Arte Anticada martedì a venerdì, domenica: ore 10-18sabato: ore 10-20chiuso il lunedì(la biglietteria chiude un'ora prima)per le scuole: da martedì a venerdì: ore 9-17(su prenotazione)

Sito Internetwww.palazzomadamatorino.it

La mostra si propone di illustrare le vicende culturali, artistiche,politiche e economiche dell’Asia dopo le conquiste di Alessandroe, in particolare, l’incontro della civiltà ellenistica con quellamesopotamica, quella iranica e quella del subcontinente indiano,focalizzando l’attenzione sull’arte della Babilonia, con particolareriferimento alla città di Seleucia al Tigri, e sull’arte del Gandhara,regioni che costituiscono la nostra maggiore fonte di informazionesulla situazione tra il IV sec. a.C. e il III d.C. dei territoriappartenuti al Macedone. [testo tratto dal sito del Museo]

Tetradracma di Lisimaco con testa idealizzata di Alessandro come Ammone,Torino, Museo Civico d'Arte Antica

Resti della scala elicoidale visibile nella Corte Medievale di Palazzo Madama.

Museo Civico d’Arte Antica.Particolare del sarcofago rinascimentale (1499)dell’umanista Filippo Vagnone.

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La campagna di ricognizioneAnche quest’anno ci ritroviamo a ricordare l’attività

svolta nell’agosto 2006 al Campo del Fiora. Con unocchio alle corroboranti memorie di quanto fatto eduno alle sfide dell’anno prossimo.

Dire che la campagna passata abbia funzionato beneè poco: il merito va innanzi tutto al nostro Capo CampoFabrizio Diciotti che ha saputo gestire l’economato el’organizzazione con precisione svizzera, o meglio“lucchese”, senza farci mancare assolutamente nulla;niente si sarebbe potuto fare, però, senza il preziosoausilio della dott.ssa G. Barbieri e del dott. Camilli(della Soprintendenza per i Beni Archeologici dellaToscana) che una volta di più, entusiasticamente, hannovoluto riporre la propria fiducia nella nostra squadradi ricognizione; e che dire del calore e dell’abnegazioneche la popolazione di Sorano, Comune e ComprensorioScolastico in testa, hanno profuso nell’accoglierci eancora di più, nel farci sentire “a casa”?

Infine, ma non ultimi per importanza, un grazie speciale algruppo di veterani e di nuovi Soci che con simpatia, entusiasmoe rigore si sono sobbarcati quello che è senz’altro un impegnogravoso, ma di grande soddisfazione.

Recarsi per il terzo anno consecutivo nella stessa area presentadei vantaggi logistici, ma anche degli svantaggi: la coperturafinora garantita e i risultati ottenuti dalle passate campagne potevanoscoraggiare, dando ad intendere che “tutto” fosse stato individuatoe studiato. D’altronde la conoscenza che ormai possiamo vantaredel territorio ci garantisce la possibilità di muoverci con grandeefficacia e rapidità, a volte spostandoci nella giornata da un’areaall’altra.

Di conseguenza ci siamo messi a tavolino e, confrontando idati precedenti con la cartografia, siamo riusciti ad individuareancora un numero più che sufficiente di zone “calde” da visitare.

Inoltre, la presenza di “veterani” con esperienza pluriennaleci ha consentito di operare incisivamente nel territorio variegatodi Pianetti di Sovana e zone circonvicine, permettendo di dividerciin gruppetti che si muovevano con agilità tra i boschi e le forre

per riunirsi negli spazi aperti, garantendo una copertura completaed estensiva.

Ormai il sistema di raccolta dati ha superato la fase di rodaggioed è rassicurante sedersi davanti al computer e muoversinell’ambiente conosciuto e perfettamente funzionante del nostrodatabase e dei nostri sistemi di rilievo cartografico. Senza contareche la possibilità di accedere con immediatezza a tutti i datiprecedenti sveltisce e semplifica le operazioni di confronto eaggiornamento.

E così, tutti i pomeriggi durante il lavaggio cocci – attivitàche per altro ci ha dato notevoli soddisfazioni ed è stata svoltacon rapidità, tanto da non rendersi necessaria nel periodo autunnale– un manipolo di coraggiosi sfidava la penombra intorpidentedel laboratorio per aggiornare i diari di ricognizione, la cartografiae le foto riguardanti l’attività svolta.

Quali siano i vantaggi di questo modo di operare è evidente:toccare con mano i risultati dell’attività, letteralmente quandosi tratta di lavaggio dei materiali, tirare le fila di quanto fattoe azzardare le prime ipotesi interpretative consentono a tutti ipartecipanti di sentirsi parte di un progetto di ampio respiro, dicui non costituiscono la “bassa manovalanza”, ma parte attiva

Campo “Monti del Fiora” 2006Il terzo anno di attività nell’area dell’alta Maremma è stato dedicato alla ricognizione:continua la fruttuosa collaborazione instaurata nel 2004 tra il GAT, la Soprintendenza peri Beni Archeologici della Toscana, il Comune di Sorano e l’Istituto scolastico “G. Vanni”.

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AttivitàGAT

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e importante in ogni sua fase.I risultati sono sotto gli occhi di tutti: sono state rinvenute 21

nuove UR (Unità di Ricognizione) che spaziano dalla protostoriaall’età romana fino a giungere al Medioevo; è stata approfonditala nostra conoscenza dell’area di Pianetti, ma ci siamo ancheproficuamente spinti nella zona sotto la responsabilità del dott.Camilli e abbiamo anche cominciato l’indagine del territorio asud e a est di Sovana. Il materiale raccolto, e che grazie allaconsueta disponibilità della dott.ssa Barbieri è ora in fase dicatalogazione presso la sede, ha riempito due bagagliai!

E i nostri Soci non si sono scoraggiati se talvolta l’uscita sirisolveva con un nulla di fatto: anche le zone blu e gialle dellanostra cartografia, vale a dire quelle prive di rinvenimenti signi-ficativi, sono un apporto fondamentale per la conoscenza delterritorio!

Infine, risultato non meno importante, al campo si è creato ungruppo di persone estremamente affiatato, composto sia da veteranisia da nuovi soci che – diciamolo pure senza che questi ultimisi montino la testa, vero ragazzi? – siamo sicuri nei prossimianni ce ne faranno vedere di belle!

Non siamo certo tipi da dormire sugli allori, e dunque: checosa ci attende per il futuro?

Ogni bene sembrerebbe: l’attività in sede prosegue con costanza,anche se un po’ a rilento dati i moltissimi impegni del programmaautunnale. Non dimentichiamoci che la possibilità di catalogarei materiali estivi durante l’anno è l’opportunità – più unica cherara! – di mantenere vivo lo spirito di campo che si è creato nelperiodo estivo e, non ultimo, di avvicinare i Soci che non hannoavuto la possibilità di partecipare al Fiora, ai risultati che, non

dimentichiamolo, sono di tutta l’Associazione. Inoltre, per lacampagna 2007, è stata individuata una nuova area che promettedi essere ricca almeno quanto Pianetti e che è anche densa difascino paesaggistico, e, infine, ci verrà data la possibilità dieffettuare un saggio d’indagine su una delle UR da noi individuatanel 2004 e ancora approfondita nel 2006. Vi sembra troppo? Quisi parrà la nostra nobilitade!

Insomma, possiamo dirci ben soddisfatti e, soprattutto, guardandoalla quarta campagna, esclamare:

“E questo NON è tutto gente!”Luca Nejrotti

Vita di campoAlla conclusione del terzo anno della campagna “Monti del

Fiora”, si può ormai a buon diritto considerare il campo del GATcome ben collaudato e rodato a tutti gli effetti! Penso infatti dipoter affermare che tutti – partecipanti ed organizzatori – sianoanche questa volta rimasti soddisfatti, anche se contrattempi egrattacapi non mancano mai: in fondo, si sa che qualche probleminodeve essere messo in conto e alla fine non fa altro che far risaltareil nostro impegno affinché tutto proceda per il meglio.

Quest’anno in modo particolare, la vita di campo è stata con-trassegnata dallo spirito di collaborazione che ha coinvolto tuttii partecipanti, assai prezioso anche vista l’importante defezioneche il campo GAT ha registrato: ebbene sì, il nostro mitico chefGianfranco non ha potuto essere dei nostri! Come del resto tuttii nostri amici con cui abbiamo condiviso le precedenti edizionidel campo e che non sono ritornati, Gianfranco ci è mancato,e doppiamente: le sue battute e il suo linguaggio colorito da un

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lato e la sua abilità di cuoco dall’altro. E se a qualcuno dei lettorista sorgendo il dubbio che la sottoscritta dica ciò perché, insiemea Fabrizio, si è sobbarcata il compito di gestire la cucina… hacolto in pieno nel segno!!

Spignattando tra piastre roventi, marmitte e litri di sugo, abbiamopensato a lui così tante volte che le orecchie gli saranno fischiatemolto spesso. Del resto, non è cosa semplice sfamare una quindicinadi bocche fameliche e stomaci senza fondo di ritorno da unagiornata di ricognizione, oltretutto con la consapevolezza di doveressere i sostituti di un cuoco professionista! Comunque, a sentireil parere delle suddette bocche fameliche, l’incrocio fra la mianotoria mania per verdure e simili unita a quella di Fabrizio,altrettanto proverbiale, per i cibi “gustosi” si è rivelata soddisfacente.Diciamo che ogni tanto mi sono sentita un po’ Cenerentola relegatain cucina (oltretutto di scarpette di vetro, fatine, principi neanchel’ombra) e che una volta tornata a casa ho mangiato scatolette

per mesi pur di non dovercucinare! …a parte gli scherzi,veder apprezzati e ricambiaticon l’affetto i propri sforzi èassai piacevole.

Dopo aver rimarcato leassenze “illustri”, parliamoinvece di quelle che sembranodiventate costanti del campo“Monti del Fiora”: per rimanerein tema culinario, come noncitare le provvidenziali pre-libatezze preparate da Anna,la cuoca soranese che ci ha unpo’ adottati per nostra grandegioia! Anche gli animali sonouna presenza ricorrente: ètornato a trovarci uno dei “terribili” cani pastore (vedi Taurasian° 1 – gennaio 2006) che non ha esitato a piantare in asso lesue pecore per venire a prendersi coccole da tutto il gruppo! Enon potevano mancare i felini: dopo Buccia, il micino che dueanni fa fu protagonista di un ormai leggendario salvataggio daparte di Luca, quest’estate è stata la volta di una gattina sottrattada probabile morte per investimento dal previdente Emilio. Lafortunata in questione (di nome Lipsia, n.d.r.) è stata ora adottatada Bruno.

Un’altra singolare coincidenza è rappresentata dall’aspettointernazionale che il campo GAT ha assunto inconsapevolmente:dopo l’argentina Florencia, anche quest’anno abbiamo avuto unapartecipante di origine sudamericana, Celica, proveniente dalParaguay, che si è conquistata la simpatia di tutti con la suaspontaneità, il suo entusiasmo e il suo pittoresco modo di esprimersi.

Il tempo non è stato molto clemente quest’estate: spesso abbiamovisto pioggia (persino grandine!) e avvertito freddo: ma i sociGAT non si fanno certo spaventare e quindi nei giorni di riposodalle ricognizioni sono state come sempre organizzate gite versomete culturali, quali la suggestiva Orvieto, e vacanziere, comel’immancabile spiaggetta sul lago di Bolsena.

In conclusione, affinché nessuno si senta escluso, mi premeringraziare anche tutti coloro che non sono stati nominati inquesto articolo: la buona riuscita di un campo dipende in egualmisura dall’abilità degli organizzatori (modestamente…) edall’impegno, dal buonsenso, dalla simpatia dei partecipanti.

Quindi, grazie a tutti! E arrivederci al campo “Monti del Fiora”2007: a veterani e a quanti ancora non hanno ancora partecipato(cosa aspettate?!) colgo l’occasione per preannunciare succosenovità per la prossima edizione…

Anna Ferrarese

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Una vera selva di iniziative firmate GAT e Parco “La Mandria”

Boschi & Castelli 2007

Come da consueta tradizione GAT, il programma 2007 diBoschi & Castelli sarà interessante e articolato.

Dal 9 al 16 febbraio, nei giorni feriali, a Druento, per le scuole,saranno esposti i pannelli didattici da noi realizzati a maggio 2006(vedi foto in basso), in un programma concordato fra Ente Parco,GAT, Comune e scuole. L’iniziativa, già proposta presso alcunescuole con ottimo successo, prevede inoltre 4 lezioni in aula e unagiornata conclusiva nel parco dove saranno proposte attività legatealla vita nel Medioevo. Tutte le scuole della Provincia di Torinohanno la possibilità di partecipare.

L’esposizione proseguirà quindi dal 23 febbraio al 2 marzo aLa Cassa. Durante le serate inaugurali e conclusive in entrambele sedi espositive, i partecipanti al Progetto ne illustreranno i diversiaspetti ed il ricco programma di attività del 2007.

Inoltre, per la mattinata di sabato 3 marzo è prevista un’uscitaguidata sul territorio di La Cassa.

Sabato 26 e Domenica 27 maggio, grande festa Boschi & Castellidedicata ai bambini. Dopo il successo di pubblico nella giornatadi presentazione del progetto didattico alla Mandria (28 maggio2006, vedi le foto a destra), l’Ente Parco ci ha chiesto di ripeterel’iniziativa nella primavera 2007, ma questa volta articolata su 2giornate. L’edizione 2006 è stata memorabile (i bambini – e nonsolo – si sono divertiti tantissimo…) e quindi vi consigliamo dinon mancare al prossimo appuntamento! Saranno riproposti i giochidel 2006 con eventuali aggiunte di novità. Inoltre, saranno prodottipannelli didattici riguardanti l’arte del costruire nel Medioevo edesempi sulle tecniche per realizzare gli affreschi. Possibile anchela ricostruzione di oggetti riguardanti le tecniche edili.

In questa occasione sarà infine presentato il nuovo addendumdei giochi realizzato dal GAT.

Ottobre 2007: al Borgo Castello della Mandria verrà inauguratala mostra, che comprenderà una parte storica generale e in piùsezioni riguardanti il territorio nel Medioevo. I temi saranno: lecarte storiche, le vie di comunicazione, i castelli, la ceramica, imulini e la descrizione degli affreschi delle chiese di San Biagio,San Lorenzo e San Giuliano. Per quanto riguarda la parte sulla vitaquotidiana nel Medioevo presenteremo i temi che caratterizzanol’idea del parco: erbe e magia, il bosco nel Medioevo, le piante

tessili, ecc. con adeguata scenografia. La parte didattica sarà infinecompletata con pannelli e macchine che illustrano le tecniche dicostruzione nel Medioevo e, se sarà possibile, prevederà una partesulla caccia.

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Castelli AttivitàGAT

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Si apre quindi per tutti i soci interessati la possibilità di partecipareall’allestimento della mostra (inteso anche come ideazione); allarealizzazione video, plastici (area Rubbianeta, Castlas, Baratonia),ecc.; alla realizzazione dei pannelli e del testo per il catalogo.

Scopo della mostra, come avrete capito, non è solo la realizzazionedella stessa, ma lo studio e l’approfondimento dei temi trattati. Chiè interessato non deve quindi mancare il 2° e 4° mercoledì di ognimese (ore 21) con appuntamento in sede GAT, per fare il puntosui singoli argomenti e sui lavori da realizzare. Se siete interessati,ma non potete venire il mercoledì, scrivete una e-mail alla segreteriaGAT ([email protected]) e sarete sempre informati suglisviluppi della situazione!

Sarà una bella mostra, forse la migliore mai realizzata dal GAT,portata avanti con tanti amici, in particolare quelli dei musei di LaCassa e Varisella. La finalità è offrire una sintesi degli studi estimolare l’attenzione e la sensibilità nei confronti del territorio inesame e di tutte le realtà storiche che lo compongono. Cercheremodi dare un taglio piacevole alla mostra, ma contemporaneamentedi offrire al visitatore più esigente il maggior numero di informazionipossibile. Come sempre sono previsti: il catalogo della mostra, ilCD-ROM, momenti di animazione teatrale, plastici, video e poster.

Stiamo inoltre lavorando per organizzare in contemporanea allamostra un congresso storico sul tema del paesaggio nel Medioevo.

Amici, non mancate perché queste mostre sono possibili solograzie al lavoro di tutti i soci!

Carlo Vigo e Livio Lambarelli

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Boschi & CastelliItinerari medievali nelle terre dei visconti di Baratonia

Struttura del catalogo della mostraTERRITORIO- Geografia e storia del territorio: localizzazione, ambiente,

vie di comunicazione;- Archeologia del territorio nel tempo (da studi e

segnalazioni);- Ambiente naturale: i boschi;- Il rapporto con la natura (piante ed erbe), i miti, antiche

tecniche di caccia, ecc.

PAESAGGIO POLITICO- I visconti di Baratonia e le altre famiglie signorili, locali ed

esògene (le famiglie torinesi);- Le signorie monastiche;- I rapporti con il vescovo e l’espansione dei principati

territoriali (Monferrato, Acaia, Savoia).

I SEGNI DEL POTERE- Fortezze: torri e castelli;- Struttura dei castelli e tecniche murarie (studio sul campo

di ruderi e tracce);- Edifici bannali: i mulini. Sfruttamento dei corsi d’acqua:

antichi mulini, opere idrauliche, ecc.

PAESAGGIO RELIGIOSO- Chiese e cappelle;- Devozioni d’élite e religione popolare: i cicli santoriali.

NUCLEI DI POPOLAMENTO- Gli insediamenti contadini: villaggi e piccoli borghi;- Iniziative signorili di popolamento: castelli, villae novae,

castellanie, ricetti.

RAPPORTI ECONOMICI- Economia e scambi;- Elementi di vita quotidiana: la vita nei castelli e nei villaggi;- Documentazione e confronto di alcuni reperti ceramici

(laboratorio);- Lost villages: il problema dell’abbandono;- Quando, come, perché crollarono i castelli?- Quando, come, perché i villaggi furono abbandonati?

ITINERARI- Sintesi di alcuni percorsi, con piccole mappe: il sentiero dei

castelli, corsi d’acqua e mulini, vie di pellegrinaggio, ecc.

GLOSSE- Piccolo dizionario dei termini tecnici.

BIBLIOGRAFIA

Boschi

Castelli

Se uno degli argomentielencati ti interessain modo particolare,puoi partecipare con il tuocontributo alla fase di ideazionee sviluppo della mostra.

Idee, suggerimenti e spunti sonosempre i benvenuti!

Due dei pannellirealizzati dal GATnell’ambito delprogetto“Boschi&Castelli”

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Volontariato archeologico in CalabriaCampo Archeologico di Sellia Marina, estate 2006.

Lo scavoDopo molti anni di felice permanenza

a Cropani Marina (per lo scavo della villaromana, della necropoli di età bizantinae del santuario magnogreco), il campo ar-cheologico organizzato dal Gruppo Archeo-logico Ionico in collaborazione con la So-printendenza della Calabria, ha trovato sede,nell’estate del 2006, nel paese di SelliaMarina, nelle cui vicinanze erano stati ef-fettuati alcuni saggi che avevano portatoalla luce molto materiale ceramico e alcunestrutture. Anche quest’anno il campo havisto la partecipazione di moltissimi sociGAT, che durante l’estate si sono spostaticon ogni mezzo in Calabria, per passarealcune settimane all’insegna del volontariatoarcheologico, della fatica e del divertimento.

La scoperta del sito archeologico in lo-calità Chiaro di Sellia Marina, il cui scavoha visto impegnati quest’anno i volontari,risale ai primi mesi del 2006, e la si deveall’intervento della Soprintendenza Archeo-logica della Calabria.

L’apertura dei primi saggi di scavo iniziacontestualmente alla realizzazione di unatrincea per la posa di alcuni tubi facentiparte di una diramazione del gasdotto SNAMSant’Eufemia-Crotone.

Lungo un percorso di circa 400 metrisono emerse notevoli testimonianze archeo-logiche: una struttura a pianta rettangolare,riconosciuta come una cisterna di età tardoantica; alcune sepolture facenti parte diuna necropoli, che i rari frammenti ceramicidei corredi datano al VI-VII secolo d.C.;un altro saggio ha restituito abbondantiresti (tra cui ceramica in terra sigillata eframmenti di coppette in vetro) ricollegabiliad una frequentazione di età romano-imperiale (I-II-III sec. d.C.); l’ultimo saggioinfine (che poi è stato l’unico ad essere

approfondi to da ivolontari) ha portatoalla luce un ammassodi rottami anforaceiche è in continuitàstratigrafica con ilpiano emerso nelprecedente saggio. Aldi sotto di questostrato, separato da unlivello di limo sterile,è presente un pianodi frequentazionelacunoso, di periodogreco, databile al-meno a partire dal Vsecolo a.C., cometestimonia il ritro-vamento di ceramicaa vernice nera (appartenente a vasetti mi-niaturistici, legati ad un contesto sacro) edi una porzione di muro realizzato a secco.

Il livello formato dall’ammasso di restifrantumati di tegolame, anfore e mattoniè stato interpretato come la risistemazionedel piano di calpestio che ha preceduto lafase abitativa di II-III secolo; l’utilizzo dimateriali come anfore (del tipo Dressel 1),tegole e mattoni, misti a detriti collegatiad attività produttive di fornace (carboni,cenere, argilla concotta), era stato reso pos-sibile dalla grande quantità di scarti prodottida un grande insediamento produttivo dellazona (non ancora localizzato) attivo proba-bilmente a partire dal II secolo a.C. Moltidei frammenti di anfora (colli o anse) ri-portano tra l’altro anche i bolli del produt-tore, scritti in caratteri a volte latini e avolte greci: aspetto quest’ultimo molto in-teressante, in quanto testimonia come, seb-bene la Calabria fosse ormai area di influen-za romana, ci trovassimo in un momento

di passaggio, dove lacultura e la linguae r a n o a n c o r a d imatrice greca.sotto di questo li-vello, troviamo uninsieme di strati diperiodo Brettio (da-tabili invece al IV-IIIsec. a.C.), dai qualis o n o e m e r s e l estrutture di due for-naci e un muro re-alizzato in embricilegati a malta, la cuifunzione è ancora dadefinire. Dal mate-riale ritrovato nellecamere di cottura, le

due fornaci, a pianta circolare con pilastrocentrale, sembrano aver prodotto principal-mente ceramica da mensa (piatti e pentole).Secondo la dottoressa Aisa, direttrice delloscavo, queste fornaci erano parte della zonaproduttiva di una fattoria. Nei pressi delmuro sono state rinvenute due monete, unain bronzo e l’altra in argento, che ci con-fermano la datazione degli strati all’etàellenistica.

In conclusione, la maggior parte del ma-teriale rinvenuto è costituito da materialeceramico (come c’era da aspettarsi, vistoche si trattava dello scavo di un’area pro-duttiva!): frammenti di anfore e di ceramicada mensa di ogni tipo; da segnalare è ilritrovamento di una lucerna. Pochi i repertimetallici: un frammento di fibula, lame dicoltelli e ganci, oltre alle due monete.

Non ci resta quindi che auspicare unacontinuazione deilavori di scavo neglianni a seguire, conl’ampliamento di tuttii saggi, al fine dipoter ricostruire consicurezza le vicendedi quest’area che,come abbiamo visto,non ha mai smessodi essere frequentatanel corso della storia.

Jacopo Corsi

Vita di campoTerminato l’ultimo esame, le agognate

vacanze sono finalmente arrivate.La nostra straordinaria avventura inizia

alle 20.45 alla stazione di Porta Nuova,siamo al 15 luglio.

Nonostante ci attendano solo due settimane

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AttivitàGAT

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di campo, a ognuno di noi, giovani volontariarcheologi inesperti, sembra di partire perun viaggio verso chissà quale strana localitàche ci terrà lontani per molto tempo, o cosìsembrano dire le nostre valigie…

Durante la notte in treno ci viene subitodato il benvenuto da una passeggera“calabra”. La compagna di carrozza allesei del mattino decide di fare una telefonata,dimenticando che il telefono ci permettedi parlare con persone distanti a voce mo-derata…

Ma niente, neanche la sveglia preventivapuò in qualche modo spaventarci: prestosaremo in Calabria e scaveremo. Le ultimeparole famose.

Dopo un viaggio estenuante di 18 ore,incredibilmente arriviamo alla stazione diLamezia Terme!!!

Conosciamo Tonino, il responsabile, chesubito ci spiega come funziona il campoe ci illustra le bellezze locali.

Appena arrivati alla scuola, dove passe-remo le successive due settimane, capiamosubito quale sarà l’ossessione che caratte-rizzerà la nostra vacanza: Pinocchio; inmezzo al cortile c’è una statua in cementodel famoso burattino con la faccia inspie-gabilmente dipinta di verde.

La sera stessa ci spiegano la tipologia

di scavo, cosa avremmoprobabilmente trovatoe soprattutto in chemodo lavorare. Nono-stante la stanchezza,s iamo tut t i ecci ta t idall’idea che da lì apoche ore metteremomano a uno scavo. Enon come manovali, macome provetti archeologialla scoperta di chissàquali reperti: anfore,bacili o magari dellemonete.

Nonostante la leva-taccia, arrivati sulloscavo siamo impazienti

di incominciare. Come prima cosa ci vienespiegato come si usa il piccone, strumentoessenziale. Di primo impatto sembra unlavoro facile, ma ben presto capiamo chenon è per niente così, anzi.

Lo scavo non è poi così grande, ma c’èlavoro per tutti. Ci dividono in piccoli gruppie ad ognuno viene fornito un attrezzo percominciare l’avventura.

Ben presto ci accorgiamo quanto sia fa-ticoso scavare. La terra è durae il sole calabro difficilmenteperdona; molto spesso, inoltre,è difficile riuscire a trovarequalche reperto già nei primistrati. Ma appena si comincia avedere qualche cosa, che sia unsemplice coccio o un frammentodi laterizio, la stanchezza sva-nisce, la sete sparisce e il sudorenon è che un lontano ricordo.

Ogni volta che qualcuno trovaqualcosa, una piccola folla glisi fa attorno per cercare di capirecosa sia, quasi fosse una garaa scoprire il pezzo più curioso,come avviene per il rinvenimentodi un frammento d’anfora consopra l’impronta digitale delvasaio.

Il lavoro, oltre ad essere faticoso, è anchemolto accurato e preciso. Lo scavo è irre-versibile, quindi bisogna documentare mi-nuziosamente tutti i momenti con foto erilievi. Dobbiamo fare piano perché, comeci viene spiegato, il reperto deve emergeredal terreno e non deve mai essere strappatovia, altrimenti si rischia di alterare gli strati.Inoltre bisogna lavorare con cautela, scavareaccuratamente senza danneggiare nulla.

Nonostante il concetto sia semplice, capirele differenze stratigrafiche è molto comples-so, anche perché si deve stare attenti a nonmescolare uno strato con l’altro.

Infine conosciamo frasi cui prima di par-tire non saremmo riusciti a dare un senso,come “togliere la polvere dalla terra”. Ope-razione che serve a eliminare ogni residuodi terra smossa dello strato precedente.

Probabilmente se non fossimo stati cosìcarichi di adrenalina, anziché fare due set-timane, saremmo scappati dopo due ore,ma sicuramente è stata un’esperienza indi-menticabile per ognuno di noi. Oltre chedecisiva, infatti, è riuscita a farci capirecosa significhi, realmente, occuparsi di unoscavo.

Edoardo Accattino

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Dal 4 marzo 2005 il patrimonio museale italiano si è arricchitonotevolmente, grazie all’inaugurazione dello splendido Antiqua-rium di Cropani, per il quale si sono spesi – anima e corpo– il Gruppo Archeologico Ionico “L. Magrini” e la SoprintendenzaArcheologica della Calabria, rappresentata dalla dottoressa MariaGrazia Aisa, direttrice del museo.

Una vera è propria gemma questo Antiquarium, incastonatoin una cornice di tutto rispetto, costituita dal centro storico medievaledi Cropani. È ospitato nei locali del cinquecentesco Oratorio diSant’Anna, concessi dal Comune di Cropani per ospitare unaselezione dei reperti rinvenuti nella zona in tanti anni di scavoe in molti siti diversi. Colpisce subito, nonostante le relativamentepiccole dimensioni degli spazi espositivi, la ricchezza e l'abbondanzadel materiale esposto, e la ricca pannellistica che descrive icontenuti delle vetrine e accompagna il visitatore alla scopertadei principali siti del comprensorio.

Questa parte “introduttiva” si trova al piano terra, insieme adalcune anfore e ad una sepoltura bizantina che è stata rimossaper problemi conservativi; nella stanza superiore sono inveceospitate le sei vetrine, corredate di supporti didattici, nelle qualisono esposti, in successione cronologica, i reperti: nella primasono ospitati reperti preistorici e protostorici (frammenti ceramici,strumenti litici); nella quarta troviamo invece reperti di età brettiaprovenienti da Marcedusa e dalla piccola necropoli di Cropani-località Basilicata; nella quinta e nella sesta sono esposti invecemateriali rispettivamente romani (provenienti dalle ville di Cropani,Botricello e Sellia Marina) e alto medievali (scavati nella necropolidi Cropani-località Basilicata e da quella di Botricello-localitàMarina di Bruni).

Due intere vetrine (la seconda e la terza) sono invece statededicate esclusivamente al periodo greco, cshe ha lasciato letestimonianze più rilevanti nella zona; ampio spazio è dedicatoai ritrovamenti effettuati nel santuario di Cropani-località Acquadi Friso (metà del VI - fine del V sec. a.C.), dedicato ad unadivinità femminile ancora non identificata: è esposta molta ceramicaminiaturistica e vasellame fine da mensa, sia di importazionegreca che di produzione locale, e, tra i manufatti metallici, attrezzi,armi e ceppi. È presente poi una rilevante selezione di monetemagno greche, in quanto nel sito di Acqua di Friso è stato rinvenutoun ripostiglio votivo chiuso intorno al 430 a.C.: oggi nel museosi possono osservare alcuni bellissimi esemplari di monete inargento incuse (vedi approfondimento nella pagina seguente) ea doppio rilievo, coniate dalle principali pòleis della regione,cioè Crotone, Caulonia, Sibari e Metaponto.

Ma l’importanza di questo Antiquarium va oltre la bellezzadei singoli reperti e la ricchezza delle sue collezioni: come vieneinfatti riportato sul sito internet www.antiquariumcropani.it,l’aspetto che lo distingue è che ospita “principalmente i reperticropanesi da scavo, di maggior valore scientifico perché rinvenutiin contesti indagati con rigore metodologico ed in manieraesaustiva”. Un grande merito va quindi ai realizzatori di questogioiello, che hanno saputo soddisfare tutti i desiderata dellamoderna archeologia e museologia.

Jacopo Corsi

L’ANTIQUARIUM di CROPANI

Antiquarium di CropaniCorso Umberto I, n° 6 - 88051 Cropani (CZ)Ingresso libero

e-mail: [email protected]

ACCESSOL’Antiquarium è visitabile durante l’annoscolastico su prenotazione; nella stagione estival’apertura è giornaliera.

BIGLIETTIL’ingresso è gratuito per tutti i visitatori.

PORTATORI DI HANDICAPLo spazio museale è quasi per intero percorribilecon sedie a rotelle.

FOTOGRAFIE E RIPRESE FILMATENon sono consentite, salvo permesso scritto dellaDirezione.

1. Moneta di Caulonia da Acqua di Friso

2. Lekitos da Acqua di Friso

3. Vasetti miniaturistici

4. Askos a figure nere di produzione attica da Acqua di Friso (VI sec. a.C.)

5. Antefissa da Marcedusa

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Ovvero: fruttuosa collaborazionefra volontariato e istituzioni

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La monetazione incusa della Magna GreciaI greci cominciarono a colonizzare l’area che in seguito avrebbe

assunto il nome di Magna Grecia (attuali regioni Calabria, Puglia,Basilicata e Campania) nell’VIII secolo a.C. I coloni diedero vitaa città stato autonome, che in molti casi, a partire dal VII sec.,diventarono più prospere e potenti delle rispettive pòleis greched’origine. Un’evidente testimonianza della loro ricchezza èl’abbondante produzione di monete d’argento. Le monete cheprenderemo in considerazione in questa sede sono state coniateda alcune città localizzate sulla costa ionica della Calabria (Sibari,Crotone e Caulonia) e della Basilicata (Metaponto). Queste pòleis,fondate da popolazioni di stirpe achea provenienti dal Peloponneso,furono anche le prime in tutto il sud Italia a dar vita ad una propriamonetazione, con caratteri distintivi molto marcati rispetto aqualsiasi altra emissione contemporanea di qualsiasi luogo delMediterraneo.

La peculiarità di queste monete sta nella tecnica realizzativa,che le rende allo stesso tempo estremamente affascinanti e imme-diatamente riconoscibili. La tecnica usata è quella della coniazionea rovescio incuso: ciò significa che al dritto gli esemplari presentanoun’immagine in rilievo (identificativa, il più delle volte, dellacittà emittente) e al rovescio la stessa immagine, però in incuso(cioè in negativo).

Questa modalità di coniazione non va però confusa con la tecnica– più propria degli orafi che degliaddetti della zecca - dello sbalzo.Lo sbalzo prevede infatti che lafigurazione venga realizzata me-diante una serie di colpi dati sullaparte posteriore di una lamina. Perle nostre monete magno grecheinvece furono usati normalmentei due conii, quello di rovescio (o“di martello”) e quello di diritto(o “di incudine”). Uno dei due (ingenere quello di rovescio) pre-sentava le raffigurazioni in rilievo,mentre il conio di diritto era innegativo (vedi figura a lato).

Ancora oggi non si è capito bene il perché della riproposizionesu entrambi i lati della moneta dello stesso soggetto ora in incusoora in rilievo. Non si ha un parere unanime neppure riguardo almotivo della scelta di una tecnica di coniazione così complessa.In passato si è ipotizzato che si trattasse di una tecnica anti-contraffazione; attualmente (cfr. Barello 2006) si è portati a credereche l’adozione di questa tecnica sia legata da un lato alla volontàda parte delle pòleis di differenziare il proprio circolante da quellodi altre zecche, dall’altro che fosse un espediente per renderepraticamente impossibile la riconiazione da parte di altre autorità.I tipi incusi e i tondelli, inizialmente molto larghi e sottili, nonpermettevano infatti facilmente questa operazione. Inoltre, comesembrano testimoniare i ritrovamenti, queste monete erano destinatead un mercato locale: l’area di circolazione era quindi circoscritta,e corrispondeva a quella controllata dalle città protagoniste dellatecnica incusa, il che spiegherebbe anche l’uniformità tecnica(cfr. Barello 2006).

Per quanto riguarda la cronologia di queste emissioni, pochisono gli elementi sicuri; molto probabilmente la prima città aconiare fu Sibari, intorno al 530 a.C.: di sicuro le sue monetesono anteriori al 510 a.C., anno in cui la città fu distrutta dallarivale Crotone. Nei 20-30 anni successivi sarebbe poi stata seguitadalle altre città achee.

Sibari (fig. 3) scelse come proprio simbolo un toro con la testarivolta all’indietro, e riporta in esergo le iniziali del nome dellapòlis: SU (Sùbaris, in greco). Metaponto (fig. 1) invece scelsecome proprio emblema la spiga d’orzo, a sottolineare la fertilitàe la produttività del suo territorio. A lato, troviamo ancora leiniziali META (Metapontum). Crotone (fig. 2) invece, per metterein risalto il suo stretto legame con l’oracolo di Delfi, scelse comesimbolo il tripode delfico, che nella mitologia Apollo aveva sottrattoad Eracle, divenendo così signore della città. Quello di Delfi erain realtà il santuario più importante per tutti i coloni insediatisi

in Italia, in quanto era proprio questo centro religioso a regolarei flussi migratori. Lungo il contorno troviamo le iniziali KPO,a volte con la K arcaica. Sulle monete di Caulonia (fig. 4) ritroviamoinvece una divinità maschile, forse Apollo, che regge un ramoe un dàimon, ed ha al suo fianco una cerva. Le iniziali in questocaso sono KAU o KAUL.

Tutte queste città coniarono, oltre agli stateri, anche tutta unaserie di frazioni (dramma, triobolo, obolo). Con il passare deltempo, i tondelli, prima larghi e sottili, vengono rimpiccioliti edispessiti (si passa dai circa 30 mm delle prime emissioni ai 21mm del 480 a.C.); ma si assiste anche cambiamenti a livelloiconografico: la tecnica incusa continuò ad essere usata, però lenuove emissioni presentano al dritto e al rovescio tipi diversi(fig. 6). Interessanti da questo punto di vista sono le famosemonete “d’alleanza”, che raffigurano su uno stesso tondello isimboli di due diverse città. A dispetto del loro nobile nome,venivano realizzate in genere in seguito alla distruzione (e alsuccessivo trattato di pace) di una delle due pòleis da parte dell’altra.La figura 5 raffigura ad esempio un’emissione realizzata in seguitoalla distruzione di Sibari (il toro) da parte di Crotone (il tripode).

La tecnica incusa venne usata fino alla metà circa del V secolo,quando venne definitivamente sostituita dalla tecnica di coniazionetradizionale (fig. 7).

Jacopo Corsi

BIBLIOGRAFIA MINIMA

F. Barello, Archeologia della moneta, Carocci, 2006

K. Rutter, Historia Nummorum, Italy, London 2001

N. Parise, Aspetti delle monetazioni di Magna Greciafra VI e V secolo a.C.

F. Panvini Rosati (a cura di), La moneta greca eromana, L'Erma di Bretschneider, 2000

1- Statere di Metaponto(Diametro = 30 mm)

2- Statere di Crotone(Diametro = 30 mm)

3- Statere di Sibari(Diametro = 30 mm)

4- Statere di Caulonia(Diametro = 30 mm)

5- Statere.Moneta d’alleanza

(Diametro = 25 mm)

6- Statere di Crotone(Diametro = 24 mm)

7- Triobolo di Crotone(Diametro = 11 mm)

Principali zecchemagno-greche

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Negli ultimi decenni l’affinarsi delle tecniche di indaginearcheologica e l’ausilio delle discipline scientifiche hannoconsentito di ampliare notevolmente la documentazionedesumibile da uno scavo, permettendo di ottenere un quadrodi conoscenze molto più approfondito rispetto al contestostorico, geografico, ambientale e culturale di un sito. Questoè proprio quello che si scopre tra le pagine del volumeNavigando lungo l’Eridano. La necropoli protogolasecchianadi Morano sul Po (a cura di Marica Venturino Gambari,2006, Casale Monferrato) che presenta i risultati aggiornatidegli studi interdisciplinari eseguiti sui reperti provenientidal sito protostorico di Morano sul Po (AL), comparsi inuna pubblicazione preliminare del 1999 e qui accuratamenteapprofonditi alla luce della fine degli scavi e dei restauri.Contestualmente alla pubblicazione del volume è stata ancheaperta un’esposizione temporanea nei locali del MuseoCivico di Casale Monferrato, con parte dei numerosi repertiemersi dagli scavi condotti dalla Soprintendenza, tra il 1994e il 2000, in località Pobietto, presso Morano sul Po.

Il sito, la cui presenza fu svelata da ritrovamenti occasionali,in parte compromesso dall’intensa attività agricola svoltain questi territori sin dall’età romana, è costituito da partedi una necropoli del Bronzo finale, con sepolture a cremazionecollocate al centro di recinti in ciottoli, di forma circolareo rettangolare. Più precisamente è stato possibile stabiliretre fasi cronologiche che si identificano con altrettanti periodidel protogolasecca, tra la metà dell’XI sec. e gli inizi delIX sec. a.C. I materiali recuperati hanno rivelato infattiimportanti confronti con necropoli protogolasecchiane eprotovillanoviane, oltre ad interessanti legami con l’areatransalpina nord occidentale, che hanno permesso di iden-tificare in Pobietto un aspetto locale dell’ambito culturaleprotogolasecchiano.

Le 55 sepolture ritrovate sono costituite da un pozzettoche contiene un’urna biconica chiusa da una scodella-coperchio e ciottoli e lastre di arenaria posizionati attornoall’urna per racchiuderla e proteggerla. Al di sopra si impostaun piccolo tumulo il cui perimetro è segnato da ciottoli difiume, probabilmente raccolti sul greto del vicino Po. Neltempo alcuni recinti sono stati smantellati e sono state ritrovatenelle vicinanze fosse di spietramento dei campi risalentigià all’epoca romana.

Nelle urne sono conservati i resti ossei cremati e il corredobruciato insieme al defunto, oltre a rari resti di pasti e/oofferte funebri, più generalmente raccolti a parte e depostinelle fosse rituali.

Il corredo, la cui consistenza aumenta nel tempo, com-prendeva recipienti fittili (scodelle e bicchieri), oggettid’abbigliamento (fibule per le donne e spilloni per gli uomini),oggetti d’ornamento (armille, anelli, orecchini, vaghi dicollana, bottoni), oggetti personali (fusaiole, aghi, ami,coltelli) e, in una tomba maschile tra le più recenti, armi.Erano inoltre presenti frammenti di scodelle o vasi ad impasto,forse di uso domestico, rotti intenzionalmente e solo inparte deposti nel pozzetto, fuori o dentro l’urna, frutto dellacelebrazione di riti in onore dei defunti che prevedevano

anche la frammentazione intenzionale di oggetti, forse alui appartenuti.

L’analisi tecnologica sui corredi ceramici ha rivelato chele urne e le rispettive scodelle-coperchio furono realizzateseparatamente. In particolare le urne appaiono qualitativamentemediocri rispetto al resto dei manufatti. Ciò è stato spiegatoconsiderando che la loro realizzazione, data la destinazione,doveva essere saltuaria, e non permetteva quindi l’acquisizionedi un alto livello professionale da parte degli artigiani, nonspecializzati in questa produzione, oltre al fatto che questatipologia comportava comunque maggiori difficoltà tecniche.La scodella-coperchio invece appare una tipologia più consuetaper i ceramisti, forse perché faceva parte degli oggetti ap-partenuti al defunto già durante la vita.

I cinerari contengono resti ossei di individui singoli maanche sepolture bisome o multiple, pertinenti dunque agruppi familiari o parentali, i cui componenti venivanobruciati insieme. Interessante il fatto che queste sepoltureaumentano nella II e III fase della necropoli (corrispondential X e IX secolo), probabilmente a testimoniare un raffor-zamento sociale dei gruppi parentali e dei vincoli familiari.Nel tempo si assiste anche a una crescita del sepolcreto,corrispondente all’ampliamento demografico della comunità.

Poche rimangono per tutta la fase di frequentazione dellanecropoli le tombe di bambini e ragazzi: probabilmentealle loro sepolture era dedicata un’altra zona che per oranon è stata ritrovata. Allo stesso modo rimane sconosciutala posizione dell’area dei roghi funebri, mentre sono staterinvenute le fosse rituali contenenti i resti dei pasti e delleofferte funebri insieme alle cosiddette “terre di rogo”: sitratta dei residui del rogo crematorio, e contengono gene-ralmente carboni in legno, altri resti vegetali, scorie bolloseda pani e focacce e frammenti di tessuti, ossa, ceramicadi piccolissime dimensioni sfuggiti alla raccolta. Le analisipaleobotaniche e paleozoologiche del contenuto delle fosserituali hanno rivelato che a Pobietto i pasti e/o le offertefunebri comprendevano farinate a base di cereali, legumi,nocciole, uva, carne di agnello e di anatra.

Le stesse analisi hanno anche permesso di effettuare unaricostruzione del paleoambiente, permettendo di scoprire

La necropoli di Morano sul PoUna finestra sull’Età del Bronzo Finale in Piemonte

Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007Gruppo Archeologico Torinese

Sezione delle tombe a pozzetto della necropoli (disegno V.F.).

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che dove ora ci sono campi e risaie, alla fine del secondomillennio a.C. era presente la foresta planiziale di latifoglie,in una situazione di ambiente umido che riflette la presenzadi corsi d’acqua. In particolare la vegetazione era costituitada querce, carpini, olmi, farnie, faggi, cornioli, meli selvatici,aceri e cerri. La presenza di alcuni tipi di cereali e frammentidi legumi rivelano la messa a cultura di una parte del territorio,anche se non troppo estesa, e si può supporre che già l’uomoesercitasse una certa pressione sul manto forestale per ilprelievo di legname per i roghi crematori. Da questi datie dalle analisi sui resti scheletrici umani si evince un’economiabasata essenzialmente sull’agricoltura, affiancata da un’intensaattività di pesca e raccolta di molluschi d’acqua dolce.

Aperta rimane la questione dell’insediamento relativo aquesta necropoli: non è detto neppure che possa essereancora rintracciabile, perché l’intensa attività agricola, daglianni ’50 svolta con aratri che raggiungono notevoli profondità,potrebbe averne per sempre cancellato le tracce.

L’analisi dei materiali ceramici e dei corredi ha permessodi identificare le differenti influenze culturali che caratte-rizzarono la vita di questo sito: se le urne biconiche e lescodelle-coperchio appaiono di tradizione locale, le decorazionia fila di piccole impressioni circolari e una perlina in pastavitrea si classificano come protovillanoviane, mentre leceramiche con decorazione a larghe solcature e il caratteristicospillone a capocchia céfalaire sono da considerarsi se nonaddirittura di importazione, almeno di imitazione delle pro-duzioni dell’area rodano-renana. Quest’ultima influenzasembra pervenire nel Piemonte orientale attraverso la me-diazione dell’area valdostana e canavesana, in cui sembraagire quella che si manifesta come una nuova facies, ancorain via di definizione e temporaneamente denominata Pont-Valperga, che da subito appare caratterizzata dagli strettirapporti con i Campi d’Urne del Gruppo Reno SvizzeraFrancia Orientale.

L’insediamento di una comunità presso Morano sul Poè legato all’occupazione della bassa pianura realizzatasi a

partire dalla seconda metà dell’XI secolo a.C. anche inCisalpina, finalizzata al controllo delle vie commercialifluviali che in questo periodo acquisiscono nuova importanza,grazie al miglioramento climatico che regola la portata deifiumi e rende percorribili i passi alpini. Contemporaneamentesi assiste anche allo sviluppo delle stazioni litorali svizzeread ovest, alla valorizzazione del Po per i contatti est-oveste soprattutto all’espansione dei centri protovillanoviani asud che fornirono l’impulso culturale decisivo.

Le fibule ad arco serpeggiante in due pezzi, di tradizioneormai villanoviana, compaiono nell’ultima fase della necropoli,quando le influenze italiche sembrano superare quelle tran-salpine. Con la prima metà del IX secolo si assiste a unanuova crisi climatica con corrispondente crisi delle viefluviali, che porta all’abbandono degli insediamenti e allaprevalenza temporanea degli itinerari terrestri: da qui partiràlo sviluppo della fase di Golasecca e si entrerà così nell’Etàdel Ferro.

Valentina Faudino

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GAT - CONVENZIONI e ACCORDI di collaborazione in essereSOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI del PIEMONTEAccordo di collaborazione pluriennale per il monitoraggio e l’indaginedel patrimonio archeologico della Collina Torinese. Tale accordoè la base su cui si sviluppa il Progetto di Ricognizione sulla CollinaTorinese, che vede impegnati i Soci del Settore Ricerca due domenicheal mese.

SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI della TOSCANAConvenzione a rinnovo annuale sottoscritta nel 2004/2006 con laSoprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana per larealizzazione del progetto di ricognizione pluriennale di una grandearea compresa tra i comuni di Sorano, Pitigliano e Manciano (GR).Tale progetto ha condotto alla creazione del Campo Archeologicoestivo “Monti del Fiora”, la cui direzione è nelle mani dellaSoprintendenza stessa (dott.ssa Barbieri e dott. Camilli) mentreorganizzazione e gestione sono totalmente a carico dei volontaridel GAT.

CITTÀ DI TORINO - ASSESSORATO ALLA CULTURAAccordo di collaborazione per itinerari guidati tra arte e storia in

Torino, illustrati da volontari e da guide turistiche (Progetto “Torinoe Oltre” - Responsabile: Enrico Di Nola). Per informazioni, rivolgersialla nostra Segreteria.

PARCO REGIONALE “LA MANDRIA“La convenzione, stipulata nel 2005, nasce da una collaborazionespecifica sul progetto proposto dal GAT dal nome “BOSCHI &CASTELLI”. Tale progetto prevede, su scala pluriennale, di studiaree promuovere (con iniziative culturali varie che hanno già prodottouna mostra) il patrimonio storico archeologico del Parco de LaMandria e della zona limitrofa, con attenzione al periodo medievale.

MEDIARES scrl • www.archeomedia.netÈ stata stipulata una collaborazione per cui tutti i soci del Gruppoche possiedono una e-mail possono abbonarsi gratuitamente allarivista archeologica on-line Archeomedia e riceverne gli avvisi diaggiornamento. Per attivare il servizio è sufficiente spedire la richiestaa: [email protected]

Testa di spillone del tipo céfalaire da abitato palafitticolo,Svizzera sud-occidentale, XII-VIII sec. a.C.(Roma, Museo Preistorico ed Etnografico Luigi Pigorini).

La stessa tipologia di spillone proviene da una tombadella necropoli di Morano sul Po.

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La Legio III GallicaLa legione dei Celti

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Un aspetto interessante per la storia militare del Piemonteromano è dato dalla Legio III Gallica, la legione formata dapopolazioni celtiche.

Cesare stesso, fondatore del corpo, ne parla nel De BelloGallico (VI, 1), affermando che prima dell’anno 53 a.C. aveva“già fatto giurare e arruolare [uomini del posto] quando eraconsole nella Gallia Cisalpina”.

I centri di reclutamento erano dislocati nelle colonie emunicipi, quali Dertona (Tortona), sorta tra 130 e 120 a.C.,Eporedia (Ivrea, 100 a.C.), Alba Pompeia (Alba, 89 a.C.) e AugustaTaurinorum (Torino, forse esistente già in età sillana).

Probabilmente la gran parte delle reclute era formata daicelto-liguri che abitavano le campagne, già utili combattenticome auxilia (truppe aggregate senza cittadinanza romana),come era consuetudine per i Liguri. Anche questo dato èindice della lungimiranza politica di Giulio Cesare: organizzarequeste popolazioni nelle legioni significava legarle alla roma-nitas, poiché i suoi membri venivano col tempo inquadraticome cittadini romani, e inoltre si otteneva il risultato diannullare residue sacche di resistenza.

Anche la Gallia Narbonense (l’odierna Provenza) avevafornito uomini per la formazione di questa legione, cheall’epoca di Cesare poteva arrivare a contare seimila combat-tenti; questo dato rappresenta un indizio del popolamento diqueste aree geografiche che, pur decimate dalle guerre, eranoancora in grado di fornire un alto numero di guerrieri.

Tornando al De Bello Gallico, nel 53 a.C. Cesare chiese alproconsole Pompeo l’invio della legione per le campagne diGallia, e la utilizzò per alcuni anni, fin quando, con un’abilemossa politica, il rivale chiese al senato due legioni per lecampagne contro i Parti. Il senato sancì che Pompeo e Cesarecontribuissero ognuno con una legione a testa dei proprieffettivi. Pompeo richiese indietro la III Gallica, sua di nominasebbene in possesso di Cesare, cosicché in un solo colpo riuscìa privare il condottiero di due legioni (cfr. DBG, VIII, 57).

Alla morte di Cesare la legione divenne parte dell’armatadi Marco Antonio, sotto il quale prestò servizio in Palestinae in Siria, per poi combattere durante la Guerra Civile a Filippi.In seguito i primi veterani verranno stanziati a Perugia.

Sotto Ottaviano Augusto la legione trovò nuovamente im-piego in Siria, contro i Parti, e successivamente in Armenia,per poi essere impiegata al fine di sedare la rivolta in Giudeadel 66–70 d.C.. Poco tempo dopo sostituì la V Macedonia nellaMesia Inferiore, sul Danubio, distinguendosi per la vittoriasui Roxolani (una popolazione sarmata), nell’inverno del68–69 d.C.

Alla morte di Nerone, come accadde per altre legioni dellimes danubiano, la Legio III Gallica appoggiò Otone e, allamorte di questi, si schierò con Vespasiano, il comandante dellacampagna di Giudea. Curioso l’episodio che vede protagonistala III Gallica impegnata nella seconda delle due battaglie diBedriacum (69 d.C.) presso Cremona: avendo nel frattempoadottato le usanze della Siria (era consuetudine per i legionari

venerare le divinità locali del posto in cui prestavano servizio),la III Gallica salutò infatti il Sole, la divinità El Gabal. Le forzedi Vitellio interpretarono il gesto come l’acclamazione deirinforzi, così ingaggiarono il combattimento e vennero sconfittedagli uomini di Vespasiano.

Successivamente le tracce del contingente diventano piùlabili. La III Gallica fu rimandata in Siria, e si presume cheabbia partecipato alla campagna in Dacia, mentre pare certoche essa si distinse nella soppressione della rivolta giudaicadel 132 d.C.

La legione viene ricordata dagli storici romani per un altroepisodio particolare. Come avvenne per Vespasiano, il contin-gente fu fondamentale per l’ascesa di un altro imperatore.Infatti, dopo la morte di Caracalla, un giovanissimo sacerdotedel dio-sole El Gabal, chiamato Bassianus, probabile figliodell’imperatore, trovò rifugio e protezione nel castrum deisoldati; essi appoggiarono la sua ascesa, tant’è che, mutuandoil nome dalla divinità che aveva servito, divenne imperatorecon il nome di Eliogabalo. L’effimero governante tuttaviaperse presto le simpatie dei soldati, sicché la legione si rivoltòe venne sciolta, per poi essere ripristinata da AlessandroSevero, che la destinò alla zona fra Damasco e Palmira.

La Legio III Gallica si distinse ancora nelle guerre contro iSassanidi, ma in seguito le tracce del contingente si perdonodel tutto.

Diversi sono gli ufficiali di notevole caratura che comanda-rono la III Gallica: Plinio il Giovane, l’imperatore Valerianoe il centurione Lucius Artorius Cactus, considerato da alcunistorici come il fondamento storico dal quale trasse origine laleggenda di Re Artù.

Gianfranco Bongioanni

Recto e verso di una moneta della Legio III Gallica,con il simbolo della Legione, il toro, e testa di Eliogabalo.Sopra la coppia di tori, nel riquadro, si legge: LEG/III/GAL.

RIFLETTORE

Masserano è un paese sulle colline delBiellese orientale, interessante per i suoimonumenti medioevali e rinascimentali,ma anche per la presenza di ricchi giacimentifossiliferi.

Masserano dal 1547 è Marchesato, nel1598 diventa Principato, mantenendosi in-dipendente fino al 1741 e battendo anchemoneta propria.

Il più rilevante monumento medioevaleè la chiesa di San Teonesto, dedicata aduno dei primi martiri vercellesi, che subìil martirio intorno al 304-306.

La prima chiesa di S.Teonesto fu edificatatra il 998 ed il 1026; nel XII fu eretto ilcampanile romanico che ancora oggi svettatra la mole degli edifici e rimane l’unicatestimonianza dell’edificio più remoto.L’originaria chiesa di S. Teonesto fu rico-struita nel XIII sec. con una semplice facciataa capanna (che mantiene tuttora).

Nel 1597 venne edificato il Palazzo deiPrincipi, dimora della famiglia Ferrero-Fieschi. Si tratta di un edificio lungo circa140 metri, costituito da due corpi di fabbricaconvergenti ad angolo ottuso. All’internocostituisce elemento di raccordo dei duerami lo scalone monumentale, che all’esternodà vita a una massiccia torre sulla qualeè stato affrescato lo stemma di FrancescoLudovico Ferrero-Fieschi.

Il primo piano del palazzo ospita le “saledi rappresentanza”, tutte affrescate e decorateda fregi dipinti a motivi paesaggistici egeometrici, con soffitti a cassettoni dipintianch’essi a motivi geometrici o mitici conparti di legno in rilievo (fiori d’acanto,pigne). Anche le finestre sono incorniciateda fregi e quasi tutte le sale sono fornitedi camini in marmo.

Pochi sanno però che a Masserano si

trovano due ricchi giacimenti fossiliferiche risalgono al Pliocene. Infatti in questoperiodo il mare Adriatico si estendeva finoad occupare l’attuale pianura padana.

Il primo sito si trova nel letto del torrenteOstola. La sponda destra ha una pareteverticale alta e franosa. Tutta la parte in-feriore di questo lungo affioramento, com-presa quella attualmente sott’acqua, è riccadi fossili; si tratta di una roccia compattae durissima, stipata di fossili di bivalvi.Più avanti, scendendo lungo il torrente percirca 600 metri s’incontrano delle roccegrigie. Qui la fossilizzazione è stata indiretta(vedi immagine) poiché vi si trovano so-lamente calchi interni o esterni, senza tracciadelle conchiglie originarie: calchi precisifin nei minimi particolari.

Un secondo sito si trova nel lettodell’Osterla, affluente di destra dell’Ostola.

Questi giacimenti, come altri importantisiti biellesi (Arva-Borgosesia, Crevacuore,Croso di Valpiana, Quargnasca, Strona) ciparlano di fiordi ramificati che si adden-travano profondamente fra montagne piut-tosto alte.

La fauna di Masserano è menzionata indiverse pubblicazioni a partire dal 1839(Su le conchiglie ed i terreni di Lessona,Cossato, ecc., G. Floris, 1839, in Il Subal-pino, Torino). È molto varia; sono stateelencate 243 specie di molluschi. Si trovanomolti bivalvi di una certa dimensione; ilpiù grande è la Pinna pectinata che è co-mune in frammenti, ma di cui sono statiestratti esemplari intatti sul mezzo metro.Il fossile più comune è un gasteropode chia-mato Turritella vermicularis. Presenta unaconchiglia a spire molto allungata. Se netrovano molte anche intatte, anche sui 10cm di lunghezza.

Si trovano anche crostacei (anche se nonsono mai stati trovati granchi integri) edenti di pesci.

Sono stati trovati denti di squali di varitipi, tra cui lo squalo-tigre (Galeocerdocuvieri), a dimostrazione di quanto sarebbestato poco invitante nuotare nell’Adriaticoa Masserano in quei tempi.

Per quanto riguarda la flora spiccano lepigne, la cui fossilizzazione è molto rara.Si trovano piuttosto comunemente ramettie blocchi lignitici.

Infine, nei pressi di questi giacimentisono stati trovati utensili litici risalenti alPaleolitico.

Fabio Botto

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Itinerari storici e paleontologicia Masserano (BI)

Il borgo storico di Masserano.

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La città romana di IndustriaRapida panoramica dell’eccezionale sito archeologico ancora tutto da scoprire

L’area archeologica di Industria, ubicata nel Comune di Monteuda Po a circa 30 Km da Torino, rappresenta un caso unico nelpanorama dei siti di epoca romana in Piemonte. La sua peculiaritàè data dall’importanza che rivestì, fin dalle prime fasi di occupazionedell’area, il santuario dedicato alle divinità egittizzanti Iside eSerapide, la cui centralità nella vita della cittadina assunse aspettitali da non trovare riscontri in altre città romane della GalliaCisalpina.

La porzione attualmente visitabile comprende gran parte dell’areasacra, delimitata da strade acciottolate e porticate, ed alcunisettori di botteghe e di case di abitazione; la maggior parte dellestrutture è conservata a livello di fondazioni, con un alzato di30-40 cm, fatte oggetto perlopiù di pesanti interventi di restauronegli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Le strutture maggiormenteconservate in elevato (circa 2 m), visibili nella zona nord delsito, appartengono a ciò che resta del tempio di Iside; nellaparte centrale del santuario un vasto spazio aperto era delimitato,verso sud, da un lungo corridoio semicircolare, a sua volta sor-montato da una cella poligonale, le cui fondazioni sono ancoraben visibili: questa parte del santuario venne dedicata a Serapide.

Della città antica solo una minima parte è stata indagata, tantoche la zona visitabile corrisponde a circa un decimo dell’interaestensione.

Le prime notizie riguardanti Industria risalgono alla metà delXVIII secolo: in un periodo di particolare fervore culturale aTorino, non pochi erano gli eruditi che andavano interessandosidi antichità; fra questi Giovanni Paolo Ricolvi e Antonio Rivautella,che avuta notizia del ritrovamento di alcuni oggetti in bronzonella zona di Monteu, vi si recarono individuando il sito dell’anticacittà romana di Industria, citata dalle fonti classiche ma di cuisi era perso il ricordo.

L’identificazione avvenne grazie al ritrovamento di una tavolabronzea inscritta recante il toponimo della città, oggi conservataal Museo di Antichità di Torino; i due studiosi pubblicarono irisultati delle loro ricerche ne “Il sito dell’antica città di Industriascoperto e illustrato” edito a Torino nel 1745. L’interesse suscitatodalla scoperta scatenò una sorta di “caccia al tesoro” nella zona:gli scavi improvvisati di molti “ricercatori” causarono danniirreparabili dal punto di vista della ricerca archeologica; non fuquesto il caso del conte Morra di Lauriano, che all’inizio delXIX secolo compì indagini in estensione lasciando dettagliatidisegni recanti i rilievi delle strutture riportate alla luce e quelli

dei reperti più interessanti.Gli scavi eseguiti dal 1960 in poi sotto l’egida della Soprin-

tendenza Archeologica del Piemonte vennero effettuati al finedi chiarire alcune delle questioni che gli studiosi si andavanoponendo; non si comprendevano infatti i motivi per cui proprioa Industria si fossero reperite tracce così cospicue di fiorentiattività connesse alla lavorazione del bronzo, e destavano perplessitàle attribuzioni relative ad alcune delle strutture presenti nel sito:il Morra aveva ritenuto che la grande struttura a emiciclo fosseciò che rimaneva di un teatro “conforme alle regole dettate daVitruvio”, mentre le murature affioranti sul piano di campagna,che in seguito vennero interpretate come le sostruzioni del tempiodi Iside, erano sempre state definite “la torre”.

Soltanto in anni recenti le campagne di scavo hanno permessodi chiarire le fasi di vita del santuario e di studiare i documentiepigrafici, nonché di impostare l’analisi e la schedatura dei repertiin bronzo.

È opinione largamente diffusa fra gli storici che la città romanadi Industria, posta sulla riva destra del Po presso il villaggiocelto-ligure di Bodincomagus, venne fondata in seguito ad unaserie di campagne militari che portarono alla romanizzazionedell’intero Monferrato; esse vennero condotte dal console M.Fulvio Flacco nell’ultimo quarto del II sec. a.C. In seguito atali campagne, vennero fondate colonie ubicate presso antichiinsediamenti indigeni, cui venne attribuita una denominazioneaugurale (Carreum-Potentia [Chieri], Bodincomagus-Industria).

A

B

nord

ferrovia

Immagine da satellite del sito di Industria. Si stima che l’area riportata alla lucesia circa la decima parte dell’intera città. A = Iseion. B = Serapeion.

T E RRITOR I O

Il tempio di Iside visto da sud-est.

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La posizione dell’antica città, situata presso la confluenza dellaDora Baltea con il Po e costruita secondo un piano regolare diisolati che misuravano m 40 x 70, fu pianificata allo scopo dilavorare e smerciare i minerali di ferro e di rame che venivanoestratti dalle miniere della Val d’Aosta. Solo la completa“pacificazione” di questa parte della Cisalpina (Eporedia [Ivrea]venne fondata nel 100 a.C. con finalità di controllo del bassocorso della Dora e della turbolenta etnia salassa, che venne de-finitivamente sconfitta solo alla fine del secolo; Augusta Praetoria[Aosta] venne infatti fondata solo in età augustea) permise disviluppare appieno quelle attività cui si accennava.

Solo chi possedeva ingenti capitali da investire poteva peròpensare di sobbarcarsi l’impegno che avrebbe richiesto tale attività;fu questo il caso di membri di ricche famiglie mercantili provenientidalla zona di Padova e Aquileia, in particolare i Lollii e gliAvillii, che compaiono nelle fonti epigrafiche fra i mercatoresitalici già in precedenza operanti a Delo nel campo del trafficodi schiavi. La loro presenza nella località monferrina e nei pressidelle zone estrattive valdostane, anch’essa provata dalle fonti,è probabilmente da ricondurre alla schiavizzazione in massa deiSalassi, venduti in numero di 36.000 da Terenzio Varrone sullapiazza di Eporedia, e alla possibilità di partecipare agli appaltiper l’aggiudicazione delle ricche miniere valdostane.

Industria si caratterizzò quindi per le sue attività artigianalie commerciali, promosse da queste influenti famiglie che giàavevano avuto rapporti commerciali con la Grecia e che si av-valevano di esperti artigiani di origine greca e orientale; le molteiscrizioni ritrovate comprovano che tra i servi e i liberti chelavoravano a Industria era molto diffuso il culto di Iside, cuivenne dedicato il più antico tempio civico: l’importanza delculto a Industria si riflette nell’ampiezza della zona sacra in cuiforse si concentravano tutte le attività della cittadina. Questazona venne fatta oggetto di una monumentale ristrutturazionenel corso del II sec. d.C., allorché venne costruito, sul modellodel Serapeo Campense di Roma, il grande santuario dedicatoa Serapide. Nel complesso si alternavano spazi aperti, comel’ampio cortile centrale, con altari per le offerte, in cui avvenivanoprobabilmente danze e rappresentazioni sacre, e una serie diambienti funzionali al culto: locali dotati di vasche per abluzioni,sale per le riunioni dei sacerdoti, stanze di servizio.

L’ingente quantità di manufatti in bronzo provenienti da Industriae reperiti in oltre due secoli di scavi, ora in gran parte conservatial Museo di Antichità di Torino, testimonia la ricchezza e lafama che raggiunse la cittadina; a ulteriore conferma, basti pensareche nel corso del IV secolo la località fu prescelta da Eusebio,protovescovo di Vercelli, quale faro di irradiazione del messaggioevangelico, in contrapposizione ai riti e alle celebrazioni paganedell’Iseo e al mito della dea egizia, che probabilmente facevano

ancora sentire la propria forza nonostante editti e divieti delleautorità. Non si sa con precisione in che periodo il sito vennedefinitivamente abbandonato: il santuario non era più in uso giàalla fine del IV secolo, forse a causa di una distruzione violenta;tracce di continuità di vita sono però riscontrabili fino a tuttoil VI secolo.

Al fine di meglio chiarire le dinamiche di crescita e sviluppodella cittadina, molte sarebbero ancora le conoscenze da acquisiresu Industria. Appurato che l’importanza della cittadina fossedovuta in buona parte allo sviluppo delle attività connesse allaproduzione e allo smercio di oggetti in bronzo, sarebbe opportunoindividuare il sito del porto fluviale, la cui esistenza è stataipotizzata dagli studiosi, ma mai comprovata. Tale ricerca è resacomplessa dal fatto che il corso del Po in periodo romano sipresentava diverso da quello attuale, ma non si è certi riguardoall’esatta ubicazione dell’alveo antico: è stato anche ipotizzatoscorresse molto più a nord rispetto a oggi.

Fra gli ulteriori problemi ancora insoluti restano da chiarirel’ubicazione e la consistenza dell’antica Bodincomagus el’accertamento della zona forense; allo stato attuale delle ricerche,si ritiene che il foro sia da ricercare nell’area ad est del tempiodi Iside, in un terreno attualmente di proprietà privata.

Anche il solo proseguimento delle indagini, come quelle chein tempi recenti hanno interessato l’insula II posta a sud-est delsantuario, permette di mantenere desta l’attenzione su di un sitola cui salvaguardia è già stata in passato compromessa da moltifattori, non ultimo la costruzione della ferrovia che, all’iniziodel novecento, andò a tagliare in due l’area archeologica nelsenso della latitudine.

Dal punto di vista dell’utente-visitatore però, così come inmolti altri siti archeologici italiani, la situazione è sconsolante:l’area è priva di punti di sosta, servizi igienici, locali di ristoro;non esistono pannelli esplicativi che permettano ai “non addettiai lavori” di farsi un’idea di ciò che fu il santuario isiaco diIndustria romana. La tutela del sito è possibile solo con il concorsoe l’interazione di tutte quelle figure per diversi motivi interessateall’area: enti territoriali, aziende a partecipazione pubblica, privati;la Soprintendenza, da sola, non può certo fare più di quel cheha fatto in passato, specie in un momento di così grave crisi.

Al volontariato culturale, a un’associazione come il G.A.T.,resta il ruolo che gli compete e che viene sancito per statuto:un’opera continua di monitoraggio finalizzata alla tutela e allaconservazione del patrimonio culturale e storico-territoriale, daeffettuarsi al fianco e a sostegno delle istituzioni a tal fine preposte;questo nella speranza che in futuro venga maggiormente riconosciutol’impegno da noi profuso.

Emilio Di Cianni

Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007Gruppo Archeologico Torinese

L’insula II,L’insula II, r rececenenttemenementte oe oggettggetto di indagini.o di indagini.L’insula II, recentemente oggetto di indagini.

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La “cavalcata dei vizi”nella pittura medievale piemontese

Nel corso della stesura di alcune schede per Archeocarta[www.archeocarta.it], ho incontrato un argomento che mi haincuriosito e interessato: ecco alcune riflessioni semiserie.

La “Cavalcata dei Vizi” è uno schema pittorico che raffigurai sette Vizi capitali come persone a cavallo di un animalesimbolico, spesso accompagnati dal corteo delle Virtù; è diorigine transalpina (Provenza) ed è presente nel Piemonteoccidentale con alcuni esempi significativi e, più raro, nellaLiguria di Ponente (Magliolo SV, Rezzo IM, Ranzo IM).

Il sistema dei sette Vizi o peccati capitali, che dominò lapastorale e la riflessione medievale sul tema del Male, delpeccato e della salvezza dell’uomo, fu messo a punto da papaGregorio Magno (morto nel 604), successivamente rielaboratoanche da Tommaso d’Aquino (1274). Esso si fondava su un“septenario” (il sette è un numero sacro sin dalla più remotaantichità) ed era una perfetta costruzione teologica per individuare,classificare e stabilire una gerarchia dei peccati a partire dallasuperbia, la colpa primaria di Lucifero.

Nelle pitture e sculture medievali prevalse l’aspetto didatticoed ideologico su quello estetico: colori, forme, allegorie rea-lizzarono un metodo di insegnamento visivo assai efficaceper una popolazione analfabeta: una vera e propria “Bibbiadei poveri”. La rappresentazione dei Vizi si rivelò utile soprattuttodopo il IV Concilio Laterano del 1215, quando si rese obbligatoriaper tutti i fedeli la confessione dei peccati una volta all'anno:la “Cavalcata dei Vizi” mostrava ai confessori come interrogarei penitenti e ai fedeli come rendere conto delle loro colpe.

Si sono conservati vari cicli di figure allegoriche dei Vizidel XIII-XIV secolo, in cui quest’ultime vengono raffiguratedi volta in volta in piedi o sedute, con o senza oggetti simbolici.Alcuni esempi si possono trovare nel castello di Masnago(VA) e – anche se non eseguiti nel modo canonico – negliaffreschi di Giotto della Cappella degli Scrovegni a Padovae in quelli dell’allegoria del “Cattivo Governo” di Lorenzetti

del Palazzo Pubblico a Siena. Tipica del Medioevo ful’associazione dei peccati ad animali, probabilmente per attuareun insegnamento più incisivo: in particolare la rappresentazionedei Vizi come figure che cavalcano animali è una modalitàiconica rara, localizzata in Provenza e Piemonte e ancora inuso nel tardo Medioevo.

Gli affreschi piemontesi che raffigurano la “Cavalcata deiVizi” di Grosso Canavese, Villafranca Piemonte, Bastia Mondovì,San Michele Mondovì, Elva e quelli della Valle di Susa sonoinfatti del XV secolo; quelli di Mombarcaro addirittura dellametà del XVI.

Questa iconografia era anche utilizzata come monito ai vian-danti; infatti spesso orna la facciata delle chiese, come a Bar-donecchia (fraz. Horres), Salbertrand e Giaglione di Susa(fraz. Santo Stefano), ove l’affresco è posto proprio sullaparete che costeggia uno dei percorsi della Via Francigena.

Per tutti le ragioni che ho prima accennato, la “Cavalcatadei Vizi” fu rappresentata in modo molto efficace ed incisivo;le immagini dei peccati colpiscono – ieri come oggi – l’occhioe la mente dello spettatore (sicuramente molto più di quelledelle Virtù, figure talora eteree e scialbe). Le figure dei Vizifurono sempre dipinte con molta cura e abilità, i colori vivaci,i particolari precisi e “alla moda” i vestiti e le acconciature.Se si aggiunge il fatto che la “Cavalcata” era collocata nelregistro inferiore della parete o comunque nella parte inferioredel dipinto, è facile pensare che queste scene fossero quelleguardate più agevolmente e più a lungo e, oserei dire, godesserodel maggior “indice di gradimento”.

Una caratteristica mi ha incuriosito: i Vizi, nella maggiorparte dei casi, sono rappresentati da donne; i Vizi più in bassonella scala gerarchica e – sempre – la Lussuria sono fanciulle.Però, poiché anche le Virtù sono sempre raffigurate comefigure femminili, non posso lamentarmi troppo di questa di-scriminazione!

La rappresentazione più frequente della “Cavalcata dei Vizi”è la seguente, benché talora siano presenti varianti nell’iconografiae nella sequenza dei peccati:

• Superbia: uomo o donna con corona e scettro oppure conspada e giogo, in abiti porpora, che cavalca un leone;

• Avarizia: uomo anziano seduto su cassone pieno d’oroo donna con borsa piena d’oro che cavalca una scimmia;

Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007Gruppo Archeologico Torinese

T E RRITOR I O

Porzione della “Cavalcata dei Vizi”, 1472. Chiesa di S. Fiorenzo. Bastia Mondovì (Cn).

Fianco della cappella di Santo Stefano a Giaglione (presso Susa - Torino).

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Vuoi diventare una “guida GAT”?PARTECIPA AGLI ITINERARI DI “TORINO… E OLTRE” ORGANIZZATI DALLA NOSTRA ASSOCIAZIONE E IL PROSSIMOANNO POTRAI CONDURRE I CITTADINI ALLA SCOPERTA DELLE MERAVIGLIE ARCHEOLOGICHE DI TORINO E PROVINCIA!

Anche quest’anno il GAT partecipa a“Torino… e Oltre”, la manifestazioneche porta in giro i torinesi alla scopertadelle bellezze nascoste, insolite, menovisibili del Patrimonio cittadino e dellaprovincia.

Organizzata dal Comune di Torino incollaborazione con le principali Associa-zioni di volontariato che operano sottola mole, “Torino… e Oltre” è giunta allatredicesima edizione, e il GAT, sia dettocon la consueta modestia, è stato tra leAssociazioni che l’hanno promossa e ab-bracciata sin dalla nascita!

Perché? Perché il Gruppo ha visto inquesta iniziativa uno dei più importantistrumenti per avvicinare la cittadinanzaalle realtà archeologico-storiche del nostroterritorio; la sensibilizzazione sulla tutelae salvaguardia del nostro Patrimonio èinfatti tra i nostri princìpi statutari e lapartecipazione a “Torino... e Oltre” è senzadubbio una felice applicazione di tali con-vinzioni.

Visto il notevole successo nella passataedizione, il GAT propone i suoi itinerari“classici” anche quest’anno:

• La città quadrata - Torino romana• La città quadrata - Torino medioevale• Archeologia, arte e storia sulla strada di Francia - Un itinerario in Val Susa• Passeggiata tra natura e storia

in collina: il Bric San Vito

Se diventare una guida volontaria GATti alletta, potrai partecipare gratuitamenteagli itinerari di quest’anno imparando il“mestiere”dalle nostre rodatissime guide“storiche” (massimo 2-3 persone per ogniitinerario e a patto di avvisare preventi-vamente la segreteria che dovrà allertarei responsabili dell’uscita)!

Chiedi in Segreteria o al sottoscritto ledate in cui si terranno gli itinerari.

Che aspetti?Diventa una guida volontaria GAT!

Enrico Di NolaResponsabile GAT Progetto “Torino… e Oltre”

Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007Gruppo Archeologico Torinese

• Lussuria: donna in groppa ad un caprone o ad un maiale,vestita elegantemente, con una mano tiene uno specchio, conl’altra solleva la gonna lasciando vedere la gamba con unostivaletto rosso (non sono sicura che i pensieri dei fedeli fosseromolto pii…);

• Invidia: donna o uomo col volto triste che cavalca uncane o uno sciacallo;

• Pigrizia (Accìdia): uomo o donna con l’abbigliamentotrasandato, che dorme a cavalcioni di un asino o di una giovenca;

• Ira: donna che si strappa capelli o abiti di colore rosso,oppure che si trafigge con una spada o un pugnale, mentrecavalca un orso o un leopardo; è un’immagine piuttosto cruentae realistica;

• Gola (Intemperanza): donna o uomo intento a divorareun cosciotto, con un’oca in braccio, che cavalca un lupo (sospettoche, nei periodi di carestie e pestilenze dei secoli passati,questa immagine provocasse in molta parte della popolazione

invidia per il copiosopasto, nonostante iltormento del diavo-letto sulla spalla dellagolosa peccatrice!).

Caro Lettore, seami la pittura me-dievale (questo nonè un peccato, ma unanuova Virtù!), poichél e f o t o g r a f i e i nbianco e nero nonrendono l’intensità ela bel lezza del leopere, vai a vederledi persona.

Sul sito www.archeocarta.it vi sono le indicazioni per rag-giungere la varie località e ulteriori informazioni. Ti segnaloin particolare San Ferreolo a Grosso Canavese (TO) e i 326mq di affreschi di San Fiorenzo a Bastia Mondovì (CN).

Angela Crosta

La Lussuria. Bastia Mondovì (Cuneo) L’Ira. Grosso Canavese (Torino) La Gola. Grosso Canavese (Torino)

Che ne pensate di una riflessione sui Vizi, anche nel XXIsecolo? Come si sono evoluti? Quanto sono presenti nellasocietà di oggi? Credo che l’analisi di questo tema possaportare a sorprendenti scoperte.

Volete giocare? Se volessimo raffigurarli oggi, invece diun animale, quale tipo di veicolo userebbero? (carroarmato,ristotram, treno, bicicletta, Ferrari, camper, fuoristrada, ecc.).

Quali personaggi famosi di oggi potrebbero essere indicatiad emblema dei vari Vizi?

A.C.

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Per saperne di più...Un libro, una mostra, un sito

UN LIBROIl Museo di Antichità di Torino - Guida Breve,a cura di Luisa Brecciaroli Taborelli, 2006.Ed. Umberto Allemandi, 64 pp., prezzo 12 euro.

Dalla primavera del 2006 è finalmente disponibile la nuova guidaper i fruitori del Museo di Antichità di Torino: un volume agile ebreve che permette una visita appena più approfondita del nostromuseo archeologico.

Non si tratta di un catalogo completo di tutti i reperti, ma di unsupporto che può accompagnare, passo dopo passo, il visitatorepiù curioso nel suo percorso museale. È strutturata infatti con brevisezioni introduttive di inquadramento generale sui vari periodistorici e culturali rappresentati in museo, e altrettanto sintetichedescrizioni dei reperti più significativi, riprodotti in fotografia eidentificati con un numero riportato anche sull’oggetto stessoall’interno delle vetrine.

Il sommario: Le origini, per capire come si formano e come sonoorganizzate le varie collezioni del museo; La Sezione Territorio,per seguire l’archeologia piemontese dalla ceramica tardo medievalefino alle asce in pietra verde neolitiche; La Sezione Collezioni, allascoperta del Mediterraneo cipriota, etrusco, romano e della proto-storia italiana ed europea; La Sezione Torino, con un’anticipazionesu quella che dovrà essere la nuova ala del museo, dedicata speci-ficatamente ai reperti provenienti dall’area metropolitana, per lamaggior parte ancora sconosciuti al pubblico. Infine una Bibliografia

essenziale con l’indicazione di alcune monografie relative a parti-colari complessi di materiali che sono stati oggetto di studi piùapprofonditi nel corso del tempo.

Un utile e buono strumento di conoscenza dunque, che speriamopossa incrementare l’interesse e la consapevolezza generale versoil nostro patrimonio culturale.

UNA MOSTRAAtlantikà, Sardegna, Isola Mito – Immagini e testimonianzedi una grande Storia nascosta dalla Geografia.Fino al 25 febbraio 2007,presso il Museo Regionale di Scienze Naturali, Via Giolitti 36,Torino. Ingresso gratuito. Orario: 10.00-19.00 (chiuso il martedì).

Mostra-convegno, già presentata all’Unesco (Parigi) eall’Accademia dei Lincei (Roma), che ruota attorno alla suggestivama davvero troppo poco argomentata, almeno in mostra, ipotesi diSergio Frau, già esposta nel suo libro “Le Colonne d’Ercole,un’inchiesta”: le famose frontiere dell’antichità non andrebberoidentificate con lo stretto di Gibilterra ma con il tratto di mare chesepara Sicilia e Tunisia. Di conseguenza la mitica “isola di Atlante”,collocata da Platone al di là delle Colonne d’Ercole, non andrebbecercata nelle profondità dell’Oceano Atlantico, ma nel familiareMare Nostrum, e più precisamente nella terra di Sardegna.

Fotografie sapientemente scattate di scogliere e baie tranquille,di vecchi abitanti dell’isola, di costumi e feste tradizionali, diantiche sculture e dei complessi nuragici più affascinanti, corredateda carte geografiche nuove e antiche, mappe climatiche e geologiche,misteriose frasi di storici, geografi e tragediografi greci, raccontimitici, riproduzioni a grandezza naturale di bronzetti nuragici: tuttielementi che incuriosiscono e stimolano l’interesse del visitatorema non gli danno modo di acquisire le conoscenze per formarsiun’opinione sul problema, né purtroppo di comprenderlo al di làdelle suggestioni visive evocate dal materiale esposto.

Ancora più grave il fatto che non si diano nemmeno strumentiper capire bene il materiale, visto che le didascalie sono alquantoavare di spiegazioni e la funzione esplicativa è limitata a riproduzionidi articoli di quotidiani che si sono occupati dell’argomento, inmodo invero un po’ confusionario.

Anche i tre video, che ripropongono spezzoni di trasmissionitelevisive e una registrazione del convegno all’Accademia dei

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R E CE N SI O N I

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PIETRE D’EGITTOSperimentazione diun’ipotesi di sollevamentodi grandi pesinell’Antico Egitto

Reperibile pressola segreteria del G.A.T.:Via BAZZI, 2 - 10152 TORINOTel. 011.43.66.333il venerdì h. 18-21

offerta minima: Euro 5,00

Formato 15x21 cm78 pagine + 24 tavole a colori

Fare archeologia non significa soltantoscavare alla ricerca di nuovi reperti mavuol dire anche trovare una spiegazionea reperti insoliti o ricostruire modalitàdi comportamento di popoli antichi;quest’ultima è, in particolare, un’attivitàtipica dell’archeologia sperimentale.

Da queste considerazioni ebbe origine,nel 1996, la sperimentazione chiamata“Cheope ‘96” avente il preciso scopodi verificare un’ipotesi di sollevamentodi grandi pesi nell’Antico Egitto.

“Pietre d’Egitto” è una descrizionedelle fasi del progetto, dei risultatiraggiunti e soprattutto un rimando adalcuni reperti, spunti di partenza dellasperimentazione. Il progetto nacque infattidallo studio di alcuni oggetti rinvenutinelle tombe (che potremmo chiamare“dondoli”), piccoli dispositivi descrittida Erodoto di Alicarnasso nelle sue“Storie” come “macchine a travi corti”che sollevavano di gradino in gradinoi blocchi per la costruzione delle piramidi.

La sinergia attuata tra due diverse as-sociazioni di volontariato, accomunatedal medesimo interesse archeologico, euno studioso indipendente, ha permessola realizzazione di un valido progettodi archeologia sperimentale; infatti, senzala disponibilità di tanti volontari che hannoprestato gratuitamente e con entusiasmola propria opera, il progetto avrebbe dif-ficilmente trovato compiutezza.

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Lincei, non aggiungono molti dati per la comprensione, sebbeneservano comunque a riassumere e fare il punto della questione peril visitatore un po’ disorientato. Interessanti, anche se anch’essetroppo poco motivate nel contesto, le due nuove sezioni aggiunteall’evento torinese, che propongono un’esposizione dei cosiddetti“pani rituali” e dei costumi tipici sardi, e le collezioni sarde delMuseo Regionale di Scienze Naturali, con minerali, animali evegetali provenienti dall’isola.

Insomma, vale la pena visitare questa mostra? Direi di sì, se nonaltro perchè l’ipotesi che c’è alla base è sicuramente interessantee complessa, stimola la curiosità, e propone nuovi spunti di ricercae studio, ma proprio per questo meriterebbe senz’altro una maggiorechiarezza espositiva e una documentazione più adeguata, soprattuttoper non incorrere nel rischio di sminuirla dal punto di vista scientifico.Molto apprezzabile inoltre la ricca libreria del Museo, con leinteressanti pubblicazioni naturalistiche e una sezione appositadedicata alla Sardegna, alla sua storia e alle sue tradizioni.

UN SITOMénestrel:Médiévistes sur l’Internet Sources Travaux Références en lignewww.ext.upmc.fr/urfist/mediev.htm

Più facilmente accessibile digitando “menestrel” su un qualsiasimotore di ricerca e poi cliccando sul primo risultato, piuttosto checercando di ricordarsi il complicato indirizzo, questo sito diventapoi davvero facile e piacevole da consultare per chi se la cava unpo’ con il francese.

Nato da un’idea del 1997 dell’Unité régionale de Formation àl’Information Scientifique et Tecnique pour les Académies e poiconcretizzato nel 2000, Ménestrel ha addirittura una “carta” in cuisi definiscono il funzionamento, i firmatari e gli obiettivi di questoprogetto: sviluppare una rete documentaria per gli studi medievalisu Internet, facilitare lo sviluppo di risorse europee e francofonein rete, facilitare la visibilità dei lavori medievisti a livello interna-zionale e contribuire al dinamismo di scambi culturali. Supportatodal lavoro di biblioteche, centri di studio e ricerca storico-archeologica, università e dal team italiano di Reti Medievali(www.retimedievali.it), sembra proprio che questo strumento abbiaraggiunto i suoi scopi: il portail pour les médiévistes, un repertoriocritico dei link e delle risorse accessibili in rete, è infatti unostrumento davvero utile e interessante.

Ben organizzato per sezioni (lieux et acteurs de la récherche,instruments de travail, thèmes de la récherche), permette infatti diaccedere agevolmente a siti francesi e non, facilmente rintracciabiliin base alle categorie: si può navigare tra le bibliografie, o tra ilavori universitari, oppure per paesi o ancora per temi (ad esempioarcheologia, alimentazione, epigrafia, musica, ecc.), secondo leproprie esigenze di ricerca.

A questo si aggiungono una serie di pubblicazioni in lineaelaborate dai vari componenti del gruppo di lavoro e le aggiornatesezioni con le ultime novità in fatto di corsi, appuntamenti, mostree convegni, per chi non si vuole perdere quanto si dice di Medioevoin giro per l’Europa.

Valentina Faudino

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Qualche notizia dal 2006

• Dal Piemonte

CHIOMONTE – Gennaio 2006 – La Stampa“Chiesa di Santa Caterina, chiuso il primo restauro”

[…] “La prima fase del recupero conservativo è conclusa –annuncia oggi il sindaco, Renzo Pinard. Sono stati riportati in lucei vecchi intonaci, gli affreschi e il tetto originale, finora coperto dauna volta barocca. Solo la sistemazione del pavimento è rimandataad un secondo tempo”.

Ancora per un po’ il portone della chiesa, originale e risalenteal XIII secolo, resterà sbarrato. Ma la speranza è che presto turistie abitanti del paese possano tornare ad ammirare la chiesa edificatadai gerosolimitani intorno al 1200. […]

ASTI – Marzo 2006 – La Stampa“Sorprese romane in pinacoteca. Resti del I e II sec. d.C. emonete antiche ma anche murature di epoca medioevale”

[…] Per poter nuovamente ospitare la Pinacoteca Civica, chiusadal 1984 […] si è scavato per eliminare vecchie tubazioni e perrifare le pavimentazioni. Intervento alquanto delicato, consideratala posizione in pieno centro storico di palazzo Mazzetti, che siaffaccia sulla Contrada Maestra medioevale, corrispondente al“decumano” che duemila anni fa attraversava la città romana. […]

È bastato abbassare il piano di calpestio di soli 30 centimetri pervedere riaffiorare resti delle strutture murarie precedenti quellesettecentesche del palazzo: murature medioevali inframmezzate damuri ben più antichi, di epoca romana, “tagliati” nel medioevo perfare posto a costruzioni successive. I resti del I-II sec. d.C. sonoimportanti tracce di quell'isolato di Asti romana, mentre le strutturemedioevali sembrano disegnare una torre ed una cellula abitativadelle dimore della famiglia Turco. Tra i reperti bimillenari piùinteressanti, un lacerto di pavimento in “coccio pesto”, diversomateriale ceramico di oggetti di uso domestico, diverse monete delIV secolo ed un utilissimo frammento di lapide marmorea, conun'iscrizione di età imperiale, una dedica pubblica di tipo religioso.[…]

IVREA – Aprile 2006 – La Stampa“Riapre la chiesa di San Bernardino”

Conclusi i lavori di riparazione del tetto, la chiesa di San Bernar-dino al Convento di Ivrea riapre al pubblico, che potrà ammiraregli affreschi di Giovanni Martino Spanzotti, dedicati alla vita e allapassione di Cristo, realizzato tra il 1480 e il 1490. Inoltre, i volontari

delle Spille d’Oro Olivetti riprendono l’attività di accoglienza. […]

CHIERI – primavera-estate 2006 – Testate varie(Ritrovamento di un pavimento romano in legno)

1- Un brandello della Carreum Potentia romana sta tornandoalla luce all’estremità di piazza Dante, al posto di ciò che rimanevadella “fabbrica del ghiaccio”, nelle adiacenze della tettoia delmercato. Il cantiere […] si è imbattuto in muri e soprattutto inmanufatti in legno (pali e tavolati) che […] sembrerebbero risalirea quasi duemila anni fa. Alla Chieri romana, appunto. […] Dunquedovrà essere ridefinito il perimetro della Chieri romana, che sicredeva fosse nella zona fra le piazze Duomo, Pellice e Cavour?[…]

2- “È probabile che in tutta Italia non si sia mai verificato unritrovamento archeologico di questo tipo!”: l’archeologo Federico

B a r e l l o n o n c e l al ’ en tus i a smo […] .“ L ’ e c c e z i o n a l i t àdell’evento sta nel fattoche stiano tornando allaluce reperti in legno diduemila anni fa: è unmateriale che, nella no-stra fascia climatica, nonsi conserva mai”. Dalloscavo […] è emerso untavolato (inchiodato sulistelli sottostanti) di 6per 4 metri, percorso insenso longitudinale dauna passerella compostada una asse ricavato daun unico pezzo di legno,lungo circa 5 m e ap-poggiato su travetti. […]

3- […] A salvarlo daldeterioramento è stato lostrato di limo in cui eraimmerso: […] probabil-

Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007Gruppo Archeologico Torinese

Una breve e, per forza di cose, parziale e incompleta carrellata di notizie inerenti il mondo dell’archeologiadel nostro territorio regionale... ed extraregionale!

R A SS EG N A

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Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007Gruppo Archeologico Torinese

mente fu teatro di una disastrosa alluvione nel I secolo d.C. […]“Non è un edificio residenziale – spiega Federico Barello […] –ma un ambiente destinato alle attività produttive. Le tracce di unacanalizzazione possono indicare che era necessaria l’acqua peril tipo di lavorazione, una falegnameria o un macello”. […] Datal’importanza del ritrovamento è intervenuta la SoprintendenteMarina Sapelli Ragni che ha ottenuto dal Ministero 33.000 Europer il recupero.

4- […] “Ora la tavola verrà trasferita al laboratorio di Pisa,specializzato nel trattamento di legni antichi per essere studiatae conservata – spiega Marina Sapelli Ragni […]. Poi potrà tornarea Chieri per essere inserita nel contesto di un futuro Museo civicodell’Area Tabasso”.

5- […] Sarà l’euforia dello straordinario ritrovamento del pavi-mento d’epoca romana, ma l’Amministrazione ha deciso di toglieredalla polvere dei magazzini la sua collezione archeologica eriproporla al pubblico. Il Museo civico chiuse i battenti 20 anni fa[…]. “Vogliamo dare vita a un’esposizione in attesa del nuovoMuseo civico per cui esiste già il progetto dell’Area Tabasso”,spiega l’assessore alla cultura Patrizia Picchi […]. Come sede sonostati scelti i suggestivi sotterranei del Palazzo civico. […]

VERCELLI - Agosto 2006 – La Stampa“Anfiteatro romano riemerge tra gli orti dopo secoli di oblio”

Di scoprirlo, recuperarlo, portarlo alla luce e, soprattutto, valo-rizzarlo, si parlava da decenni. Adesso l’operazione è partita:l’anfiteatro di Vercelli sarà una delle attrattive della città nei prossimianni e secoli. […]

Da poco meno di due anni la Soprintendenza stava monitorandouna vasta area tra viale Rimembranza, via Massaua, corso De Regee corso Salamano per riportare in luce l’anfiteatro, e nell’ultimomese si è partiti con gli scavi. […]

L’architetto Spagnolo, che ha aperto e sta dirigendo il cantiere:“Si tratta di uno dei più grandi e importanti anfiteatri romani. Haun’ellisse di circa 130 metri, 50 in più rispetto a quello di Verona.Per restare in Piemonte, è grande come quello di Pollenzo, ma èassai più monumentale. Penso che appartenga alla classica etàFlavia e che quindi sia catalogabile fra la fine del I secolo e lametà del II. L’imponenza di questo anfiteatro, i materiali con cuiè stato realizzato, riaffermano l’opulenza di Vercelli nell’eraromana”. […]

Selezione articoli a cura diEnrico Di Nola

Si ringraziano per la preziosa collaborazioneUgo Dal Toè e il sito www.archeomedia.net

Notizia EXTRA dai Monti del Fiora…

SOVANA – Novembre 2006 – Testate Varie

Ritrovamento di una pentolacon 500 monete d’oro romane

Trovata un’antica pentola colma di monete romane inoro zecchino. Sembra una fiaba, ma è quanto è avvenutorealmente durante uno scavo a Sovana, frazione delcomune di Sorano in provincia di Grosseto, dove è statarinvenuta una pignatta in terracotta con dentro 498 moneted’oro, in perfetto stato di conservazione, risalenti alperiodo a cavallo tra il 420 e il 550 d.C. circa. […]

Le monete sono tutte di conio bizantino e provengonodalle zecche di Salonicco, Ravenna, Milano, Roma eArles (Francia). Sulle facciate sono raffigurati i variimperatori che si sono alternati nel passaggio tra l’imperoromano d’occidente e quello d’oriente, nel periodo segnatodalle invasioni barbariche e dalla dissoluzione dellaCapitale. […]

La scoperta, del tutto casuale, è avvenuta durante ilavori di restauro dell’antica chiesa di San Mamiliano,nel cuore del piccolo borgo di Sovana. […] Sono cosìaffiorate tracce di sepolture rinascimentali e, più inprofondità, resti di un complesso termale d’epoca romana.

L’eccezionale ritrovamento ha spinto il Comune diSorano e la Soprintendenza a raggiungere un accordo percambiare destinazione al nascente museo e dedicarloproprio al tesoro di Sovana e alla civiltà romana, anzichéa quella etrusca.

“È un ritrovamento eccezionale – ha detto il sindacodi Sorano Pierandrea Vanni […] – Per questo motivo horaggiunto un accordo di massima con la soprintendentearcheologica della Toscana Fulvia Lo Schiavo per ripor-tare la collezione a Sovana nell’ambito del costruendomuseo che sarà ora dedicato all’epoca romana”. […]

Che il Gruppo Archeologico sia sempre stato affezionato al Bric San Vito nonè un mistero: da quando abbiamo individuato il sito archeologico, nel 1991, nonabbiamo mai smesso di occuparcene, realizzando mostre, conferenze, escursioni,ricognizioni, manutenzioni, iniziative pratiche di varia natura, sempre coadiuvatidagli enti preposti alla sua conservazione.

Nel 2006 la collaborazione con l’associazione Terra Taurina, nell’evento pecettese“Taurinobrigas”, ha condotto alla realizzazione di una mostra inerente il Bric SanVito attraverso i secoli: “Bric San Vito dal passato al presente”; per la primavolta è stata proposta una visione d’insieme dei 2500 anni di storia del sito, apartire dall’insediamento celto-ligure, attraverso l’arrivo dei Romani e poi dellepopolazioni barbariche, sino a giungere alla fase medievale del X-XIII secolodurante la quale sulla collina sorge una fortezza; ma il viaggio nel tempo prosegueanche verso tempi più recenti, attraversando i secoli barocchi, giungendo al XIXsecolo sino a sfiorare le ultime vicende belliche. Si tratta di un omaggio al sitoarcheologico più importante della collina, che permette di comprenderne lacomplessa cronologia attraverso descrizioni agevoli e un nutrito corredo iconografico.

La mostra, attualmente in prestito al Comune di Pecetto, verrà esposta a Torino,presso la biblioteca civica Geisser, nel mese di Giugno (vedi p. 33). (F.D.)

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Una nuova mostra GAT a Pecetto, presto a Torino

È possibile ripercorrere la storia delBric San Vito anche tramite unsemplice ma completo softwareillustrativo [non in distribuzione]realizzato a cura dei soci GAT .A sinistra, la schermata di apertura.

Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007Gruppo Archeologico Torinese

Qui sotto, una panoramica deipannelli della mostra. Collocati unoa fianco all’altro, compongono lavisione completa del sito a 360°.

Grazie al fondamentale contributo di F.M. Gambari (dellaSoprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte) ea Stefania Padovan, in occasione della Mostra è statofinalmente edito un primo stampato inerente gli scaviarcheologici preistorici realizzati sul Bric San Vito. Per chifosse interessato, il libretto è disponibile presso la ns. sede.

Bric San Vitodal passato al presenteBric San Vitodal passato al presente

AttivitàGAT

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Anteprima Programmi 2007

Iniziative - info su: www.archeogat.it

Dopo il confortante successoottenuto nel 2005 e nel 2006,

l’iniziativa Boschi&Castellicontinua nel 2007

con una grande MOSTRAnel Parco Regionale

de La Mandria.

(vedi articolo a pag. 14)Info su www.archeogat.it

Boschi

Castelli

tredicesima edizione

ATTESTATOdi FREQUENZA(con almeno4 presenze)

&ArcheologiaVolontariato

Mercoledì, alle ore 21.00, presso la Sala Conferenzedel Centro Servizi VSSP - Via Toselli, 1 - TorinoConferenze con diapositive, organizzate dal G.A.T.

21 marzo 200728 marzo04 aprile11 aprile18 aprile

Relatori e temi delle conferenze sono reperibili consultandoil sito www.archeogat.it

Ingresso

gratuito

GRU

PP

OARCHEOLOGICO

TO RINESEVOLONTARIATO SVILUPPO

E SOLIDARIETÀ IN PIEMONTE

CENTRO SERVIZI PER IL

GIUGNO 2007Biblioteca civica Borgo PoAlberto GeisserCorso Casale, 5(Parco Michelotti) - TORINO

(vedi articolo a pag. 32)

A corollario, ciclo di 4 Conferenze condiapositive, organizzate dal G.A.T.,inerenti l’archeologia del territorio.

Info su www.archeogat.it

Si ringraziano:la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte,il Comune di Pecetto Torinese, l’associazione Terra Taurina.

In collaborazionecon

PARCO REGIONALE

LA MANDRIA

La mostra, aggiornata, verrànuovamente esposta a

RIVOLI

Info su www.archeogat.it

Caccia al tesoro!Recentemente, nel corso dilavori di ristrutturazione di unedificio del centro storicodi Torino, sono emersi un lacertodi muratura medievale e unafinestra con arco a tutto sesto,dotata di una mensola in pietra:

SAI DOVE SI TROVA?(Se leggi bene Taurasia, lo saprai!)

Anno XXII - N. 1 - Gennaio 2007Gruppo Archeologico Torinese

Campi Archeologici Estivi

Entro il mese di marzo sul nostro sito vengono pubblicatii programmi per i CAMPI ARCHEOLOGICI ESTIVI, chepuoi trovare all’indirizzo internet:

http://www.archeogat.it/zindex/file/campi.htmSe ti interessano le civiltà antiche della nostra penisola(i Romani, gli Etruschi, i Greci, le popolazioni preistoriche),contattaci per ulteriori informazioni.

In primavera riprendono,come ogni anno, la

ricognizione delterritorio (concordata

con la Soprintendenza) ele attività di laboratorio

in sede.I programmi dettagliati

si trovano sul ns. sitoInternet.

ItINERARIOStorICO Archeologicofra Torino e Rivoli

PUBLICASTRATA

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