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P R E M I O M A T U R I T À 2 0 1 0 · dare una definizione diversa e comunque sempre corretta. A...

Date post: 16-Oct-2020
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P R E M I O M A T U R I T À 2 0 1 0 Ufficio Scolastico per la Lombardia
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P R E M I O M A T U R I T À

2 0 1 0

Ufficio Scolastico per la Lombardia

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Il concorso “Premio Maturità” è organizzato da: Distretto Rotaract 2040 Distretto Rotaract 2050

www.rotaract2040.org www.rtc2050.it

 

Con il patrocinio di:

 

  

 

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  PROVINCIA DI SONDRIO              

 

ROTARY INTERNATIONAL DISTRETTO 2040 GRUPPO MILANO 5 PROGRAMMA NUOVE GENERAZIONI

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PRESENTAZIONE DEL PROGETTO 

“PREMIO MATURITÀ” 

     

  

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COMMISSIONE PREMIO MATURITÀ 2010    DISTRETTO ROTARACT

2040  

Elisa Castelletti (Presidente)

Alessandra Campanella

Carlo Galli

Andrea Grassi

DISTRETTO ROTARACT 2050

Ilaria Lanzani (Presidente)

Luca Bianchini

Giorgia Giavenni

Fausto Musicco

Emanuele Poli

www.premiomaturita.it

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PREFAZIONE Cari ragazzi, il Premio Maturità è diventato per noi rotaractiani ormai una tradizione, un momento unico dove poter premiare voi, che con impegno, determinazione e caparbietà avete dimostrato di essere i migliori di tutta la Lombardia. Nelle prossime pagine troverete informazioni sul Rotaract, sui nostri progetti, sulla storia di questa iniziativa oltre naturalmente ai temi di chi fra di voi ha vinto le nostre borse di studio. Spero sappiate trovare qualche spunto per dare al Rotaract il beneficio del dubbio. Vicino a voi ci sono molti ragazzi, vostri coetanei, che decidono di dedicare del tempo libero ad aiutare chi ha bisogno, mettendosi in gioco in prima persona e rimboccandosi le maniche, sostenendo la raccolta fondi per la comunità, oppure organizzando attività divertenti rivolte ad altri giovani e non solo. Vi invito a contattarci per conoscerci e capire che oltre ad aiutare gli altri creiamo dei momenti di crescita anche per noi stessi, dal punto di vista professionale, culturale ma anche umano. Vi invito a dedicare 5 minuti del vostro tempo per capire chi siamo leggendo questa pubblicazione e visitando il nostro sito ufficiale (www.rotaract2040.org). Vi invito a continuare ad essere persone che si impegnano per fare la differenza e a lasciare il segno nelle vostre vite e in quelle delle persone che vi circondano. Vi invito a provare a trascorrere del tempo con noi prima di dire “grazie ma non sono interessato”. Vi invito a fare ciò che molto tempo fa ho fatto io al vostro posto, con immenso scetticismo ma con la voglia di non negarmi nulla di ciò che questa associazione ci può offrire.

Con affetto e con la speranza di conoscervi,

Francesca Zottola

Rappresentante Distrettuale Distretto Rotaract 2040, a.s. 2010/2011

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Il Rotaract Club è un’associazione composta da ragazzi dell’età compresa tra i 18 e i 30 anni, creata al fine di elevare le conoscenze e capacità che contribuiranno al loro sviluppo personale: se ne deduce facilmente quanto, questa organizzazione di livello mondiale, abbia, nei confronti della realtà giovanile, uno speciale occhio di riguardo. E’ naturale che il primo sguardo sia rivolto verso quei giovani che, approcciando al mondo universitario, si specializzano nel diventare futuri protagonisti nel mondo del lavoro. Questi temi sono l’espressione eccelsa del pensiero che anela nella mente giovanile moderna. Ogni ragazzo è infatti l’occhio, il pertugio, la breccia verso la conoscenza di una nuova concezione di presente, realtà in continuo divenire. Il modo di pensare e di agire va, infatti, di pari passo, al giorno d’oggi, con lo sviluppo delle tecnologie; l’espressione di questo concetto è, soprattutto, denotabile nei giovani, che assimilano con rapidità nuove scoperte, applicandole nella loro quotidianità. Basti pensare al modo di comunicare: dalle lettere si è giunti alle mail, dalle cartoline si è arrivati all’utilizzo degli sms, dalle chat ai social network. Tutto questo nel giro di pochissimi anni. Lo sviluppo sociale, tecnologico e scientifico è stato così breve nel recente passato ma, questi giovani, sono pronti a velocizzarlo ancor di più. Il potenziale che possiedono va valorizzato, al fine di portare, ognuno di loro, verso il cammino di compiersi come professionista adulto. Il talento è fondamentale per la costruzione di un cammino lavorativo: non bisogna, tuttavia, soffermarsi nell’averlo, ma bisogna sapere come poterlo accrescere al meglio. Il Rotaract Club è composto da una miriade di ragazzi promettenti, che espandono il loro bagaglio di conoscenze attraverso un percorso di formazione personale e professionale; questo Premio Maturità è una delle tante attività che il Rotaract Club organizza allo scopo di aiutare lo sviluppo delle nuove generazioni. E’ doveroso ricordare come tutti questi lavori presentati siano di pregevole fattura e meritevoli di attenzione, considerazione che il Rotaract Club ha e sempre avrà nei confronti del talento.

Anthony George Monticolombi Rappresentante Distrettuale

Rotaract Club Distretto 2050°

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IL CONCORSO PREMIO MATURITÀ Il “Premio Maturità” è un concorso volto a premiare gli elaborati migliori della prima prova scritta dell’esame di Stato. Le prove, preventivamente selezionate dalle scuole Lombarde tra quelle che hanno riportato il punteggio di 15/15, vengono ulteriormente visionate da una squadra di affezionati professori, che ogni anno confermano il loro appoggio e la loro collaborazione all’ iniziativa. I docenti valutano le prove sulla base di criteri comuni prestabiliti, quali la correttezza complessiva del testo e la proprietà di linguaggio; la conformità dell’elaborato alle caratteristiche della tipologia scelta e la capacità di sfruttare e rielaborare i documenti messi a disposizione. Ma anche l’originalità delle idee proposte e l’intensità con cui queste vengono comunicate. I professori scelgono poi all’unanimità, tre componimenti - uno per i licei, uno per gli istituti tecnici e uno per gli istituti professionali - che vengono premiati nel corso di una cerimonia e pubblicati, previa autorizzazione dell’ interessato, nel presente fascicolo. Eccezionalmente viene selezionato anche un quarto elaborato per una menzione speciale, in base a meriti che esulano dai criteri sopra indicati. Ai tre vincitori viene corrisposto un premio in denaro, grazie ai fondi stanziati a tale scopo dai Distretti Rotaract o a donazioni elargite dai nostri sostenitori rotariani. Il concorso, giunto ormai all’ottava edizione, affonda le proprie radici nella tradizione austro ungarica. Era infatti consuetudine dell’ imperatore attribuire ogni anno un riconoscimento allo studente che avesse conseguito il miglior risultato nelle prove che concludevano il percorso di studi. L’idea è piaciuta ad alcuni soci del Rotary Milano Sud Ovest, ideatori e pionieri del “Premio Maturità”. Oggi come allora lo scopo è quello di premiare l’eccellenza, incentivando l’impegno e la creatività dei giovani, in cui il Rotaract scorge i motori del domani. Dopo aver curato le prime due edizioni, il Rotary ha passato il testimone al Rotaract: interlocutore più adeguato perché più vicino alla realtà della scuola. La sfida è stata accolta con grande entusiasmo, tanto che attualmente alla gestione del progetto è preposta un apposita commissione interdistrettuale, che vede la collaborazione dei Distretti Rotaract 2040 e 2050

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Questa sinergia fa sì che oggi il P.M., come lo chiamano in gergo i membri della commissione, si rivolga a tutti gli istituti superiori della Lombardia. Il sogno di alcuni ambiziosi è di poter arrivare a ragionare su scala nazionale, e, nell’ultimo anno, già altre Regioni si sono attivate in tale senso. La chiave del successo del “Premio Maturità” è duplice: da un lato la partecipazione al concorso non richiede ne’ alle scuole ne’ agli studenti, alcuno sforzo aggiuntivo rispetto alla normale gestione dell’esame di Stato; dall’altro consente di portare lustro alle prime e di gratificare i secondi. Il “Premio Maturità non costituisce che una delle molteplici attività organizzate dal Rotaract International. Il panorama rotaractiano appare quanto mai variegato: a un impegno costante nel sociale, si accompagnano occasioni di divertimento, feste, conferenze e meeting internazionali, che favoriscono una crescita dell’individuo a tutto tondo. L’idea che si vuole trasmettere è che il Rotaract apre molte porte in ogni direzione, in modo che ciascun partecipante possa trarre il meglio dalla sua esperienza di socio, in base ai propri interessi, le proprie capacità e le proprie aspettative. Il Rotaract è un’associazione senza scopi di lucro, ma al di là di questa nozione è difficile dire cosa significhi fare Rotaract. Ogni socio potrebbe dare una definizione diversa e comunque sempre corretta. A noi del “Premio Maturità” piace pensarlo come una catena di giovani sparsi in tutto il mondo, geograficamente e culturalmente distanti, ma uniti dalla voglia di costruire un futuro migliore per tutti e che vivono il presente in un clima di amicizia e solidarietà.

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Il ROTARACT

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Rotaract come tanti!! E’ semplice dire “Non mi interessa” oppure “Tanto non fa per me”. La maturità che avete appena raggiunto vi dovrebbe portare a scoprire consapevolmente cosa questo mondo vi offre, quali sono le splendide occasioni che potete sfruttare per voi stessi, per arricchirvi. Il Rotaract è una di queste opportunità. Il Rotaract è formato da ragazzi che hanno la vostra stessa età, la vostra stessa voglia di divertirsi, di crescere, di migliorare la loro conoscenza e che hanno voglia di farlo cercando anche di aiutare chi è meno fortunato. Questo è l’unico segreto del Rotaract, l’ingrediente segreto che lo rende tanto speciale a chi ne fa già parte. Nel 1968 è stato creato il primo Rotaract Club, il nome stesso indica la natura che si voleva dare a questo programma rotariano: “Rotary in Action”. Gli obiettivi principali sono:

• Sviluppare un’attitudine alla leadership professionale e all’integrità personale, nel sostegno e nell’osservanza delle norme etiche, riconoscendo ad ogni occupazione il rispetto e la dignità che merita in quanto mezzo per servire la società,

• Incoraggiare e mettere in pratica il rispetto e l’attenzione verso gli altri, verso i problemi, le necessità e le possibilità presenti sia in ambito locale che internazionale,

• Sostenere e promuovere l’avvicinamento e la comprensione delle culture straniere e diffondere lo spirito di amicizia tra i popoli,

• Sviluppare, per i giovani, la conoscenza e la comprensione delle esigenze, dei problemi e delle opportunità nella comunità locale e nel mondo,

• Dare vita ad iniziative personali e di gruppo insieme ai Rotary club sponsor,

• Motivare i giovani per diventare soci del Rotary.

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Il motto stesso del Rotaract è un incitamento alla ricerca dello sviluppo personale attraverso l’amicizia che lega i suoi soci e il service che ne contraddistingue l’azione:

Self Development Through Fellowship and Service

Il Rotaract è un’associazione internazionale di giovani tra i 18 ed i 30 anni fondata e sviluppata dal Rotary International. Ad oggi si contano circa 200 mila soci in tutto il mondo. Il Rotaract è una rara miscela di azione sociale, di impegno e crescita professionale, di apertura verso altre culture, di desiderio di conoscenza, di voglia di stare insieme divertendosi in amicizia.

Rotariani e Rotaractiani lavorano fianco a fianco: i primi fanno da mentori ai giovani soci dei club Rotaract che, a loro volta, portano nei Rotary club una ventata di nuova energia, rafforzano il sostegno ai progetti e contribuiscono allo sviluppo dell'effettivo rotariano del futuro.

Se hai voglia di:

Incontrare nuove persone

Conoscere paesi stranieri

Servire la tua comunità con entusiasmo

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Entrare in contatto con il mondo Rotary

Arricchire il tuo bagaglio di esperienze

Amicizia e service

Acquisire doti di leadership indispensabili nel mondo del lavoro

Promuovere la pace

Continue opportunità di formazione

Essere parte di un’azione mondiale

….allora il Rotaract è ciò che fa per te!!!

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Cercaci nella tua università. Quest’anno il Distretto Rotaract 2040 ha deciso di raccogliere le principali informazioni che possono essere utili ad uno studente. Le collaborazioni in essere sono molteplici e il materiale raccolto è diversificato. In primis abbiamo contattato l’ATM di Milano per fornire ai ragazzi tutto il materiali informativo relativamente agli abbonamenti per studenti e alle cartine di Milano con relativa indicazione dei mezzi pubblici. Grazie a questo primo contatto abbiamo inoltre ottenuto le cartine di Milano relative al bike sharing “BikeMI” . Inoltre l’ATM ci ha informato di un nuovissimo servizio di Car Sharing che verrà lanciato a breve e che vorrebbe sponsorizzare soprattutto tra i giovani. La collaborazione con lo sportello Informagiovani del Comune di Milano ha portato alla predisposizione di circa 3.000 volantini informativi riguardanti i servizi offerti. Facendo parte di un’associazione di servizio non poteva mancare del materiale relativo ad una delle associazioni che seguiamo da diversi anni: l’AVIS Milano. Sono stati predisposti dei volantini informativi e di sensibilizzazione verso la donazione di sangue. Ad oggi tutto questo materiale è stato raccolto in una semplice cartellina distribuita all’interno dei pensionati studenteschi di Milano. Ma il Rotaract non si ferma. Da gennaio daremo il via ad una serie di giornate in università in cui aiuteremo i neolaureati o laureandi a prepararsi al primo colloquio di lavoro. Attraverso una sessione di aiuto nella compilazione del Curriculum Vitae e una sessione di preparazione al colloquio di lavoro. Ma non solo!! Organizzeremo una serie di incontri con dei professionisti per raccontarvi la loro esperienza nel mondo del lavoro. Potrete rivolgergli tutte le domande che vorrete e sbizzarrirvi con le piccole e

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grandi curiosità che assalgono tutti i ragazzi che stanno per affacciarsi sul mondo del lavoro. Se ancora avrete voglia cercateci per partecipare alle nostra iniziative sportive: dai tornei di calcio, alle partite di tennis, fino alle giornate “open day” nelle palestre. Tanto altro vi aspetta, non dovete fare altro che incuriosirvi e cercarci nelle vostre università!!

Senza l ’azione i progett i sono solo sogni

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Il Rotaract è.. Servizio!

Uno dei cardini dell’azione del Rotaract è l’impegno per gli altri. Siamo giovani, abbiamo tante energie e vogliamo metterle a disposizione di chi ha bisogno, sia nella nostra comunità, sia nel mondo.

Lottiamo contro il Cancro Dal 2004 ci occupiamo di questo tema così delicato e abbiamo deciso di adottare un taglio assolutamente personale e inedito. Raccogliamo fondi per finanziare terapie innovative in collaborazione con l’Istituto Europeo di Oncologia del Prof. Veronesi, ma non ci limitiamo a questo: abbiamo strutturato un servizio di assistenza ai malati e ai loro familiari. Abbiamo quindi creato la Fondazione Grazia Focacci, per mettere a disposizione degli altri l’esperienza che molti si sono trovati a vivere in prima persona accanto a una persona malata di tumore; ora, con il sostegno di tante persone in Italia e in Europa, raccoglie volontari sia dentro che fuori dal Rotaract, con l’obiettivo di essere vicino a chi si trova in difficoltà e per fare questo si è dotata di un numero verde, 800 43 83 11, grazie al quale chiunque abbia bisogno può ricevere assistenza ed essere seguito da un tutor che lo aiuterà a non perdere la bussola e avere un punto di riferimento in un momento così difficile, stando al suo fianco durante la terapia. Diciamo no alla droga Ci piace trovarci tra amici, amiamo le feste e divertirci insieme: per farlo, non abbiamo bisogno di drogarci! Questo è il messaggio che vogliamo trasmettere, tramite gadget e iniziative originali. Ogni

800 43 83 11

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volta che a una serata vedrai questo logo, vuol dire che tanti giovani come te si stanno godendo la festa e amano la loro vita. Potrai venire a trovarci e scoprire cosa abbiamo in serbo per te! Aiutiamo gli angeli Quest’anno tutti i Rotaract italiani sono impegnati al fianco di Ce.R.S. ONLUS, per fornire cure a domicilio a bambini affetti da gravi patologie. Grazie al progetto “Adotta un Angelo”, questi bambini hanno la possibilità di rimanere nel loro contesto familiare invece di essere costretti ad una vita in ospedale; in questo modo, si dà sollievo anche ai loro genitori, che possono così ritrovare un po’ della serenità cui hanno diritto. Per sostenere quest’iniziativa, ci impegniamo in attività di sensibilizzazione e organizzeremo degli eventi per raccogliere fondi, visto che le cure sono molto costose e bisogna garantirne la continuità. Ricostruiamo L’Aquila

In seguito al drammatico terremoto che ha colpito l’Abruzzo lo scorso anno, tutti i Rotaract e i Rotary italiani si sono mobilitati per dare un aiuto concreto e duraturo alle popolazioni colpite. Questo sforzo si traduce nella progettazione e ricostruzione dell’edificio A della Facoltà di Ingegneria dell’Università de L’Aquila, che sarà realizzato tramite i fondi e le competenze provenienti dai tanti soci rotaractiani e rotariani. E’ un obiettivo ambizioso e stimolante,

perché vogliamo che altri giovani come noi possano ricominciare a studiare nella città che avevano scelto e allo stesso tempo non possiamo lasciare che L’Aquila perda uno dei suoi motori più importanti.

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Curiamo il futuro dell’Africa In Guinea Bissau, piccolo stato africano vicino al Senegal, la vita è difficile. E’ difficile fin dall’inizio, perché troppo spesso i primi istanti in cui un bambino si affaccia al mondo sono anche gli ultimi, per lui o per la madre. Il loro futuro, che è anche quello della loro comunità, ci sta a cuore e per questo, insieme a due club Rotary, stiamo collaborando alla costruzione di un ospedale pediatrico, dotato di una sala operatoria e un centro di analisi. Anche in questo caso, non ci limiteremo a mandare del denaro, che per quanto utile ci sembra un modo un po’ freddo di aiutare gli altri: ci vogliamo impegnare per procurarci direttamente il materiale necessario e andremo personalmente in loco. Solo così possiamo renderci conto del significato di quello che stiamo facendo e sentire tutto questo “più nostro”.

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BANDO DI CONCORSO

Oggetto: Premio Maturità 2010

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Già da qualche anno il Rotaract Club (associazione internazionale di giovani tra i 18 e i 30 anni, apolitica, areligiosa e senza fini di lucro – www.rotaract.it – www.rotaract2040.org – www.rotaract2050.it), patrocinato dal Rotary Club, considerata la crescente esigenza della società moderna di puntare sul talento dei giovani, ha scelto di investire sul loro impegno nello studio attraverso l’assegnazione del Premio Maturità.

Questa iniziativa vuole essere innanzitutto uno stimolo per gli studenti ad un proficuo impegno nello studio, ma anche un premio per le capacità sviluppate dai giovani nei propri percorsi scolastici. Si vuole evidenziare come lo studio sia soprattutto un investimento su se stessi e sul proprio futuro e non solo l’adempimento di un dovere.

Dal 2004 il bando relativo al Premio Maturità, premio inizialmente istituito dal Rotary Club Milano Sud Ovest, è stato diffuso in tutti gli Istituti Secondari Superiori statali e paritari della Regione Lombardia suddivisi per tipo di scuola. Anche quest’anno, i tre premi istituiti saranno assegnati alle migliori prime prove (prove di italiano) degli Esami di Stato delle tre categorie di Istituti Secondari Superiori: Licei, Istituti Tecnici e Istituti Professionali.

Il valore complessivo dei riconoscimenti sarà di Euro 1.500, con, in aggiunta, la possibilità per i vincitori di partecipare al RYLA (Rotary Youth Leadership Award), programma di formazione organizzato dal Rotary International volto allo sviluppo delle qualità di leadership (valore Euro 500 circa per ciascun partecipante).

Dal punto di vista strettamente organizzativo le fasi in cui si articola il Premio sono diverse e coinvolgono in maniera attiva i Club, le scuole, i professori e gli studenti:

1. I Dirigenti Scolastici dovranno trasmettere il bando di concorso ai Presidenti delle Commissioni degli Esami di Stato. A tale proposito s’invita ad allegare il bando stesso alle buste ministeriali contenenti le tracce della prova;

2. A luglio le Commissioni segnaleranno alla Scuola le prove che hanno ottenuto il punteggio più alto, consegnando le fotocopie dei testi alla segreteria della Scuola stessa;

3. Entro il 26 luglio 2010 le Scuole dovranno, previa autorizzazione dello studente interessato, inviare gli elaborati alla Commissione Premio Maturità 2010 tramite raccomandata compilata in ogni sua

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parte, come da modello allegato, all’indirizzo: VIA SAN FRANCESCO D’ASSISI, 11 – 20122 MILANO ca. Dott.ssa ALESSANDRA CAMPANELLA NB. Non saranno accettate prove sostenute al di fuori dell’Esame di Stato.

4. Al fine di valutare le prove sarà istituita un’apposita Commissione, composta da docenti di Istituti Secondari Superiori di diverse Province della Regione Lombardia, con l’obiettivo di individuare, per ogni indirizzo scolastico, il miglior elaborato.

5. Entro la fine di ottobre verranno individuati gli elaborati destinati ad essere premiati;

6. A novembre si terrà la cerimonia di presentazione degli elaborati finalisti e la premiazione dei vincitori.

Per maggiori informazioni: www.rotaract.it – www.rotaract2040.org – www.rotaract2050.it

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L A G I U R I A D E L C O N C O R S O

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La Giuria del concorso è composta da: PROF.SSA MIRELLA ADAMO PROF. ALDO BADINI PROF. UGO BASSO PROF.SSA MARINA BORDONALI PROF.SSA FRANCESCA FRANZ PROF.SSA LAURA GENOVESE PROF.SSA MARISA OGLIO PROF. CARLO PERELLI PROF.SSA BARBARA PERONI Con la collaborazione della Commissione Premio Maturità dei Distretti ROTARACT 2040 e 2050.

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IL PREMIO MATURITÀ VISTO DALLA GIURIA Era giusto il 1999 il primo anno in cui gli studenti hanno affrontato l’esame di maturità trasformato dopo la riforma sperimentale prevista per un anno nel 1969 e replicata per trenta: e il Rotary Milano Sud-ovest proponeva un premio sul solenne modello del Ring conferito dall’imperatore d’Austria al migliore studente del suo impero. Dunque oggi un decennale, pur se con l’interruzione di due anni e se, dalla ripresa nel 2003, il premio viene organizzato dai giovani intraprendenti dinamici soci dei distretti Rotaract 2040 e 2050. Non è stato casuale l’avvio del premio in quel 1999: il nuovo esame sembrava offrire agli studenti maggiori stimoli (la prova interdisciplinare, il coinvolgimento di tutte le materie dell’ultimo anno), maggiori occasioni (la valorizzazione dei risultati del triennio, il primo scritto in diverse tipologie, la possibilità di avviare il colloquio con un argomento scelto), maggiori speranze di una valutazione oggettiva (punteggio risultato di una somma invece di quel voto frutto di misteriose discussioni della commissione). Il nuovo esame avrebbe abbandonato la polverosa ritualità in cui era caduto e ritrovava nuovo interesse, anche nell’opinione pubblica. Simpaticamente il premio manteneva il nome Maturità, proprio mentre il linguaggio dell’ufficialità, che qualcuno chiama burocratese, sostituiva il vecchio nome con “esame di Stato conclusivo dei corsi di studi secondari superiori”. Le attese purtroppo sono state soddisfatte molto parzialmente e prassi invalse negli anni successivi hanno ridimensionato il valore anche del nuovo esame: resta però che per ciascuno studente la sua è l’unica maturità -anche noi continuiamo a chiamarla così!- di cui ha esperienza, che affronta seriamente, magari con paura da cui si attende un risultato adeguato al lavoro svolto nel triennio e quella resta importante e memorabile. Qui il significato del premio proposto dall’iniziativa di un gruppo di giovani che probabilmente non hanno ancora dimenticato i patemi e le soddisfazioni della loro maturità vissuta da pochi anni, quasi a ricordare ai compagni più giovani che impegnarsi vale la pena, anche in questa società televisiva che sembra scommettere poco sulla cultura. Ed ecco il nostro compito, il compito della giuria, stabile da anni,

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formata da insegnanti di provata esperienza, come si diceva una volta, provenienti dalle diverse province. Insegnanti entusiasti di valorizzare il lavoro dei giovani e di offrire la propria competenza e sensibilità per una valutazione ponderata e serena. Ci passano fra le mani gli elaborati migliori prodotti nella regione –ma ci auguriamo che il premio possa anche estendersi- e ogni anno ci troviamo nella piacevole difficoltà di scegliere i tre da premiare nella rosa di quelli selezionati individualmente da ciascuno. I compiti riconosciuti migliori si leggono ad alta voce, talvolta si rileggono, e ciascun membro dichiara le ragioni di apprezzamento: più rigoroso nell’informazione, ma meno brillante nell’esposizione; personale nell’argomentazione ricca di esperienze personali, ma con un’interpretazione discutibile della traccia; piacevole e convincente, ma poco attento alle “consegne” relative al saggio breve e all’articolo di giornale… E il tempo passa nel discutere non di promozioni strappate, come siamo abituati a fare negli scrutini, ma su chi scegliere fra giovani tutti meritevoli del premio. Il tempo passa: con pazienza, siamo sempre riusciti a raggiungere decisioni unanimi, nonostante la nostra provenienza sia diversa, come diversi sono i gusti, i criteri di valutazione, che pur cerchiamo di omologare, e magari anche l’idea di scuola: ma la qualità dei testi selezionati finisce con raggiungere il consenso e concludiamo, con fiducia, speranza e un grande augurio che questi giovani trovino sempre piacere allo studio, occasioni per valorizzare le proprie qualità e un’attività all’altezza delle aspettative.

La Giuria

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LE STATISTICHE DELL’EDIZIONE 2010

322 PROVE PERVENUTE

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Categoria  Prove Pervenute 

LICEI  254 ISTITUTI TECNICI  55 ISTITUTI PROFESSIONALI  13

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LE TRACCE

PRIMA PROVA SCRITTA DELL’ESAME DI STATO 2009/2010

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PROVA DI ITALIANO (per tutti gli indirizzi: di ordinamento e sperimentali) Svolgi la prova, scegliendo una delle quattro tipologie qui proposte. TIPOLOGIA A - ANALISI DEL TESTO Primo Levi, dalla Prefazione di La ricerca delle radici. Antologia personale, Torino 1981 Poiché dispongo di input ibridi, ho accettato volentieri e con curiosità la proposta di comporre anch’io un’«antologia personale», non nel senso borgesiano di autoantologia, ma in quello di una raccolta, retrospettiva e in buona fede, che metta in luce le eventuali tracce di quanto è stato letto su quanto è stato scritto. L’ho accettata come un esperimento incruento, come ci si sottopone a una batteria di test; perché placet experiri e per vedere l’effetto che fa. Volentieri, dunque, ma con qualche riserva e con qualche tristezza. La riserva principale nasce appunto dal mio ibridismo: ho letto parecchio, ma non credo di stare inscritto nelle cose che ho letto; è probabile che il mio scrivere risenta più dell’aver io condotto per trent’anni un mestiere tecnico, che non dei libri ingeriti; perciò l’esperimento è un po’ pasticciato, e i suoi esiti dovranno essere interpretati con precauzione. Comunque, ho letto molto, soprattutto negli anni di apprendistato, che nel ricordo mi appaiono stranamente lunghi; come se il tempo, allora, fosse stirato come un elastico, fino a raddoppiarsi, a triplicarsi. Forse lo stesso avviene agli animali dalla vita breve e dal ricambio rapido, come i passeri e gli scoiattoli, e in genere a chi riesce, nell’unità di tempo, a fare e percepire più cose dell’uomo maturo medio: il tempo soggettivo diventa più lungo. Ho letto molto perché appartenevo a una famiglia in cui leggere era un vizio innocente e tradizionale, un’abitudine gratificante, una ginnastica mentale, un modo obbligatorio e compulsivo di riempire i vuoti di tempo, e una sorta di fata morgana nella direzione della sapienza. Mio padre aveva sempre in lettura tre libri contemporaneamente; leggeva «stando in casa, andando per via, coricandosi e alzandosi» (Deut. 6.7); si faceva cucire dal sarto giacche con tasche larghe e profonde, che potessero contenere un libro ciascuna. Aveva due fratelli altrettanto avidi di letture indiscriminate; i tre (un ingegnere, un medico, un agente di borsa) si volevano molto bene, ma si rubavano a vicenda i libri dalle rispettive librerie in tutte le occasioni possibili. I furti venivano recriminati pro forma, ma di fatto accettati sportivamente, come se ci fosse una regola non scritta secondo cui chi desidera veramente un libro è ipso facto degno di portarselo via e di possederlo. Perciò ho trascorso la giovinezza in un ambiente

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saturo di carta stampata, ed in cui i testi scolastici erano in minoranza: ho letto anch’io confusamente, senza metodo, secondo il costume di casa, e devo averne ricavato una certa (eccessiva) fiducia nella nobiltà e necessità della carta stampata, e, come sottoprodotto, un certo orecchio e un certo fiuto. Forse, leggendo, mi sono inconsapevolmente preparato a scrivere, così come il feto di otto mesi sta nell’acqua ma si prepara a respirare; forse le cose lette riaffiorano qua e là nelle pagine che poi ho scritto, ma il nocciolo del mio scrivere non è costituito da quanto ho letto. Mi sembra onesto dirlo chiaramente, in queste «istruzioni per l’uso» della presente antologia. Primo Levi (Torino 1919-87) è l’autore di Se questo è un uomo (1947) e La tregua (1963), opere legate alla esperienza della deportazione, in quanto ebreo, nel campo di Buna-Monowitz presso Auschwitz, e del lungo e avventuroso viaggio di rimpatrio. Tornato in Italia, fu prima chimico di laboratorio e poi direttore di fabbrica. A partire dal 1975, dopo il pensionamento, si dedicò a tempo pieno all’attività letteraria. Scrisse romanzi, racconti, saggi, articoli e poesie. A proposito di La ricerca delle radici, Italo Calvino così scrisse in un articolo apparso su «la Repubblica» dell’11 giugno 1981: «L’anno scorso Giulio Bollati ebbe l’idea di chiedere ad alcuni scrittori italiani di comporre una loro «antologia personale»: nel senso d’una scelta non dei propri scritti ma delle proprie letture considerate fondamentali, cioè di tracciare attraverso una successione di pagine d’autori prediletti un paesaggio letterario, culturale e ideale. […] Tra gli autori che hanno accettato l’invito, l’unico che finora ha tenuto fede all’impegno è Primo Levi, il cui contributo era atteso come un test cruciale per questo tipo d’impresa, dato che in lui s’incontrano la formazione scientifica, la sensibilità letteraria sia nel rievocare il vissuto sia nell’immaginazione, e il forte senso della sostanza morale e civile d’ogni esperienza».

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1. Comprensione del testo Dopo una prima lettura, riassumi il contenuto informativo del testo. 2. Analisi del testo 2.1 Quali sono per Levi le conseguenze degli «input ibridi» (r. 1) e dell’«ibridismo» (r. 7)? 2.2 Spiega le considerazioni di Levi sul «tempo soggettivo» (r. 13). 2.3 Perché si leggeva molto nella famiglia di Levi? Spiega, in particolare,

perché leggere era «una sorta di fata morgana nella direzione della sapienza» (r. 17).

2.4 Soffermati su ciò che Levi dichiara di avere ricavato dalle sue letture (rr. 24-29). In particolare, spiega l’atteggiamento di Levi nei confronti della «carta stampata» (r. 26). 2.5 Esponi le tue osservazioni in un commento personale di sufficiente ampiezza. 3. Interpretazione complessiva ed approfondimenti Proponi una tua interpretazione complessiva del brano e approfondiscila con opportuni collegamenti al libro da cui il brano è tratto o ad altri testi di Primo Levi. In alternativa, prendendo spunto dal testo proposto, proponi una tua «antologia personale» indicando le letture fatte che consideri fondamentali per la tua formazione.

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TIPOLOGIA B - REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE” (puoi scegliere uno degli argomenti relativi ai quattro ambiti proposti)

CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di «saggio breve» o di «articolo di giornale», utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del «saggio breve» argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’«articolo di giornale», indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo. 1. AMBITO ARTISTICO - LETTERARIO ARGOMENTO: Piacere e piaceri.

DOCUMENTI «La passione li avvolse, e li fece incuranti di tutto ciò che per ambedue non fosse un godimento immediato. Ambedue, mirabilmente formati nello spirito e nel corpo all’esercizio di tutti i più alti e i più rari diletti, ricercavano senza tregua il Sommo, l’Insuperabile, l’Inarrivabile; e giungevano così oltre, che talvolta una oscura inquietudine li prendeva pur nel colmo dell’oblio, quasi una voce d’ammonimento salisse dal fondo dell’esser loro ad avvertirli d’un ignoto castigo, d’un termine prossimo. Dalla stanchezza medesima il desiderio risorgeva più sottile, più temerario, più imprudente; come più s’inebriavano, la chimera del loro cuore ingigantiva, s’agitava, generava nuovi sogni; parevano non trovar riposo che nello sforzo, come la fiamma non trova la vita che nella combustione. Talvolta, una fonte di piacere inopinata aprivasi dentro di loro, come balza d’un tratto una polla viva sotto le calcagna d’un uomo che vada alla ventura per l’intrico d’un bosco; ed essi vi bevevano senza misura, finché non l’avevano esausta. Talvolta, l’anima, sotto l’influsso dei desiderii, per un

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singolar fenomeno d’allucinazione, produceva l’imagine ingannevole d’una esistenza più larga, più libera, più forte, «oltrapiacente»; ed essi vi s’immergevano, vi godevano, vi respiravano come in una loro atmosfera natale. Le finezze e le delicatezze del sentimento e dell’imaginazione succedevano agli eccessi della sensualità.»

Gabriele D’ANNUNZIO, Il piacere, 1889 (ed. utilizzata 1928)

Sandro BOTTICELLI Nascita di Venere, circa 1482-85

Pablo P ICASSO I tre musici, 1921

Henri MATISSE La danza, 1909-10

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«Piacer figlio d’affanno; gioia vana, ch’è frutto del passato timore, onde si scosse e paventò la morte chi la vita abborria; onde in lungo tormento, fredde, tacite, smorte, sudàr le genti e palpitàr, vedendo mossi alle nostre offese folgori, nembi e vento. O natura cortese, neve, son questi i doni tuoi, questi i diletti sono che tu porgi ai mortali. Uscir di pena è diletto fra noi. Pene tu spargi a larga mano; il duolo spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto che per mostro e miracolo talvolta nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana prole cara agli eterni! assai felice se respirar ti lice d’alcun dolor: beata se te d’ogni dolor morte risana.» Giacomo LEOPARDI, La quiete dopo la tempesta, vv. 32-54, 1829 (in G. Leopardi, Canti, 1831) «Il piacere è veramente tale quando non si rende conto né delle proprie cause né dei propri effetti. (È immediato, irrazionale). Il piacere della conoscenza fa eccezione? No. Il piacere della conoscenza procede dal razionale ed è rrazionale.»

Andrea EMO, Quaderni di metafisica (1927-1928), in A. Emo, Quaderni di metafisica 1927-1981, 2006

«I filosofi ed i sinonimisti vi spiegano con paziente sollecitudine la differenza precisa che passa fra la giustizia, la bontà e il dovere; ma voi stessi potete persuadervi che essi fabbricano un mondo di carta pesta. Ciò che è giusto è buono, ciò che è dovere è giustizia, e ciò che si deve fare è ciò che è giusto e buono. Ma non vedete voi il circolo eterno del cosmo, la volta infinita del cielo che non comincia in un alcun luogo e mai non finisce? Studiate il cerchio, perché in verità vi dico che la sua geometria morale abbraccia la storia del

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mondo. Le gioie della giustizia e del dovere esercitano la più benefica influenza sulla felicità della vita e, rendendoci calmi e soddisfatti nel presente, ci preparano un avvenire felice. Chi possiede maggiori ricchezze di fortuna, di mente e di cuore, ha anche maggiori doveri da esercitare; ma tutti gli uomini, purché abbiano soltanto un’individualità morale, devono essere giusti e buoni, e devono quindi rendersi degni di gustare queste gioie sublimi.»

Paolo MANTEGAZZA, Fisiologia del piacere, 1992 (1ª edizione 1854) 2. AMBITO SOCIO - ECONOMICO ARGOMENTO: La ricerca della felicità.

DOCUMENTI «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»

Articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana «Noi riteniamo che sono per sé stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità.»

Dichiarazione di indipendenza dei Tredici Stati Uniti d’America, 4 luglio 1776 «La nostra vita è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l’impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a

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raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all’altezza della sfida. L’incertezza è l’habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all’incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso.»

Zygmunt BAUMAN, L’arte della vita, trad. it., Bari 2009 (ed. originale 2008) «Nonostante le molte oscillazioni, la soddisfazione media riportata dagli europei era, nel 1992, praticamente allo stesso livello di 20 anni prima, a fronte di un considerevole aumento del reddito pro capite nello stesso periodo. Risultati molto simili si ottengono anche per gli Stati Uniti. Questi dati sollevano naturalmente molti dubbi sulla loro qualità e tuttavia, senza entrare nel dettaglio, numerosi studi provenienti da altre discipline come la psicologia e la neurologia ne supportano l’attendibilità. Citiamo solo la critica che a noi pare più comune e che si potrebbe formulare come segue: in realtà ognuno si dichiara soddisfatto in relazione a ciò che può realisticamente ottenere, di conseguenza oggi siamo effettivamente più felici di 20 anni fa ma non ci riteniamo tali perché le nostre aspettative sono cambiate, migliorate, e desideriamo sempre di più. Esistono diverse risposte a questa critica. In primo luogo, se così fosse, almeno persone nate negli stessi anni dovrebbero mostrare una crescita nel tempo della felicità riportata soggettivamente. I dati mostrano invece che, anche suddividendo il campione per coorti di nascita, la felicità riportata non cresce significativamente nel tempo. Inoltre, misure meno soggettive del benessere, come la percentuale di persone affette da depressione o il numero di suicidi, seguono andamenti molto simili alle risposte soggettive sulla felicità e sulla soddisfazione. Ma allora cosa ci rende felici?»

Mauro MAGGIONI e Michele PELLIZZARI, Alti e bassi dell’economia della felicità, «La Stampa», 12 maggio 2003

«Il tradimento dell’individualismo sta tutto qui: nel far creder che per essere felici basti aumentare le utilità. Mentre sappiamo che si può essere dei perfetti massimizzatori di utilità anche in solitudine, per essere felici occorre essere almeno in due. La riduzione della categoria della felicità a quella della utilità è all’origine della credenza secondo cui l’avaro sarebbe, dopotutto, un soggetto razionale. Eppure un gran numero di interazioni sociali acquistano significato unicamente grazie all’assenza di strumentalità. Il senso di un’azione cortese o generosa verso un amico, un figlio,

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un collega sta proprio nel suo essere gratuita. Se venissimo a sapere che quell’azione scaturisce da una logica di tipo utilitaristico e manipolatorio, essa acquisterebbe un senso totalmente diverso, con il che verrebbero a mutare i modi di risposta da parte dei destinatari dell’azione. Il Chicago man – come Daniel McFadden ha recentemente chiamato la versione più aggiornata dell’homo œconomicus – è un isolato, un solitario e dunque un infelice, tanto più egli si preoccupa degli altri, dal momento che questa sollecitudine altro non è che un’idiosincrasia delle sue preferenze. [...] Adesso finalmente comprendiamo perché l’avaro non riesce ad essere felice: perché è tirchio prima di tutto con se stesso; perché nega a se stesso quel valore di legame che la messa in pratica del principio di reciprocità potrebbe assicuragli.» Stefano ZAMAGNI, Avarizia. La passione dell’avere, Bologna 2009

3. AMBITO STORICO - POLITICO ARGOMENTO: Il ruolo dei giovani nella storia e nella politica. Parlano i leader.

DOCUMENTI «Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. (Vivissimi e reiterati applausi — Molte voci: Tutti con voi! Tutti con voi!) Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda; se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! (Applausi). Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! (Vivissimi e prolungati applausi — Molte voci: Tutti con voi!)»

Benito MUSSOLINI, Discorso del 3 gennaio 1925 (da Atti Parlamentari – Camera dei Deputati – Legislatura XXVII – 1a sessione –

Discussioni – Tornata del 3 gennaio 1925 Dichiarazioni del Presidente del Consiglio)

«Diciamo le cose come stanno. I giovani che vengono al nostro partito devono essere stabilmente conquistati ai grandi ideali del socialismo e del comunismo, se non vogliamo che essi rimangano dei «pratici», o, peggio, dei politicanti.

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Essi devono acquistare la certezza – volevo dire la fede – che l’avvenire e la salvezza della società umana sta nella sua trasformazione socialista e comunista, e questa certezza deve sorreggerli, guidarli, illuminarli in tutto il lavoro pratico quotidiano. […] Quanto alle grandi masse della gioventù, quello cui noi aspiriamo è di dare un potente contributo positivo per far loro superare la crisi profonda in cui si dibattono. Non desideriamo affatto staccare i giovani dai tradizionali ideali morali e anche religiosi. Prima di tutto, però, vogliamo aiutarli a comprendere come si svolgono le cose nel mondo, a comprendere il perché delle lotte politiche e sociali che si svolgono nel nostro paese e sulla scena mondiale, e quindi il perché delle sciagure della nostra patria e della triste sorte odierna della sua gioventù. Tutto questo non si capisce, però, se non si riesce ad afferrare che quello a cui noi assistiamo da due o tre decenni non è che la faticosa gestazione di un mondo nuovo, del mondo socialista, che si compie suscitando la resistenza accanita di un mondo di disordine, di sfruttamento, di violenza e di corruzione, il quale però è inesorabilmente condannato a sparire.» Palmiro TOGLIATTI, Discorso alla conferenza nazionale giovanile del PCI, Roma, 22-24

maggio 1947 (da P. TOGLIATTI, Discorsi ai giovani, Prefazione di E. Berlinguer, Roma 1971)

«Il potere si legittima davvero e solo per il continuo contatto con la sua radice umana, e si pone come un limite invalicabile le forze sociali che contano per se stesse, il crescere dei centri di decisione, il pluralismo che esprime la molteplicità irriducibile delle libere forme di vita comunitaria. I giovani e i lavoratori conducono questo movimento e sono primi a voler fermamente un mutamento delle strutture politiche ed un rispettoso distacco; i giovani chiedono un vero ordine nuovo, una vita sociale che non soffochi ma offra liberi spazi, una prospettiva politica non conservatrice o meramente stabilizzatrice, la lievitazione di valori umani. Una tale società non può essere creata senza l’attiva presenza, in una posizione veramente influente, di coloro per i quali il passato è passato e che sono completamente aperti verso l’avvenire. La richiesta di innovazione comporta naturalmente la richiesta di partecipazione. Essa è rivolta agli altri, ma anche e soprattutto a se stessi: non è solo una rivendicazione, ma anche un dovere e una assunzione di responsabilità. L’immissione della linfa vitale dell’entusiasmo, dell’impegno, del rifiuto dell’esistente, propri dei giovani, nella società, nei partiti, nello Stato, è una necessità vitale, condizione dell’equilibrio e della pace sociale nei termini nuovi ed aperti nei quali in una fase evolutiva essi possono essere concepiti.»

Aldo MORO, Discorso all’XI Congresso Nazionale della DC, 29 giugno 1969 (da A. MORO, Scritti e discorsi, Volume Quinto: 1969-1973, a c. di G. Rossini, Roma

1988)

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«L’individuo oggi è spesso soffocato tra i due poli dello Stato e del mercato. Sembra, infatti, talvolta che egli esista soltanto come produttore e consumatore di merci, oppure come oggetto dell’amministrazione dello Stato, mentre si dimentica che la convivenza tra gli uomini non è finalizzata né al mercato né allo Stato, poiché possiede in se stessa un singolare valore che Stato e mercato devono servire. L’uomo è, prima di tutto, un essere che cerca la verità e si sforza di viverla e di approfondirla in un dialogo che coinvolge le generazioni passate e future. Da tale ricerca aperta della verità, che si rinnova a ogni generazione, si caratterizza la cultura della Nazione. In effetti, il patrimonio dei valori tramandati e acquisiti è sempre sottoposto dai giovani a contestazione. Contestare, peraltro, non vuol dire necessariamente distruggere o rifiutare in modo aprioristico, ma vuol significare soprattutto mettere alla prova nella propria vita e, con tale verifica esistenziale, rendere quei valori più vivi, attuali e personali, discernendo ciò che nella tradizione è valido da falsità ed errori o da forme invecchiate, che possono esser sostituite da altre più adeguate ai tempi.»

GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Centesimus annus nel centenario della Rerum novarum, 1° maggio 1991

(da Tutte le encicliche di Giovanni Paolo II, Milano 2005)

4. AMBITO TECNICO - SCIENTIFICO ARGOMENTO: Siamo soli?

DOCUMENTI «Alla fine del Novecento la ricerca dell’origine della vita sulla Terra era pronta a riprendere il cammino, ora pienamente integrata fra gli obiettivi dell’esobiologia [= Studio della comparsa e dell’evoluzione della vita fuori del nostro pianeta], con un piccolo gruppo di biologi che continuavano a perseguire ntusiasticamente la ricerca dell’universalità e uno status di pari dignità con le scienze fisiche che una biologia universale avrebbe portato con sé. In questa ricerca, però, essi si sarebbero dovuti scontrare con i biologi evoluzionisti, molto pessimisti sulla morfologia, se non sulla stessa esistenza degli extraterrestri, che smorzavano, quindi, le aspirazioni di chi cercava di estendere i principi della biologia terrestre, con tanta fatica conquistati, all’universo nel suo complesso o di incorporare tali principi in una biologia più generale.»

Steven J. DICK, Vita nel cosmo. Esistono gli extraterrestri?, Milano 2002 (ed. originale 1998)

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«Gli UFO: visitatori non invitati? In conseguenza delle pressioni dell’opinione pubblica, negli anni passati, furono condotte diverse indagini sugli UFO soprattutto da parte dell’aeronautica americana, per appurare la natura del fenomeno. [...] La percentuale, tra i presunti avvistamenti dei casi per i quali non è stato possibile addivenire a una spiegazione, allo stato attuale delle nostre conoscenze, è molto bassa, esattamente intorno al 1,5 - 2%. Questa piccola percentuale potrebbe essere attribuita in gran parte a suggestioni o visioni, che certamente esistono. [...] Sono numerose le ipotesi che possono spiegare la natura degli UFO. Si potrebbe, per esempio, pensare che all’origine di un certo numero di avvistamenti vi siano, in realtà, fenomeni geofisici ancora poco conosciuti, oppure velivoli sperimentali segreti, senza tuttavia escludere del tutto la natura extraterrestre. La verità è che noi non possiamo spiegare tutto con la razionalità e le conoscenze. [...] A quanto sembra, logica e metodo scientifico non sembrano efficaci nello studio degli UFO per i quali qualsiasi spiegazione è insoddisfacente e/o troppo azzardata.»

Pippo BATTAGLIA - Walter FERRERI, C’è vita nell’Universo? La scienza e la ricerca di altre civiltà, Torino 2008

«Se fosse possibile assodare la questione mediante una qualche esperienza, io sarei pronto a scommettere tutti i miei averi, che almeno in uno dei pianeti che noi vediamo vi siano degli abitanti. Secondo me, perciò, il fatto che anche in altri mondi vi siano abitanti non è semplicemente oggetto di opinione, bensì di una salda fede (sull’esattezza di tale credenza, io arrischierei infatti molti vantaggi della vita).»

Immanuel KANT, Critica della ragione pura, Riga 1787 (1a ed. 1781) «Come si spiega dunque la mancanza di visitatori extraterrestri? È possibile che là, tra le stelle, vi sia una specie progredita che sa che esistiamo, ma ci lascia cuocere nel nostro brodo primitivo. Però è difficile che abbia tanti riguardi verso una forma di vita inferiore: forse che noi ci preoccupiamo di quanti insetti o lombrichi schiacciamo sotto i piedi? Una spiegazione più plausibile è che vi siano scarsissime probabilità che la vita si sviluppi su altri pianeti o che, sviluppatasi, diventi intelligente. Poiché ci definiamo intelligenti, anche se forse con motivi poco fondati, noi tentiamo di considerare l’intelligenza una onseguenza inevitabile dell’evoluzione, invece è discutibile che sia così. I batteri se la cavano benissimo senza e ci sopravviveranno se la nostra cosiddetta intelligenza ci indurrà ad autodistruggerci in una guerra nucleare. [...] Lo scenario futuro non somiglierà a quello consolante definito da STAR TRECK, di un universo popolato da molte specie di umanoidi, con una scienza ed una

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tecnologia avanzate ma fondamentalmente statiche. Credo che invece saremo soli e che incrementeremo molto, e molto in fretta, la complessità biologica ed elettronica.»

Stephen HAWKING, L’universo in un guscio di noce, Milano 2010 (ed. originale 2001) «La coscienza, lungi dall’essere un incidente insignificante, è un tratto fondamentale dell’universo, un prodotto naturale del funzionamento delle leggi della natura, alle quali è collegata in modo profondo e ancora misterioso. Ci tengo a ripeterlo: non sto dicendo che l’Homo sapiens in quanto specie sia inscritto nelle leggi della natura; il mondo non è stato creato per noi, non siamo al centro del creato, né ne siamo la cosa più significativa. Ma questo non vuol dire neanche che siamo completamente privi di significato! Una delle cose più deprimenti degli ultimi tre secoli di scienza è il modo in cui si è cercato di emarginare, rendere insignificanti, gli esseri umani, e quindi alienarli dall’universo in cui vivono. Io sono convinto che abbiamo un posto nell’universo, non un posto centrale, ma comunque una posizione significativa. […] Se questo modo di vedere le cose è giusto, se la coscienza è un fenomeno basilare che fa parte del funzionamento delle leggi dell’universo, possiamo supporre che sia emersa anche altrove. La ricerca di esseri alieni può dunque essere vista come un modo per mettere alla prova l’ipotesi che viviamo in un universo che non solo è in evoluzione, come dimostra l’emergere della vita e della coscienza dal caos primordiale, ma in cui la mente svolge un ruolo fondamentale. A mio avviso la conseguenza più importante della scoperta di forme di vita extraterrestri sarebbe quella di restituire agli esseri umani un po’ di quella dignità di cui la scienza li ha derubati.»

Paul C.W. DAVIES, Siamo soli? Implicazioni filosofiche della scoperta della vita extraterrestre, Roma-Bari 1998 (1a ed. 1994)

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TIPOLOGIA C - TEMA DI ARGOMENTO STORICO Ai sensi della legge 30 marzo 2004, n. 92, “la Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Il candidato delinei la “complessa vicenda del confine orientale”, dal Patto (o Trattato) di Londra (1915) al Trattato di Osimo (1975), soffermandosi, in particolare, sugli eventi degli anni compresi fra il 1943 e il 1954. TIPOLOGIA D - TEMA DI ORDINE GENERALE La musica — diceva Aristotele (filosofo greco del IV sec. a.C.) — non va praticata per un unico tipo di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, poiché può servire per l’educazione, per procurare la catarsi e in terzo luogo per la ricreazione, il sollievo e il riposo dallo sforzo. Il candidato si soffermi sulla funzione, sugli scopi e sugli usi della musica nella società contemporanea. Se lo ritiene opportuno, può fare riferimento anche a sue personali esperienze di pratica e/o di ascolto musicale.

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I V I N C I T O R I

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C A T E G O R I A L I C E I

ELISABETTA NAPOLI

LICEO CLASSICO “G.GALILEI” VOGHERA (PV)

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SAGGIO BREVE IN AMBITO ARTISTICO-LETTERARIO (TIPOLOGIA B)

MOTIVAZIONE Il lavoro, presentato in forma di saggio breve, propone una ricca e articolata sintesi della relazione tra politica e giovani nella storia italiana del Novecento. La ricostruzione dei decenni presi in esame è condotta con una sicura padronanza della materia storica, coniugando rigore e precisione lessicale con grande chiarezza espositiva. Dall’elaborato traspare altresì una solida cultura umanistica e un’indubbia capacità di leggere e utilizzare i documenti allegati nelle forme proprie del saggio storico. Particolarmente apprezzabile è la suddivisione in paragrafi, che marcano la scansione temporale con titoli-guida costituiti da brevi e indovinate citazioni, idonee a restituire il clima e il sapore delle stagioni storiche analizzate con valutazioni personali.

NON E’UN PAESE PER VECCHI: VIZI E VIRTU’ DELLA “GIOVINE ITALIA”

Destinazione editoriale: periodico “Progresso e società”

1. Ardore e dinamismo: la “Giovinezza” del primo Novecento

La storia italiana del Novecento è giovane, non solo perché in gran parte fatta dai giovani, ma anche, e soprattutto, perché caratterizzata da molti elementi tipici della mentalità e degli atteggiamenti giovanili: dall’attivismo esasperato, all’amore viscerale per le ideologie; dalla capacità di coesione nella lotta, all’ingenuità di fronte alla necessità di compiere scelte cruciali. Piero Gobetti, negli anni venti, mise in evidenza l’assenza di una “saggezza liberal-democratica” nella mentalità politica italiana, più propensa alla “faciloneria” e al “dannunzianesimo” che alla scelta consapevole. Infatti, proprio come i giovani, anche la politica dell’epoca “ardeva d’inconsapevolezza”, laddove non vi era giovinezza, si inneggiava a un pericoloso e ambiguo giovanilismo. Gli interventisti, i futuristi e, in seguito, i fascisti esaltavano la forza, l’ardore, il dinamismo; la politica era diventata tutt’a un tratto quella “passione superba”

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celebrata da Mussolini nel discorso del 3 gennaio 1925 e contrapposta alla tradizionale fiacchezza della classe dirigente liberale, rappresentata emblematicamente dal riformismo astenico e datato di Giolitti. L’esperienza della Prima guerra Mondiale e il veloce fenomeno di politicizzazione delle masse avevano reso i giovani nuovi protagonisti e fautori della storia: grazie al loro entusiasmo e alla loro ingenuità poté compiersi l’ambizioso progetto totalitario. Mussolini diede molto spazio alla formazione e all’intrattenimento dei giovani, che si sentivano figli protetti e amati dallo Stato e destinatari di un radioso e promettente futuro.

2. “L’anello che non tiene”: il dissenso e la lotta antifascista

I numerosi sforzi educativi del regime, tuttavia, non impedirono che molti giovani intraprendessero la strada del dissenso. La facilità dei ragazzi a opporsi al potere costituito, spesso in modo più istintuale che ponderato, e la tendenza all’associazionismo e alla cooperazione favorirono la creazione e l’attività, in patria e all’estero, di numerosi gruppi antifascisti. Anche l’esperienza resistenziale vide i giovani in prima linea a combattere per un futuro migliore e per un mondo diverso. Sebbene le differenze ideologiche fra un gruppo antifascista e l’altro fossero notevoli, l’impulso verso l’avvenire e la volontà di definitiva rottura col passato unificavano l’esperienza di tutti gli attivisti. Lo storico Pavone parla a proposito della Resistenza, di “guerra civile”: la tragedia della violenza e il convulso procedere della lotta misero in evidenza la fragilità degli uomini di fronte agli orrori di qualsiasi conflitto. Molti giovani morirono per mano di coetanei.

3. “Sentir e Meditar”: l’azione e la riflessione dei giovani in politica

Dalla Resistenza uscì un’Italia che aveva bisogno di nuovi punti di riferimento, duraturi e stabili. I giovani che avevano agito durante la lotta di Liberazione dovevano, ora, accostarsi in modo più riflessivo alla politica. Il discorso di Togliatti del ’47 è un invito ai ragazzi a comprendere a fondo le basi storiche e filosofiche dell’ideologia socialista per indirizzare le lotte politiche e sociali nella direzione di un cambiamento definitivo del mondo. I giovani che sposavano gli ideali

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socialisti dovevano accettare il conflitto di classe come impegno principale per la creazione di una società giusta, il “mondo socialista” di Togliatti. Come sarebbero state recepite dai giovani tali parole in un’epoca di compromessi delle sinistre, e dello stesso leader del PCI, con le forze moderate finalizzate alla creazione di uno Stato liberal-democratico basato sulle Istituzioni parlamentari? Era necessario elaborare una fede negli ideali socialisti che coniugasse la sostanza più profonda del marxismo – ovvero la volontà di rinnovamento e la giustizia sociale – con la cautela di chi deve ricostruire dalle fondamenta la società consentendo a tutti di riconoscersi in essa. La comprensione del presente e la volontà di porsi in maniera costruttiva nei confronti del futuro avrebbero dovuto guidare la partecipazione politica dei giovani di sinistra. Anche la Costituzione, moderna, aperta all’avvenire su molti fronti, era la voce di una generazione di giovani non più affetti da “dannunzianesimo”, ma motivati e volenterosi.

4. “Forever young”: i giovani e il boom economico

L’ottimismo giovanile esplose negli anni del boom economico, il lavoro e il dinamismo, la crescente emancipazione femminile, l’imitazione dell’“american way of life” furono i fenomeni che maggiormente caratterizzarono la società italiana, gli effetti del benessere si fecero sentire in particolare sui giovani e la giovinezza venne nuovamente mitizzata e strumentalizzata non più a scopo politico, ma commerciale.

5. “Rebel Rebel”: la voce dei giovani alla fine degli anni ‘60

La spinta verso il futuro e la voglia di cambiamento nei giovani si manifestarono con forza inaudita nel Sessantotto, quando in tutto il mondo esplosero moti di protesta contro la guerra del Vietnam e in favore dell’ampliamento della libertà. La contestazione in Italia mirava al rinnovamento della classe dirigente e delle istituzioni, in particolare della scuola e dell’università. Aldo Moro, in un discorso ai giovani, manifesta la sua comprensione e la sua adesione alla volontà di cambiamento dei giovani: sebbene la DC fosse, per molti aspetti, l’emblema della staticità, il “vecchio” da combattere e rivoluzionare, la forte componente dell’associazionismo giovanile cattolico, favorì l’instaurazione di un

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dialogo fra il mondo degli adulti e quello dei giovani mantenendo come denominatore comune l’attenzione ai più profondi valori di umanità. Gli eventi successivi dimostrarono che la linea del dialogo intergenerazionale non avrebbe raggiunto i risultati sperati.

6. “La rabbia e l’orgoglio”dei giovani negli anni ‘70

L’estremo rifiuto dell’ordine costituito e della mediazione con i suoi rappresentanti condusse a un’esplosione di violenza che si protrasse per un’intera decade. L’irrazionalità tornò ad annebbiare gli occhi di una gioventù troppo arrabbiata, similmente a come era accaduto all’inizio del secolo. Alla contestazione verbale si affiancarono atti violenti commessi in nome di un’ideologia estremista o per vendetta. E molti giovani confusero, ancora una volta, l’odio con l’eroismo.

7. Conclusione: la maturità della Nazione

Lo storico Galli della Loggia individua nella storia politica italiana alcuni elementi di “infantilismo”: l’incapacità di mantenere un equilibrio di moderato conservatorismo; la scarsa capacità di metabolizzare il diverso e il nuovo, che vengono rigettati e inglobati in modo più o meno trasformistico; l’ingenuità politica dimostrata di fronte ad atteggiamenti di stampo populista. Questa originale lettura di molti eventi della nostra storia mette in luce alcuni punti deboli dell’“autobiografia” di una nazione: rivelatasi spesso poco stabile e matura. La nuova sfida per il futuro, accennata da Giovanni Paolo II nel suo discorso del 1981 consiste nel superare l’infantilismo storico comprendendo il valore autentico della contestazione e muovendosi alla “ricerca della verità”. Se la politica italiana sarà in grado di aprirsi sul futuro in modo costruttivo e consapevole, conoscendo gli errori del passato e manifestandosi propositiva per l’avvenire, sarà forse possibile sconfiggere i vizi endemici della nostra tradizione per poter veramente costruire qualcosa di nuovo su basi solide e sicure.

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CATEGORIA ISTITUTI TECNICI

MARC VILLA

ITIS “CARTESIO” CINISELLO BALSAMO (MB)

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SAGGIO BREVE IN AMBITO SOCIO-ECONOMICO (TIPOLOGIA B)

MOTIVAZIONE L'autore utilizza i documenti proposti con proprietà integrandoli anche con personali conoscenze letterarie che gli permettono di costruire un discorso autonomo con un motivato punto di vista sulla tematica filosofica trattata.

LO STREBEN COME RICERCA DELLA FELICITA’

La ricerca della felicità è, probabilmente, uno dei più antichi e importanti bisogni dell’uomo. Tale ricerca è stata, nel corso dei secoli, più volte affrontata dai filosofi, che non sono tuttavia mai potuti approdare a un metodo comune. Un fatto simile, spiegabile in parte tenendo in considerazione l’influenza dei diversi momenti storici, ha quindi condotto allo sviluppo di un approccio più moderno e scientifico, basato su ricerche sociologiche che, sebbene soggette a varie critiche circa la loro qualità, possono essere supportate da numerosi studi condotti nei campi della psicologia e della neurologia. Rifacendomi quindi a uno di tali studi, citato nell’articolo “Alti e bassi dell’economia della felicità” di Mauro Maggioni e Michele Pellizzari, pare che il livello di soddisfazione media, sia italiano che statunitense, non sia minimamente variato nel periodo osservato, dal ‘72 al ’92, nonostante il considerevole aumento del reddito. Tale fatto può condurre quindi a due differenti conclusioni: infatti il mancato aumento della felicità può essere sintomo dell’impossibilità di raggiungere il modello più puro di soddisfazione, oppure indicare che tale felicità sia slegata dallo sviluppo economico. La prima ipotesi è, evidentemente, più pessimistica: potrebbe perciò essere messa in relazione con la filosofia di Schopenhauer. In tale concezione filosofica infatti l’esistenza umana, è succube di una volontà di vivere connaturata nell’uomo, rappresentata da un pendolo che oscilla continuamente tra il dolore e la noia, intervallati solo da brevi attimi di piacere. Schopenhauer non esclude però a priori la possibilità di essere felice, ma la rende disponibile solo per gli asceti, in grado di annullare la propria brama di vivere tramite una vita perfettamente virtuosa. In tale concezione, che presenta in sé un carattere di elitarietà, si può forse

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riscontrare una tendenza storica che porterà, per altra via, sia alla nascita del simbolismo francese, e in seguito al decadentismo, sia allo sviluppo della concezione del superuomo di Nietzsche. Ciò nonostante, esso si pone anche in linea di continuità con il pensiero di filosofi sia moderni che classici, accumunati dall’idea che sia la virtù la chiave d’accesso alla felicità. Essi, tra cui possiamo citare Socrate e Kant, sono caratterizzati da una visione generalmente più ottimistica della vita, e possono perciò essere posti a sostegno della seconda ipotesi. A sostegno di tale ipotesi può essere posto anche Nietzsche, sebbene siano necessari alcuni importanti distinguo. Infatti, se è pur vero che egli prospetta nella venuta del superuomo la nascita di un’umanità ridente, è pur vero che tale concezione è elitaria, relegando all’infuori dell’homo novus coloro i quali egli definisce servi. Inoltre, anche la differente concezione del tempo di Nietzsche lo porta a distinguersi dagli altri filosofi: l’idea che il tempo sia un’entità ciclica lo conduce a una valorizzazione del tempo passato e presente, che si trasformano nella rappresentazione della volontà del superuomo. Viceversa, in molti altri filosofi vi è una valorizzazione del tempo futuro, in grado di ricompensare la virtù esercitata nel presente. Tale concezione, che comporta una continua tensione verso il futuro, può essere in qualche modo assimilabile allo Streben, sentimento che pervade lo Zenit di Goethe. Esso, parola tedesca che indica l’atto del cercare, assume nel “Faust” una volontà creatrice, che spinge il protagonista a un miglioramento senza sosta, a una tensione continua verso il futuro. A tal proposito, vorrei citare un’opera, “L’arte della vita” di Bauman, che esprime perfettamente tale concezione. In essa si esprime infatti l’opinione che nella vita bisogna “tentare l’impossibile” ponendoci sempre “obiettivi che siano ben oltre la nostra portata” esplicando quindi una concezione assimilabile perfettamente alla descrizione dello Streben. Che tal ricerca possa aver subito una metamorfosi nel corso dei secoli non sembra però un’ipotesi molto azzardata, se taluni critici letterari hanno scorto nello Streben lo spirito che anima il capitalismo. Ciò pare essere confermato anche da una critica esplicata nello stesso articolo della Stampa sopra citato. Se è infatti vero che nella società moderna lo Streben si concretizza nell’acquisizione di beni, oggi non saremmo in grado di ritenerci più

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felici di vent’anni fa perché “le nostre aspettative sono cambiate, migliorate, e desideriamo sempre di più”. Non è infatti certo un caso che “La ricerca della felicità” sia un valore che, espresso nella dichiarazione d’indipendenza degli stati uniti d’America, si è recentemente trasformato in un film che celebra “il sogno americano”, esteso come progressivo e illimitato arricchimento. Può però la felicità essere ricondotta a tal sogno, che vede nell’avaro un soggetto positivo? Personalmente non condivido, sosterrei invece la tesi espressa in “Avarizia. La passione dell’avere” di Stefano Zamagni, in cui si afferma: “adesso finalmente comprendiamo perché l’avaro non riesce a essere felice: perché è tirchio prima di tutto con se stesso”, negandosi proprio quei rapporti interpersonali che non possiedono strumentalità e che sono, secondo Zamagni, la base della felicità. In conclusione, si può affermare che il fattore in grado di condurre alla felicità è tuttora ignoto. Ciò nonostante, non vi è dubbio che lo studio di tal fattore continuerà ad accompagnarci a lungo, forse addirittura “finché il sole risplenderà sulle sciagure umane”.

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CATEGORIA ISTITUTI PROFESSIONALI

MARCO LOVISATO

ISIS “L. EINAUDI” – DIRIGENTE DI COMUNITA’ DALMINE (BG)

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ANALISI DEL TESTO

(TIPOLOGIA A) MOTIVAZIONE Lo studente analizza il testo in modo appropriato e personale e mette a fuoco una sua diversa valutazione del rapporto con i libri letti. Realizza così una relazione fra la formazione dell'autore e la sua esperienza con riferimenti a scelte culturali e di vita.

Primo Levi, dalla Prefazione di La ricerca delle radici. Antologia personale, Torino 1981

Il brano è tratto dalla prefazione a “La ricerca della felicità”, opera nella quale lo scrittore Primo Levi provò ad elencare e ad analizzare quei libri che, in un modo o nell’altro, hanno esercitato su di lui una certa influenza. La stesura di questa personale antologia risponde all’invito di Giulio Bollati, che chiese a diversi scrittori di stilare una loro personalissima biblioteca fondamentale. Nel corso della prefazione Levi spiega la propria posizione nei confronti della compilazione di un’antologia personale. Dichiara sin da subito che l’esperimento viene da lui tentato come un esercizio, un piacere personale. In seguito l’autore si concentra sull’origine della propria passione letteraria (la quale ha radici ben piantate nel contesto familiare) e sui motivi che lo hanno spinto, a partire dalla gioventù, a leggere un gran numero di libri. Ma ciò che Levi tiene particolarmente a precisare è che l’origine della sua attività di scrittore non è riconducibile ai libri da lui letti, ma alla sua formazione tecnica. 1) Levi riconosce una certa eterogeneità di influenze nel corso della sua formazione. Tra questi “input ibridi” si devono citare gli studi di chimica, l’origine ebraica, l’impegno nella resistenza e la terribile esperienza nel campi di concentramento di Auschwitz. Questo ibridismo ha avuto, per Levi, dirette conseguenze sul come e che cosa ha scritto. Anche per questo motivo avverte il lettore che l’esperimento di un’antologia personale potrebbe risultare confuso. Bisogna notare come questo ibridismo sia presente nella stessa prefazione dell’opera: il riferimento a Jorge Luis Borges alla riga 2 rivela la

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moltitudine di letture effettuate da Levi; alla riga 18 cita il “Deuteronomio”, retaggio della sua appartenenza alla religione ebraica. 2) Levi, con l'espressione "tempo soggettivo", indica la percezione che ogni individuo ha dello scorrere degli anni. L'autore porta come esempio gli animali dalla vita breve; il loro, come in Levi, il tempo soggettivo si allunga e si dilata poiché riescono a percepire più cose rispetto all'uomo maturo medio. A Levi i tempi della gioventù e dall'apprendistato paiono ora lunghissimi, dilatati. Questo perché egli stesso ha vissuto direttamente, sulla sua pelle, la precarietà dell'esistenza e ha ora l'impressione che la vita si muova sempre più precipitosamente verso la fine. "La ricerca delle radici" fu scritto solo sei anni prima del suicidio dello scrittore che, da quando è riuscito a sopravvivere all'inferno dei lager, ha sempre dovuto vivere con il senso di colpa per non aver condiviso la stessa sorte di molti altri. 3) Nella famiglia di Levi si leggeva non solo per piacere, ma anche come esercizio mentale. L'importanza della lettura era molto sentita dai suoi familiari, i quali arrivavano a occupare quasi ogni attimo di tempo libero leggendo. Emblematico il fatto che Levi identifichi l'esercizio della letteratura nella sua famiglia come una "Fata Morgana", un miraggio di sapienza; come se, leggendo una grande quantità di libri, i propri parenti fossero convinti di diventare, o quantomeno apparire, più saggi. Il tono di Levi, nella descrizione della propria famiglia, diventa critico e leggermente ironico. 4) Levi dichiara di aver ricavato dalle sue molteplici letture, una fiducia quasi eccessiva nei confronti di quella che lui definisce "carta stampata". In ciò egli appare influenzato dal proprio ambiente familiare nel quale, come già accennato, si leggeva quasi come per soddisfare un'eccessiva sete di conoscenza. Ammette inoltre che la lettura potrebbe aver inconsapevolmente influenzato la sua decisione di darsi alla scrittura. Nonostante ciò non riconosce nei libri letti il "nocciolo", il tema della sua scrittura, riconducibile sicuramente alla sua esperienza prima di deportato ("Se questo è un uomo", "La tregua") e poi di chimico ("La tavola periodica"). La fiducia in quanto scritto nei libri letti è ritenuta dall'autore eccessiva. Quindi Levi non si riconosce nell'aspetto quasi positivista che la sua

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famiglia ha nei confronti della "carta stampata". 5) Già dalla prefazione di "La ricerca delle radici" Levi si rivela come uno scrittore controcorrente, soprattutto in relazione con i suoi contemporanei. Sua peculiarità è proprio quell'ibridismo che l'autore molto efficacemente espone già nelle prime righe. Ciascuna delle sue influenze (dagli studi scientifici, all'ebraismo, alla deportazione) gli ha lasciato qualcosa dentro, un fardello che l'autore avrebbe potuto espellere solo attraverso la scrittura (anche se alla fine si rivelò troppo pesante, da cui il suicidio del 1987). Le opere di Levi contengono già tutte le sue influenze; esse rimarranno ai posteri come una testimonianza e un'accusa a un secolo marchiato a sangue dall'odio e dalla violenza della storia. Questa antologia personale diventa per Levi l'occasione per smettere temporaneamente di essere scrittore, chimico, ex-deportato. Nello scrivere "La ricerca delle radici" c'è solo lui e i libri che ha amato e, per questo, fondamentali per l'uomo, non per lo scrittore. La lettura di questo testo mi ha portato a riflettere su quali possono essere stati quei libri che hanno esercitato su di me una certa influenza. Indubbiamente sono molti e di valore; solo pochi di loro meritano però di essere citati in un testo quale la prova scritta dell'esame di maturità. Ora so che, citandoli, questi libri e autori mi rimarranno sempre dentro, legati al ricordo speciale di questa importante tappa della mia vita. Ironicamente uno dei primi libri che ho letto è stato proprio "Se questo è un uomo" di Levi, anche se forse ho più amato "Il diario di Anna Frank", anche perché avevo l'età della ragazza quando l'ho letto. Verso le superiori è scoppiato il mio amore per la poesia, soprattutto simbolista. Devo citare "I fiori del male" di Baudelaire, ma anche i “Canti” di William Blake. Dall'amore per il cinema sono passato a Pasolini, prima dai film e poi alle "Ceneri di Gramsci". Ma il mio poeta favorito è l'americano Allen Ginsberg, soprattutto il suo poema "Urlo". Rimanendo nell'ambito della Beat Generation, il mio libro preferito è "Sulla strada" di Jack Kerouac. Ciò che però mi ha spinto a tornare a scuola, assetato di cultura, è stata la lettura di scrittori come Yukio Mishima e James Joyce. Soprattutto "Ulisse" ha rappresentato per me una lettura fondamentale, facendomi conoscere quello che reputo sia stato il

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più grande scrittore del Novecento. Tutti questi libri hanno inciso più o meno nel mio percorso di vita e, in qualche modo, hanno contribuito a far rinascere in me quella curiosità che, dopo aver lasciato gli studi, era entrata in un lungo letargo.

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MENZIONI SPECIALI

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MENZIONE SPECIALE PER L’ATTUALITA’ MENZIONE ROTARACT

GIULIA SALA

LICEO SCIENTIFICO “G. TERRAGNI” OLGIATE COMASCO (CO)

SAGGIO BREVE IN AMBITO SOCIO ECONOMICO (TIPOLOGIA B)

MOTIVAZIONE Il lavoro sviluppa secondo le modalità del saggio breve l’argomento La ricerca della felicità, che conduce con un taglio insolito e originale. La riflessione sui documenti mostra un non comune interesse alle problematiche economiche, pensate non in astratto, ma con uno sguardo attento a cogliere le implicanze etiche. Nell’elaborato sono sicuramente apprezzabili, accanto alla conoscenza dei classici del pensiero storico-economico, anche i riferimenti a temi di stretta attualità: il tutto esposto con grande chiarezza e precisione di linguaggio.

L’INTRODUZIONE DEL CONCETTO DI FELICITÀ NELLE MODERNE TEORIE ECONOMICHE Negli ultimi cinquanta anni sono stati pubblicati numerosi studi riguardanti il rapporto tra ricchezza e felicità che sembrano sfatare il mito secondo il quale più si è ricchi e più si è felici. Più precisamente essi indicano che oltre una certa soglia di reddito a un aumento del profitto non corrisponde la soddisfazione personale; ma, in sostanza, sembrano

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confermare ciò che il senso comune aveva intuito già da tempo: la ricchezza da sola non rende felici. Nonostante possa sembrare che questi dati rappresentino un’ovvietà, essi hanno fatto scalpore tra gli economisti i quali, per la maggior parte, davano una giustificazione etica al loro operato credendo che la ricerca sfrenata del profitto avesse anche come conseguenza un aumento del benessere personale. Questa idea, che ormai appare erronea basa il suo fondamento nelle teorie degli economisti classici di fine settecento (Smith, Ricardo, Malthus, Mill) poi in quelle degli esponenti della scuola marginalista (Walras, Pareto) e austriaca (Van Mises) e infine nella dottrina liberista adottata anche dal presidente americano Reagan a dal capo del governo inglese Margaret Thatcher, il cui massimo teorico fu Milton Friedman. Sostanzialmente esse hanno in comune un forte individualismo e l’assunto secondo il quale l’”homo oeconomicus”, soggetto assolutamente razionale, perseguendo il proprio interesse personale in un mercato caratterizzato dalla libera concorrenza avvererebbe non solo il proprio interesse, ma anche quello dell’intera società. L’applicazione di queste teorie nella moderna economia di mercato ha avuto ha avuto come risultato un sostanziale allontanamento dell’economia da istanze di tipo etico a causa dell’esclusivo interesse verso l’aumento di ricchezza. In questa ottica, si può capire l’importanza e la portata dei nuovi dati sul legame tra felicità e ricchezza nel quadro della storia del pensiero economico: essi, insieme alla crisi del 1929 e ai sempre più pressanti problemi delle disuguaglianze sociali e della povertà, hanno sfatato l’illusione di un’infinita crescita economica basata esclusivamente sul criterio del profitto e hanno scosso alle fondamenta il modello di sviluppo economico dominante per almeno settantacinque anni. Le teorie più recenti, infatti, fanno appello a concetti diversi se non completamente opposti, rispetto a quelli propri delle dottrine precedenti: esse auspicano un modello di sviluppo sostenibile, che adotti un criterio di valutazione basato più sulle qualità che sulla quantità, e che abbia obiettivi di tipo sociale (tra pochi mesi uscirà in Italia l’ultimo libro di Muhammad Yunus, ideatore del microcredito, intitolato proprio “Social business”). La più radicale tra queste moderne dottrine è quella che provocatoriamente si è autodefinita “teoria della decrescita”: essa

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denuncia che, negli eccessi di un’economia fondata sul consumo, sia stato confuso il mezzo (ricchezza) con il fine (felicità) e che quindi si sia creata una “religione della crescita” fine a se stessa riguardo alla quale bisognerebbe “diventare atei”. In virtù di quanto detto, è possibile affermare quindi che il concetto di felicità è entrato a far parte dell’economia e che oggi esistono delle teorie che prevedono come fine ultimo la sua ricerca. Questo è sicuramente un passo fondamentale, visto che oggi è proprio la logica dell’economia che regola quasi ogni tipo di relazione dell’individuo con l’esterno; è evidente però che il limite di tutto questo risiede nella sua improbabile attuazione. È già una conquista l’aver riconosciuto che “il tradimento dell’individualismo sta (…) nel far credere che per essere felici basta aumentare l’utilità*: “occorre però interrogarsi sulla possibilità di un’effettiva applicazione di nuovi modelli economici “sostenibili”. Forse, la chiave di volta di quello che è stato anche definito “un nuovo umanesimo economico” non è qualcosa di complicato né di improbabile, ma potrebbe risiedere nel principio di reciprocità perché “mentre sappiamo che si può essere dei perfetti massimizzatori di utilità anche in solitudine, per essere felici occorre essere almeno in due”*. La soluzione, quindi, potrebbe fondare un nuovo modello di relazione economica basato sulla fiducia reciproca e non sull’egoismo, sulla cooperazione e non sulla diffidenza, come si può trovare, ad esempio, all’interno dei rapporti di micro finanza. *Da “Avarizia. La Passione dell’avere” Stefano Zamagni, Bologna 2009

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MENZIONE SPECIALE PER L’ORIGINALITÀ

SARA RUOCCO

LICEO CLASSICO “G. GALILEI” LEGNANO (MI)

SAGGIO BREVE IN AMBITO ARTISTICO-LETTERARIO (TIPOLOGIA B)

MOTIVAZIONE L’elaborato si segnala per il taglio originale e per la personale capacità di lettura. Disinvolta ma pertinente e approfondita dei testi selezionati. La forma è scorrevole, l’esposizione, nella sua vivacità, è corretta e logicamente ordinata, segno di interesse e partecipazione.

“PER PIACERE”, SPIEGATECI QUESTA STRANA FORMULA

DI CORTESIA

Destinazione editoriale: rivista divulgativa non specializzata

Tra le più usate formule di cortesia, “per piacere” è un’espressione solo apparentemente innocua, ma in realtà sottilmente ambigua, lievemente ingannatrice. Queste due parole si sono guadagnate una certa popolarità nei rapporti interpersonali e, probabilmente, il primato tra i rimproveri rivolti dai genitori ai figli poco permeabili alle imposizioni del galateo. È forse il caso, però, di domandarsi se nel pantheon degli intercalari delle persone educate, non occupi forse un posto che non gli spetta. Chiediamo favori, rivolgiamo richieste, preghiamo che ci venga ceduto il passo “per piacere”. Ma per IL piacere o per UN piacere? E per piacere di chi? Di chi chiede o di chi concede? O addirittura, se quel termine “piacere” fosse da intendere come una forma verbale all’infinito, e di

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conseguenza l’intera espressione da interpretare come una proposizione finale con immaginari punti di sospensione, che cosa potrebbe mai significare? Ma soprattutto: l’uso che ne facciamo dipende, o dovrebbe dipendere, da che cosa intendiamo con la parola “piacere”: godimento fisico o spirituale? Conquista effettiva o apparente? Mi rendo conto che, probabilmente, dopo esserci posti tutte queste domande, cui pochi avranno la malsana idea di cercare una risposta, continueremo semplicemente a usarla, dopo una stizzosa alzata di spalle e senza più porci alcun inutile, cervellotico problema. Eppure, per dimostrare l’ambiguità di questa breve formula, e svelare qualche risvolto di una riflessione più attenta, ho pensato che potesse essere interessante interrogare due grandi voci, totalmente dissonanti, ma parimenti utili ai nostri scopi: quella di Giacomo Leopardi e quella di Gabriele D’Annunzio. GIACOMO LEOPARDI: “PER QUEL PIACER FIGLIO D’AFFANNO..” Domandiamoci dunque se anche Giacomo Leopardi usasse aggiungere alla formulazione delle sue richieste l’immancabile, cortese, “per piacere”. Io credo piuttosto che preferisse usare “per cortesia”, o qualche altra gentile espressione. Sarebbe stata una strana contraddizione o, se non altro, quelle parole, uscendo dalle sue labbra, avrebbero assunto un suono stridente, come di cardini non oliati, o come di unghie su una lavagna. Non avrebbe potuto farlo il Leopardi dello Zibaldone o delle Operette morali, né tantomeno il Leopardi che, nella Quiete dopo la tempesta, pur con la più musicale leggiadria, esprime una costatazione tra le più desolanti mai contenute in un verso: “piacer figlio d’affanno”. Il piacere altro non è che l’apparenza fantasmatica di una serenità guadagnata al termine di una tempesta. In alcune delle infinite pagine del suo “scartafaccio”, partendo dalla constatazione ontologica che noi uomini siamo “esseri desideranti”, con un ragionamento stringente e consequenziale , Leopardi individuava proprio nella natura del piacere (materiale, finito, irreale o immaginario come quello provocato dall’“uscire di pena”) la ragione della nostra endemica infelicità. Mi sembra allora quasi di poter vedere uno sguardo torvo, o un sopracciglio alzato, o una cinica risata modellare l’espressione del suo volto nel sentirsi rivolgere un educato “per piacere, mi passerebbe lo zucchero?”.

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Senza forzature allora potremmo immaginare che Leopardi, che fu anche un attento osservatore della società, come rivela ad esempio l’acuta analisi dei meccanismi della moda che operò nel Dialogo della morte e della moda, dove le due sono presentate come sorelle, in quanto entrambe figlie della caducità, abbia infine bandito dal suo vocabolario una formula non solo niente affatto perspicua, ma davvero così inadatta. GABRIELE D’ANNUNZIO: “PER L’INEBRIANTE PIACERE…” L’esteta Gabriele D’Annunzio avrebbe invece forse pronunciato la fatidica espressione con sguardo ammiccante di fronte a una bella signora, con fare sornione a un amico, e magari con un giusto, orgoglioso compiacimento dinnanzi a un pubblico numeroso. Dall’estremo opposto dell’universo della letteratura, nella sua immensa produzione e con la sua stessa vita, di cui, in qualità di esteta, cercò di fare un’opera d’arte, anche D’Annunzio ci ha fornito una sua “teoria del piacere”. L’idea dannunziana di “piacere” si esprime nella ricerca di un “godimento immediato” che consenta di attingere al “sommo, l’insuperabile, l’inarrivabile” (come scrive nel Piacere), quasi una sorta di sensuale rapimento, un’estasi dei sensi, sia nell’atto sessuale, sia nella fruizione di un’opera d’arte (in specie la poesia: “il verso è tutto” dice Andrea Sperelli nel Piacere”). Non dubito allora che egli abbia usato, qualche volta, la formula “per piacere”, ma credo fermamente che non lo abbia fatto con la leggerezza con cui si pronunciano di solito queste due paroline, sempre in agguato sulla punta della lingua. Non è proprio ciò che ci aspetteremmo da chi ha intitolato un intero romanzo Il piacere, un romanzo in cui ha dipinto a tinte vivissime l’immagine dell’esteta “più esteta” della letteratura italiana, dell’uomo che vive per IL piacere, supremo valore a cui sacrifica ogni altro e soprattutto la morale. Che abbia davvero scomodato un tale mito, per una tazzina di caffè addolcita? Si tratta, come è evidente, di semplici supposizioni, in equilibrio precario su un filo da equilibrista, ma utili, spero, a far riflettere sul modo strano, consuetudinario e inspiegabile con cui usiamo alcune espressioni, su quante cose diamo per scontate nel ripetere una formula. In conclusione, pregherei tutti, per piacere, di usare con parsimonia e attenzione le parole “per piacere”.

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Sommario

Presentazione del progetto “Premio Maturità” 5

Il Rotaract 11

Bando di Concorso 21

La Giuria del Concorso 24

Le Statistiche dell’Edizione 2010 28

Le Tracce 30 I Vincitori 45  Le Menzioni Speciali 60

   

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I Distretti Rotaract 2040 e 2050 ringraziano il Prof. Giuseppe Colosio, Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico per la Lombardia, per la condivisione dei principi che animano il Concorso; la Dott.sa Marisa Valagussa Dirigente dell’Ufficio Affari Generali e tutto il personale dell'Ufficio Scolastico per la Lombardia per la disponibilità; il Presidente della Provincia di Milano Guido Podestà, il Presidente del Consiglio Comunale di Milano, Manfredi Palmeri, per averci gentilmente concesso l’utilizzo del Teatro San Fedele per lo svolgimento della cerimonia di premiazione del “Premio Maturità”; la Rappresentanza a Milano della Commissione Europea, la Regione Lombardia e le Province di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Pavia, Sondrio e Varese per aver patrocinato l’iniziativa; il dott. Marco Milanesi, Presidente Programmi Rotary per le Nuove Generazioni del Distretto Rotary 2040 ed il Dott. Edoardo Costa, Delegato del Distretto Rotary 2040 per il Rotaract, per aver costantemente partecipato e supportato la nostra azione; l’Avv. Ruggero Rubino Sammartano, Past Rappresentante Distrettuale Rotaract 2040, per gli essenziali consigli e l’immancabile disponibilità; l'intera Giuria per il fondamentale lavoro profuso ed in particolare la Prof.ssa Adamo per il consueto e prezioso coordinamento nell'organizzazione anche di questa edizione del concorso; tutti gli Istituti che hanno segnalato le prove dei propri studenti ed i rispettivi Dirigenti Scolastici per aver compreso lo spirito del concorso e per aver voluto promuovere al meglio tra i Docenti e gli Studenti questa iniziativa; i Docenti per l'impegno e la dedizione con cui si occupano degli Studenti e per i risultati che riescono ad ottenere. Rivolgiamo infine un augurio ai diplomati dell’anno scolastico 2009-2010 nella speranza che possano ottenere importanti soddisfazioni nelle prossime prove della vita.  


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