+ All Categories
Home > Documents > PACORI LTC.indd 7 13/01/16 15:18 - Linguaggio Del Corpo · IL LINGUAGGIO SEGRETO DEI SINTOMI ....

PACORI LTC.indd 7 13/01/16 15:18 - Linguaggio Del Corpo · IL LINGUAGGIO SEGRETO DEI SINTOMI ....

Date post: 17-Feb-2019
Category:
Upload: vanhanh
View: 223 times
Download: 1 times
Share this document with a friend
67
PACORI LTC.indd 7 13/01/16 15:18
Transcript

PACORI LTC.indd 7 13/01/16 15:18

PACORI LTC.indd 8 13/01/16 15:18

MARCO PACORI

IL LINGUAGGIO SEGRETO

DEI SINTOMI

PACORI LTC.indd 9 13/01/16 15:18

Indice

Introduzione 1

La riabilitazione del corpo 3

Quando il corpo mette il cervello nel sacco 5

Dalla mente al corpo: la corsia d’emergenza 7

1. Un trust di cervelli dentro al corpo 11

La rivoluzionaria scoperta dei neuropeptidi 11

Attenti a quei due 14

Frattaglie senzienti 15

Cuor di leone 16

2. Pensieri, parole, emozioni 19

Che cos’è lo stress 19

Cattivi pensieri e malattie 21

La personalità e la malattia 23

Emozioni «strappacuore» 31

Un colpo al cuore 32

Cuori spezzati 36

3. Tiro a segno: la mappa dei bersagli dello stress 40

Nemici per la «pelle»... quella del cuore 40

PACORI LTC.indd 10 13/01/16 15:18

A pieni polmoni: l’apparato respiratorio 47

Lotte intestine 55

A fior di pelle 64

Darsi la zappa sui piedi: le malattie autoimmuni 75

4. Rimedi e prevenzione: una mela al giorno e non solo 85

Camminare nella natura inibisce la tendenza

a rimuginare 86

Fare jogging è uno sballo 87

Gli hobby fanno bene alla salute e al cervello 88

Fuori il rospo! 91

Scrivi che ti passa 92

Fatti un bel pianto 95

Un amico a quattro zampe contro lo stress quotidiano 97

Tutta un’altra musica 99

5. Il linguaggio dei sintomi 105

Un pensiero stampigliato sul corpo 106

Sotto la lente delle neuroscienze 107

Quando la mente mette i bastoni fra le ruote al corpo 109

Disturbi faziosi 110

Senza voce in capitolo 111

Inceppamenti: la balbuzie 116

Un nodo in gola 117

Molto rumore per nulla: l’acufene 120

Fatiche di Ercole 122

I disturbi ginecologici 127

Bandiere a mezz’asta: le disfunzioni erettili 134

La testa che scoppia: emicranie e cefalee 139

Che fare? 145

6. Il corpo «ci parla» 147

Certe sensazioni sono universali 147

PACORI LTC.indd 1 13/01/16 15:18

Con il cuore in mano: l’enterocezione 152

Muscoli ciarlieri: la propriocezione 153

L’insula che non c’è 154

Le sensazioni corporee sono cartine di tornasole 155

Il corpo ha le premonizioni 155

La teoria dei marcatori somatici 158

La percezione del pericolo dipende dal terzo occhio 160

La paura si annida nel cuore 163

7. Echi dal profondo 165

Al fresco 167

Effetto geyser 175

Affari di cuore 182

La trippa «rizza» le antenne 184

I muscoli ne sanno una più del diavolo 186

Pile esaurite: l’affaticamento surrenale 189

Esercizi di «potenziamento» 192

Favorire le intuizioni 199

Bibliografia 203

Ringraziamenti 225

PACORI LTC.indd 2 13/01/16 15:18

Introduzione

La tradizione, la cultura e il pensiero filosofico ci hanno indotti a

pensare che mente e corpo siano due entità distinte e separate.

Eppure, fino al Diciannovesimo secolo buona parte dei «dottori»

riteneva che ci fosse uno stretto legame tra emozioni e malattie, al

punto da consigliare ai pazienti di recarsi in stazioni termali o balneari

o di ricorrere all’omeopatia al fine di ritrovare un equilibrio emotivo

e, di riflesso, rendere l’organismo più efficiente nel fronteggiare le

afflizioni del corpo.

Questo approccio ha gradatamente ceduto il posto alle scoperte

scientifiche che hanno messo in luce il ruolo di microrganismi e

tossine nello sviluppo delle malattie.

Il nuovo panorama ha visto anche l’impiego di antibiotici, anal-

gesici e antinfiammatori.

Solo in tempi relativamente recenti la concezione che mente

e corpo siano interconnessi e si influenzino a vicenda è tornata in

auge, favorendo lo sviluppo di un moderno concetto di malattia e

di discipline come la PNEI, la psiconeuroendocrinoimmunologia,

che ha evidenziato come cervello, sistema ghiandolare e immunitario

siano strutture intercomunicanti, tra le quali c’è un flusso continuo

di informazioni. L’encefalo e quella che si supponeva fosse solo «manovalanza»

1

PACORI LTC.indd 3 13/01/16 15:18

(organi, muscoli e ossa) sono infatti in costante interazione grazie

alla produzione e allo scambio di molecole dette neuropeptidi (delle

quali parleremo a fondo tra qualche pagina).

Questa visione, che si riallaccia alle pratiche curative olistiche

come la medicina tradizionale cinese, l’agopuntura e i fiori di Bach,

ha preso sempre più piede grazie a recenti studi che hanno dimostrato

come stress, personalità, atteggiamenti eccetera possano influenzare o

essere la causa di una malattia e viceversa, ovvero che alcune malattie

portino allo sviluppo di disturbi emotivi e psichiatrici.

È così che medicina e psicologia, che tradizionalmente si occupa-

vano di ambiti diversi – rispettivamente, l’organismo e la mente –,

hanno dovuto lasciare spazio a un nuovo modello che fosse in grado

di integrarle.

Un processo, questo, di crescita e cambiamento che nessuno

specialista della salute dovrebbe ignorare e che personalmente, da

psicoterapeuta, mi ha portato a sviluppare un nuovo approccio pro-

fessionale e ad approfondire e ampliare le mie conoscenze.

Questa necessità è maturata in me gradatamente, quando ho

cominciato a prendere coscienza che le persone che mi cercavano

per risolvere disagi psicologici spesso lamentavano anche disturbi

fisici.

Il fatto che le due sfere fossero le facce di una stessa medaglia mi è

apparso chiaro quando mi sono reso conto che queste «coincidenze»

erano troppo ricorrenti per essere casuali; inoltre, ho realizzato che

i miglioramenti o i peggioramenti di una problematica emotiva o

fisica viaggiavano su binari paralleli.

Da queste constatazioni è nata la necessità di confrontarmi con

professionisti di altri settori – medici, osteopati, agopuntori, iridologi

eccetera – che potessero aiutarmi a comprendere la complessità e le

sfaccettature delle problematiche che mi trovavo ad affrontare nel

mio lavoro.

Parallelamente, ho sentito il bisogno di tenermi al passo con

le scoperte scientifiche che, grazie a ingegnosi esperimenti e in-

2

PACORI LTC.indd 4 13/01/16 15:18

novative tecnologie, mettevano sempre più a fuoco le connessioni

mente-corpo.

Questo libro ripercorre, seppure in modo più strutturato, il mio

cammino in questo senso: al suo interno, il lettore troverà citati gli

studi che mi hanno aperto gli occhi e i casi clinici che più hanno

contribuito a modificare le mie prospettive sul concetto di salute.

La riabilitazione del corpo

Esperienze come le guarigioni miracolose, l’effetto placebo – quello

per cui una sostanza farmacologicamente inattiva ci può far guarire

per autosuggestione – o nocebo – quando la sola convinzione che

qualcosa ci procuri dei danni può farci ammalare sul serio – hanno

alimentato l’idea di una presunta supremazia della mente sul corpo.

Le moderne scoperte sulle interazioni fra mente e corpo non solo

hanno sfatato questa teoria, ma hanno dimostrato che, in modo non meno efficiente, anche il corpo può influenzare il cervello.

È stato provato, per esempio, che camminare seguendo percorsi

irregolari può aumentare la nostra creatività, stringere un pugno può

accrescere costanza e determinazione, assaggiare una bevanda dolce

può renderci più romantici e sedere su una sedia traballante mentre

parliamo del nostro rapporto di coppia ce lo fa percepire più instabile.

Già Freud aveva intuito questi effetti, utili per consentire ai

pazienti di lasciar fluire liberamente i pensieri (le cosiddette «libere associazioni»).

Per facilitare questo atteggiamento mentale, li invitava a sdraiarsi

su un lettino posizionato in modo che il paziente non vedesse lo

psicoanalista. In questo modo faceva sì che la persona si sentisse più

rilassata, quindi più incline a seguire un filo non logico, e al tempo

stesso più disinibita, dimenticandosi della presenza dell’analista.

Questo intreccio mente-corpo ha permesso di comprendere che

il pensiero (espresso con le parole) è tutt’altro che astratto e che, per

3

PACORI LTC.indd 5 13/01/16 15:18

essere elaborato e compreso, ha spesso bisogno di basi che affonda-

no le proprie radici nell’esperienza sensoriale: se diciamo che una

faccenda è «piccante» automaticamente la associamo alla sensazione

di bruciore al palato che ci può dare il peperoncino. Questo abbi-

namento non solo rende bene il concetto, ma fa sì che chi ci ascolta

avverta realmente questa sensazione; in altre parole, nel suo cervello

si attiveranno due aree: quella della comprensione linguistica e quella

che registra il senso del gusto.

Il processo è a doppio binario: così, se offriamo a qualcuno una

pietanza condita con la paprika e poi gli parliamo di una serata

trascorsa con una persona che ci piace, il nostro interlocutore sarà

indotto a pensare che l’incontro abbia avuto dei risvolti «piccanti».

Questo schema di funzionamento del sistema integrato mente-

corpo, intuito dal linguista George Lakoff, ha trovato negli ultimi

dieci anni numerose conferme sperimentali e prende il nome di «cognizione incarnata» o «intelligenza corporea».

Ne abbiamo fatto alcuni esempi, ma citiamo anche brevemente

qualche ricerca che illustra il modo in cui questi assunti sono stati

dimostrati scientificamente.

Uno studio condotto da un’équipe del dipartimento di psicologia

e scienze del cervello del Dartmouth College di Hanover, negli Stati

Uniti, si è posto l’obiettivo di verificare se bloccando la mimica emo-

zionale del volto si potesse inibire la risposta cerebrale alle emozioni.

Per farlo è stata indotta la paralisi del muscolo corrugatore della

fronte – implicato nelle espressioni di tristezza, rabbia, disgusto

eccetera – con il botulino, la stessa tossina usata in medicina estetica per «spianare» le rughe.

Monitorando l’effetto con l’MRI, l’imaging a risonanza magnetica

che permette di visualizzare l’attività cerebrale, i ricercatori hanno

constatato che questo escamotage inibiva la reattività dell’amigdala

(la struttura cerebrale maggiormente implicata nell’elaborazione emo-

tiva) durante la visione di facce atteggiate a un’espressione di collera.

In un’indagine affine, condotta da Shwetha Nair, Mark Sagar,

4

PACORI LTC.indd 6 13/01/16 15:18

John Sollers assieme ad altri colleghi dell’Università di Auckland,

sono stati coinvolti 74 partecipanti, chiamati a svolgere un compito

particolarmente complesso e snervante.

Metà del gruppo doveva effettuare il test sedendo su una poltrona

sfondata, in cui si tendeva a sprofondare, gli altri in posizione eretta.

Una volta completato il test, i partecipanti hanno compilato un

questionario per valutare il proprio stato d’animo e la fiducia in sé: è

risultato che quelli che erano rimasti in piedi dichiaravano un livello

di autostima e uno stato di eccitazione e di buon umore maggiori,

nonché una condizione d’ansia minore rispetto agli altri partecipanti.

Inoltre, in quelli seduti sulla poltrona sformata è stata rilevata

anche una pressione arteriosa più alta, condizione tipica di chi è sottoposto a stress.

Analogamente, Laura Thomas e Alejandro Lleras, ricercatori del

Beckman Institute, hanno scoperto che la direzione dello sguardo,

in soggetti impegnati nello svolgimento di un test, influisce sulla

capacità di risolvere i problemi.

Il loro esperimento ha dimostrato che il movimento degli occhi

non è solo un riflesso dei processi cognitivi, ma contribuisce anche

a migliorarli o peggiorarli.

Quando il corpo mette il cervello nel sacco

Se anche la singola contrazione di un muscolo o la sua assenza, le

posture e le sensazioni fisiche sono in grado di influenzare le funzioni

«superiori», possiamo solo immaginare cosa potrebbe succedere qua-

lora la funzionalità di un intero organo o lo stato di salute generale

di ciascuno di noi siano compromessi in maniera seria.

È il caso, per esempio, dei dolori cronici che, alla lunga, stremano

la nostra capacità di reggere lo stress e provocano ansia, depressione,

irritabilità, incapacità di concentrazione eccetera. Anche le malattie autoimmuni, un sistema immunitario inde-

5

PACORI LTC.indd 7 13/01/16 15:18

bolito o disturbi cardiocircolatori possono alterare la chimica del

cervello e portare persino allo sviluppo di malattie mentali.

Accade con la celiachia, un’intolleranza alimentare causata da

una reazione autoimmune al glutine: in un sottogruppo di individui

che ne sono affetti, questo complesso proteico, oltre a provocare

un’infiammazione dell’intestino tenue, può intaccare direttamente

il cervello, causando disturbi mentali e anomalie cerebrali.

Quando questo si verifica gli anticorpi che reagiscono al glutine

sono tratti in inganno dal fatto che la proteina del glutine assomiglia

ad alcune strutture proteiche presenti nei neuroni.

A causa di questo «fraintendimento», finiscono per aggredire

anche il sistema nervoso, arrivando a provocare disturbi dell’umore

e perfino, sembra, episodi psicotici.

Anche il diabete può portare ad alterazioni dell’attività cerebrale.

Gail Musenâ, assieme ad altri ricercatori, è stato il primo a iden-

tificare variazioni di densità della materia grigia procurate dal diabete

mellito di tipo 1, quello congenito, una malattia autoimmune in cui

vengono prodotti anticorpi che distruggono le cellule del pancreas

che secernono l’insulina, un ormone che regola il livello degli zuc- cheri nel sangue.

I risultati di questo studio hanno suggerito che una glicemia (la

concentrazione di zucchero o glucosio nel sangue) alta e persistente,

causata appunto dal diabete, possa modificare le strutture nervose. La riduzione del volume di materia grigia riscontrata era modesta

e non comportava necessariamente un deterioramento delle facoltà

di pensiero; tuttavia, coinvolgeva zone critiche, come le aree della

memoria, i centri dell’attenzione e dell’elaborazione del linguaggio.

Studi successivi hanno messo in risalto che la degenerazione delle

cellule cerebrali, in risposta allo squilibrio del tasso di zuccheri, è

invece presente in persone che, da almeno una decina d’anni, sono affette da diabete di tipo 2, quello che insorge in età adulta.

In questi soggetti, i danni sono seri, al punto da intaccare l’auto-

controllo, la capacità di prendere decisioni e quella di espressione.

6

PACORI LTC.indd 8 13/01/16 15:18

Quando siamo frustrati e rabbiosi diciamo che ci rodiamo il fegato;

lo stesso organo però, in caso di malfunzionamento, può provocare

difficoltà cognitive e di espressione, incubi, insonnia, irrequietezza

e perfino gravi alterazioni della personalità.

Questa sindrome è causata dalle tossine che in condizioni normali

il fegato riverserebbe nella bile o nei reni per farle espellere dall’orga-

nismo e che invece, se questo organo va «in panne», filtrano nel flusso

sanguigno e da qui raggiungono il cervello.

Anche le malattie del sangue, peraltro, possono deteriorare le

funzioni cerebrali: lo dimostra uno studio, finanziato dal National

Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI), che ha impegnato un

nutrito gruppo di medici.

I ricercatori hanno valutato le capacità cognitive di 149 adulti

di età compresa tra i 19 e i 55 anni, affetti da anemia falciforme, a

paragone con 47 soggetti sani. Ne è risultato che, in misura doppia rispetto ai partecipanti in

salute, in chi era stata riscontrata quest’anomalia del sangue, soprat-

tutto se maturi, le capacità logiche erano più basse rispetto alla media

e i livelli di emoglobina (la proteina presente nei globuli rossi che

trasporta l’ossigeno ai tessuti) erano inferiori alla norma.

La causa, secondo gli studiosi, è proprio la ridotta dimensione

dell’emoglobina, che in questa malattia ha approssimativamente una

forma a mezza luna e, soprattutto, è povera di ossigeno, il che alla

lunga può provocare «guasti» in tutto l’organismo, cervello com-

preso.

Dalla mente al corpo: la corsia d’emergenza

L’idea che esperienze di vita, traumi, atteggiamenti ed emozioni

potessero provocare una condizione di malattia o vulnerabilità dell’or-

ganismo è stata il presupposto della medicina psicosomatica. Studi recenti hanno dimostrato che la questione è però più com-

7

PACORI LTC.indd 9 13/01/16 15:18

plessa, dal momento che mente e corpo non sono strutture distinte,

ma parti di un’unica entità.

Nel paragrafo precedente abbiamo visto che le malattie possono

condizionare il cervello, ma è vero anche il contrario.

La connessione tra gli organi e la «testa» è molto stretta e mediata

da un circuito che coinvolge sistema nervoso centrale, endocrino

(le ghiandole) e immunitario: il nome di questo complesso è asse

ipotalamo-ipofisi-surrene o HPA. Questa «coalizione» è composta da una struttura cerebrale

– l’ipotalamo, che governa i processi emotivi e il cui nucleo centrale è

l’amigdala –, una ghiandola «madre» – l’ipofisi – e altre due ghiandole

che si trovano sopra i reni, che prendono il nome appunto di surreni.

Queste ultime «sfornano» il prodotto finito: gli ormoni adrenalina

e cortisolo.

Questi due messaggeri coordinano le strutture e le funzioni del

corpo per prepararsi a un’eventuale reazione di attacco o di fuga

(il sangue affluisce maggiormente ai muscoli e al cervello, il cuore

batte più velocemente, aumentano i globuli bianchi per contrastare

possibili infezioni eccetera).

La «chiamata alle armi» che avviene nel nostro corpo è estre-

mamente efficace se lo stimolo è qualcosa che si può fronteggiare

nell’immediato; se però si trasforma in una sorta di estenuante «guerra

di trincea», le «truppe» perdono prontezza, reattività ed efficacia e

l’organismo inizia a risentire di questa condizione, predisponendosi

alla malattia.

Inoltre, la condizione di sovraeccitazione del sistema immunitario

provoca uno stato cronico di infiammazione dei tessuti, aprendo la

strada a malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide o la fibro-

mialgia.

Tutto il nostro corpo ne risente, tanto che sembra che uno dei

fattori scatenanti dell’arteriosclerosi sia un’aggregazione delle piastrine

(le cellule che bloccano le emorragie) che, quando lo stress è eccessivo,

si depositano sulle pareti delle arterie.

8

PACORI LTC.indd 9 13/01/16 15:18

* * *

Quando avevo circa 10 anni ho visto in tv un film dal titolo

Viaggio allucinante, che raccontava di una navicella miniaturizzata

che veniva iniettata nel corpo di un uomo, consentendo di vedere

la fisiologia in azione: è stata la mia personale folgorazione «sulla

strada di Damasco».

Anni dopo, diventato adulto e indossati i panni dello psicotera-

peuta, ho provato lo stesso senso di meraviglia scoprendo, prima nella

pratica clinica e poi nelle pubblicazioni scientifiche, le strabilianti

connessioni tra mente e corpo (è stato come tastare in prima persona

le interazioni chimiche tra psicologia e biologia).

Ed è proprio questo senso di stupore che mi auguro di trasmettere

al lettore, ripercorrendo assieme a lui i passi di questo percorso di

conoscenza.

9

PACORI LTC.indd 11 13/01/16 15:18

1

Un trust di cervelli dentro al corpo

La rivoluzionaria scoperta dei neuropeptidi

Nei primi anni Settanta Candace Pert, neuroscienziata e psico-

farmacologa, ha scoperto che i neurotrasmettitori (i mediatori chi-

mici prodotti dalle cellule cerebrali) e gli ormoni (le secrezioni delle

ghiandole) fanno parte di una macrocategoria nota con il nome di

neuropeptidi.

Questi «messaggeri», prodotti da tutte le cellule del corpo, pre-

sentano dei punti di attracco, detti recettori, in diverse zone della

membrana cellulare esterna. La studiosa ha infatti rilevato sulla superficie delle cellule la

presenza di recettori degli oppiacei (le endorfine, l’omologo endo-

geno della morfina); successivamente molti altri ricercatori hanno

indagato queste sostanze e i loro «agganci» nell’intero corpo, sco-

prendo che i neuropeptidi circolano in tutti i fluidi corporei: nel

sangue, nel sistema linfatico, negli spazi extracellulari e nel liquido

cerebrospinale. Da tempo si sapeva che i neurotrasmettitori interagiscono con gli

ormoni (una classe di neuropeptidi piuttosto grande), oggi siamo a

conoscenza anche che il sistema immunitario possiede dei canali di

ingresso per i neuropeptidi e che invia di rimando un feedback al

cervello attraverso l’emissione di citochine (proteine che provocano

l’infiammazione).

11

PACORI LTC.indd 12 13/01/16 15:18

Tutti i tessuti del corpo sono impregnati di neuropeptidi: li cap-

tano e li rilasciano.

È il caso, per esempio, del grasso corporeo: fino a una ventina di

anni fa si riteneva che la sua funzione fosse esclusivamente quella di

garantire un «magazzino» per lo stoccaggio di riserve energetiche e

di fornire al corpo una sorta di «coperta scaldasonno».

Nuovi studi hanno sovvertito questa convinzione, mettendo in

risalto come la ciccia sia un vero e proprio organo che contribuisce

attivamente ai processi metabolici dell’organismo; inoltre, produce

numerosi peptidi, come la leptina, che informano il cervello sulle

scorte di energia. Il tessuto adiposo, poi, è sensibile allo stress: quando l’individuo

è sotto pressione, il cervello secerne una maggior quantità di neuro-

peptide Y, che ha degli specifici recettori proprio nel grasso. Lo

sblocco del meccanismo di autoregolazione provoca un aumento di

dimensione delle cellule adipose e della loro quantità: detto altrimenti,

fa inciccionire.

Un processo analogo avviene con il cortisolo: quando è in ecces-

so a causa dello stress, induce il cervello a pensare di trovarsi in un

periodo di «vacche magre»; il grasso viene così liberato da fianchi e

natiche e accumulato nell’addome, dove funge da scorta (come la

gobba per i cammelli). Inoltre, la presenza di questo ormone stimola

un enzima che induce il cortisone inattivo nei «rotolini» della pancia

a trasformarsi in cortisolo, il quale, a sua volta, stimola un’ulteriore

produzione di grasso. Questo processo non è affatto innocuo, anzi,

fa aumentare il rischio di disturbi cardiocircolatori, di infarto e la

possibilità di sviluppare il diabete.

Si è scoperto che il fegato possiede dei recettori e rilascia il neuro-

peptide CRH (ormone di rilascio della corticotropina), lo stesso che,

generato dall’ipofisi, innesca il processo che porta alla secrezione di

cortisolo e adrenalina, gli ormoni dello stress.

Anche il pancreas secerne il neuropeptide Y che modifica la mo-

tilità intestinale. L’esercizio fisico induce la secrezione nei muscoli

12

PACORI LTC.indd 13 13/01/16 15:18

di un enzima che consente la sintesi di anandamide, un equivalente

endogeno della marijuana.

La sua molecola è sufficientemente piccola da passare la barriera

ematoencefalica (il filtro che impedisce a molte sostanze di entrare

nel cervello) e i suoi effetti comprendono l’innalzamento della so-

glia del dolore, la riduzione dell’ansia e una generale sensazione di

benessere e quiete.

La pelle, il cuore e l’intestino possiedono un vero e proprio «ar-

senale» di neuropeptidi. Il traffico di questi messaggeri è intenso e non si attiva solo in

condizioni di stress, ma anche quando proviamo emozioni positive.

I medici americani Michael Miller e William Fry hanno scoperto, per

esempio, che le endorfine rilasciate dal cervello in risposta alle

risate provocano la produzione di ossido nitrico, che attiva una serie

di reazioni a cascata come la vasodilatazione delle arterie e la ridu-

zione dell’aggregazione delle piastrine nel sangue, abbassando così i

potenziali rischi cardiovascolari.

È stato inoltre dimostrato che l’allegria produce effetti positivi

anche sul sistema immunitario. Lee Berk, presidente del Berklee

College of Music, assieme ad altri studiosi, ha rilevato che ridere

permette di migliorare l’efficienza di diversi anticorpi critici e delle

cellule natural killer (NK) che difendono l’organismo dalle malattie.

Anche un contatto fisico amorevole ha un potente effetto sulla

salute: ricevere un abbraccio dal proprio partner aumenta i livelli

di ossitocina, nota come «l’ormone dell’amore», procurando effetti positivi sulla pressione e calmanti sul sistema nervoso.

Gunter Kreutz e altri ricercatori della Carl von Ossietzky Uni-

versität Oldenburg in Germania hanno scoperto che il canto corale

provoca benefici sia allo stato d’animo sia alla salute.

Dal loro studio è emerso che cantare assieme ad altre persone non

solo mette di buon umore, ma aumenta i livelli di immunoglobu-

lina A, un anticorpo «specializzato» nel combattere agenti patogeni

estranei, come i batteri.

13

PACORI LTC.indd 14 13/01/16 15:18

Attenti a quei due

In questo traffico di mediatori chimici ci sono due organi che

svolgono un ruolo chiave nella conservazione dell’equilibrio e, più in

generale, nel mantenimento della salute e della stabilità psicologica:

l’intestino e il cuore.

Questi organi sembrano avere poco in comune tra loro e meno

ancora con il cervello; invece, recenti scoperte delle neuroscienze

hanno dimostrato che sono dotati di un sofisticato sistema neurale

che li rende «consanguinei».

Le indagini effettuate hanno rivelato che questi visceri possiedono

sorprendenti livelli di memoria e intelligenza; inoltre, un numero

crescente di dati sperimentali ha confermato che questi cervelli «di

serie B» sono profondamente coinvolti nel controllo e nella gestione

di numerose funzioni mentali e fisiche.

Non bisogna dimenticare che l’intestino è la centrale elettrica

del nostro organismo: tutta l’energia del corpo deriva dal buon

funzionamento delle interiora. Il solo cervello utilizza circa il 25%

dell’energia totale di cui necessita il corpo, e questa è fornita proprio

dalle «tubature» compresse nel nostro addome.

Quindi è di vitale importanza mantenere un buon equilibrio

intestinale per restare in salute, sia fisicamente sia mentalmente.

Come vedremo, i probiotici intestinali sono in grado di agire

sul cervello, tanto da essere indicati nella cura di malattie come la

depressione o l’ansia.

Questi stessi batteri si sono dimostrati capaci di influenzare la

salute del cuore, modificando la massa corporea, i trigliceridi e il

colesterolo in circolo.

Lo documenta un’indagine guidata da Jingyuan Fu, docente di

genetica presso l’University Medical Center di Groningen, nei Paesi

Bassi. I ricercatori hanno esaminato i dati relativi a circa 900 par-

tecipanti, maschi e femmine, di età compresa tra i 18 e gli 80 anni.

Ogni soggetto è stato pesato e a ognuno è stato fatto un prelievo

14

PACORI LTC.indd 15 13/01/16 15:18

di sangue per misurare i livelli di colesterolo HDL («buono») e LDL

(«cattivo»), di colesterolo totale e di trigliceridi.

È stata inoltre eseguita un’analisi dei loro campioni fecali per

identificare i diversi ceppi di batteri e la ricchezza della colonia di

microrganismi intestinali presenti in ogni individuo.

I volontari hanno compilato dei questionari relativi alla loro

dieta, alle loro abitudini di vita, alla loro storia medica e ai farmaci

che stavano assumendo, tutti fattori in grado di alterare la quantità

e il tipo di flora intestinale.

I ricercatori hanno identificato all’interno del tratto digestivo

umano 34 microrganismi che possono influenzare peso corporeo e

lipidi nel sangue.

Inoltre hanno scoperto un’associazione tra batteri intestinali, livelli

di trigliceridi (grassi) e di colesterolo e peso: tutti potenziali fattori

di rischio per i problemi cardiocircolatori.

Frattaglie senzienti

In media, un cervello contiene circa cento miliardi di neuroni

ed è la sede della nostra coscienza: un capolavoro di «ingegneria

biologica»! Ma anche l’intestino, l’organo più bistrattato del nostro

organismo, non scherza: le sue cellule nervose, oltre cento milioni,

se venissero raggruppate raggiungerebbero la dimensione del cervello

di un gatto.

Le tanto sottovalutate interiora sono in costante contatto con il

cervello grazie a una comunicazione di tipo elettrico che passa per

il nervo vago (una specie di cavo dell’alta tensione del nostro corpo,

per la sua lunghezza e per gli organi che attraversa) e di tipo chi-

mico, mediante la produzione di neuropeptidi: si pensi che il 95%

della serotonina (il neurotrasmettitore reso maggiormente presente

nel cervello grazie all’assunzione degli antidepressivi) è prodotto

proprio dall’intestino. La maggior parte dei neurotrasmettitori del

15

PACORI LTC.indd 16 13/01/16 15:18

tratto gastrico è impegnata nel processo digestivo; tuttavia, recenti

ricerche hanno rivelato che esiste una fitta trasmissione in direzione

del cervello, ben più intensa dell’inverso.

Un altro messaggero chimico, il neuropeptide S (coinvolto nella

sindrome del colon irritabile), e il suo recettore sono stati rilevati nel

colon e nell’intestino tenue; proprio come il neuropeptide Y che,

prodotto nel «tubo digerente», una volta raggiunto il cervello riveste

un importante ruolo nella regolazione dell’ansia, dell’umore e della

capacità di adattamento allo stress.

La stessa flora batterica intestinale ha un peso notevole nei disturbi

emotivi e psichiatrici.

Stephen Collins, ricercatore di gastroenterologia presso la McMa-

ster University di Hamilton, nell’Ontario, ha rivelato, per esempio,

che la presenza dei ceppi di due batteri, il lactobacillus e il bifido-

bacterium, riscontrati anche all’interno delle viscere umane, riduce

l’irrequietezza nei topi.

Collins e Premysl Bercik hanno raccolto dei batteri intestinali

provenienti da topi irrequieti e li hanno trasferiti su un gruppo di

roditori «pacati». Il risultato? Anche questi ultimi sono diventati agitati.

Una ricerca condotta su pazienti umani afflitti dalla «sindrome da

stanchezza cronica» (di cui parleremo più avanti) ha dimostrato che

chi aveva assunto capsule contenenti probiotici (Lactobacillus casei)

tre volte al giorno aveva ottenuto un significativo sollievo dall’ansia rispetto a coloro ai quali era stato somministrato un placebo.

Cuor di leone

Il muscolo cardiaco è uno degli organi più importanti del corpo

umano: scandisce l’inizio e la fine della vita; un embrione si dice «vivo»

quando il cuore comincia a battere, e la vita termina nel momento

in cui smette di farlo. Quest’organo ha quasi due miliardi di cellule muscolari ed è

16

avviluppato in un’intricata «compagine» nervosa composta da oltre

40.000 neuroni e gangli (aggregazioni di cellule nervose): i neuroni

del cuore sono pochi a confronto con quelli intestinali, ma questa

«matassa» trasmette molteplici segnali al cervello, riuscendo perfino

a condizionarne il funzionamento.

L’interazione cuore-mente avviene sia tramite impulsi elettrici

(attraverso il nervo vago e il fascio nervoso che affonda le proprie

terminazioni nel midollo spinale), sia per mezzo di segnali chimici.

Il cuore è anche una ghiandola endocrina: produce peptidi che

regolano la modulazione della pressione arteriosa e migliorano il fun-

zionamento dei reni; inoltre, è il più grande produttore di ossitocina.

Non basta. Il cuore genera un campo magnetico cinquemila volte

più potente rispetto a quello generato dal cervello.

In linea con questo effetto, si è appurato che il potenziale elettrico

misurato da un elettrocardiogramma (ECG) è circa sessanta volte

più ampio di quello emesso dalle onde cerebrali registrate da un

elettroencefalogramma (EEG).

Sulla base degli studi condotti dall’HeartMath Institute è stato

possibile dimostrare che questo forte campo elettromagnetico può

essere rilevato e misurato a diversi metri di distanza dal corpo.

Inoltre, quando le persone si toccano o sono vicine si verifica un

trasferimento di energia elettromagnetica dall’una all’altra.

Anche se sono necessarie ulteriori ricerche per valutare l’effetto

di un simile passaggio di energia, le implicazioni di queste indagini

sono estremamente importanti.

Numerose pratiche come il tocco terapeutico, il Qigong e il reiki

si basano sul presupposto che si possa produrre una guarigione pro-

prio attraverso uno scambio di energia. Le ricerche su questi metodi

hanno esaminato però il campo elettromagnetico delle mani, che è

considerevolmente meno potente rispetto a quello del cuore. I biologi Chien Chin-Hsiang e Julia Tsuei della National Yang-

Ming University, insieme ad altri colleghi, hanno analizzato le varia-

zioni della radiazione infrarossa misurata sul palmo della mano di un

17

PACORI LTC.indd 18 13/01/16 15:18

esperto di Qigong, la disciplina orientale che incrementa l’equilibrio

e l’energia (il Qi, appunto) nell’organismo.

Da questo studio è emerso che l’imposizione delle mani del maestro

su una coltura di cellule in vitro aveva prodotto una modificazione

della crescita cellulare: la sintesi del DNA era aumentata del 10-15%

nell’arco di ventiquattr’ore, e la sintesi delle proteine del 3-5% dopo

due ore di esposizione al Qi «facilitante», che provoca una rigenera-

zione. Negli stessi intervalli di tempo, il Qi «inibente», che induce

una remissione, aveva provocato invece una riduzione della sintesi

del DNA del 20-23% e un decremento della sintesi delle proteine

del 35-48%.

Come detto, allo stato attuale della ricerca non possiamo conclu-

dere con certezza che lo stesso avvenga con il campo magnetico del

cuore, anche se sembra altamente probabile.

Quello che invece è noto è che il disagio psicologico si propaga

nell’organismo attraverso la mediazione di specifici neuropeptidi

e l’eccitazione delle fibre nervose, provocando l’irregolarità di un

parametro noto come «variabilità del ritmo cardiaco» o HRV.

Con questa sigla si indica l’intervallo che intercorre fra un bat-

tito e l’altro: se siamo in pericolo è normale che il cuore pompi più

velocemente, mentre se siamo tranquilli le pulsazioni sono più lente.

Ciò che conta, indipendentemente dalla frequenza, è che tra

battito e battito si registri lo stesso lasso di tempo; quando questo si

fa discontinuo e sregolato è segno che ci troviamo in una situazione di conflitto o di stress.

L’intermittenza invia dei segnali al cervello, generando uno scom-

penso ancora maggiore; in sostanza, siamo di fronte a un circolo

vizioso che pregiudica la capacità del nostro organismo di mantenere

integrità e armonia.

18

PACORI LTC.indd 2 13/01/16 15:18

La personalità e la malattia

Il carattere, inteso come l’insieme dei tratti distintivi di un in-

dividuo, è il fattore che può predisporre a una maggiore o minore

salute e longevità.

È noto, per esempio, che i soggetti rancorosi, ambiziosi e severi

sono più esposti ai disturbi cardiovascolari e presentano un maggior

rischio d’infarto. Non sempre, però, la conclusione è così ovvia:

una ricerca ha dimostrato, per esempio, che gli individui dall’indole

giocosa e allegra hanno una più alta probabilità di morire giovani.

Questo dato, apparentemente contraddittorio, è connesso al fatto

che le persone con questo temperamento tendono a sottovalutare il

rischio e quindi, in caso di situazioni pericolose, a non prendere le

dovute cautele.

Analogamente, ci si aspetterebbe che le persone impulsive siano

più a rischio d’incidenti; in realtà, il più grande pericolo per la loro

salute è l’ulcera peptica.

I ricercatori dell’Istituto finlandese per la salute sul lavoro hanno

esaminato più di 4.000 persone e hanno scoperto che le più irruente

presentavano una probabilità 2,4 volte più alta di sviluppare questo

disturbo. Ciò si spiega con il fatto che gli individui con questo tempera-

mento sono più suscettibili e producono più succhi gastrici, che

predispongono all’insorgenza dell’ulcera.

Gli studiosi dell’Università del Galles hanno rilevato che gli im-

pulsivi tendono a mangiare più in fretta, un’abitudine poco salubre

per i loro stomaci.

Nel bene e nel male, le disposizioni del carattere incidono in

maniera cruciale sull’efficienza del sistema immunitario. In uno

studio guidato da Ignacia González-Quijano Díaz, dell’Università

Complutense di Madrid, i ricercatori si sono posti l’obiettivo di

accertare se esistesse una relazione tra vicissitudini personali, tratti

caratteriali e risposta dei linfociti T (il tipo di globuli bianchi più

importante nella soppressione dei virus) a una sostanza che ne sti-

molava la proliferazione: la fitoemoagglutinina.

Il primo dato emerso era prevedibile: chi aveva avuto un’esistenza

segnata da lutti, drammi e sofferenze mostrava una reattività modesta

a questa sostanza.

PACORI LTC.indd 3 13/01/16 15:18

Ma l’esito più sorprendente è stata la scoperta che sono i tratti

caratteriali a regolare l’impatto dello stress sull’immunità naturale.

Gli individui che si dimostravano indipendenti e anticonformisti

nonostante il loro passato difficile rispondevano bene alla sostanza

somministrata e possedevano alti livelli di globuli bianchi.

Per contro gli individui ansiosi, a prescindere dalla drammaticità

del loro passato, reagivano in modo debole alla fitoemoagglutinina

e la percentuale dei loro linfociti era notevolmente più bassa.

Sembra che il parametro caratteriale «indipendenza/dipendenza»

rivesta un ruolo fondamentale nel determinare la forza delle difese

dell’organismo.

Nello studio condotto dall’austriaco Ulrich Kropiunigg, per

esempio, i ricercatori hanno sottoposto un campione di individui

eterogenei a una situazione moderatamente stressante.

Confrontando i questionari di personalità con la conta dei linfociti,

prima e dopo la prova, è emerso che gli individui più dipendenti e

con un esagerato bisogno di sostegno morale avevano riportato una

diminuzione significativa dei linfociti T e, in particolare, di quelli

appartenenti alla classe degli helper, le «truppe d’appoggio» nella

lotta contro le infezioni.

La stima di sé è uno dei cardini di una personalità forte e stabile.

Chi ha un’alta considerazione di se stesso è anche poco influenzato

dal giudizio altrui, meno conformista e più tenace nel sostenere le

proprie idee e principi, anche se sottoposto a pressione sociale.

L’effetto di questa predisposizione si riflette anche sulla capacità

di difesa del sistema immunitario. Uno studio di Timothy Strauman, Andrine Lemieux e Christopher

Coe pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology ha provato

che gli individui con minor stima di sé, se sottoposti a una valutazione

negativa, riportano un netto calo dell’attività dei linfociti NK.

L’esposizione al rifiuto e ai pregiudizi sono due realtà con cui certe

categorie di persone devono continuamente scontrarsi; è il caso, per

esempio, degli omosessuali, specie se sieropositivi.

Una ricerca dello psicologo Gilbert Cole ha dimostrato che i gay

dichiarati hanno un sistema immunitario più forte rispetto a quelli

che nascondono le loro inclinazioni sessuali.

PACORI LTC.indd 4 13/01/16 15:18

Il loro atteggiamento riduce addirittura la virulenza dell’HIV

e ritarda la diagnosi di AIDS conclamata, mentre gli omosessuali

particolarmente sensibili alla riprovazione sociale mostrano una più

rapida diminuzione dei linfociti T helper (quelli nei cui siti si «annida»

il virus) e una minor resistenza alla malattia.

Ottimismo e pessimismo sono altri due aspetti della personalità

che influenzano in modo marcato le nostre risposte immunitarie.

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Los Angeles guidato da

Suzanne Segerstrom ha scoperto che l’ottimismo è associato a un’alta

percentuale di linfociti T helper e di cellule NK.

In parte l’effetto sul sistema immunitario è dovuto al fatto che

chi è ottimista è di solito di buon umore (un tonico per la salute),

ma anche al fatto che, in una certa misura, l’efficienza delle difese

dell’organismo è legata proprio alla fiducia in sé e nella buona sorte.

Un’altra indagine della Segerstrom ha dimostrato che l’essere

apprensivi ha pesanti ripercussioni sui globuli bianchi. Chi si preoc-

cupa molto, infatti, possiede un livello molto basso di cellule NK.

Molti studi hanno confermato che l’ottimismo è associato a un

migliore stato di salute rispetto al pessimismo: per esempio, è stato

accertato che chi «pensa positivo» ha una pressione arteriosa più

bassa e una migliore efficienza polmonare; inoltre, chi ha fiducia in

se stesso e nel futuro tende a lamentare minori disturbi fisici rispetto

a chi vede tutto nero.

La predisposizione a «vedere il bicchiere mezzo pieno» sembra

proteggere la salute dall’impatto degli eventi negativi della vita.

Mika Kivimäki, Jussi Vahtera, Marko Elovainio e altri studiosi

hanno esaminato 5.007 persone e hanno scoperto che gli ottimisti

presentano un rischio minore di ammalarsi dopo esperienze dramma-

tiche come la morte di un proprio caro o l’insorgenza di una malattia

grave in un famigliare. Inoltre, chi è ottimista tende a mantenere

uno stile di vita più sano: è più incline, per esempio, a svolgere una

regolare attività fisica e ad astenersi da abitudini nocive come fumare

ed eccedere con l’alcol.

PACORI LTC.indd 5 13/01/16 15:18

In uno studio su una popolazione di soggetti anziani di entrambi

i sessi di età compresa tra i 65 e gli 85 anni, Erik Giltay, Johanna

Geleijnse e Frans Zitman, assieme ad altri colleghi, hanno scoperto

che l’ottimismo riduce la probabilità di morte, soprattutto nel caso

di disturbi cardiovascolari.

Un’altra ricerca ha provato che nei tre anni successivi all’insor-

genza della menopausa l’arteriosclerosi delle carotidi (le arterie che

si trovano ai due lati del collo) tendeva a progredire più lentamente

nelle donne ottimiste che in quelle pessimiste. I tratti della personalità fanno la differenza persino nella lotta

contro il cancro: una ricerca, per esempio, ha evidenziato che il tu-

more al seno fa registrare un più alto tasso di mortalità nelle donne

meno fiduciose, a prescindere dall’età. Parallelamente, un’indagine condotta fra individui affetti da AIDS ha dimostrato come l’ottimismo e la combattività rallentino

la progressione della malattia.

Un altro fattore che si è rivelato importante ai fini della reazione

agli antigeni (gli agenti estranei all’organismo) è la capacità di aprirsi

e di sfogare la propria amarezza e le proprie preoccupazioni. Per

verificare l’impatto di questa attitudine sulla risposta immunitaria è

stato inoculato un frammento inattivato di un virus a un campione

di soggetti in precedenza identificati come «aperti» o «chiusi».

In seguito è stata esaminata la quantità di anticorpi prodotti. Si

è così scoperto che maggiore era la capacità di esternare le proprie

emozioni, più alto era il livello degli anticorpi presenti.

Gli individui con un’indole repressa, caratterizzata da razionalità,

freddezza e rigidità mentale, si contrappongono a quelli sensibili, che

sono più emotivi, flessibili, fantasiosi.

Nei primi, a prescindere da quanto fossero aperti, la produzione

di anticorpi era modesta; nei secondi la reazione era simile solo nel

caso di individui particolarmente chiusi.

Alan Christensen e altri colleghi dell’Università dello Iowa hanno

approfondito questo tema: la loro ricerca ha ribadito che aprirsi e

condividere le proprie emozioni rende più resistenti alle infezioni.

PACORI LTC.indd 6 13/01/16 15:18

Non solo! È stato provato sperimentalmente che l’emozione

che produce l’effetto più incisivo sulle difese immunitarie è la

collera.

Chi tende a reprimere le emozioni, e in particolare le manifestazioni

di rabbia, appare più predisposto a sviluppare il cancro: una malattia

che sembra associata proprio all’inefficienza del sistema immunitario.

Un dato emerso dall’analisi degli aspetti psicologici di uno dei

tumori più diffusi fra il sesso femminile, quello al seno, ha messo in luce un quadro di personalità maggiormente a rischio.

Le donne più vulnerabili a questa forma tumorale sembrano

essere poco introspettive, indolenti e con una marcata ossessione per

la pulizia e l’ordine.

Un altro problema che emerge è l’identificazione con il proprio

sesso: nelle donne che rifiutano la propria identità sessuale o che

incarnano in modo eccessivo lo stereotipo femminile – l’essere pas-

siva, succube o remissiva – parrebbe esserci una più alta incidenza

di questo tipo di tumore.

Noi tutti siamo portati a riflettere sul perché di ciò che ci accade:

c’è chi è convinto di essere in balia degli eventi e chi ritiene, invece,

di esercitare un certo controllo sugli avvenimenti. Si dice che i pri-

mi presentano un locus del controllo esterno; i secondi, un locus del

controllo interno.

Queste due disposizioni possono influenzare la forza del sistema

immunitario. Christine Reynaert, Yves Libert e Pascal Janne dell’Università

cattolica di Louvain, in Belgio, hanno avviato una ricerca per verifi-

care l’impatto di queste due diverse tendenze caratteriali sulle difese

dell’organismo.

I risultati hanno evidenziato che, più una persona è fatalista, meno

efficiente è la sua risposta alle infezioni.

Uno studio analogo, condotto su un campione femminile, ha

dimostrato che la credenza in un destino ineluttabile rende le donne

più esposte al rischio di insorgenza di neoplasie.

PACORI LTC.indd 7 13/01/16 15:18

C’è un’altra dimensione che influisce sul sistema immunitario,

un aspetto che non manchiamo di sottolineare quando parliamo

di qualcuno e che, tuttavia, ha poco a che fare con la personalità:

l’intelligenza.

Essere intelligenti è visto come qualcosa di desiderabile: ma non

sempre è un vantaggio!

Non certo sul piano dell’immunità. James Hollis e collaboratori

hanno pubblicato sull’American Journal of Mental Deficiency uno

studio in cui hanno misurato il livello di anticorpi in tre gruppi di

soggetti: il primo, con profondo ritardo mentale; il secondo, con

ritardo lieve; il terzo, con intelligenza media.

Sorprendentemente, chi aveva un grave deficit intellettivo possede-

va la quantità più elevata di immunoglobuline. Ultimi in «classifica»:

i più «svegli».

PACORI LTC.indd 30 13/01/16 15:18

IL CASO. UN SOGNO INFRANTO

I sintomi fisici sono segno di malattia o di disfunzioni del nostro

organismo, ma la causa a volte può riservare delle sorprese. Lo di-

mostra la storia di Eleonora, una ragazza di circa 30 anni arrivata nel

mio studio perché soggetta a un tale stress nell’ambiente di lavoro da

ammalarsi spesso, anche in modo grave.

La giovane faceva la saldatrice in una fabbrica, un mestiere insolito

per una donna ma che aveva scelto lei stessa ispirandosi alla prota-

gonista del film Flashdance che l’aveva profondamente affascinata

da bambina. La realtà era però ben diversa da quella mostrata al

cinema: i suoi colleghi erano tutti maschi, per di più rozzi, volgari e

irrispettosi, e più di una volta ci avevano provato con lei, non certo

in modo galante.

Il sogno di una vita si era dunque trasformato in un incubo:

Eleonora era diventata insofferente alle provocazioni, alle avance e

alle derisioni dei compagni di lavoro, e non c’era settimana che non

si prendesse raffreddori, influenze, bronchiti e altri malanni, fino a

contrarre una seria polmonite. Le analisi mediche avevano evidenziato

che il suo sistema immunitario era pesantemente compromesso e

incapace di far fronte alle infezioni.

La cosa strana è che prima di incominciare il lavoro della sua vita

Eleonora aveva fatto la commessa di un grande magazzino, un impie-

go impegnativo, frustrante e che non le dava nessuna soddisfazione,

ma aveva condotto una vita relativamente serena e non si ammalava

quasi mai: il che faceva supporre che fosse proprio lo stress del lavoro

attuale a indebolire così tanto le difese del suo organismo.

Sin dalla prima seduta abbiamo alternato colloqui e sessioni di

ipnosi: i primi servivano a farle ritrovare l’equilibrio emotivo, le

seconde a far emergere i suoi problemi, lavorativi e non.

Dopo circa un mese e mezzo Eleonora si sentiva meglio e aveva

deciso di tornare a lavorare. Non l’avesse mai fatto! I colleghi l’ave-

vano accusata di essere una lavativa e una scansafatiche, le avevano

rivolto insulti irripetibili e lanciato sguardi minacciosi. Uno di loro,

29

PACORI LTC.indd 30 13/01/16 15:18

in mensa, aveva dato una spinta con il bacino dall’inequivocabile

significato.

Quella stessa notte Eleonora aveva avuto un incubo: era bambina,

si era smarrita in una foresta e veniva rincorsa da un branco di lupi

che a un certo punto le si gettavano addosso. In quel momento la

ragazza si era svegliata urlando. Quando mi ha raccontato del trat-

tamento che i colleghi le avevano riservato e dell’incubo che aveva

avuto mi è venuto un sospetto e le ho proposto una seduta di ipnosi

regressiva. Con questa tecnica si induce la persona a immaginare

di scendere una scala all’indietro a partire dalla sua età attuale, un

gradino per volta.

Giunti ai 7 anni, Eleonora ha cominciato ad avere un’accelera-

zione del battito cardiaco e del respiro. Tremava e il suo corpo si era

repentinamente raffreddato. Alla ripresa del normale stato di coscienza

si sentiva turbata, ricordava delle immagini (tra cui lo scenario del

sogno) e di aver visto confusamente un giardino o un parco; l’unico

dettaglio nitido era un abito a fiori che ricordava di essere stato il

suo preferito da piccola. Dopo l’incontro era andata a vedere le sue foto dell’infanzia: in

molte fotografie era ritratta con quel vestito. Da un certo punto in

poi, però, l’abito era scomparso. Questo particolare l’aveva scossa e

lentamente aveva sentito riaffiorare un ricordo: a 7 anni aveva subito

una violenza di gruppo da un branco di ragazzi più grandi. Ne era

sconvolta, perché l’aveva completamente dimenticata.

Attraverso i colloqui degli incontri seguenti Eleonora ha capito

che la scelta del lavoro era un modo per esorcizzare quell’esperienza

(in Flashdance i colleghi della protagonista erano cordiali e ami-

chevoli) e che lo stress emerso in fabbrica non era dovuto solo al

rapporto con i colleghi, ma al fatto che si sentiva costantemente

in pericolo.

Dopo questa presa di coscienza, Eleonora ha deciso di licenziarsi.

Ha smesso di ammalarsi continuamente e ha proseguito la terapia

finché non si è liberata dal trauma.

30

PACORI LTC.indd 59 13/01/16 15:18

bile e io non sono riuscito a trattenermi. Me la sono fatta addosso. I

compagni hanno cominciato a ridere e a chiamarmi ‘poppante’ e

‘cacasotto’: un’etichetta che mi è rimasta appiccicata addosso per

tutte le elementari. Ho giurato a me stesso che non l’avrei mai più

fatta e... così è stato».

Sciolto il trauma, ci abbiamo lavorato a fondo e, progressivamente,

il ragazzo ha preso ad andare in bagno con più regolarità e facilità. Nel

frattempo, ha cominciato a frequentare bar e altri luoghi di incontro,

scoprendo i piaceri della vita sociale.

Le rane in pancia: la sindrome del colon irritabile

Nel mondo, sono davvero tante le persone affette da disturbi

intestinali: gonfiori, tensioni addominali, dolori, stitichezza, spasmi

eccetera ne sono i sintomi più caratteristici e fastidiosi.

In un buon numero di casi, l’origine del disturbo è legata a infe-

zioni batteriche o a un’alimentazione scorretta, ma non sono poche

le situazioni in cui il problema è dovuto allo stress, come avviene per

la «sindrome del colon irritabile», anche diagnosticata come «colite

spastica» o semplicemente colite. Un’indagine condotta nel 2006 dai medici Giorgio Minoli e

Tino Casetti sulla popolazione italiana ha rivelato che circa il 30%

degli abitanti soffre di questa disfunzione, che sembra essere peraltro

un disturbo più diffuso tra le donne (7 pazienti su 10 sono di sesso

femminile): insomma, numeri da vera e propria calamità!

La causa esatta di questa sindrome non è ancora chiara, ma nume-

rosi studi fanno convergere l’attenzione sui nervi e sulla muscolatura

che controlla l’intestino: lo stress può stimolare in modo eccessivo

la motilità intestinale, attraverso «fibre» nervose e segnali chimici.

Uno studio di Stephen Collins, della McMaster University in

Canada, ha dimostrato inoltre che, specialmente in situazioni sner-

vanti, la colite provoca un cambiamento nella composizione della

flora batterica intestinale che, a sua volta, porta a una proliferazione

59

di colonie di batteri «cattivi»; questi ultimi innescano reazioni meta­

boliche in grado di provocare sintomi quali gas, gonfiore e diarrea

ma anche disagi psicologici.

I medici californiani Peter Welgan, Hooshang Meshkinpour e

Michael Beeler hanno riscontrato che chi lamenta questo problema

ha una motilità intestinale a riposo più intensa rispetto alle persone

sane, e che questa reattività aumenta considerevolmente in seguito

a stress fisici o psicologici e, in particolare, in chi tende a reprimere

la rabbia.

Magnus Halland, Ann Almazar, Ryan Lee e altri gastroentero­

logi presso la Mayo Clinic di Rochester hanno intervistato 2.623

soggetti: dal sondaggio è emerso che quanti soffrivano di colite

spastica riferivano di aver vissuto un numero di eventi traumatici

– non da intendere soltanto come abusi sessuali o molestie, ma anche

lutti, incidenti stradali, calamità, l’aver assistito a scene scioccanti o

un famigliare con gravi disturbi psichiatrici eccetera – decisamente

superiore a chi non aveva questo disturbo.

Anche sulla base di esperimenti effettuati sui topi, è stato osser­

vato che quanto più è precoce l’esposizione allo stress (in quel caso

la separazione dalla madre), tanto più si riscontrano un’alterazione

dell’asse ipotalamo­ipofisi­surrene, un comportamento timoroso e,

soprattutto, problemi intestinali, come un aumento della defecazione,

una maggiore secrezione di succhi gastrointestinali e un accrescimento

della sensibilità del tratto enterico.

IL CASO. UNA VITA SREGOLATA DALL’INTESTINO

Quando si pensa di non aver niente da perdere, viene meno la

percezione del rischio e la motivazione a seguire sane regole di vita

appare senza senso.

È una filosofia che si attagliava a pennello a Enrico, un ragazzo

di 30 anni con uno stile di vita del tutto sregolato, che aveva preso

60

PACORI LTC.indd 61 13/01/16 15:18

appuntamento con me solo perché un disturbo gli impediva di con-

durre liberamente la sua esistenza dissoluta: una dissenteria cronica.

Enrico, infatti, beveva, fumava come un turco e trascorreva le sue

giornate passando da un bar all’altro. Per sua fortuna, aveva dei genitori benestanti che provvedevano al suo «sostentamento».

Al primo incontro gli avevo chiesto se avesse fatto degli accer-

tamenti o se si fosse rivolto a uno specialista per il suo problema

all’intestino, ma la sua risposta era stata: «Non mi fido dei medici.

Sono tutti bugiardi e poi io so che è un problema di testa».

Considerate le sue abitudini (alcol, fumo, notti insonni), non mi

sembrava strano che avesse l’intestino in subbuglio.

Ho deciso quindi di fissare una serie di incontri per trattare il suo

problema gastrico con l’ipnosi, considerando che non mi sarei potuto

limitare al sintomo, ma avrei dovuto indagare le cause di questo suo

vivere allo sbando.

Nel corso delle sedute, era emerso in modo sempre più chiaro che,

di fondo, il ragazzo era depresso e che era attratto da una condotta

autodistruttiva.

Dopo cinque sedute si cominciavano a vedere i primi progressi:

Enrico aveva riacquistato un po’ di fiducia in sé e si sentiva più

motivato; inoltre, ero riuscito a convincerlo a darsi una regolata.

Su mio suggerimento aveva cominciato a frequentare una palestra e

andava a letto in orari un po’ più normali: la sua diarrea però non

era migliorata.

Consapevole dello stretto rapporto tra intestino e cervello, lo avevo

convinto, seppure con grande fatica, ad andare da un gastroenterologo.

Si era rivelata una mossa vincente: lo specialista gli aveva fatto

degli esami e aveva scoperto che il disturbo intestinale era dovuto

a una grave infezione da Escherichia coli, un batterio normalmente

presente nel nostro intestino, che in quello del ragazzo aveva trovato terreno fertile per diventare estremamente aggressivo.

Questo spiegava anche, in parte, la sua depressione: questo mi-

crobo, infatti, è «rivestito» di una tossina, il liposaccaride, che riesce

61

PACORI LTC.indd 62 13/01/16 15:18

a passare la barriera ematoencefalica e a provocare disordini emotivi

e psichiatrici.

Il medico gli aveva prescritto una cura antibiotica che in breve

tempo aveva alleviato il suo problema fisico e, come avevo supposto,

risollevato il suo umore.

Da quel momento, le cose erano migliorate parecchio: aveva co-

minciato a cercare un lavoro, dormiva meglio e in modo più regolare

e aveva anche limitato le sue scorribande nei locali.

Tutto sembrava procedere per il meglio, ma un giorno il ragazzo

non si è presentato a un incontro e non rispondeva più al telefono.

Non riuscivo a spiegarmi questo comportamento, fino a che, per

pura combinazione, l’ho incontrato una decina di giorni dopo in un pub: era piuttosto alticcio e puzzava di fumo.

Ho colto quindi l’occasione per chiedergli che cosa fosse successo

e lui mi ha risposto che il gastroenterologo gli aveva assicurato che

sarebbe guarito con una settimana di cure, invece lui continuava ad

avere i suoi disturbi.

Questo commento mi ha fatto riflettere: Enrico non aveva motivo

di essere così diffidente nei confronti dei dottori, però aveva avuto

un problema medico serio, che a quel punto ho ritenuto di aver

sottovalutato. A 25 anni, infatti, aveva fatto un incidente in moto e,

considerata la gravità della sua condizione, era stato messo in coma

farmacologico.

L’ho convinto a tornare da me, e alla prima seduta gli ho fatto una

regressione ipnotica per rievocare l’episodio dell’incidente: mentre

gli parlavo si è messo a tremare come una foglia e a emettere strani

singhiozzi.

Quando l’ho fatto riprendere mi ha detto che nel corso dell’ipnosi

gli era tornata in mente una frase detta dal medico mentre era in coma

(evidentemente, non era del tutto incosciente). Dopo che la madre era

uscita dalla stanza, rivolgendosi verosimilmente a un infermiere o a

un collega, il dottore aveva commentato: «Questo non ne esce vivo!»

Ecco spiegato il motivo della sua mancanza di voglia di vivere

62

PACORI LTC.indd 64 13/01/16 15:18

(e della sua diffidenza verso i medici): gli era rimasto impresso che

tanto doveva morire.

Presa consapevolezza di quanto era venuto fuori, il ragazzo ha

cominciato a progredire molto più velocemente, a perdere una volta

per tutte le sue insane abitudini e dopo una decina di giorni la diarrea

si era risolta.

IL CASO. DEPRIMERSI PER UNA PIZZA

Beatrice, una donna di 41 anni, era cresciuta in una famiglia che

non le aveva prestato molte attenzioni: il padre era spesso assente per

lavoro, e anche quando era a casa non era un uomo molto espansivo;

la madre era una donna chiusa e poco incline a mostrare affetto.

L’infanzia infelice tra le pareti domestiche l’aveva portata a iso-

larsi, con il risultato che anche a scuola e tra i coetanei si sentiva

un’emarginata. Non sorprende quindi che già nell’adolescenza avesse

cominciato a mostrare i primi segni di depressione.

A 18 anni aveva già consultato svariati psichiatri e psicologi e a

25 era finita in una casa di cura.

Quando è venuta da me sembrava un caso disperato: ero la sua

ultima spiaggia.

Dopo alcune sedute con l’ipnosi, la donna aveva ripreso un po’

di buon umore, si sentiva più energica e fiduciosa. Inoltre, contem-

poraneamente aveva iniziato una dieta con pochi carboidrati e molte

verdure per contrastare il suo abbondante sovrappeso.

I segnali, dunque, erano piuttosto incoraggianti e anche la sua vita

sociale era migliorata: aveva fatto nuove conoscenze e cominciava a

uscire più spesso la sera.

Un giorno, Beatrice è arrivata nel mio studio stravolta: aveva il viso

pallido, quasi inespressivo, gli abiti sgualciti e dall’odore si sarebbe

detto che non si lavava da qualche giorno; l’umore, poi, era sottoterra.

Sorpreso di quel repentino passo indietro, le ho domandato se

le fosse capitata qualche brutta esperienza o se avesse ricevuto una

cattiva notizia.

63

PACORI LTC.indd 64 14/01/16 15:18

Non era successo niente, anzi nemmeno lei si aspettava quella

ricaduta. Qualche giorno prima aveva passato una bellissima serata

con gli amici: erano andati a mangiare una pizza e poi in un piano

bar, dove si erano divertiti un sacco. L’indomani non aveva nemmeno

le forze per alzarsi dal letto ed era rimasta lì fino al giorno del nostro

appuntamento (un paio di giorni dopo), schiodandosene solo per

senso del dovere e rispetto nei miei confronti.

A quel punto, ho avuto una folgorazione e le ho chiesto se aveva

mai fatto il test per l’intolleranza al glutine. Mi ha risposto di no, ma

che sarebbe andata dal suo medico per farselo prescrivere.

Tre settimane dopo, ho ricevuto una telefonata: Beatrice era

risultata celiaca, così aveva iniziato una dieta specifica e da quel

momento il suo umore era in costante miglioramento e si sentiva

piena di voglia di vivere!

In definitiva, la sua depressione era di certo stata accentuata dalle

esperienze di vita avverse, ma fondamentalmente era stata causata

dall’aggressione del suo cervello da parte del suo stesso sistema im-

munitario.

PACORI LTC.indd 85 14/01/16 09:13

4

Rimedi e prevenzione: una mela al giorno e non solo

Una volta che lo stress, i traumi, una determinata predisposizione

personale o un particolare modo di pensare hanno procurato un

danno biologico, non possiamo pensare di risolvere il problema

con la sola consapevolezza: bisogna intraprendere una cura con la

medicina tradizionale o alternativa, alla quale andrà abbinata la

psicoterapia.

Possiamo però fare qualcosa anche da noi, almeno per limitare i

danni e rafforzare la nostra capacità di gestire le avversità e i cattivi

pensieri, magari riuscendo a rendere il nostro organismo e il sistema

immunitario più efficienti.

Queste pratiche possono essere complesse e richiedere molto

esercizio, mi riferisco per esempio alla meditazione, allo yoga o

al training autogeno, oppure essere semplicemente delle sane abi-

tudini, facili da apprendere e mettere in atto nella nostra vita di

ogni giorno.

Dopo aver messo a fuoco come si possa passare dal malessere

psicologico a quello fisico, negli ultimi anni gli studiosi si stanno

concentrando sulla messa a punto degli escamotage capaci di arrestare

i processi mentali che portano allo stress.

Cominciamo a esaminare quelli più efficaci.

85

PACORI LTC.indd 86 13/01/16 15:18

Camminare nella natura inibisce la tendenza a rimuginare

Gregory Bratman, dottorando in biologia alla Stanford Univer-

sity, ha scoperto che l’ambiente in cui passeggiamo è tutt’altro che

ininfluente: uno studio condotto su un gruppo di 38 volontari ha

messo in luce che le camminate nella natura riducono la tendenza

alle ruminazioni mentali e ai pensieri negativi.

Gli stessi partecipanti, monitorati con l’fMRI, hanno mostrato la

diminuzione di un’area cerebrale, la corteccia prefrontale subgenuale,

una regione particolarmente attiva quando facciamo pensieri negativi

e cupi su noi stessi.

L’effetto però non è stato rilevato in chi «scarpina» in aree urbane.

Il beneficio, inoltre, è molto più intenso se, oltre a passeggiare

all’aria aperta, tra viottoli, prati e boschi, cambiamo ogni giorno

percorso, se esploriamo nuovi sentieri e se lo facciamo in compagnia di persone sempre diverse.

La camminata nei boschi o nei parchi non sempre è possibile; per

fortuna, si è appurato che anche sedere su una panchina immersa

nel verde aiuta a sbarazzarsi dei pensieri inopportuni e a migliorare

l’umore.

Essere attorniati dalla natura, in qualsiasi forma, si è dimostrato

un valido espediente per ridurre i livelli di cortisolo.

Un recente studio condotto da un’équipe di ricercatori dell’Uni-

versità di Washington, guidata da Peter Kahn, ha provato che anche

guardare alberi, giardini o parchi attraverso una finestra procura

effetti benefici.

Per verificarlo sono stati coinvolti 90 studenti, ai quali è stato

chiesto di eseguire un compito chiusi in un ufficio. Trenta di loro

lo hanno svolto di fronte a una finestra che dava su un parco, un

secondo gruppo di uguale numero davanti a uno schermo al plasma

che mostrava lo stesso scenario e l’ultimo gruppo di fronte a un

muro bianco. Il livello di stress è stato valutato in base alla frequenza cardiaca,

86

PACORI LTC.indd 87 13/01/16 15:18

mentre una macchina fotografica posta di fronte ai partecipanti li

immortalava automaticamente ogni volta che portavano lo sguardo

verso il «panorama».

L’esito ha dimostrato che in chi poteva guardare la natura il ritmo

cardiaco era notevolmente più basso di quelli che avevano davanti a

sé la parete, ma anche di coloro che vedevano la stessa scena su un

monitor.

Fare jogging è uno sballo

È ormai risaputo che praticare una regolare attività fisica faccia

un gran bene: contribuisce a prevenire alcune malattie croniche

come il diabete di tipo 2, i disturbi cardiovascolari eccetera. Inoltre,

consente al cervello di mantenersi ben «oliato»: correre o camminare

a passo spedito determina un aumento della circolazione sangui-

gna cerebrale e riduce la viscosità del sangue, migliora l’energia e

la lucidità e regola il ritmo sonno-veglia, stimolando l’attività dei

neuroni nella formazione reticolare (una regione alla base del sistema

nervoso centrale).

Il suo effetto più importante, però, è che fa «gasare»: infonde

buon umore e favorisce un senso di rilassatezza, calma e distensione.

Le ricerche dimostrano che prendere l’abitudine di fare ginnastica

esercita un vero e proprio effetto antidepressivo: il movimento, in-

fatti, incrementa la concentrazione di triptofano (un amminoacido

essenziale precursore della serotonina) nel flusso sanguigno, portando a un aumento generale della serotonina.

Questo neuropeptide non è l’unica sostanza «energizzante» a

essere conseguenza dell’attività fisica, che pompa nel cervello anche

l’anandamide, il principio attivo della marijuana.

Da tempo sappiamo che esercitarsi con costanza e impegno

provoca un senso di profondo benessere, spensieratezza e leggerezza.

Visto che a seguito di un’intensa attività fisica si era rilevato un au-

87

PACORI LTC.indd 88 13/01/16 15:18

mento delle endorfine, si riteneva che l’euforia derivasse dall’effetto

di questo peptide, rilasciato dall’ipofisi, sul cervello. Solo in tempi

recenti si è giunti alla conclusione che la molecola dell’endorfina è

troppo «panciuta» per passare la barriera ematoencefalica: la ricerca

si è quindi orientata altrove e il candidato più probabile è stato in-

dividuato proprio in un endocannabinoide.

Per accertarlo, un team di ricercatori dell’Università di Heidelberg,

in Germania, ha esposto dei topi a una situazione stressante, per poi

farli correre su una ruota. È stato così possibile appurare che nei ro-

ditori si manifestava lo stesso tipo di cambiamento chimico rilevato

nei ciclisti o nei corridori: un considerevole aumento di endorfine

ed endocannabinoidi.

Gli hobby fanno bene alla salute e al cervello

Quando si parla di hobby non sono pochi a considerarli attività

superflue, inutili, se non addirittura una perdita di tempo.

Quello che molti non considerano, o sottovalutano, è che de-

dicarsi a qualcosa che non sia il lavoro e non venga vissuto come

un’incombenza o un impegno è un tonico per il nostro morale e

per l’organismo: probabilmente meglio di qualunque altra forma di

distrazione, un hobby cattura le nostre attenzioni, ci distoglie dai

pensieri negativi, ci dà piacere e soddisfazione.

Non importa che si tratti di pittura, giardinaggio, modellismo

e via dicendo: quello che conta è che lo si faccia per diletto, per il

puro piacere di farlo. In un metastudio (le conclusioni che è possibile trarre dopo aver

consultato numerose ricerche condotte su uno stesso tema) Victoria

Schindler e Sharon Gutman hanno affermato che far rientrare nelle

proprie priorità anche dei passatempi significa munirsi di un buon

antidoto contro lo stress e i pensieri ossessivi e apprendere un efficace

metodo per canalizzare e regolare le proprie emozioni.

88

PACORI LTC.indd 89 13/01/16 15:18

Un sondaggio condotto su scala mondiale su quasi 5.000 persone

dedite al lavoro a maglia ha messo in luce, per esempio, che le donne

– ma non solo: Betsan Corkhill, coautore dello studio, racconta che

anche Albert Einstein si distraeva in questo modo – che praticavano

con regolarità questo hobby ritenevano che procurasse loro relax,

riducesse lo stress e le rendesse più creative.

Inoltre, molte riferivano che, dopo aver cominciato a occupare

parte del proprio tempo libero lavorando a maglia, erano migliorate

anche le loro relazioni sociali.

Secondo un team di ricercatori svedesi, il beneficio che si trae

da queste occupazioni deriva soprattutto dal fatto che portano a

sgomberare la mente, uno stato soggettivo in cui si sperimenta un

alto livello di concentrazione senza sforzo, un senso di piacere e

una ridotta coscienza di sé: una condizione che somiglia molto alla

meditazione.

Partendo da questi presupposti, gli studiosi in questione hanno

voluto scoprire se questa percezione coincida con qualche cambia-

mento nell’attività cerebrale, appurando che effettivamente durante

queste attività di svago, si nota un «fermento» nello striato ventrale,

una regione del cervello in cui hanno luogo i processi che portano

alla sensazione di piacere. C’è anche qualche fortunato che ha trasformato il proprio hobby

in un lavoro: per esempio, il cattedratico J.R.R. Tolkien – l’autore

del Signore degli anelli – non avrebbe mai pensato di diventare

uno degli scrittori più famosi di tutti i tempi; l’architetto Jimmy

Stewart – protagonista della Vita è una cosa meravigliosa – non

avrebbe scommesso un soldo bucato sulla sua carriera di attore e

Ted Turner – skipper a livello agonistico – quando si è cimentato

con le riprese televisive probabilmente non si sarebbe sognato di

fondare un giorno la CNN.

Fare il lavoro che si è sempre sognato è un traguardo ambito,

ma un lavoro resta sempre un lavoro: con responsabilità, impegno,

imprevisti e... stress. Meglio tenersi stretti i propri passatempi!

89

PACORI LTC.indd 106 13/01/16 15:18

5

Il linguaggio dei sintomi

Un comune mal di testa può metterci di cattivo umore, rendere dif-

ficile la concentrazione e pregiudicare la nostra capacità di ricordare

un nome o un concetto.

Allo stesso modo la delusione per un esame andato male può

abbassare le nostre difese immunitarie e farci prendere un’influenza

o allungare i tempi di cicatrizzazione di una ferita.

Questi sono esempi di come la mente e il corpo possano condi-

zionarsi a vicenda.

Nel capitolo 1 abbiamo visto come questa influenza sia mediata

da proteine – i neuropeptidi secreti dal cervello e da altri organi –,

da modificazioni della flora intestinale o da un’alterazione della

fisiologia del cuore.

Esistono però anche disagi fisici, come la sensazione di un corpo

estraneo in gola, una stanchezza immotivata e inspiegabile o un do-

lore intermittente al petto, che non sono accompagnati da nessuna

alterazione organica.

Si parla in questo caso di «disturbi psicogeni», cioè di affezioni o

infermità che sono tutte nella testa di chi le vive. Non si tratta però di fantasie malate, né di fissazioni e meno

ancora di un’inclinazione alla teatralità o di una messinscena: sono

sintomi che l’individuo avverte realmente... solo che manca la causa.

105

PACORI LTC.indd 107 13/01/16 15:18

Un pensiero stampigliato sul corpo

A volte i propri peggiori incubi o i più grandi desideri possono

avverarsi, specie se riguardano il proprio corpo. È quanto accade in

una particolare forma di disturbi psicogeni, noti come «disturbi di

conversione», una specie di menomazione o di deformazione del

corpo che l’individuo si procura con il solo pensiero: i deficit possono

interessare il movimento, il tono muscolare o anche i sensi.

Esempi tipici sono tic, paralisi, dolori, anestesie, difficoltà a de-

glutire, conati di vomito, difficoltà nell’espressione verbale eccetera,

che non hanno alcuna causa organica o neurologica.

L’aspetto che caratterizza questi disturbi è che riguardano altera-

zioni del sistema motorio o sensoriale sulle quali possiamo esercitare

un controllo volontario. Il fatto che l’individuo che ne è affetto ritenga di avere una precisa

malattia o cambiamento fisico e ne replichi, senza rendersene conto,

i sintomi non significa che si possa parlare di «simulazione». Se uno

teme di avere un infarto, infatti, può sentire una pressione al petto,

indolenzimento e intorpidimento del braccio sinistro, mancanza di

fiato e via dicendo.

Quello che fa capire che si tratta di autosuggestione e non di un

problema reale è il fatto che la persona avverte le manifestazioni della

malattia che conosce e non il quadro sintomatologico completo.

«Vittime» di questi disturbi possono essere i famigliari che hanno

assistito un proprio caro con una malattia incurabile o degenerativa.

Qualche tempo dopo la dipartita del congiunto (sul quale con ogni

probabilità riversavano tutta la loro attenzione) possono sviluppare

gli stessi sintomi perché convinti di avere una predisposizione ere-

ditaria al riguardo.

L’esempio più eclatante di questi fenomeni sono le stimmate: le

cronache riferiscono di casi, sebbene rari, di individui (non in odore

di santità) cui compaiono delle piaghe esattamente dove erano stati

piantati i chiodi a Gesù Cristo.

106

PACORI LTC.indd 108 13/01/16 15:18

Altrettanto sorprendenti sono le gravidanze isteriche, nelle quali

sono presenti tutti i sintomi della gestazione, ma manca l’elemento

fondamentale: l’embrione o il feto.

Per lo più, i sintomi da conversione sono meno eclatanti, tendono

a risolversi da sé e sono più frequenti in chi soffre di ipocondria.

Sotto la lente delle neuroscienze

In un’indagine mirata a scoprire che cosa accada al cervello in

chi lamenta disturbi di conversione, Patrik Vuilleumier, Christian

Chicherio, Frédéric Assal e altri ricercatori hanno coinvolto 7 pazienti

ricoverati presso l’Ospedale universitario di Ginevra.

Questi ultimi presentavano una perdita della funzionalità di un

arto e delle parestesie (insensibilità o sensazioni inspiegabili) da meno

di due mesi.

L’indagine ha comportato l’esame dell’attività cerebrale dei par-

tecipanti in tre condizioni: a riposo, nel corso della stimolazione

dell’arto interessato e dopo la scomparsa del disturbo.

Ne è emerso che, quando il deficit era ancora presente, era stata

riscontrata una significativa diminuzione del flusso sanguigno in due

regioni del cervello, nel talamo e nei nuclei della base.

L’alterazione, però, si era normalizzata quando i partecipanti

avevano recuperato la piena funzionalità dell’estremità.

Questo risultato, commentano gli autori dello studio, suggerisce

che la conversione produce una sorta di «ibernazione» del circuito

striato-talamo-corticale coinvolto nella pianificazione, nel controllo

e nell’esecuzione del movimento.

Proprio i gangli della base (strutture neurologiche «alla radice»

del cervello) possono essere l’anello di congiunzione tra le regioni

emotive, che si trovano nei recessi dell’encefalo, e quelle motorie, che «solcano» la corteccia, la regione più superficiale.

Uno studio affine della neurologa Anette Schrag e della sua équipe

107

PACORI LTC.indd 109 13/01/16 15:18

sembra dimostrare che chi presenta una malattia psicogena ha un

funzionamento cerebrale diverso da chi soffre di malattie organiche.

In questa ricerca, sono stati coinvolti tre gruppi di partecipanti: 5

pazienti con un disturbo organico dovuto a una mutazione del gene

DYT1 (una patologia che porta a una contrazione involontaria dei

muscoli), 6 pazienti che avevano una disfunzione di origine psicogena e 6 soggetti sani, come gruppo di controllo.

Tutti i malati, «immaginari» e non, lamentavano una difficoltà

motoria alla gamba sinistra.

Per accertare eventuali differenze a livello cerebrale, tutti i volontari

sono stati sottoposti a scansione con la PET (tomografia a emissione

di positroni) mentre tenevano il piede in tre posizioni: a riposo, in

movimento e contraendo volontariamente l’intera gamba.

Al tempo stesso, è stata misurata l’attività elettrica dell’estremità

per determinare quali muscoli fossero impegnati durante le rilevazioni

dell’attività del cervello.

L’analisi dei risultati delle scansioni ha messo in evidenza che chi

soffriva di un disturbo fisico mostrava un’attività cerebrale diversa

da quelli che avevano un disagio di tipo psicogeno. Rispetto agli altri due gruppi, nei primi si osservava un anomalo

aumento dell’attività cerebrale nella corteccia motoria primaria (da

dove parte lo stimolo a muovere, contrarre e distendere i muscoli) e

nel talamo (dove vengono integrate le informazioni sul movimento

che provengono dalla corteccia – la regione più esterna del cervello – e

dalle strutture sottocorticali, parti più primitive) e un calo nel cer-

velletto (dove viene regolato il tono muscolare a seconda dell’azione

e del tipo di movimento).

Al contrario, il gruppo con la distonia psicogena presentava lo

schema opposto, con un anomalo aumento del flusso sanguigno nel

cervelletto e nei gangli della base (implicati nel controllo del movimen-

to) e una diminuzione dell’attività nella corteccia motoria primaria.

Proprio questa tendenza inversa spiegherebbe l’esito delle rilevazio- ni: cervelletto e gangli sono infatti coinvolti nell’esperienza emotiva,

108

PACORI LTC.indd 110 13/01/16 15:18

quindi la loro maggiore attivazione dimostra che il disturbo di chi

«simula» la malattia ha origine in un conflitto sul piano emozionale.

Quando ai partecipanti veniva chiesto di muovere il piede, inoltre,

la PET ha evidenziato un’attivazione anomala della cortec- cia

prefrontale destra dorsolaterale, rilevata sia in chi presentava il

disturbo psicogeno sia in quelli realmente malati, il che suggerisce

che l’alterazione in questa struttura non sia specifica della «disabi- lità» psicogena.

Questo tuttavia non esclude che la corteccia prefrontale destra

dorsolaterale rivesta un ruolo importante nello sviluppo della paralisi

«isterica»: questa regione, infatti, oltre a pianificare e organizzare il

comportamento, svolge una funzione inibitoria su impulsi e azioni.

Un’indagine recente condotta da un’équipe olandese, guidata da

Floris de Lange, su 8 soggetti con paralisi totale o parziale al braccio

ha infatti messo in risalto una ridotta connessione tra la corteccia prefrontale e diverse aree sensomotorie.

In pratica è come se le due aree del cervello fossero funzionalmente

scollegate, procurando la sensazione che proviamo quando vogliamo

muovere un piede «addormentato».

Quando la mente mette i bastoni fra le ruote al corpo

In presenza di sospetti disturbi di conversione o psicogeni, è prio-

ritario fare tutti gli accertamenti clinici per escludere cause organiche.

Inoltre, è importante ricordare quando abbiano avuto inizio – se

in coincidenza o in seguito a eventi traumatici – e capire quali cir-

costanze li peggiorino e quali procurino una riduzione del disturbo

o del dolore.

Può succedere, per esempio, che il sintomo si manifesti quando

si è in presenza di una certa persona, quando si sta per andare in un

determinato posto (un bambino può avere le nausee prima di an-

dare a scuola perché è preso di mira dai bulli, oppure un uomo può

109

PACORI LTC.indd 110 13/01/16 15:18

avere scariche di dissenteria quando va al lavoro perché è vittima di

mobbing) o si deve affrontare un compito gravoso (un atleta può

essere preda di crampi ogni volta che fa una gara, mentre non li ha

in allenamento). Caratteristiche frequenti dei sintomi psicogeni sono le seguenti:

• un esordio improvviso, senza una causa apparente; • l’essere preceduti da traumi emotivi (violenze fisiche o sessuali,

delusioni sentimentali, lutti eccetera), drammi personali (perdita

del lavoro, pesanti umiliazioni eccetera), infortuni (incidenti,

situazioni in cui si è rischiata la vita, anche qualora si sia rimasti

incolumi), o da sintomi organici che hanno destato grande preoc-

cupazione o malattie gravi;

• si presentano dopo un periodo di intenso stress o esaurimento

fisico o intellettuale; • compaiono in maniera convulsa, episodica o intermittente;

• ci possono essere remissioni spontanee, seguite da una recrude-

scenza;

• se si tratta di tic o tremori, si può notare che questi scompaiono

quando ci si distrae o ci si rilassa;

• possono coesistere problemi emotivi o psichiatrici (depressione,

ansia eccetera); • possono essere sostituiti da altri disturbi;

• possono simulare i sintomi di qualcuno affetto da una malattia

reale (Parkinson, tumori eccetera) cui si è legati o di cui ci si

prende cura.

Disturbi faziosi

Sia i disturbi psicogeni sia quelli di conversione possono essere

sviluppati da chiunque, ma sono più frequenti in certe categorie:

per esempio, sono più comuni fra le donne sposate che fra le nubili,

110

PACORI LTC.indd 120 13/01/16 15:18

Senza questi momenti la vita appare vuota, insignificante, anonima

e incolore, ma soprattutto «faticosa».

Uno studio coordinato da Petros Skapinakis ha dimostrato che

proprio la scontentezza può procurare un altrimenti inspiegabile

senso di spossatezza.

Il medium di questo esaurimento sembra essere un livello eccessivo

di un enzima dal nome di monoammino ossidasi.

Numerose ricerche hanno dimostrato che una presenza eccessiva di

questo composto altera i processi metabolici che portano alla forma-

zione della serotonina, della noradrenalina (la variante dell’adrenalina

che circola nel cervello) e della dopamina: tutti neurotrasmettitori

vitali per regolare l’umore, l’energia, l’efficienza mentale, la capacità

di far fronte allo stress, la motivazione e la ricerca del piacere.

IL CASO. LA FATICA PORTA CONSIGLIO

Luca, un trentenne in carriera, aveva iniziato a frequentare Serena,

una ragazza che lo aveva attratto sin dalla prima volta che l’aveva

incontrata per la sua bellezza e dolcezza.

Dopo qualche mese di grande entusiasmo erano però emerse

grosse differenze tra i loro due stili di vita.

Luca aveva cominciato a provare un senso di frustrazione e insof-

ferenza, sfociato in certi casi anche in spiacevoli discussioni.

Ciononostante lui si ostinava a credere in quella relazione: Serena

era attraente, seria e intelligente, e gli piaceva davvero tanto.

Più passava il tempo, però, più Luca si sentiva svogliato, stanco

e improduttivo perfino nel suo lavoro, verso il quale aveva sempre

mostrato grande dedizione.

Un giorno che erano usciti assieme, dopo aver passeggiato per un

po’ senza meta, erano entrati in un negozio di telefonia: in quello

spazio chiuso, lui aveva avvertito distintamente il profumo di lei, una

fragranza che aveva associato immediatamente a quelle predilette da

donne molto più grandi di lei, per non dire anziane. A mano a mano che guardava i cellulari esposti, si sentiva sempre

124

PACORI LTC.indd 13 13/01/16 15:18

più preda di un’invincibile spossatezza, avvertiva le gambe molli e

un senso di oppressione.

Finalmente quell’uscita gli aveva aperto gli occhi: era lei, con il

suo modo di essere, a togliergli l’energia.

Già solo quella presa di coscienza lo aveva fatto sentire un po’

meglio e qualche giorno dopo aveva deciso di rompere con lei. Come

per magia, era tornato quello di un tempo: lasciarla era stata una vera

e propria liberazione.

[…]

I disturbi ginecologici

Alterazioni della fisiologia del ciclo mestruale, dolori durante il

rapporto sessuale, assenza di lubrificazione e perfino ricorrenti infezio-

ni vaginali o dell’apparato urinario possono essere la conseguenza di

abusi sessuali, di un’educazione sessuale troppo severa o di un rapporto

conflittuale con il proprio corpo e con la femminilità in generale.

Che dolore: la dispareunia

L’Organizzazione mondiale della sanità ha condotto un’ampia

indagine sulla frequenza della dispareunia (dolore durante la pene-

trazione) e ha evidenziato che questo disturbo viene lamentato da

una percentuale di donne che varia dall’8 al 22%, cioè all’incirca da

una donna su cinque.

Numerosi studi al riguardo puntano i riflettori sull’ansia: la paura

del dolore può provocare la contrazione dei muscoli vaginali e una

ridotta lubrificazione, ma lo stesso effetto può essere procurato da

una relazione sentimentale frustrante.

In uno studio, Charmaine Borg, Peter de Jong e Willibrord

Weijmar Schultz hanno accertato che le donne che lamentavano

dolori nel coito, assistendo a scene esplicitamente sessuali reagivano

con un’espressione di disgusto (in particolare sollevavano il labbro

PACORI LTC.indd 14 13/01/16 15:18

inferiore e corrugavano le sopracciglia), dimostrando così che il sesso

suscitava in loro un senso di repulsione.

Queste osservazioni sono in linea con uno studio di un’équipe

mista di psicologi e ginecologi dell’Università di Groningen, in Olan- da,

che ha messo in risalto come le donne che soffrono di vaginismo

127

[…]

IL CASO. LE CORNA FANNO MALE ALLA TESTA

Ci sono situazioni in cui la causa dei nostri mali ce l’abbiamo

davanti agli occhi, ma non sempre vogliamo vederla.

È il caso di Stefania, una donna di 44 anni che si era rivolta a me

per dei mal di testa ricorrenti. Dopo aver consultato neurologi, osteo-

pati e terapisti del dolore senza trovare né sollievo né una diagnosi,

aveva realizzato che il suo disturbo poteva essere dovuto allo stress e

per questo aveva preso appuntamento con me. Al primo colloquio,

mi aveva detto di essere stata soggetta a mal di testa fin dall’infanzia,

ma che negli ultimi tempi si erano fatti insopportabili: i suoi sintomi

infatti erano un misto di cefalea tensiva ed emicrania.

Mi aveva raccontato che stava vivendo un momento particolar-

mente difficile sul lavoro e riteneva fosse quella la causa dell’aggra-

vamento del suo problema.

Per lo meno, aveva commentato, la sua vita di coppia era molto

appagante: aveva trovato il compagno che aveva sempre sognato, con

il quale l’intesa era perfetta.

Viste le premesse, avevo pensato che la cosa migliore fosse sotto-

porla a un trattamento con l’ipnosi per ridurre la sua tensione emotiva

e farle prendere una maggiore distanza psicologica dal lavoro.

In breve tempo, i suoi sintomi si erano alleviati e tutto sembrava

far pensare a una risoluzione del disturbo. Invece, proprio mentre

eravamo vicini al termine delle sedute, Stefania è venuta a un incontro

dicendo che da qualche giorno il mal di testa era ripreso e che aveva

avuto fitte lancinanti alla testa.

Sorpreso da questa recrudescenza, le avevo chiesto se era successo

qualcosa. Lei si era detta soltanto preoccupata perché il suo partner,

pochi giorni prima, era tornato a casa a notte inoltrata.

In quell’occasione il ritardo era stato tale da metterla in appren-

sione, ma non ne era sorpresa: lui era un ingegnere e stava lavorando

PACORI LTC.indd 15 13/01/16 15:18

a un progetto che lo costringeva a fermarsi spesso in ufficio ben oltre

l’orario. Avendo realizzato che l’esordio delle sue emicranie era più o meno

coinciso con l’aumento dell’impegno lavorativo del compagna, aveva deciso di verificare se ci fosse un nesso fra le due cose.

Così le avevo chiesto se questo comportamento di lui l’avesse

impensierita. Lei, con un sorriso tra l’imbarazzato e il colpevole,

mi aveva confessato di aver pensato che lui la tradisse, ma che si

vergognava che le fosse venuta in mente una cosa simile: lui, diceva,

era leale, onesto e sincero e non l’avrebbe mai fatto. A quel punto,

le avevo domandato se oltre ai ritardi ci fossero altri motivi che le

avessero fatto nascere quel sospetto e lei mi aveva raccontato di aver

visto qualche volta la sua camicia sgualcita, il colletto sporco e di

avergli sentito una vaga fragranza femminile addosso. Insospettito, le

avevo suggerito, anche se lei lo riteneva assurdo, di andare in ufficio

da lui la prossima volta che il compagno avesse tardato.

Lei aveva seguito il consiglio e non ci aveva trovato nessuno:

fortuna ha voluto (se così si può dire) che in quel momento lui

uscisse dall’appartamento di fianco, baciando appassionatamente

una sconosciuta. Per Stefania era stato uno choc, ma l’averlo colto

in flagrante le aveva aperto gli occhi.

Nonostante le giustificazioni del compagno, lei non gli aveva

creduto e l’aveva lasciato. E il suo mal di testa? Polverizzato!

Molto probabilmente il conflitto interiore tra gli indizi che co-

glieva e il suo rifiuto di prendere coscienza del loro significato aveva

trovato sfogo nell’emicrania. Avendo accettato il fatto, aveva anche

risolto il suo sintomo.

PACORI LTC.indd 16 13/01/16 15:18

Che fare?

Per dare un senso ai propri disturbi senza causa apparente è

sempre opportuno rivolgersi a uno specialista. Ma non è escluso che

riflessioni, intuizioni e l’adozione di abitudini e atteggiamenti diversi

possano essere d’aiuto.

Ecco quindi una strategia per affrontare questi problemi.

1. Cercare di risalire al momento in cui sono insorti (anche con

l’aiuto di diari, referti medici o facendo appello alla memoria

di famigliari o del partner).

2. Una volta circoscritto il periodo in cui il sintomo ha fatto la

sua comparsa, ripensare ai mesi precedenti per individuare dei

fattori scatenanti: eventi, circostanze, scelte o decisioni critiche

o un particolare momento di stress.

3. A quel punto, tornare al presente e domandarsi se la presenza

di determinate persone, la frequentazione di certi ambienti o

qualche esperienza o abitudine (una vacanza, la pratica dello

sport, fumare, fare le ore piccole, dormire poco o troppo ec-

cetera) possa aver alleviato o acuito il disturbo.

4. Fare mente locale e stabilire se ci sia mai stato qualcosa che

abbia procurato un forte inasprimento o un’immediata scom-

parsa del sintomo.

5. Annotare i propri sogni e rileggerli ponendo particolare at-

tenzione a quelli in cui compare il sintomo o qualcosa che gli

assomiglia (per esempio, se uno ha un’afonia può sognare di

suonare un piano in cui il pedale del silenziatore – la sordi-

na – è incastrato).

6. Tenere un diario di tutte queste informazioni e leggerle prima

di dedicarsi ad attività come hobby o passeggiate per favorire

un processo di elaborazione inconscia.

PACORI LTC.indd 17 13/01/16 15:18

6

Il corpo «ci parla»

Ancora prima che l’organismo si ammali, o di sviluppare «malattie

immaginarie», il nostro corpo ci invia degli avvertimenti: questi segnali

ci possono indicare se una determinata scelta è buona, se perseverare

in un’iniziativa, in una relazione o se, invece, sarebbe meglio rifiutare

o mettere fine a qualcosa (per esempio, un lavoro, una proposta di

investimento o di associazione, un progetto a cui ci è stato proposto

di aderire eccetera).

Se diamo ascolto a queste sensazioni, o per lo meno le teniamo

in considerazione nel momento in cui facciamo le nostre valutazio-

ni, possiamo evitare conseguenze, a volte senza ritorno, o cogliere

opportunità uniche.

Certe sensazioni sono universali

Nel vivere quotidiano incappiamo spesso in situazioni che ci

procurano delle sensazioni interiori: se qualcosa non ha l’esito che ci

aspettavamo, per esempio, possiamo restare con «l’amaro in bocca»,

così come assistere a una determinata scena ci può dare il «voltasto-

maco» o, ancora, farci avvertire un «peso sulla coscienza». Si pensava che queste espressioni fossero solo modi di dire o

147

PACORI LTC.indd 18 13/01/16 15:18

esperienze soggettive, invece un’équipe di ricercatori finlandesi,

guidata dallo psicologo Lauri Nummenmaa, attraverso una serie

di esperimenti ha elaborato una mappa delle sensazioni interiori

collegate alle emozioni, accertando peraltro che, in linea con quanto

accade con la mimica facciale, queste associazioni sono condivise

da tutti i popoli.

Già in passato gli psicoterapeuti e qualche indagine scientifica

avevano ravvisato un nesso tra sensazioni corporee ed emozioni: se

proviamo ansia o paura, per esempio, con ogni probabilità avver-

tiremo dei cambiamenti nella zona addominale, come una «stretta

allo stomaco», crampi, bruciore eccetera. La collera e la paura possono produrre delle contratture del

sistema muscolo-scheletrico, che si manifestano attraverso un senso

di rigidità, dolori sul retro del collo, nella parte alta della schiena,

contrazione del massetere-muscolo mascellare, cefalea muscolo-

tensiva e così via.

L’eccitazione sessuale, l’attrazione, la tristezza o l’ansia possono

modificare le secrezioni acquose. Nei primi due casi, possiamo perce-

pire la sensazione di acquolina in bocca o un senso di «bagnato» nella

zona dei genitali, quando siamo sconsolati tendiamo a lacrimare di

più, e quando siamo stretti nella morsa dell’ansia ci può capitare di

avvertire un senso di secchezza delle fauci, un’eccessiva sudorazione

dei palmi, della fronte e delle ascelle. Imbarazzo o vergogna possono

dare luogo a modificazioni della temperatura corporea, come nel caso

delle tipiche vampate di calore al volto, o del brivido lungo la spina

dorsale che può causarci uno spavento.

Perfino la percezione del peso è suscettibile di variazioni: chi è

felice può sentirsi leggero e avere l’impressione di camminare a due

spanne dal suolo, mentre chi è depresso può avere la sensazione che

ogni passo sia come muovere un macigno.

La paura, la collera o una grande e improvvisa felicità possono

provocare alterazioni del sistema cardiocircolatorio: il cuore può avere

battiti fuori tempo, la frequenza cardiaca può risultare accelerata o

148

PACORI LTC.indd 19 13/01/16 15:18

ridotta eccetera; così come si possono osservare variazioni del sistema

respiratorio, tra cui la sensazione di mancanza d’aria che si prova

quando si è in ansia per qualcosa, o il riflesso quasi incondizionato

di tirare un sospiro quando si prova sollievo.

Recentemente, ponendosi proprio l’obiettivo di trovare l’inter-

sezione tra sensazioni corporee ed emozioni, Lauri Nummenmaa,

Enrico Glerean e colleghi hanno effettuato una ricerca, reclutando

701 partecipanti tra individui di Paesi scandinavi e asiatici.

A tutti i volontari sono state fatte visionare due sagome di corpi

(viste di fronte) sullo schermo di un computer, alle quali erano asso-

ciate, di volta in volta, espressioni verbali emotive, filmati o espressioni

facciali.

Compito dei soggetti era prestare attenzione alle presentazioni e,

contemporaneamente, alle sensazioni che provavano guardandole: se

l’abbinamento suscitava una sensazione localizzata in un preciso punto

del corpo, dovevano indicare la zona corrispondente sulle silhouette.

Dall’analisi dei risultati è emersa una mappa topografica delle

sensazioni statisticamente significativa e sovrapponibile per le po- polazioni occidentali e orientali.

Molte delle emozioni primarie (sorpresa, paura, collera, disgusto,

tristezza e felicità) erano abbinate a sensazioni avvertite nella regione

alta del tronco. In modo analogo, sensazioni nella zona della testa erano

condivise da tutte le emozioni: questo perché riflettevano cambiamenti

fisiologici nell’area del volto (tensione muscolare, temperatura della

pelle, tic eccetera).

In questa «rappresentazione grafica» le sensazioni localizzate nelle

braccia o nelle mani venivano collegate all’approccio o al rifiuto,

quindi, rispettivamente, a emozioni come la felicità o la collera.

Il senso di spossatezza agli arti era correlato alla malinconia,

mentre al disgusto venivano associate le sensazioni avvertite allo

stomaco o alla gola.

La felicità si è rivelata essere un caso a parte: invece di procurare

sensazioni precise, faceva aumentare l’energia in tutto il corpo.

149

PACORI LTC.indd 151 13/01/16 15:18

Quanto alle emozioni più articolate (gelosia, rimpianto, disprezzo,

orgoglio, invidia e amore), la corrispondenza con le aree del corpo

era più generica e maggiormente legata al proprio vissuto.

I sentimenti come l’ansia o la depressione, per contro, erano

descritti con la stessa accuratezza usata per le emozioni principali.

Lo stato del corpo nell’ansia appariva chiaro più o meno a tutti:

palpitazioni nel petto, senso di dolore allo sterno, «fame d’aria», sen-

sazione di strozzamento alla gola, brontolii dello stomaco, frequente

bisogno di correre al bagno, freddo (specie alle estremità), sentirsi

sudaticci e avvertire un bisogno di muoversi in modo irrequieto e fre-

netico. Percezioni che vanno di pari passo con quelle illustrate dalla

letteratura sul disturbo.

Le sensazioni del corpo nella depressione erano, anch’esse, ben

presenti agli intervistati; anche in questo caso, la loro precisione pe-

raltro coincideva con i dati emersi dalla ricerca scientifica su ciò che

prova chi vive questo disturbo dell’umore: una mancanza di energia

e di forza, un senso di vuoto e di insensibilità emotiva, un senso di

oppressione al petto e una sonnolenza eccessiva. La depressione veniva poi associata alla percezione di un dolore

indefinito: gli studi al riguardo, in effetti, hanno dimostrato che il senso di malessere per lo più è generico, ma talvolta può essere percepito

come mal di testa, crampi addominali, dolore nella zona bassa della schiena, alle giunture o al collo o come una combinazione di questi

«acciacchi»; altrettanto frequente è la percezione di avere la testa in

«ebollizione» e letteralmente intasata da un costante e incoerente

flusso di pensieri.

Anche la vista appare compromessa: chi soffre di questo disagio

lamenta spesso di vederci male, di avere la vista affaticata e l’impres-

sione di vedere tutto grigio.

PACORI LTC.indd 152 13/01/16 15:18

Con il cuore in mano: l’enterocezione

La cultura occidentale ci ha educati a porre attenzione a quello

che accade attorno a noi, per lo più ignorando le esperienze interiori,

se non quando diventano troppo intense.

Per esempio, pranziamo sempre a un certo orario non perché

avvertiamo la sensazione della fame, ma per abitudine; se però, per

qualche motivo, saltiamo un pasto, avvertiamo chiaramente i morsi

della fame e siamo magari capaci di abbuffarci finché non ci sentiamo

esplodere; allo stesso modo, se facciamo dell’attività fisica, ci accorgia-

mo di aver esagerato solo quando sentiamo crampi o dolori e così via.

Bruciore, prurito, battito del cuore, frequenza del respiro, ten-

sione muscolare, senso di costipazione o urgenza di andare in bagno

e altre sensazioni similari sono parti di queste esperienze viscerali, la cui percezione è definita enterocezione.

Lo studio dell’anatomia del sistema nervoso e sensoriale ha evi-

denziato che tutta una serie di fibre afferenti (una specie di cavi di

collegamento dell’organismo) converge nella corteccia insulare: da

qui, i segnali viscerali affiorano alla consapevolezza.

Comunemente, trascuriamo queste percezioni o riteniamo siano

una conseguenza del metabolismo, del caldo, del freddo, di un eser-

cizio fisico eccessivo e via dicendo. La percezione delle sensazioni viscerali funziona in modo analogo

a quella degli stimoli provenienti dai sensi esterni (vista, udito, olfatto

eccetera): non è un fenomeno passivo, ma un processo di elaborazione

attiva e riveste un ruolo chiave nella motivazione a fare qualcosa o

nella formulazione delle intuizioni.

La scienza ha individuato nella capacità di sentire il proprio battito

cardiaco e le sue alterazioni uno dei parametri più importanti per

stabilire il grado soggettivo della sensibilità alle sensazioni interiori.

Tutti siamo in grado, per esempio, di percepire l’accelerazione della

frequenza cardiaca, la tachicardia o il «tuffo al cuore» (o extrasistole);

ma solo chi ha un’accurata conoscenza del proprio corpo riesce a

152

PACORI LTC.indd 153 13/01/16 15:18

percepire il ritmo del proprio cuore senza ricorrere alle consuete

modalità di misurazione (auscultando il polso, per esempio) o ad

appositi strumenti (come il cardiofrequenzimetro di una cyclette).

Numerose ricerche mettono in relazione questa consapevolezza

con la partecipazione emotiva.

In uno studio, per esempio, sono state mostrate a un gruppo

di studenti delle scene emozionanti tratte da film, monitorando

strumentalmente il loro battito cardiaco. Ne è emerso che chi era

più attento ai segnali del proprio cuore riferiva di aver vissuto delle

emozioni in modo più intenso rispetto a chi non li avvertiva.

Uno studio di Vivien Ainley, psicologa presso l’Università di

Londra ha inoltre dimostrato che una maggior coscienza delle proprie

esperienze viscerali è collegata non solo a una più intensa eccitabilità

emotiva, ma anche a una più efficiente memoria per gli eventi emo-

zionali, a una spiccata capacità intuitiva e, sembra, a un maggiore

controllo delle emozioni negative.

Muscoli ciarlieri: la propriocezione

La percezione del corpo non è data solo da sensazioni viscerali,

ma anche dal senso del tatto e da quello propriocettivo.

Il primo comprende sensazioni come prurito, dolore, caldo, fred-

do eccetera che avvertiamo sulla pelle; il secondo, invece, riguarda

percezioni che provengono dai recettori che si trovano nei muscoli,

nelle articolazioni e nell’epidermide: grazie a questi segnali acquisia-

mo consapevolezza della posizione di arti e tronco, della tensione o

distensione muscolare, della forza, della debolezza, dello sforzo, della

pesantezza, del senso di oppressione o di leggerezza e via dicendo.

L’ipotonia (un ridotto tono muscolare), per esempio, viene

avvertita nella depressione ed è solitamente associata a un senso

di debolezza. Per contro, un aumento della tensione nel retro del

collo, nella schiena e nelle estremità, […]

153

PACORI LTC.indd 165 13/01/16 15:18

7

Echi dal profondo

Così come accade con i segnali del corpo (passarsi una mano fra

i capelli, cambiare postura, sollevare un piede eccetera), in cui dei

comportamenti sono eseguiti automaticamente in risposta a delle

emozioni, gli organi interni reagiscono a degli stimoli esterni o interni

modificando la loro fisiologia. Non si tratta però di cambiamenti vi-

sibili, ma di sensazioni: spetta a noi prestare ascolto a questi messaggi

per capire come il nostro intuito elabora le esperienze che viviamo.

Poste queste premesse, passeremo in rassegna le sensazioni viscerali

o fisiche più comuni, descrivendo come e quando si attivano. Va

puntualizzato che sono pochi i segnali che valgono per tutti: per la

maggior parte si tratta di reazioni soggettive che dobbiamo imparare

ad ascoltare e riconoscere.

Raggrupperemo le sensazioni in base alle loro caratteristiche co-

muni: non si tratta di una classificazione scientifica, ma solo di un

modo per rendere i concetti più chiari.

Le sensazioni viscerali sono sempre affidabili?

Numerose ricerche hanno dimostrato quanto è importante imparare ad ascoltare le proprie sensazioni interne e come queste siano, spesso, il frutto di un elaborato processo intuitivo.

segue

165

PACORI LTC.indd 166 13/01/16 15:18

Questo principio vale in senso assoluto? In realtà, sebbene sia da conside­ rarsi in linea di massima valido, non va preso come un fatto inconfutabile, anzi bisogna valutarlo attentamente. Alcuni studi mettono in dubbio l’affidabilità delle percezioni corporee: è stato dimostrato, infatti, che manipolandole si possono condizionare i giudizi delle persone. Per esempio, un team giapponese, guidato da Hiroko Nakamura, ha scoperto che questo sistema può essere tratto in inganno. Lo studio ha coinvolto 88 studenti universitari, ai quali era stato detto che erano in procinto di partecipare alla valutazione di un prodotto commer­ ciale. Nella prima fase dell’esperimento (per dare maggiore credibilità al pretesto della ricerca), i partecipanti sono stati invitati a indossare una sciarpa imbottita con sacche d’acqua, alcune congelate, altre tiepide, ed è stato chiesto quale effetto produceva loro il prodotto e che cosa ne pensassero. In un secondo passaggio (il vero obiettivo dello studio), sempre con lo strano accessorio al collo, sono stati intervistati rispetto a un’ipotetica scelta che implicava un conflitto morale: sacrificare alcune persone allo scopo di ottenere un grande beneficio per altre. L’esito dell’indagine ha messo in luce che chi era stato «raffreddato» aveva meno scrupoli ed era più propenso a prendere una decisione scomoda ma vantaggiosa; inoltre, era decisamente meno empatico rispetto a quelli che erano stati esposti a temperature miti. Analogamente, una ricerca di Simone Schnall, Jonathan Haidt e altri studiosi ha dimostrato che suscitare disgusto può rendere le persone più severe nei giudizi morali. In questo studio, condotto su un folto gruppo di studenti della Stanford University, i partecipanti sono stati esposti ad alcune percezioni repellenti: dapprima sono stati posti in prossimità (2 metri circa) di un cestino della spazzatura su cui era stato spruzzato un composto che aveva l’odore delle flatulenze; poi hanno dovuto effettuare delle valutazioni morali in una stanza lercia e sudicia; infine è stato chiesto loro di mettere per iscritto un fatto realmente accaduto in cui avevano visto o toccato qualcosa che aveva provocato loro un grande senso di ripugnanza. Nell’ultima fase dello studio, poi, ai volontari venivano mostrati degli spezzoni di film ora repellenti, ora tristi. Tutte le variabili sperimentali hanno dimostrato che suscitare un senso di disgusto in qualcuno che deve poi esprimere un giudizio morale rende il suo atteggiamento più critico e severo. Inoltre, è stato dimostrato che chi era più sensibile ai propri segnali viscerali risentiva maggiormente di quest’effetto. Infine, si è evidenziato come tra disgusto e morale sussista uno stretto

166

PACORI LTC.indd 167 13/01/16 15:18

legame: davanti alle scene malinconiche, infatti, non è stato osservato alcun inasprimento delle valutazioni. Questa rilevazione trova riscontro in una successiva ricerca condotta dalla Stanford University, che ha messo in luce come il disgusto fisico e quello morale condividano, in buona parte, gli stessi circuiti cerebrali, in cui gioca un ruolo chiave l’amigdala. Sulla base dei risultati dello studio, la Schnall e i colleghi suggeriscono di non essere precipitosi nei propri giudizi morali proprio perché l’intuito può essere tratto in inganno dal senso del disgusto: per esempio, commentano gli autori, se un magistrato dovesse giudicare un individuo dal viso sfigu­ rato o che si dedica a pratiche sessuali che lui disapprova potrebbe essere influenzato dalla percezione della ripugnanza e quindi dai propri pregiudizi. Lo stesso ammonimento vale per il quotidiano: i segnali interiori del corpo vanno tenuti in somma considerazione, ma non dobbiamo dimenticare che possono dipendere anche da condizioni fisiche o ambientali e, pertanto, possono indurci a fraintendimenti ed errori di valutazione.

Al fresco

In questa categoria rientrano tutte le sensazioni collegate all’espe-

rienza del freddo.

Nel linguaggio comune, peraltro, utilizziamo molte espressioni

che, attraverso la metafora del freddo, indicano la sensazione che ci

suscita qualcosa o qualcuno: per esempio, parliamo di «accoglienza

fredda», «sguardo gelido» e via dicendo. Come abbiamo visto, molta di questa fraseologia riflette una vera

e propria esperienza sensoriale.

Brividi

Una specie di scarica elettrica che corre lungo la spina dorsale o

nella parte posteriore del collo: questo è il brivido, una vibrazione

che ha origine nel termometro del nostro cervello, ovvero l’ipotalamo

posteriore.

167

PACORI LTC.indd 168 13/01/16 15:18

Questa regione riceve dai recettori del corpo la sensazione che

la temperatura corporea è scesa, anche di un solo grado. Di riflesso,

l’ipotalamo attiva la reazione del brivido con lo scopo di aumentare

il calore: questo effetto è determinato da un tremore dei muscoli,

che liberano così energia.

Non è però solo un calo della temperatura a provocare questa

reazione: infatti, sentiamo i brividi anche quando avvertiamo un

pericolo, quando viviamo un misto tra paura ed eccitazione (come

sulle montagne russe) e anche quando siamo eccitati (per esempio,

dal contatto o alla vista di una persona attraente).

In merito a questa esperienza, la ricerca scientifica ha esaminato

soprattutto gli effetti prodotti dalla musica, il che ha permesso di

scoprire che alcune strutture musicali suscitano più facilmente i bri-

vidi: i crescendo, le armonie inattese, l’ingresso di una voce solista,

di un coro o di uno strumento nuovo. Uno studio di Anne Blood e Robert Zatorre del Montreal Neu-

rological Institute, in cui è stata impiegata la PET per monitorare

gli effetti emotivi della musica, ha appurato che i passaggi che pro-

vocavano i brividi suscitavano un maggior afflusso di sangue nelle

regioni cerebrali legate alla ricompensa, all’euforia e all’eccitazione.

A volte possiamo sentire un brivido mentre proviamo un’auto che

vorremmo comprare, un abito che vediamo in una vetrina o quan-

do conosciamo una persona. Questa sensazione, che percepiamo a

livello conscio, è solo un brandello dell’emozione di cui fa parte, ma

ci fornisce un indizio rispetto a come viviamo una data esperienza:

cosa di cui non siamo pienamente consapevoli.

IL CASO. UNA MACCHINA DA BRIVIDO

Ci sono persone che per indole sono attratte dal rischio, dal

pericolo e dalle emozioni forti: sono i cosiddetti sensation seekers, «cercatori di sensazioni».

Riccardo, il protagonista di questo aneddoto, non apparteneva

però a questa categoria: non che disdegnasse il piacere, ma preferiva

168

PACORI LTC.indd 169 13/01/16 15:18

ricavarlo da esperienze più soft, come comprarsi una macchina nuo-

va, e non una spider per sfrecciare sulle piste né un fuoristrada per

affrontare percorsi impervi, ma un più ordinario SUV.

Aveva sfogliato le riviste di settore, poi aveva cercato su internet;

infine, confuso dalla valanga di informazioni su motori CRDi o

da 115 cavalli, cambio a doppia frizione o 7DCT a sette rapporti,

aveva realizzato che la soluzione migliore era andare di persona nelle

concessionarie.

Dopo averne girate diverse, era stato stordito dalle caratteristiche

tecniche illustrate, con grande dovizia di dettagli, dai venditori, ma

non era rimasto colpito da nessun modello in particolare.

Aveva così ripreso a cercare sul web e questa volta ne aveva trovata

una, di casa madre coreana, di cui gli era piaciuta la linea; dopo aver

cercato, in qualche modo, di valutarne anche gli aspetti tecnici, si era

deciso ad andare a vederla. Scorgendola in bella mostra all’ingresso

del concessionario, Riccardo aveva sentito un brivido scorrergli lun-

go la schiena. L’aveva comprata e, dopo un anno, era pienamente

soddisfatto del suo acquisto.

Una macchina è una macchina, ma la stessa sensazione l’aveva

avuta anche quando il suo sguardo si era posato su quella sconosciuta

che sarebbe diventata sua moglie. Da quel momento non ha avuto più dubbi: il brivido era il

«termometro» con cui il suo intuito gli suggeriva le scelte vincenti.

Pelle d’oca

E anche qui parliamo di una sensazione connessa al freddo.

Negli animali, un calo della temperatura determina una reazione

spontanea: l’erezione dei peli o delle piume, che fanno da isolante.

Anche l’uomo conosce un’esperienza simile, solo che i peli non

si sollevano davvero, se non quelli sottili degli avambracci, e quando

diciamo che qualcosa ci ha fatto «drizzare i capelli in testa» non è

altro che una metafora. Il modo in cui si manifesta questa sensazione,

169

PACORI LTC.indd 170 13/01/16 15:18

infatti, è l’accapponarsi della pelle, sempre dovuto a una contrazione

muscolare. Nello specifico, i muscoli erettori dei peli si contraggono

in modo involontario e la pelle, da piatta, si ricopre di minuscole

protuberanze e avvallamenti che la fanno assomigliare a quella di

un’oca spennata, da cui l’espressione «pelle d’oca», appunto.

Mentre negli animali questa reazione è stata osservata in momenti

di paura o ansia, si è appurato che nell’essere umano può essere in-

nescata da molteplici stimoli psicologici: dalla musica, da una scena

di un film, di un’opera teatrale e perfino da un passaggio di un libro,

dalla contemplazione di un quadro o di un paesaggio, dall’assistere a

un gesto eroico, dal pensare a momenti nostalgici o anche dal contatto

fisico con una specifica persona.

Gli stimoli che suscitano la pelle d’oca, a ben guardare, sono gli

stessi del brivido, ma cambia la percezione soggettiva, solitamente

avvertita come una sorta di formicolio lungo gli avambracci.

IL CASO. PAURA A PELLE

Le cene fuori, accompagnate da qualche bicchierino di troppo,

erano un appuntamento fisso del fine settimana per Luigi e i suoi

amici.

Una sera, però, dopo una delle solite bisbocce, si era fatto parti-

colarmente tardi e tutti i bar nei paraggi erano chiusi. I ragazzi non

si erano dati per vinti e avevano continuato a girare fino a che non

avevano trovato un pub ancora aperto, così erano entrati. Appena varcato l’uscio, Luigi aveva sentito come se un «vento

gelido» gli spirasse sull’avambraccio sinistro. Cercando di ignorare

questa spiacevole sensazione si era diretto al bancone, seguito a ruota

dagli amici.

Mentre aspettavano il loro turno per ordinare il bicchiere della

staffa, il ragazzo si era guardato attorno e, benché la clientela del locale

non fosse particolarmente raffinata, gli sembrava che si trattasse di

gente a posto. Eppure continuava a sentirsi inquieto, così, mentre il barman stava

170

PACORI LTC.indd 171 13/01/16 15:18

per liberarsi, si era voltato in direzione dell’uscita e, in un tono che

non lasciava spazio a repliche, aveva detto agli amici: «Andiamo via!»

Stranamente, nessuno degli altri aveva osato protestare ed erano

usciti tutti, compatti come un plotone.

Non avevano percorso nemmeno 100 metri che, sgommando,

erano arrivate sul posto diverse pattuglie delle forze dell’ordine e una

decina di poliziotti aveva fatto irruzione nel bar. I ragazzi si erano

allontanati in tutta fretta.

«Retata in un bar del centro: un vero e proprio quartiere generale

dello spaccio di droga», avevano titolato i quotidiani locali il giorno

dopo.

Curiosamente, al fiuto di Luigi non era servito altro che qualche

sparuto dettaglio per attivare il sistema di allarme e percepire un

insolito accapponamento della pelle che lo aveva indotto a tenersi

alla larga dai guai.

Mani fredde... cuore caldo?

«Che gelida manina», la frase con cui inizia l’omonima aria della

Bohème, è probabilmente la più nota celebrazione del raffreddamento

delle estremità.

Di norma, quando la temperatura esterna scende troppo, le pic-

cole vene appena al di sotto della cute si assottigliano, per ridurre la

dispersione di calore.

Questo fenomeno, però, può accadere anche quando qualcuno

è sotto stress e perfino se qualche evento o situazione ci provoca

un’improvvisa sensazione di paura o di ansia.

Claude Lum, medico e ricercatore presso il Papworth Hospital,

a Cambridge, ha rilevato che la sensazione di freddo di mani e piedi

che accompagna l’ansia è causata dall’iperventilazione, ovvero dal

respirare in modo affannoso.

La respirazione accelerata (che di per sé possiamo considerare

un’esperienza viscerale) crea nel sangue un aumento considerevole

171

PACORI LTC.indd 172 13/01/16 15:18

dell’ossigeno e una riduzione dell’anidride carbonica: questo disequi-

librio procura una costrizione dei vasi sanguigni, generando, appunto,

un senso di freddo, talvolta accompagnato da una sudorazione fredda

nei palmi delle mani e dei piedi.

IL CASO. L’ESAME MANCATO

«Non tutta l’ansia vien per nuocere.» Questa rielaborazione di

una nota massima descrive perfettamente quanto è successo a

Lorena.

Quando le capitò l’episodio che stiamo per illustrare, l’attuale

avvocato rampante era ancora una timida studentessa di giurispru-

denza.

Lorena studiava sodo e i risultati non mancavano: aveva passato

tutti gli esami, quasi sempre con lode. Doveva sostenere l’esame di

storia del diritto romano, una materia piuttosto facile, e, avendolo

preparato con la sua solita solerzia, non aveva dubbi che lo avrebbe

superato brillantemente come sempre. Il giorno dell’appello si era accomodata in aula e aveva notato che,

insieme al docente, c’era anche un assistente che non aveva mai visto.

La lista di chi sarebbe stato esaminato dall’uno o dall’altro sarebbe

stata distribuita di lì a poco, ma Lorena era sicura che lei lo avrebbe

sostenuto con il cattedratico, che la conosceva bene.

Quando però il foglio con l’elenco era giunto nelle sue mani,

il suo nome era segnato nella colonna dell’assistente: d’improvviso

aveva sentito un «intenso freddo» alle mani che, peraltro, avevano

cominciato a sudare.

Una simile reazione era del tutto immotivata: lei era preparata e

l’uomo non le aveva fatto un’impressione negativa. Non era da lei

agitarsi in quel modo! Tuttavia d’istinto si era alzata ed era uscita

dall’aula, con l’intenzione di ripresentarsi all’appello successivo.

Il giorno dopo, i compagni di corso che erano finiti nelle grinfie

dell’assistente le avevano raccontato quanto fosse stato insidioso nelle

domande, come avesse cercato di metterli in difficoltà e con che

172

PACORI LTC.indd 173 13/01/16 15:18

sorriso beffardo avesse detto a quasi tutti di tornare quando avessero

studiato meglio.

Lorena l’aveva scampata, ma non riusciva a capacitarsi di che

cosa l’avesse spinta a prendere quella decisione che, a posteriori, si

era rivelata tanto assennata.

Il freddo dentro

Una delle metafore più usate per esprimere l’esperienza della

solitudine è sentire freddo nel cuore.

Partendo dalle ricerche che hanno messo in luce i concetti cardine

dell’intelligenza corporea, o cognizione incarnata (di cui abbiamo

parlato all’inizio), gli psicologi Chen-Bo Zhong e Geoffrey Leonar-

delli, ricercatori alla Rotman School of Management dell’Università

di Toronto, hanno supposto che il modo di dire nascesse da un effet-

tivo calo della temperatura corporea e che fosse possibile dimostrarlo

sperimentalmente.

Per accertarlo, hanno reclutato un gruppo di 65 volontari, divisi

in due gruppi: ai primi è stato chiesto di ricordare una situazione

in cui erano stati esclusi da una compagnia (in modo da evocare il

sentimento di solitudine), agli altri di ripensare al momento in cui

erano stati accolti in un club o in una squadra (per far loro rivivere

l’entusiasmo legato al sentirsi benvoluti).

A quel punto, gli studiosi hanno domandato ai partecipanti di

stimare la temperatura del laboratorio, con la scusa che l’informazione

servisse al personale addetto alla manutenzione.

La valutazione si è rivelata sorprendentemente variabile e sog-

gettiva: dai 12 ai 40 gradi (della scala Celsius); un’escursione che ha

dell’incredibile, ma che ha trovato spiegazione nel confronto tra la

stima del calore ambientale e l’esperienza a cui avevano pensato. In

chi aveva rivissuto una situazione in cui si era sentito emarginato, la

temperatura corporea si era abbassata, così da far percepire più freddo.

In un secondo esperimento, i ricercatori […]

173


Recommended