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SOMMARIO1. INTRODUZIONE.............................................................................................1
1.1 SCOPO DEL LAVORO...................................................................................1
1.2 IL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI URBANI - ASPETTI NORMATIVI.5
1.2.1 GENERALITÀ.......................................................................................................5
1.2.2 COMBUSTIBILE DA RIFIUTO (CDR) E COMBUSTIBILE SOLIDO SECONDARIO (CSS) .............................................................................................................................8
1.2.2.1 GLI INCENTIVI...................................................................................................14
1.2.2.2 GLI ABUSI – ALCUNI ESEMPI...........................................................................15
1.3 IL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI URBANI - ASPETTI STATISTICI......17
1.4.1 RIUSO O RIUTILIZZO..........................................................................................26
1.4.2 RICICLAGGIO....................................................................................................27
1.4.3 RECUPERO..........................................................................................................27
1.5 IL RECUPERO ENERGETICO MEDIANTE L’INCENERIMENTO....28
1.5.1 STOCCAGGIO....................................................................................................30
1.5.2 PREPARAZIONE DEL MATERIALE DA INCENERIRE.........................................31
1.5.3 ALIMENTAZIONE DEL FORNO..........................................................................32
1.5.4 CAMERA DI COMBUSTIONE..............................................................................32
1.5.5 RECUPERO ENERGETICO..................................................................................34
1.5.6 SISTEMI DI ABBATTIMENTO DEGLI INQUINANTI.............................................35
1.5.7 CAMINO DI EMISSIONE.....................................................................................37
1.5.8 PARAMETRI OPERATIVI...................................................................................38
1.6 COMBUSTIBILI SOLIDI SECONDARI (CSS) E CDR...........................40
2. IL CAMPIONAMENTO DEL CDR.................................................................45
2.1 RAPPRESENTATIVITÀ DEL CAMPIONAMENTO PROBLEMATICHE ANNESSE...............................................................................45
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2.1.1 CAMPIONAMENTO DEL CDR – ANALISI DELLE PRINCIPALI FONTI DI VARIABILITÀ.................................................................................................................50
2.2 COME VALUTARE IL PROBLEMA..........................................................54
2.2.2 TEST STATISTICI PER VALUTARE LA DISTRIBUZIONE DEI DATI ED EVENTUALI DATI ANOMALI..........................................................................................54
2.2.2.1 LA DISTRIBUZIONE DEI DATI..............................................................................56
2.2.3 IL CALCOLO DELL’INCERTEZZA ESTESA ANALITICA......................................59
2.2.2.1 GENERALITÀ.......................................................................................................59
2.2.3.2 VALUTAZIONE DELLE INCERTEZZE DI CATEGORIA A........................................61
2.2.3.3 VALUTAZIONE DELLE INCERTEZZE DI CATEGORIA B.........................................63
2.2.3.4 CALCOLO DELL’INCERTEZZA COMPOSTA...........................................................64
2.2.4 CALCOLO DELL’INCERTEZZA ESTESA DI CAMPIONAMENTO.........................65
2.2.4.1 APPROCCIO CAUSA EFFETTO . IL MODELLO GY...............................................67
2.2.4.2 APPROCCIO EMPIRICO........................................................................................68
3 PARTE SPERIMENTALE............................................................................70
3.1 GENERALITÀ................................................................................................70
3.1.1 COMPOSIZIONE MERCEOLOGICA DEL CDR ESAMINATO..............................71
3.2 LA PROCEDURA DI CAMPIONAMENTO...............................................72
3.2.2 TECNICHE DI GESTIONE DEL CAMPIONAMENTO DEL CDR...........................73
3.2.4 CAMPIONAMENTO GIORNALIERO....................................................................74
3.2.5 FORMAZIONE DEL CAMPIONE RAPPRESENTATIVO DEL SOTTOLOTTO..........75
3.3 MANIPOLAZIONE DEL CAMPIONE IN INGRESSO E FORMAZIONE DEL CAMPIONE DA LABORATORIO.................................................................77
3.4 DESCRIZIONE DEI PARAMETRI ESAMINATI E DELLE PROCEDURE ANALITICHE ADOTTATE PER LA LORO DETERMINAZIONE NEL CDR..............................................................................78
3.4.1 DETERMINAZIONE DELL’UMIDITÀ TOTALE...................................................79
3.4.1.1 UMIDITÀ ALL’ARIA SECCA (A)..........................................................................80
3.4.1.2 UMIDITÀ RESIDUA (R).......................................................................................80
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3.4.2 DETERMINAZIONE DELLE CENERI...................................................................81
3.4.3 DETERMINAZIONE DEL POTERE CALORIFICO INFERIORE (PCI)..................82
3.4.4 DETERMINAZIONE DI CLORO E ZOLFO TOTALI..............................................84
3.4.5 DETERMINAZIONE DI CROMO, MANGANESE ARSENICO NICHEL, CADMIO E MERCURIO.....................................................................................................................85
3.4.6 DETERMINAZIONE DEL PIOMBO VOLATILE....................................................86
3.4.7 DETERMINAZIONE DEL RAME SOLUBILE........................................................86
3.5 IL CALCOLO DELL’INCERTEZZA ESTESA ANALITICA..................87
3.5.2 INCERTEZZA ESTESA ANALITICA NELLA DETERMINAZIONE DI UMIDITÀ E CENERI NEL CDR...........................................................................................................87
3.5.3INCERTEZZA ESTESA ANALITICA NELLA DETERMINAZIONE DEL PCI NEL CDR
89
3.5.4 INCERTEZZA ESTESA ANALITICA NELLA DETERMINAZIONE DEI CLORO E ZOLFO NEL CDR............................................................................................................89
3.5.5 INCERTEZZA ESTESA ANALITICA NELLA DETERMINAZIONE DEI METALLI NEL CDR............................................................................................................................
90
3.6 IL CALCOLO DELL’INCERTEZZA ESTESA DI CAMPIONAMENTO 91
4 RISULATI E DISCUSSIONE........................................................................94
4.1 STUDIO PRELIMINARE..............................................................................94
5. CONCLUSIONI............................................................................................117
6. BIBLIOGRAFIA...........................................................................................117
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1. INTRODUZIONE
1.1 SCOPO DEL LAVORO
In Italia l'incenerimento dei rifiuti è una modalità di smaltimento
minoritaria, ma comunque nella media dei Paesi Europei, anche a causa
dei dubbi relativi alla nocività delle emissioni nel lungo periodo e delle
conseguenti resistenze della popolazione.
La maggior parte dei circa 3,5 milioni di tonnellate di combustibile da
rifiuti italiani viene incenerita in impianti del Nord, e il totale nazionale
ammonta a circa il 12% sul totale dei rifiuti solidi urbani.
Il combustibile da rifiuto (CDR) proveniente dagli impianti di deselezione
e produzione si ottiene attraverso processi che eliminano i materiali non
combustibili e la frazione umida. Per la sua produzione viene consentito
l’utilizzo di plastiche non clorurate (PET), imballaggi multimateriali
(carta-alluminio), gomme, resine e fibre sintetiche non contenenti cloro,
non oltre il 50%.
I rendimenti energetici e le emissioni dipendono dalla tipologia
dell’impianto di termovalorizzazione e dalla qualità del combustibile che
lo alimenta. Ai fini della resa energetica le plastiche, la carta, il legno
sono combustibili migliori della frazione umida, che brucia con difficoltà,
di quella inerte e dei metalli che, al contrario possono generare sia
problemi di tipo tecnico, legati alla manutenzione impiantistica, che
ambientali, legati alle emissioni in atmosfera. Anche impianti ristrutturati
ed "adeguati" recentemente, presentano a volte emissioni fuori norma.
I controlli analitici, eseguiti su tutte le fasi del processo: CDR, ceneri,
scorie, emissioni in atmosfera, rivestono notevole importanza.
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La Norma UNI 99031 fornisce importanti linee guida per la valutazione
dell’idoneità del CDR mediante la formulazione del giudizio sulla base
del valore medio ottenuto, per ciascun parametro analitico, su un periodo
di osservazione di 5 settimane. Inoltre, descrive in dettaglio le modalità di
campionamento e di analisi differenziando le procedure sulla base della
pezzatura e della densità del CDR.
Prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 205/2010, il CDR (Combustibile
Derivato da Rifiuti) veniva definito come "il combustibile classificabile,
sulla base della norma tecnica UNI 9903-12. In essa il CDR viene distinto
in CDR di qualità normale, recuperato dai rifiuti urbani e da quelli speciali
non pericolosi che ricalca le specifiche definite dal DM 05/02/98, quindi
quelle comunemente utilizzate dai produttori di CDR per ottemperare alla
legislazione vigente, e quello di qualità elevata caratterizzata da specifiche
più stringenti di quelle previste dalla legislazione vigente, sia per il
contenuto di sostanze potenzialmente dannose per l’ambiente (metalli
pesanti, ecc), sia per quanto riguarda parametri di interesse tecnologico
(potere calorifico, umidità, ecc.).
Il D.Lgs. 387/2003 - attuazione della Direttiva FER - all’art. 17 prevede
che entrambe le tipologie di CDR definite dalla norma UNI 9903-1
utilizzate in impianti dedicati o in centrali ibride siano ammesse a
beneficiare degli incentivi previsti per le FER (Certificati Verdi e
Certificati Bianchi, Decreti Bersani e Letta).
Tuttavia, l’Ente normatore ha recentemente ritirato alcune delle norme
relative alle determinazioni da effettuare sul CDR recependo le
corrispondenti norme tecniche CEN. Tali modifiche sono in perfetto
accordo con quanto previsto dal D.Lgs. 205/20103 che elimina il CDR
dalle definizioni riassunte nell’art. 183 del D.Lgs. 152/2006, introducendo 1 UNI 9903-1: 2004 “Combustibili solidi non minerali ricavati da rifiuti (RDF) - Classificazione e specifiche
tecniche”2 D.Lgs. 152 del 03-04-2006- “Norme in materia Ambientale” Parte IV'art. 183, lettera r33 D.Lgs 03-12-2010 – “"Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive"
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il CSS (Combustibile Solido Secondario) definito come il combustibile
solido prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e
di specificazione individuate dalle norme tecniche UNI CEN/TS 15359 e
successive modifiche ed integrazioni.
Tali norme prevedono che la classificazione venga condotta in base a 3
parametri importanti:
uno riferito al vantaggio economico (potere calorifico inferiore)
un legato ad una proprietà tecnica (il contenuto in cloro)
uno legato all’impatto ambientale (il contenuto di mercurio).
Ciascuna proprietà è suddivisa in 5 classi aventi valori limite la
combinazione del numero danno luogo al codice di classe da asserire al
combustibile esaminato.
Trattandosi di una matrice estremamente eterogenea le operazioni a monte
del processo analitico legate soprattutto al campionamento in campo
rivestono un ruolo primario ai fini di una corretta classificazione, sia
secondo la UNI 9903 che secondo le UNI CEN/TS 153594. Tuttavia
entrambe le norme non forniscono sufficienti indicazioni legate alla
rappresentatività a ed alla qualità, in termini di accettabilità, del dato
analitico misurato sul campione di laboratorio rispetto al cumulo che
giornalmente viene inviato a combustione.
La variabilità può venire espressa in termini di incertezza estesa di
campionamento e di analisi, associata al campione di laboratorio come
somma degli incrementi che esso rappresenta. È presumibile una
incertezza di campionamento maggiore nella stima dei parametri la cui
presenza è molto variabile ed il cui contenuto è molto ridotto nel CDR
(metalli pesanti) rispetto ad altri che, al contrario, sono presenti in misura
maggiore (zolfo) o che dipendono da fattori macroscopici (ceneri) o dalla
modalità di stoccaggio (umidità). Si può dimostrare che tale variabilità è
strettamente collegata con la distribuzione dei dati associati ad ogni 4 UNI CEN/TS 15359:2006, Combustibili solidi secondari - Classificazione e specifiche
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parametro esaminato ottenuti nell’arco dell’intera campagna. La normalità
di una distribuzione può essere valutata mediante il test di Shapiro Willks,
il cui esito, se positivo, offre la possibilità di evidenziare eventuali dati
anomali ed eliminarli dalle elaborazioni statistiche successive. I test che
consentono tale stima sono il test di Grubbs, Dixon o Huber.
Un passaggio necessario per la comparazione delle misure è quello di
corredare il dato analitico della relativa incertezza estesa di misura. Essa
caratterizza la dispersione dei valori che possono essere ragionevolmente
attribuiti al misurando, qualora siano state considerate tutte le sorgenti
d’errore5.
Da diversi confronti interlaboratorio emergono chiare indicazioni sul
contributo rilevante del campionamento all’incertezza finale del risultato
analitico.
La probabilità di analizzare campioni non rappresentativi è molto concreta
e altrettanto elevato è il rischio di non evidenziare situazioni di non
conformità o al contrario creare allarmismi ingiustificati. L’incertezza di
misura associata al risultato analitico fornisce uno strumento per la
valutazione di conformità, nei casi in cui la norma di riferimento non dà
indicazioni sulle regole decisionali da adottare. In un quadro di questo
tipo emerge l’importanza del contributo all’incertezza associato al
campionamento oltre che quello legato alla misura.
In questo studio si è valutata la validità della procedura di campionamento
del CDR in relazione a ciascun parametro avente valore limite misurata
attraverso gli indici di dispersione precedentemente indicati: le incertezze
estese analitiche e di campionamento.
Tale studio è stato condotto su un lotto di produzione definito dalla UNI
9903-1, corrispondente a circa un mese di osservazione. L’incertezza della
misura, espressa in termini assoluti sul valore letto, è espressa con un
fattore di copertura K=2 corrispondente ad un intervallo di confidenza di 5 UNI CEI ENV 13005:2000- “Guida all'espressione dell'incertezza di misura”
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circa il 95%. Il calcolo dell’incertezza estesa di misura è stato effettuato
come suggerito dalle norme: UNI CEI ENV 13005-20005 ed
Eurachem/CITAC6. Il calcolo dell’incertezza estesa di campionamento è
stata svolta applicando un test Anova a cascata come indicato nel Manuale
UNICHIM n. 202:20097.
1.2 IL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI URBANI - ASPETTI NORMATIVI
1.2.1 GENERALITÀ
La costituzione del Ministero dell’Ambiente (1987) istituì in Italia la vera
e propria riforma istituzionale facendo recuperare al governo centrale i
poteri di intervento per la tutela dell’ambiente mediante l’emanazione di
leggi e decreti per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti in accordo con le
direttive dell’UE che sfociarono nel Decreto Ronchi D.Lgs 22/97
(modificato dal D.Lgs. 8 novembre 1997, n. 389 (Ronchi bis) ed infine
dalla legge 426/1998 (Ronchi ter), dall’attuazione delle direttive CEE
91/156 sui rifiuti e 91/689 sui rifiuti pericolosi che introdusse importanti
innovazioni in materia di gestione dei rifiuti.
La successiva entrata in vigore del Codice dell’Ambiente, rappresentato
dal DLgs 152/06, emanato in attuazione della Legge 308/2004 “delega
ambientale” e recante “norme in materia ambientale”, dedica la parte IV
alle “Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti
inquinati” (articoli 177 – 266). Tale decreto ha abrogato una serie di
provvedimenti precedenti tra cui il Decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio
1997, cosiddetto Decreto “Ronchi”, che fino alla data di entrata in vigore
del D.lgs. 152/06 ha rappresentato la legge quadro di riferimento in
6 Eurachem/CITAC guide “Quantifying Uncertainty in Analytical Measurements”7 Manuale UNICHIM n. 202 Ed. 2009? “Campionamento ed analisi in campo ambientale.
Stima dell’incertezza di misura”.
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materia di rifiuti. La gerarchia di gestione dei rifiuti è disciplinata dall’art.
179 del D.Lgs. 152/06 “Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti” che
stabilisce quali misure prioritarie la prevenzione e la riduzione della
produzione e della nocività dei rifiuti seguite da misure dirette quali il
recupero dei rifiuti mediante riciclo, il reimpiego, il riutilizzo o ogni altra
azione intesa a ottenere materie prime secondarie, nonché all’uso di rifiuti
come fonte di energia.
Il Decreto quindi persegue la linea già definita dal Decreto “Ronchi”,
ovvero la priorità della prevenzione e della riduzione della produzione e
della pericolosità dei rifiuti, a cui seguono solo successivamente il
recupero (di materia e di energia) e quindi, come fase residuale dell’intera
gestione, lo smaltimento (messa in discarica ed incenerimento).
La classificazione dei rifiuti presente nel D.lgs. 152/06 distingue i rifiuti:
secondo l’origine in: Rifiuti urbani e Rifiuti speciali;
secondo le caratteristiche di pericolosità in: Rifiuti pericolosi e non
pericolosi.
L'Unione europea, al fine di dissociare la crescita dalla produzione di
rifiuti, ha recentemente proposto un quadro giuridico volto a controllare
tutto il ciclo dei rifiuti, dalla produzione allo smaltimento, ponendo
l'accento sul recupero e il riciclaggio.
Il Ministero dell’Ambiente ha predisposto lo schema di decreto legislativo
di recepimento della Direttiva Quadro sui rifiuti 2008/98/CE recepito con
il D.Lgs 205/10, che interviene sulla parte IV del Codice dell’Ambiente,
relativa ai rifiuti e alla bonifica dei siti inquinati. I punti maggiormente
rilevanti dei decreti suddetti vengono descritti in tabella 1.1.
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Tabella 1.1 – Principali innovazioni ed integrazioni degli aspetti normativi in materia
di rifiuti.
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1.2.2 COMBUSTIBILE DA RIFIUTO (CDR) E COMBUSTIBILE SOLIDO SECONDARIO (CSS)
Il DM 5 Febbraio 1998 individua i rifiuti utilizzabili per la produzione del
Combustibile Derivato da Rifiuti (CDR) nonché le possibili modalità di
recupero e le norme tecniche per l’utilizzazione come mezzo per produrre
energia.
In Italia il CDR è stato dapprima considerato un rifiuto urbano in virtù del
fatto che il rifiuto in uscita da un impianto di smaltimento che tratta rifiuti
urbani non può essere ritenuto rifiuto speciale agli effetti dell'articolo 7,
comma 3, lettera g) del Decreto Ronchi. Poi c'è stato un capovolgimento
di fronte e il CDR con legge n.179/2002 è diventato rifiuto speciale a tutti
gli effetti, senza ulteriori specificazioni, tramite un opportuno inserimento
tra le definizioni di cui all’art. 7 comma 3 del D.Lgs. n. 22/1997 (la lettera
l-bis). Il passaggio del CDR da rifiuto urbano a rifiuto speciale ne ha
comportato la definitiva uscita dalla privativa pubblica e dalla
pianificazione, consentendone l’utilizzo anche al di fuori del territorio
regionale di produzione; infatti all’art 229 dello stesso Decreto
Legislativo, al comma 1 viene chiaramente specificato come sia il CDR di
qualità normale che di qualità elevata siano rifiuti speciali, indicando
anche come nella composizione dei rifiuti di partenza possa essere
ammessa una percentuale massima del 50% di rifiuti speciali non
pericolosi.
I combustibili solidi secondari (CSS), come definiti dal Comitato
Termotecnico Italiano (CTI 2009), sono ricavati dai rifiuti non pericolosi,
per essere destinati al recupero di energia in impianti di incenerimento e
co-incenerimento, rispondenti a determinati criteri di classificazione (UNI
CEN/TS 15359). Il CDR costituisce un sottoinsieme dei CSS, definito
dall’art. 183 del Dlgs 152/06 come “combustibile ottenuto da rifiuti
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urbani e speciali non pericolosi mediante opportuni trattamenti e
classificabile come tale sulla base della Norma UNI 9903”.
La UNI 9903, formata inizialmente da 14 sezioni, è stata recentemente
oggetto di parziale ritiro con sostituzione da parte dell’UNI.
La UNI 9903-1 costituisce il riferimento normativo per la classificazione
del CDR in Italia: a livello europeo è, invece, in atto un iter normativo che
partendo da un mandato CEN8, sta producendo una serie di norme EN a
partire da specifiche tecniche TS (Technical Standard), già in vigore,
sottoposte a processo di validazione. Tali norme non sono solo relative a
procedure analitiche per la determinazione dei diversi parametri necessari
per la caratterizzazione dei CSS in generale (vd Tab. 1.4), ma riguardano
anche i criteri di classificazione, che avranno una validità generale a
livello europeo, inclusi i Paesi nuovi membri e quelli candidati. Si segnala
in particolare che la sezione UNI 9903-3:2004 “Campionamento e
riduzione del campione”, utilizzata come norma di riferimento per questo
studio, è stata ritirata con sostituzione a partire dal 06 ottobre 2011; essa è
stata sostituita dalle seguenti norme:
UNI EN 15442:2011 Combustibili solidi secondari – Metodi di
campionamento
UNI EN 15443:2011 Combustibili solidi secondari – Metodi per la
preparazione del campione di laboratorio
UNI EN 15413:2011 Combustibili solidi secondari – Metodi per la
preparazione del campione di prova dal campione di laboratorio
Tra le sezioni della norma UNI 9903 ancora in vigore si citano le
seguenti:
UNI 9903-1:2004 Combustibili solidi non minerali ricavati da
rifiuti (RDF) - Specifiche e classificazione
UNI 9903-2:2004 Combustibili solidi non minerali ricavati da
rifiuti (RDF) - Termini e definizioni.8 CE M/325 26-08-2002- “Mandate to CEN on Solid Recovered Fuels (SRF)”
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Queste ultime contengono la definizione di lotto di produzione e
definiscono le modalità di verifica delle specifiche:
- la UNI 9903-2 al punto 3 definisce il Lotto di produzione come la
quantità di CDR prodotta in 5 settimane sequenziali e il sottolotto come la
frazione del lotto ottenuta nel corso di una singola settimana;
- la UNI 9903-1 al punto 4 definisce che la corrispondenza del CDR alle
specifiche deve essere verificata con riferimento al lotto di produzione e
tale corrispondenza si intende verificata quando la media delle risultanze
analitiche dei campioni costituiti a partire da ciascuno dei 5 sottolotti
settimanali compresi all’interno di un lotto di produzione rispetta tutti i
limiti previsti.
Nello specifico, la nuova UNI EN 15442:2011 utilizza una la modalità di
individuazione del lotto, non più basata su un arco temporale
predeterminato, ma legata ad un flusso di produzione in massa (il lotto di
campionamento non deve essere superiore a 1.500 ton), prevale, per il
caso di cui trattasi, ancora quanto prescritto dalla UNI 9903-1 e UNI
9903-2, per cui l’impostazione seguita di un campionamento del Lotto di
produzione su 5 settimane, con sottolotti di una settimana, rimane corretta.
Anche in riferimento al numero minimo di incrementi da prelevare, alla
massa minima dell’incremento, alla massa minima del campione e alla
attività di riduzione del campione, le nuove previsioni della UNI EN
15442:2011 e UNI EN 15443:2011, che richiedono il prelievo di almeno
24 incrementi a lotto, risultano soddisfatte, in alcuni casi come per il
numero minimo di incrementi anche in modo conservativo, dal protocollo
di campionamento adottato nella campagna esaminata in questo studio.
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Tabella 1.2- Specifiche tecniche del CDR secondo UNI 9903-1:2004
Caratteristica Unità di misuraLimite di accettabilità CDR
Qualità normale Qualità elevata
Potere Calorifico Inferiore
(P.C.I.)KJ/Kg > 15 000 > 20 000
Umidità Totale % 25 18
Cloro % 0,9 (tq) 0,7 (ss)
Zolfo % 0,6 (tq) 0,3 (ss)
Ceneri % ss 20 15
Piombo (volatile) mg/Kg ss 200 100
Cromo mg/Kg ss 100 70
Manganese mg/Kg ss 400 200
Arsenico mg/Kg ss 9 5
Rame (composti solubili) mg/Kg ss 300 50
Nichel mg/Kg ss 40 30
Cadmio mg/Kg ss n.r. 3
Mercurio mg/Kg ss n.r. 1
Cadmio + Mercurio mg/Kg ss 7 n.r.
I criteri di classificazione sono riportati nel documento prEN15359:2009:
essi derivano dalle pratiche attualmente in uso e dall’esperienza tecnica
dei vari Paesi Europei (vd Tab. 1.4).
Secondo tale documento vengono prese in considerazione 5 classi definite
solo da 3 parametri con valori e calcoli statistici ben diversi rispetto alla
norma UNI 9903.
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Tabella 1.3 - Le norme della serie UNI 9903 relative a "Combustibili solidi non
minerali ricavati da rifiuti (RDF)" sostituite dalle corrispondenti norme Europee
relative a "Combustibili solidi secondari".
Norma Titolo Sostituita da Titolo
UNI 9903-5:1992 Combustibili solidi non minerali ricavati da rifiuti (RDF)
Determinazione del potere calorifico del combustibile
UNI EN 15400:2011
Combustibili solidi secondari
Determinazione del potere calorifico
UNI 9903-6:1992 Combustibili solidi non minerali ricavati da rifiuti (RDF)Determinazione del carbonio e dell'idrogeno contenuti nel combustibile.
UNI EN 15407:2011
Combustibili solidi secondariMetodi per la determinazione del contenuto di carbonio (C), idrogeno (H) e azoto (N)
UNI 9903-7:1992 Combustibili solidi non minerali ricavati da rifiuti (RDF)
Misura dell'umidità totale in un campione di combustibile
UNI EN 15414-3:2011
Combustibili solidi secondari
Determinazione del contenuto di umidità mediante metodo di essiccazione in stufa - Parte 3: Umidità del campione per l'analisi generale
UNI 9903-8:1992 Combustibili solidi non minerali ricavati da rifiuti (RDF)
Determinazione delle sostanze volatili.
UNI EN 15402:2011
Combustibili solidi secondari
Determinazione del contenuto di materia volatile
UNI 9903-9:1992 Combustibili solidi non minerali ricavati da rifiuti (RDF)
Determinazione delle ceneri nel combustibile.
UNI EN 15403:2011
Combustibili solidi secondari
Determinazione del contenuto di ceneri
UNI 9903-10:1992
Combustibili solidi non minerali ricavati da rifiuti (RDF)
Determinazione delle varie forme di cloro esistenti nel combustibile.
UNI EN 15408:2011
Combustibili solidi secondari
Metodi per la determinazione del contenuto di zolfo (S), cloro (Cl), fluoro (F) e bromo (Br)
UNI 9903-11:1992
Combustibili solidi non minerali ricavati da rifiuti (RDF)
Determinazione dell'azoto totale nel combustibile
UNI EN 15407:2011
Combustibili solidi secondariMetodi per la determinazione del contenuto di carbonio (C), idrogeno (H) e azoto (N)
UNI 9903-3:2004 Combustibili solidi non minerali ricavati da rifiuti (RDF)
Campionamento e riduzione del campione
UNI EN 15442:2011UNI EN 15443:2011UNI EN 15413:2011
Combustibili solidi secondariMetodi di campionamentoMetodi per la preparazione del campione di laboratorioMetodi per la preparazione del campione di prova dal campione di laboratorio
Tali parametri sono stati scelti in base alla loro importanza:
Mercurio – rilevanza ambientale;
Cloro – rilevanza sia impiantistica che ambientale;
Potere calorifico netto – rilevanza da un punto di vista energetico
ed economico.
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Tabella 1.4 Sistema di classificazione del CSS secondo prEN 15359:2009
Caratteristica Tipo di misura statistica
Unità di misura
Classi1 2 3 4 5
PCI media MJ/kg tq ≥ 25 ≥ 20 ≥ 15 ≥ 10 ≥ 3
Cloro media % ss ≤ 0,2 ≤ 0,6 ≤ 1,0 ≤ 1,5 ≤ 3,0
Mercuriomediana MJ/kg tq ≤0,02 ≤0,03 ≤ 0,08 ≤ 0,15 ≤ 0,50
80°percentile MJ/kg tq ≤0,04 ≤0,06 ≤ 0,16 ≤ 0,30 ≤ 1,00
È lecito chiedersi quale sarà l’evoluzione dello scenario relativo alla
classificazione del CDR in Italia al momento del ritiro della UNI 9903
parte 1, in quanto diversi decreti (Dlgs 152/06 e DM 186/2006) fanno
diretto riferimento ad essa e tale passaggio potrà richiedere lunghi tempi
per l’armonizzazione delle normative tecniche di settore. Il futuro cambio
della norma potrebbe influenzare in modo significativo la classificazione
del CDR.
Secondo uno studio condotto su 5 diverse tipologie di materiale destinati
alla produzione di CDR proveniente dal trattamento dei rifiuti solidi
urbani, mediante vagliatura, separazione magnetica e biostabilizzazione,
ma aventi origine, provenienza e vagliatura differente, si registra una
diversa situazione classificando i materiali secondo norma UNI 9903 o
prEN 15359. Con questa seconda norma tutte le tipologie di CDR
analizzate si sono collocate in una fascia di CSS sufficiente - buono da un
punto di vista energetico-ambientale-impiantistico, mentre secondo la
UNI 9903 alcune tipologie di CDR oggetto del suddetto studio sono state
classificate come semplice rifiuto in quanto non soddisfano i requisiti del
prospetto 19. Questo perché alcuni parametri quali i metalli pesanti e le
ceneri, che non vengono considerati dal punto di vista della
classificazione secondo prEN 15359, sono importanti dal punto di vista
della rispondenza ai requisiti degli utilizzatori nei diversi tipi di impianti;
9 Marco Achilli, Laura Romele “Nuove classificazioni per i combustibili solidi secondari”- Acqua e Aria n.6 2011 p. 12
14 di 122
risulta pertanto, necessario armonizzare le normative tecniche di settore.
Per questo motivo è stato avviato un processo di revisione della UNI
9903-1:2004 per integrare quanto previsto dalla prEN 15359 dal punto di
vista delle 5 classi, ma con l’attribuzione di un indice di qualità
dell’attuale UNI 9903-1:2004.
1.2.2.1 GLI INCENTIVI
In Italia, i costi dello smaltimento dei rifiuti tramite incenerimento sono
indirettamente sostenuti dallo Stato sotto la forma di incentivi alla
produzione di energia elettrica: infatti questa modalità di produzione era
considerata (sebbene in violazione delle normative europee in materia),
come da fonte rinnovabile (assimilata) alla paragonabili ai settori
idroelettrico, solare, eolico e geotermico.
Il D.Lgs. 387/2003 - attuazione della Direttiva FER - all’art. 17 prevede
che entrambe le tipologie di CDR (qualità normale ed elevata) utilizzate in
impianti dedicati o in centrali ibride siano ammesse a beneficiare degli
incentivi previsti per le FER (Certificati Verdi e Certificati Bianchi,
Decreti Bersani e Letta). Tale concetto viene ripreso successivamente nel
D.Lgs 152/06 all’art. 229.
Le modalità di finanziamento sono due, correlate ma diverse:
pagamento maggiorato dell'elettricità prodotta per 8 anni - CIP 6
(circolare n° 6/1992 del Comitato Interministeriale Prezzi );
riconoscimento di "certificati verdi" che il gestore dell'impianto può
rivendere (per 12 anni).
Secondo la normativa europea, solo la parte organica dei rifiuti viene
considerata rinnovabile; la restante parte può essere considerata
esclusivamente una forma di smaltimento del rifiuto, escludendo
esplicitamente la valenza di "recupero". Pertanto la Commissione Europea
ha avviato una procedura di infrazione contro l'Italia per gli incentivi dati
15 di 122
dal governo italiano per produrre energia bruciando rifiuti inorganici
considerandoli "fonte rinnovabile". Per regolamentare la questione il 7
febbraio 2007 è stato presentato dal Consiglio dei Ministri un disegno di
legge (n. 1347) passato all'esame delle Commissioni Industria e Ambiente
del Senato e finalizzato a limitare gli incentivi «ai soli impianti realizzati e
operativi» come originariamente previsto dalla finanziaria 2007. La
Finanziaria 2007 (L. 296/2006) abroga l’art. 229 del D.Lgs. 152/06 che
estendeva il regime di incentivazione di cui anche al CDR e CDR-Q e
oltre alle disposizioni previste dagli art. 17 e 20, del D.Lgs. 387/03 che
ammettevano a beneficiare del regime riservato alle fonti energetiche
rinnovabili i rifiuti.
La norma è stata infine approvata nella finanziaria 2008 ma nei fatti
rimessa ampiamente in discussione dal Decreto 113/08 che riapre i
termini delle autorizzazioni "in deroga".
Allo stato attuale quindi né CDR né CDR-Q beneficiano di incentivi. Ora
occorre attendere i provvedimenti legislativi che definiscano eventuali
incentivi relativi alle fonti escluse. Gli incentivi concessi agli impianti già
autorizzati e in via di realizzazione o già in esercizio all’entrata in vigore
della legge finanziaria rimangono attivi.
1.2.2.2 GLI ABUSI – ALCUNI ESEMPI
In Italia la problematica in merito alla la gestione dei rifiuti si va
differenziando da regione a regione. L'infiltrazione della criminalità e
traffici illeciti come la cattiva gestione della cosa pubblica rende difficile
la gestione del problema rifiuti in alcune regioni meno "virtuose". Gli
interessi sono tali da aver impedito qualunque soluzione diversa dalle
discariche mal gestite e poco controllate: quindi sia la raccolta
differenziata che il ripiego sugli inceneritori sono a tutt'oggi a livelli
16 di 122
marginali e la stessa realizzazione di discariche a norma ha presentato
problemi.
Tuttavia, anche impianti ristrutturati ed "adeguati" di recente, presentano a
volte emissioni fuori norma:
Luglio 2007: il termovalorizzatore di Brescia, nonostante sia stato
coinvolto in due violazioni di direttive europee, delle quali una a
livello nazionale riguardante il CIP 6, sfociate anche in una
condanna da parte dell'Unione Europea10;
Gennaio 2008: l'inceneritore di Terni (ristrutturato nel 1998) è stato
posto sotto sequestro in quanto i gestori (la società ASM),
avrebbero nascosto emissioni gassose e nelle acque di scarico
pesantemente fuori norma con alte concentrazioni di mercurio,
cadmio,diossine, acido cloridrico. Sarebbero inoltre stati bruciati in
più occasioni persino rifiuti radioattivi di origine ospedaliera e non
solo11;
Marzo 2009: nell'impianto di Colleferro veniva smaltito ogni tipo di
rifiuto violando "tutte le norme previste". Parte del materiale
arrivava di nascosto dalla Campania e comprendeva anche rifiuti
pericolosi12;
l'impianto di Brindisi è stato chiuso in seguito ad un filone che
vedeva oggetto di inchiesta la manomissione dei sistemi di
controllo delle emissioni. Per lo stesso motivo è stato fermato
l'inceneritore del Pollino (o di Falascaia) a Pietrasanta13.
10 http://www.napoliassise.it/condannabrescia.pdf)11 http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/cronaca/rifiuti-4/rifiuti-4/rifiuti-4.html12 http://www.rainews24.it/it/tag.php?id=124&page=713 http://iltirreno.gelocal.it/massa/cronaca/2008/09/03/news/truccati-per-anni-i-dati-sulla-diossina-1508224
17 di 122
1.3 IL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI URBANI - ASPETTI STATISTICI
Secondo il Rapporto Ispra 200914, la produzione nazionale dei rifiuti
urbani (RU) si attesta, nell’anno 2008, a poco meno di 32,5 milioni di
tonnellate mostrando, rispetto al 2007, una leggera contrazione, che fa
seguito alla sostanziale stabilità già riscontrata tra il 2006 ed il 2007
(+0,1%) (Fig.1.1).
Tale contrazione può essere riconducibile a diversi fattori quali:
la riduzione del prodotto interno lordo e spese delle famiglie
residenti;
la tendenza, più o meno marcata nei diversi contesti territoriali e a
livello di singolo comune, ad assimilare, ai rifiuti urbani stessi,
diverse tipologie di rifiuti speciali derivanti da circuiti produttivi.
Questi rifiuti, in accordo con i regolamenti comunali, vengono in
diversi casi raccolti nell’ambito dei sistemi di gestione dei rifiuti
provenienti dal ciclo urbano e sono, dunque, computati tra gli RU,
incidendo in maniera non trascurabile sul dato di produzione
annuale di questi ultimi e sul loro andamento complessivo;
le ultime disposizioni normative, introdotte dal D.Lgs 152/2006,
ulteriormente modificate ad inizio 2008, dal D.Lgs 4/2008, che
hanno previsto una serie di limitazioni alla possibilità di
assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani;
l’attivazione di misure di prevenzione.
14 ISPRA – “Rapporto sui Rifiuti Urbani- anno 2009”, n. 108/2010
18 di 122
Figura 1.1 - Andamento della produzione dei rifiuti urbani anni 1998 -2008.
A livello nazionale, la raccolta differenziata raggiunge, nel 2008, una
percentuale pari al 30,6% della produzione totale dei rifiuti urbani (Fig-
1.2). Rispetto al 2007, anno in cui tale percentuale si assestava al 27,5%
circa, si osserva, dunque, un’ulteriore crescita, sebbene non vengano
ancora conseguiti né l’obiettivo fissato dalla normativa per il 31 dicembre
2008 (45%), né quelli previsti per il 2007 ed il 2006 (rispettivamente 40%
e 35%).
19 di 122
Figura 1.2 - Andamento della raccolta differenziata dei rifiuti urbani – anni 2004-
2008.
In figura 1.3 è rappresentata la ripartizione percentuale delle singole
operazioni di trattamento/smaltimento rispetto al totale dei rifiuti urbani
gestiti nell’anno 2008.
L’analisi delle percentuali relative alla gestione dei rifiuti urbani evidenzia
dati confortanti in quanto lo smaltimento in discarica rappresenta circa il
45% dei rifiuti complessivamente gestiti nell’anno di riferimento. Lo
20 di 122
smaltimento in discarica si riduce, rispetto al 2007, di 930 mila tonnellate
(-1,8 punti percentuali), decresce anche la quantità di rifiuti avviati al
trattamento meccanico biologico di circa 360 mila tonnellate (-0,7 punti
percentuali), mentre le altre forme di gestione fanno registrare lievi
incrementi.
Quindi, malgrado la discarica rappresenti la forma di gestione più diffusa
anche non risulta più la prevalente; nell’insieme, infatti, le altre tipologie
di recupero, trattamento e smaltimento rappresentano oltre la metà dei
rifiuti gestiti (55%).
Questo anche grazie all’incremento della raccolta differenziata e al
conseguente aumento delle diverse frazioni merceologiche, in particolare,
le quantità di rifiuti avviate al recupero di materia. Le quantità di rifiuti
avviati a trattamento biologico sia di tipo aerobico che anaerobico
crescono rispettivamente di 0,8 e 0,6 punti percentuali. Ciò è
comprensibile se si tiene conto delle quantità di rifiuti di imballaggio
recuperati provenienti da superfici pubbliche, dei materiali derivanti dalla
raccolta differenziata avviati a riciclaggio al netto degli scarti di selezione,
delle quantità di scorie e ceneri, provenienti dall’incenerimento dei rifiuti
urbani, recuperati in impianti produttivi (ad esempio, cementifici), nonché
delle scorie e delle ceneri, derivanti dai processi di incenerimento, avviate
a smaltimento, nonché del CDR/frazione secca recuperata in impianti
produttivi.
Tali rifiuti, infatti, una volta sottoposti a trattamenti di selezione, di
biostabilizzazione, chimico fisici o termici vengono identificati con codici
191212 (altri rifiuti compresi i materiali misti prodotti dal trattamento
meccanico dei rifiuti), 191210 (rifiuti combustibili; CDR), 190501 (parte
di rifiuti urbani e simili non compostata), 190503 (compost fuori
specifica) sono classificati come rifiuti speciali. In virtù di tale
classificazione in molte regioni si assiste a rilevanti movimentazione di
21 di 122
queste tipologie di rifiuti verso destinazioni extraregionali, non esistendo
obblighi di smaltimento nell’ambito della regione di produzione come,
invece, avviene per i rifiuti urbani.
Figura 1.3 - Ripartizione percentuale della gestione dei rifiuti urbani – anno 2008.
Le diverse frazioni che compongono materiali in uscita dagli impianti
(Figura 1.3), nell’anno 2008, ammontano, complessivamente, a circa 7,1
milioni di tonnellate.
La tabella 1.5 si riferisce al quadro impiantistico relativo alla produzione
di CDR. Dal Rapporto ENEA-Federambiente15 si ricava come siano ben
135 gli impianti esistenti finalizzati alla produzione di CDR: nel 2007 la
produzione di CDR è stata di circa 1,5 Mt. Tuttavia, stando ai dati
riportati dall’Ispra9, nel 2008 risultano 64 gli impianti censiti (63
nell’anno 2007), di cui 27 nelle regioni del Nord, 23 in quelle del Centro
ed i restanti 14, localizzati nelle regioni del Sud del Paese. Gli impianti
operativi con produzione di CDR sono 40; altri due, localizzati nel Lazio,
hanno iniziato la produzione di CDR in regime di collaudo.
15 ENEA-Federambiente, 2010 – “Rapporto sulle tecniche di trattamento dei rifiuti urbani in Italia”
22 di 122
Tabella1.5 - Quadro impiantistico relativo alla produzione di CDR – anno 2008.
Gli impianti autorizzati, che non hanno prodotto CDR, sono 20, il
biostabilizzato (946.765 tonnellate) il 13,4%, il CDR (862.096 tonnellate)
il 12,2%, gli scarti (1,6 milioni di tonnellate) il 23,3%.
La frazione secca, pari a circa 2 milioni di tonnellate, costituisce il 27,6%,
Le altre frazioni in uscita dagli impianti di trattamento meccanico
23 di 122
biologico sono costituite da frazione umida (4,9%), bioessiccato (1,4%),
metalli (0,4%) ed altri materiali quali, legno e plastiche (16,8%).
Nell’anno 2008 le principali tipologie di rifiuti, urbani e speciali, avviate
ad impianti di incenerimento e co-incenerimento, sono: la Frazione
combustibile dei RU (35,5%), i Rifiuti della lavorazione del legno, carta
ed affini (17,9%), il CDR (12,7%), il Biogas (9%), i Rifiuti prodotti dal
trattamento meccanico di rifiuti di origine urbana (8,4%), i Rifiuti prodotti
da trattamento chimico-fisico di rifiuti industriali e delle acque reflue
(3,3%) ed, infine, i Rifiuti dell'attività agroalimentare (2,3%).
Nel 2008 il numero di impianti di incenerimento operativi si è mantenuto
sostanzialmente invariato se si esclude l’avvio di due impianti di
trattamento di CDR e biomasse e biomasse da rifiuti, situati in Molise nei
comuni di Pozzilli e Termoli. Gli impianti operativi sono quindi 49,
rispetto ai 47 dell’anno precedente. Oltre agli impianti appena citati, ha
ripreso l’attività l’impianto di Poggibonsi (SI) ed, inoltre, il gassificatore
di Malagrotta ha avviato la fase di esercizio provvisorio a seguito del
quale è stata rilasciata l’AIA. L’impianto di Potenza non ha ancora
completato la fase di precollaudo, mentre quello di Terni è rimasto
inattivo dall’inizio del 2008 per alcuni problemi di carattere gestionale. La
maggior parte degli impianti operativi, quasi il 60%, sono localizzati nel
nord Italia16.
Nelle regioni del Centro sono operativi 13 impianti, di cui 8 nella regione
Toscana, uno in più dell’anno precedente per effetto del riavvio
dell’impianto di Poggibonsi, 4 nel Lazio, uno in più grazie all’avvio del
gassificatore di Roma Malagrotta ed uno nella regione Marche. I
rimanenti 8 impianti sono localizzati in Molise (2), Puglia (1), Basilicata
(1), Calabria (1), Sicilia (1) e Sardegna (2).
16 ISPRA – “Rapporto sui Rifiuti Speciali - estratto anno 2010”, n. 125/2010
24 di 122
Per quanto riguarda gli impianti non operativi, va segnalato che sono in
corso le operazione di costruzione della seconda linea dell’impianto di S.
Vittore del Lazio che porterà la potenzialità di trattamento fino ad oltre
102.000 tonnellate di CDR. In Campania l’impianto di Acerra , dall’inizio
del 2009, è in fase di precollaudo e, da luglio 2009, ha iniziato ad
incenerire rifiuti con quantitativi mensili che si aggirano mediamente
attorno alle 31 mila tonnellate. Nella Tabella 1.6 è presentato il quadro di
dettaglio degli impianti di trattamento di RU e CDR, operativi nell’anno
2008.
Tabella 1.6 - Numero di impianti di incenerimento operativi in Italia.
1.4 IL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI URBANI - ASPETTI
TECNICI
Il ciclo dei rifiuti solidi urbani passa attraverso:
la raccolta – eseguita in Italia da organizzazioni diverse secondo l’area
geografica;
25 di 122
lo stoccaggio che avviene negli impianti di stoccaggio provvisorio in
cui si tampona la mancanza di impianti di smaltimento e nelle stazioni
di trasferimento che consentono le operazioni di raccolta differenziata;
lo smaltimento che avviene attraverso:
la selezione per il recupero di materiali ed energia con smaltimento
finale dei residui in discarica o inceneritore. Tale recupero viene
eseguito attraverso il compostaggio per il recupero di materiale
organico putrescibile, tramite produzione di CDR, dal recupero di
carta, plastica, legno, tessili e gomma, riciclaggio da recupero di
vetro, plastica alluminio, metalli ferrosi, recupero energetico dai
processi di termodistruzione o interramento controllato;
interramento controllato (discarica controllata) che prevede uno
stoccaggio definitivo dei rifiuti tal quali o sottoposti a trattamento in
discariche progettate in funzione delle caratteristiche del sito di
stoccaggio (uno strato o due di drenaggio sul fondo per il recupero
del percolato che viene raccolto ed inviato al depuratore) e dei
materiali da stoccare;
combustione presso impianti di incenerimento che inceneriscono la
sostanza organica dalla quale viene recuperata energia termica.
In particolare il compostaggio è una tecnologia biologica usata per trattare
la frazione organica dei rifiuti sfruttando un processo di bio-ossidazione
per l’ottenimento di ammendante agricolo di qualità.
I rifiuti speciali vengono smaltiti, secondo l’appartenenza alle sette classi
in cui vengono suddivisi:
in discarica (I, II, III categoria);
in impianti di trattamento per l’inertizzazione, la termodistruzione o
per un trattamento chimico-fisico-biologico. Tramite digestione
anaerobica si può ottenere del biogas (principalmente metano) bruciato
per produrre energia elettrica e calore.
26 di 122
La gestione integrata degli RSU - e quindi il loro destino, le modalità di
trattamento, riuso e smaltimento finale delle diverse frazioni, si fonda
sulla logica della riduzione, il riuso, il riciclaggio ed il recupero di materia
e/o di energia, a cui si affianca la necessità, altrettanto importante, di
ridurre la pericolosità e gli impatti connessi alle modalità di trattamento e
smaltimento finale.
Il ruolo delle discariche, si ridurrà progressivamente e, da unico sistema di
smaltimento finale dell’insieme indifferenziato dei rifiuti prodotti,
manterrà la funzione (peraltro insostituibile, almeno nel breve e medio
termine) di ultimo recapito (in condizioni di sicurezza) dei rifiuti e dei
residui (derivanti dalle operazioni di riciclaggio e recupero energetico) di
cui non è possibile nessun ulteriore riutilizzo, riciclaggio o recupero
energetico.
La riduzione riguarda primariamente la produzione di beni, e quindi
l’industria manifatturiera. Nel caso specifico dei RSU, la legislazione
europea punta sulla riduzione degli imballaggi (in vetro, plastica, carta e
cartone) che costituiscono quasi la metà dei RSU, incentivandola
mediante una tassazione sulle quantità prodotte e utilizzate. Anche
l’adozione di una tariffa correlata alla produzione di rifiuti da parte degli
utenti del servizio di nettezza urbana contribuisce a disincentivare la
produzione incontrollata di rifiuti domestici.
La raccolta dei rifiuti, anche sulla spinta di provvedimenti legislativi, ha
ampliato le forme di conferimento differenziato che rendono più semplice
il riutilizzo o il riciclaggio dei materiali raccolti, in funzione delle
caratteristiche merceologiche.
1.4.1 RIUSO O RIUTILIZZO
Il riuso (o riutilizzo) è una modalità di gestione dei rifiuti che si basa sul
riutilizzo diretto del bene di consumo destinandolo allo stesso tipo di
funzione per il quale era stato concepito (tipico esempio è quello dei
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contenitori in vetro – detti “vuoti a rendere” – o dei pallets utilizzati nella
media e grande distribuzione). Il riuso può avvenire direttamente da parte
dell'utente o da parte di società che organizzano un servizio di raccolta
differenziata dei beni di consumo da riutilizzare. In entrambi i casi si tratta
di una modalità di controllo della produzione dei rifiuti che tende ad
allungare la vita utile del prodotto, diminuendo quindi il flusso dei rifiuti.
I rifiuti si riducono alle componenti che hanno subito danneggiamenti tali
da farne perdere le caratteristiche e le funzionalità originarie.
1.4.2 RICICLAGGIO
Il riciclaggio è una modalità di gestione dei rifiuti che si basa sul riutilizzo
dei materiali di cui è costituito il rifiuto, per lo stesso o per altri usi
rispetto a quelli del bene originario. Esso si differenzia dal riuso per il
fatto che non viene soggetto a riutilizzo direttamente il bene ma il
materiale di cui è composto. Tipici esempi sono: il riciclaggio delle
bottiglie di plastica usate per produrre altre bottiglie (a condizione che si
operi la separazione per polimero: PET, PVC, PE) oppure contenitori per
detergenti o fertilizzanti oppure manufatti con caratteristiche molto più
scadenti. I film plastici sono riciclati per produrre nuovo granulato
plastico destinato alla produzione di sacchi per rifiuti o coperture per cavi
elettrici. Il riciclaggio di un dato materiale trova convenienza economica
ed ambientale nel fatto che esso può comportare un consistente risparmio
di energia rispetto all'utilizzo della materia prima corrispondente.
1.4.3 RECUPERO
Per recupero si intende qualsiasi tecnica finalizzata alla riduzione della
quantità di rifiuti destinata allo smaltimento. Esso può articolarsi in:
- riutilizzo diretto;- riciclaggio;- recupero di materie prime;- recupero di energia.
28 di 122
1.5 IL RECUPERO ENERGETICO MEDIANTE L’INCENERIMENTO
Il processo d'incenerimento dei rifiuti urbani, oggi chiamato
preferibilmente termovalorizzazione e/o termoutilizzazione dei rifiuti, è
un processo di combustione controllata, che deve assicurare una
sufficiente degradazione della sostanza organica presente nei rifiuti e, se
possibile, di tutti i sottoprodotti di combustione più dannosi per la salute
umana.
All’interno del forno si generano tre flussi di materia, un flusso gassoso,
un flusso di particolato e di sostanze condensabili, chiamato "ceneri
volanti", pari al 2 - 3% del RSU in ingresso e un flusso di scorie pesanti
pari al 15 - 25% del RSU in ingresso.
Figura 1.4 - Schema dei flussi principali all'interno dell'inceneritore.
Nel flusso gassoso sono presenti gli inquinanti gassosi prodotti dalla
combustione che sono ossidi di zolfo, ossidi di azoto, monossido di
carbonio, composti inorganici del cloro e del fluoro, composti organici
volatili, PCDD e PCDF, metalli pesanti.
Le ceneri volanti, che costituiscono la componente più leggera delle
scorie, vengono trasportate eolicamente dai fumi di combustione, per cui
fino alle sezioni di abbattimento delle polveri, questo flusso è unito a
29 di 122
quello gassoso. Bisogna infine menzionare che alcune delle sostanze
emesse, anche se non espressamente normate, quando si diffondono in
atmosfera al di là di certe concentrazioni, risultano particolarmente
sgradite in quanto possono provocare odori molesti, accentuando l'impatto
ambientale dell'insediamento. La quantità d'inquinanti che
complessivamente fuggono dagli impianti di abbattimento sono un aspetto
fondamentale dell'impatto ambientale determinato da un termodistruttore.
Figura 1.5 - Vista di un impianto d'incenerimento nel suo insieme
Gli impianti d'incenerimento si differenziano tra loro per i seguenti
aspetti:
la matrice e/o matrici combustibili;
la tipologia del forno;
i processi adottati nella depurazione dei fumi e con quale ordine
vengono eseguiti.
In generale possiamo descrivere un impianto d'incenerimento suddiviso in
stoccaggio e preparazione materiale da incenerire.
30 di 122
1.5.1 STOCCAGGIO
Lo stoccaggio dei rifiuti avviene in enormi vasconi coperti di cemento
armato, dove il rifiuto è direttamente scaricato dai mezzi di raccolta
attraverso apposite bocche di scarico.
Per ridurre l'emanazione di odori all'esterno tutta l'area è in depressione,
in quanto le bocche di scarico, che costituiscono l'unico collegamento con
l'esterno sono proprio le prese d'aria comburente necessaria alla
combustione dei rifiuti.
Il materiale stoccato, tramite opportuni mezzi di sollevamento viene
miscelato, nel tentativo di omogeneizzare, per quanto possibile le diverse
componenti del rifiuto e successivamente inviato alla combustione
attraverso apposite tramogge.
Spesso alcune tipologie di rifiuto, normalmente provenienti da scarti di
rifiuti selezionati e con alto potere calorifico, vengono stoccate in aree
separate per poter incrementare il potere calorico della miscela di rifiuti in
particolari condizioni, ad esempio quando le precipitazioni atmosferiche
determinano, una raccolta di RSU molto umidi.
Figura 1.6 - Modalità di scarico dell'RSU e bacino di stoccaggio.
31 di 122
1.5.2 PREPARAZIONE DEL MATERIALE DA INCENERIRE
La preparazione dei materiali da incenerire comporta principalmente due
trattamenti, non sempre vincolanti, in quanto le caratteristiche di
incenerabilità di un rifiuto dipendono dalle tecnologie adottate e dal
dimensionamento del forno.
I trattamenti che possono subire i rifiuti prima dell'invio in camera di
combustione sono:
l'essiccamento preliminare dei rifiuti che determina, ai fini
dell'incenerimento, un incremento del potere calorifico del rifiuto,
una più veloce combustione, una minore quota di umidità nei fumi;
la frantumazione che viene eseguita in mulini a martelli o a lame,
permette la riduzione della pezzatura ed una migliore miscelazione
del rifiuto, con conseguente maggior omogeneità della
combustione.
L'essiccamento dei rifiuti viene però raramente adottato presso l'impianto
d'incenerimento per le difficoltà tecniche/economiche che insorgono,
nonostante la disponibilità del calore di scarto dell'inceneritore, non
utilizzabile ai fini del recupero energetico.
Tra le difficoltà sopra menzionate possiamo citare, come esempio,
l'impianto aggiuntivo di trattamento delle emissioni dei vapori e gas
prodotti dall'essiccazione.
L'essiccamento trova invece impiego su alcune tipologie di rifiuti come le
biomasse, dove sono possibili processi di bioessicazione sul luogo di
produzione del rifiuto. In questo processo lo sviluppo di calore è
intrinseco ai materiali stessi per cui le quantità d'aria da trattare sono
minime. In assenza del trattamento preliminare di essiccamento,
quest'ultimo si svolge nella prima sezione del forno d'incenerimento, che
dovrà pertanto essere dimensionato opportunamente, per incrementare il
tempo di permanenza dei rifiuti all'interno della camera di combustione.
32 di 122
La riduzione della pezzatura del rifiuto comporta tempi d'incenerimento
minori dei "monoliti", per l'incrementato rapporto superficie/volume.
Inoltre la riduzione volumetrica complessiva permette una più facile
gestibilità del rifiuto durante le operazioni di carico al forno.
1.5.3 ALIMENTAZIONE DEL FORNO
L'alimentazione dei rifiuti avviene tramite tramoggie che convogliano il
rifiuto o direttamente nella camera di combustione o in camere di carico a
servizio di spintori che introducono il rifiuto in testa al forno. Con l'uso di
spintori si limita l'afflusso d'aria dalle bocche d'ingresso del rifiuto,
permettendo una più corretta distribuzione dell'aria comburente sul rifiuto
stesso.
Questa tipologia di alimentazione, comune a molti forni per RSU,
presenta altresì lo svantaggio di una alimentazione discontinua, con
conseguente oscillazione dei parametri ottimali dell'incenerimento.
Nei moderni forni d'incenerimento RSU si è ovviato al problema della
discontinuità di carico, aumentando il numeri di spintori in modo di
rendere il caricamento più costante. Questa tecnologia migliora
notevolmente l'omogeneità delle caratteristiche dei fumi nella camera di
postcombustione, permettendo una più facile impostazione dei parametri
d'incenerimento ottimali.
1.5.4 CAMERA DI COMBUSTIONE
Le camere di combustione primarie sono di diverso tipo, le più comuni
sono con griglia a gradini e a tamburo rotante: oltre il 70% degli impianti
di termodistruzione funzionanti in Italia.
La caratteristica fondamentale della griglia consiste nell'avere una
superficie di combustione orizzontale ed un movimento controllato che
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favorisce il mescolamento del materiale combustibile. Il tamburo rotante è
un prodotto tipicamente rivolto ai rifiuti industriali, tossico nocivi ed
ospedalieri con alto potere calorifico. E' comunque predisposto per trattare
anche contemporaneamente rifiuti solidi, liquidi ad alto e basso PCI,
fanghi palabili e pompabili.
Nella prima zona del forno avviene la fase di essiccamento del rifiuto,
segue la fase di combustione e per ultimo il completamento della
combustione delle scorie. Le camere di combustione moderne, grazie alle
migliorate prestazioni, hanno permesso di superare l'imposizione di una
successiva camera, detta di postcombustione. L'aria comburente viene
introdotta nella camera attraverso diverse modalità che variano in base
alla tipologia di forno primario adottato, alla presenza o meno di una
camera di postcombustione, al tipo di rifiuto incenerito.
Il trattamento termico consiste in un’ossidazione ad alta temperatura che
trasforma la parte combustibile dei rifiuti in una fase solida (scorie, ceneri,
polveri) e in una fase gassosa (anidride carbonica, vapor d’acqua, ossidi di
azoto, gas acidi quali acido cloridrico e fluoridrico e anidride solforosa,
composti parzialmente combusti).
Le fasi principali della combustione all’interno dei forni inceneritori sono
essenzialmente quattro:
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essiccamento, a circa 100°C, in cui si ha liberazione dell’acqua dal
rifiuto;
degassificazione, attorno ai 250°C, in cui abbiamo la liberazione delle
sostanze più volatili;
gassificazione, tra 500-600°C, in cui si verifica la liberazione del
carbonio fisso presente nel rifiuto;
combustione vera e propria, che si completa a temperature superiori
850°C, in cui si ha l’ossidazione totale delle sostanze presenti in CO2 e
H2O (se la combustione è stata ben condotta, altrimenti si formano
composti organici inquinanti).
Fattori chiave per una buona conduzione del processo sono la
temperatura, il tempo di residenza, la turbolenza (le “3T” di una buona
combustione), oltre a un sufficiente eccesso d’aria (volume d’aria in
eccesso rispetto alla quantità stechiometricamente necessaria per
l’ossidazione) che se controllato opportunamente (agendo sulla
immissione di aria in vari punti del forno) garantisce la completezza della
combustione ed il controllo della temperatura.
La camera di post combustione può essere descritta come una zona di
completamento della combustione dei fumi prodotti dalla camera di
combustione primaria; essa viene spesso adottata in quanto permette di
controllare con maggior garanzia il rispetto delle condizioni imposte dalla
normativa.
1.5.5 RECUPERO ENERGETICO
Il recupero energetico è un fattore fortemente caratterizzante dei moderni
impianti di smaltimento per incenerimento. Il recupero energetico avviene
nei moderni impianti di incenerimento degli RSU sia con la produzione di
energia elettrica, attraverso la produzione di vapore surriscaldato ad alta
pressione e turbine, sia con l'utilizzo diretto del calore non utilizzabile in
35 di 122
questa via, ad esempio il teleriscaldamento. L'accoppiamento di queste
modalità di recupero dell'energia termica dei rifiuti rende questo processo
di smaltimento economicamente più favorevole rispetto al passato, tanto
che oggi di preferisce utilizzare per questa tipologia d'impianti il termine
"termovalorizzazione".
Le principali finalità della combustione con recupero energetico sono:
incenerimento e riduzione del volume (al 10%) e della massa (al 30%)
iniziali ottenendo un residuo biologicamente stabilizzato (le ceneri
richiedono un trattamento ad hoc di inertizzazione per conseguire la
stabilizzazione chimica) e igienizzato;
produzione del minor quantitativo di ceneri volanti (sono dette tali in
quanto trascinate dai gas di combustione) ed una combustione
completa (infatti il maggior accumulo di metalli pesanti avviene sulle
frazioni più fini delle ceneri volanti);
produzione di fumi con concentrazioni inquinanti inferiori ai limiti
imposti dalle norme; gli inquinanti di maggiore rilevanza ambientale
sono il cadmio, le diossine (cancerogeni) e i metalli pesanti tossici
(mercurio, piombo, ecc.).
La sezione di recupero energetico svolge anche un importante funzione
nella depurazione dei fumi. Infatti con il rapido raffreddamento dei fumi
si riduce la possibilità di reazioni secondarie di formazione d'inquinanti,
ad esempio la formazione di diossine "ex novo", inoltre l'abbassamento di
temperatura determina una contrazione delle portate dei fumi negli
impianti di depurazione. I vantaggi di un efficiente raffreddamento dei
fumi a monte dei sistemi di abbattimento sono molteplici e vanno oltre al
semplice dimensionamento degli impianti.
Nel caso di trattamento ad umido si ottiene una notevole riduzione della
quantità di acqua evaporata dai sistemi di abbattimenti con riduzione della
36 di 122
percentuale di vapore nei fumi emessi e conseguente abbassamento del
punto di rugiada nei fumi.
1.5.6 SISTEMI DI ABBATTIMENTO DEGLI INQUINANTI
La scelta degli strumenti più adatti per abbattere le emissioni di inquinanti
in atmosfera, dipende dal tipo di rifiuto bruciato e dalla tecnologia
disponibile al momento della stesura del progetto dell'impianto
abbattitore.
Tecnologicamente gli impianti di abbattimento si possono dividere in
"impianti a umido" ed "impianti a secco".
Gli impianti a umido svolgono la loro azione di abbattimento degli
inquinanti attraverso:
l’impatto tra le particelle del liquido di abbattimento ed le particelle
liquide e/o solide degli inquinanti, con conseguente cattura nella
massa liquida del particolato;
nell’azione di assorbimento sulla superficie del liquido di
abbattimento dei gas acidi presenti, agevolata dalla alcalinità del
liquido stesso, che viene generata con aggiunta di reattivi basici.
Gli impianti a secco svolgono la loro azione attraverso un dosaggio in
linea di un reattivo basico, calce o bicarbonato finemente polverizzato, per
assorbire gli inquinanti acidi e di un reattivo adsorbitore quale il carbone
attivo per le sostanze organiche ed il mercurio. Le polveri vengono
successivamente estratte dal flusso gassoso utilizzando opportuni sistemi
filtranti.
Essenziali sono i trattamenti di depurazione degli effluenti gassosi:
37 di 122
la depolverazione, rimuove le polveri trascinate dai fumi (circa 5 –
8 g/Nm3) riducendole a meno di 50 mg/Nm3;
la neutralizzazione dei gas acidi mediante reazione con sali alcalini
(calce o soda, rimozione HCl da 1 g/Nm3 a meno di 50 mg/Nm3;
la rimozione di SO2 da 500 mg/Nm3 a meno di 100 mgSO2/Nm3);
il ricorso ad iniezioni di urea o ammoniaca nel processo di
combustione (processi di riduzione non catalitica) oppure a processi
di riduzione catalitica per la riduzione degli ossidi di azoto, NOx;
i microinquinanti inorganici (metalli pesanti: Cd, Zn, Pb, Hg) sono
normalmente presenti nelle scorie, nelle ceneri volanti e nei residui
dei processi di trattamento dei fumi; si abbattono dai fumi mediante
sistemi di depolverazione e di assorbimento ad elevata efficienza;
i microinquinanti organici: clorobenzeni, clorofenoli, idrocarburi
policiclici aromatici (IPA), policlorobifenili (PCB),
policlorodibenzofurani (PCDF), policlorodibenzodiossine (PCDD),
possono essere contenuti attraverso una conduzione ottimale del
processo di combustione (garantire temperature > 850°C nella
camera di post-combustione) e attraverso la tecnica di adsorbimento
su carboni attivi.
1.5.7 CAMINO DI EMISSIONE
Il camino di emissione deve garantire che il flusso d'inquinanti residui sia
rapidamente disperso in atmosfera. La velocità con cui gli inquinanti si
disperdono in atmosfera dipende dall’altezza del camino e dal contenuto
entalpico dei fumi. I gas infatti si innalzano oltre il punto di emissione
grazie alla quantità di moto posseduta allo sbocco ed dall’effetto di
Si intende con Nm3 (“normal metro cubo”) un m3 di gas alla temperatura di 0°C e 1 atm (1013 HPa). Ad es.: una emissione di 1000 mg/h è emessa in un flusso gassoso di 1000 m3/h alla temperatura di 273°C; la concentrazione riferita alle condizioni “normali” sarebbe di 2 mg/Nm3. Infatti a 273°C (546°K), per la legge di Boyle dei gas perfetti, il volume del gas è doppio di quello alla temperatura di 0°C (273°K).
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galleggiamento che è determinato dalla differente temperatura con l’aria
circostante. L’altezza a cui il pennacchio di fumi s’innalza oltre il punto di
sbocco è definita "innalzamento del pennacchio". Comunemente si ritiene
che un’altezza del camino di circa 60 m sia generalmente sufficiente.
Si può verificare all'immissione dei fumi in atmosfera, la formazione di un
pennacchio molto visibile, dovuto alla condensazione. Questo
inconveniente, anche se ha un aspetto puramente psicologico, può causare
diversi problemi con le popolazioni abitanti la zona in cui sorge il sito, in
quanto la presenza del fumo bianco viene collegata a fenomeni
d'inquinamento. Per eliminarlo si ricorre ad un impianto, chiamato di
antipennacchio, costituito da un ventilatore supplementare e da uno
scambiatore termico. Parte dell'energia prodotta dall'incenerimento viene
utilizzata per produrre una certa quota di aria calda. Quest'aria viene
premiscelata con i fumi umidi provenienti dall'incenerimento, in modo di
abbassare la temperatura di rugiada ed evitare fenomeni di condensazioni
in prossimità dello sbocco del camino.
Dalla cessione dell’energia prodotta in eccesso rispetto ai fabbisogni
dell’impianto, si possono ricavare utili che riducono notevolmente i costi
di gestione.
1.5.8 PARAMETRI OPERATIVI
Le difficoltà maggiori che insorgono nella gestione di un impianto
d’incenerimento sono strettamente correlate alla variabilità dei rifiuti da
incenerire. Il gestore dell’impianto controlla l’efficienza del processo
attraverso una corretta gestione dell’alimentazione del rifiuto e
mantenendo alcuni parametri fisici entro certi set ritenuti ottimali.
La corretta gestione del rifiuto è finalizzata a mantenere per quanto
possibile costante il carico termico introdotto nel forno ed il carico di
inquinanti che si possono sviluppare durante la combustione.
39 di 122
Questa condizione si ottiene premiscelando opportunamente i rifiuti nel
bacino di stoccaggio e mantenendo a disposizione una certa quantità di
rifiuto ad alto potere calorifico, generalmente costituito da materiale
plastico, per correggere il carico termico in ingresso al forno.
L’ottimizzazione del processo avviene in seguito attraverso il controllo di
parametri fisici e chimici quali temperature, depressioni, flussi di aria
comburente, dosaggi di reagenti, ecc.
Come si può desumere dai processi di formazione degli inquinanti, le
diverse condizioni di esercizio hanno un immediato impatto sulla qualità
dell’incenerimento e sulle emissione gassose di inquinanti.
Questi parametri vanno a determinare delle condizioni diverse e
specifiche di lavoro che possiamo definire genericamente "carico
d’impianto". La definizione del massimo carico d’impianto è
fondamentale in una corretta gestione del processo.
Generalmente si correla il carico semplicemente alla quantità di rifiuti
alimentata, ma ciò è troppo semplicistico e non sufficiente. Il massimo
carico di un impianto ai fini emissivi è una valutazione complessa e non
univoca ed è funzione, oltre che della quantità di rifiuti alimentata, anche
delle condizioni operative (flessibilità gestionale), delle modalità di
alimentazione, della qualità del rifiuto combusto (flessibilità
nell’alimentazione) e degli analiti ricercati (scelta del controllo). Tale
valutazione è funzione:
della composizione del rifiuto in ingresso, che influisce sulla
composizione e sulla quantità di fumi emessi;
della modalità di alimentazione del rifiuto;
della temperatura di combustione che, se troppo elevata favorisce la
formazione di specie inquinanti;
dell’ossigeno residuo che può favorire la formazione di NOx;
del tempo di transito delle scorie nel forno.
40 di 122
Le caratteristiche peculiari di un inceneritore restano la combustione, con
conseguente rilascio in atmosfera di inquinanti sottilissimi e dannosi alla
salute, e la produzione di ceneri di scarto che rappresentano in peso il
30% del rifiuto in ingresso bruciato. Ciò significa che comunque, al
termine del processo di incenerimento, i rifiuti in entrata vengono
eliminati solo per il 70% del loro volume, creando quindi un ulteriore
problema, quello dello smaltimento delle ceneri stesse. In Italia assorbono
il 15% dei rifiuti raccolti, corrispondenti a circa 4 milioni di tonnellate.
1.6 COMBUSTIBILI SOLIDI SECONDARI (CSS) E CDR
La produzione di combustibili ausiliari tramite la produzione di CDR,
definito come il combustibile ottenuto da RSU e/o assimilabili, ad
esclusione dei rifiuti tossici/nocivi e dei rifiuti ospedalieri, attraverso
raccolta differenziata e/o cicli di lavorazione che ne aumentino il potere
calorifico riducendo, al contempo, la presenza di materiale inquinanti,
metallico, vetri, inerti, organico putrescibile entro fissati limiti. I rifiuti
indifferenziati prima di essere lavorati e trasformati devono essere
sottoposti ad un trattamento di biossidazione allo scopo di ridurne
l’umidità e di migliorarne il potenziale calorico. Esso può essere utilizzato
a scopo energetico solo in impianti dedicati e in impianti industriali dotati
di specifiche autorizzazioni. Il CDR risultante può essere “grezzo” (detto
“fluff” v. Tabella 1.7 ) di pezzatura fine, prodotto con mezzi semplici e
poco costosi, ma caratterizzato da basso peso specifico, basso potere
calorifico e costi di trasporto elevati, oppure “pellettizzato”, cioè
addensato e compresso in pellets (cilindri di materiale compresso delle
dimensioni di pochi cm di lunghezza per pochi cm di diametro), più
facilmente trasportabile e commerciabile, ma che comporta un processo
produttivo più complesso ed energeticamente dispendioso.
Le caratteristiche chimico-fisiche del CDR sono riassunte in tabella 1.8.
41 di 122
Tabella 1.7- Composizione media CDR “fluff”
Materiali % sul seccoCarta 44,0
Plastica 23,0Legno 4,5Tessili 12,0
Organici 14,0Inerti 2,5
Tabella 1.8 - Caratteristiche chimico-fisiche del CDR
Parametro Pellets Sfuso (fluff) Unità di misura
Densità 500 – 700 100- 200 kg/m3
Umidità 5 – 10 20 – 25 %
P.C.I. 4200 – 4800 3800 – 4300 kcal/kg
Resa produttiva 0,15-0,25 0,25-0,40 kg/kg RSU
In generale si distinguono due modalità principali di produzione del CDR:
- Processo di bioessiccazione consistente nell’indurre la fermentazione
della parte organica insieme agli altri rifiuti che per effetto
dell’innalzamento della temperatura provoca la biostabilizzazione e/o
l’essiccazione del rifiuto. Il bioessiccato ottenuto può essere inviato
direttamente a recupero energetico o ulteriormente trattato allo scopo
di produrre CDR conforme alla UNI 9903-1;
- Processo meccanico/biologico in cui, previa separazione delle due
principali componenti del rifiuto e successiva stabilizzazione della
42 di 122
frazione biologica, si procede al trattamento più o meno spinto della
frazione secca con conseguente produzione di CDR.
Figura 1.7- Bilanci di massa del processo di produzione di CDR mediante
bioessiccazione e trattamento meccanico/biologico
Il ciclo produttivo del CDR che si sviluppa attraverso processi di tipo
meccanico-biologico non comporta l'utilizzo di calore e di sostanze e/o
preparati chimici e prevede fasi di ricezione, biostabilizzazione e
raffinazione.
Durante la fase di ricezione del rifiuto indifferenziato in ingresso presso
l’impianto di produzione tutte le operazioni, comprese quelle di scarico
dei rifiuti, sono eseguite al chiuso in un ambiente costantemente
depressurizzato per evitare fuoriuscite di odori. Una pala meccanica carica
il materiale sul nastro trasportatore per l’avvio al pretrattamento. I rifiuti
sminuzzati sono sottoposti, mediante elettromagneti, all'eliminazione dei
materiali ferrosi che vengono avviati al riciclo.
La fase di biostabilizzazione del rifiuto costituisce il cuore dell’impianto:
il rifiuto pretrattato è depositato in biocelle chiuse dove giace una
43 di 122
settimana per la biostabilizzazione, la quale converte il rifiuto
indifferenziato in materiale secco non più putrescibile.
Terminata la biostabilizzazione il rifiuto è trasferito nel compartimento di
raffinazione produzione di CDR. Un vaglio rotante seleziona il materiale
in:
- “sopravaglio” costituito da carta, plastiche e materiali tessili,
caratterizzato da un alto potere calorico. Rappresenta la materia prima
per la formazione del CDR;
- “sottovaglio” costituito da inerti, materiale organico stabilizzato e
metalli.
Il CDR prodotto passa quindi alla pressatura per la riduzione in balle
destinate agli impianti di combustione.
Rispetto al rifiuto indifferenziato conferito in ingresso:
o il 25% evapora durante la fase di biostabilizzazione;
o il 3% circa è costituito da residui ferrosi, i materiali metallici
raccolti (ferrosi e non ferrosi) sono destinati a impianti specializzati
di riciclaggio;
o il 22% è materiale inerte igienizzato e stabilizzato, destinato ad
essere depositato in discarica;
o il 50% è la frazione leggera (carta, plastica e legno) che costituisce
il CDR da cui ricavare energia.
Il CDR prodotto trova potenziale impiego per la combustione in diverse
tipologie di impianti industriali: cementifici, impianti siderurgici, centrali
termoelettriche in co-combustione, impianti per la produzione della calce,
centrali termiche per teleriscaldamento o in forni dedicati. All’interno
della categoria CDR si può menzionare anche un nuovo tipo di
combustibile derivato dai rifiuti ossia il P.D.F. (Packaging derived fuel). I
contenitori in plastica per liquidi provenienti da raccolta differenziata,
qualora non trovino sbocchi di mercato sufficientemente remunerativi da
44 di 122
giustificare il riciclaggio del materiale per produrre granulato, possono
essere convertiti in combustibile per recuperarne almeno il contenuto
energetico.
COMBUSTIBILE PCI(KJ/Kg)
Carbone da coke 31.000
Carbone da vapore 20.000
Carbone nazionale (Sulcis) 18.800
Legna verde 10.500
Coke da carbone 29.300
Petrolio greggio di riferimento 41.860
Olio combustibile denso 40.200
Gasolio 42.700
Virgin nafta 44.000
GPL 46.000
Gas naturale 34.500
RSU 8.000 – 12.500
Tabella 1.9: Potere calorifico degli RSU raffrontato con quello di alcuni
combustibili tradizionali.
I RSU hanno un contenuto energetico più povero di quello dei
combustibili fossili, simile a quello della legna verde (tabella 1.9).
Il CDR di qualità elevata (CDR-Q) consente di ottenere certificati verdi
per la produzione di energia elettrica. La rispondenza del CDR alle
specifiche delle qualità normale o elevata, (prospetti 1 e 2 UNI 9903-1:
2004), deve essere verificata con riferimento al lotto di produzione e tale
rispondenza si intende verificata quando la media delle risultanze
analitiche dei campioni costituiti a partire da ciascuno dei 5 sottolotti
settimanali compresi all’interno di un lotto di produzione rispetta tutti i
limiti indicati (vd Tab. 1.4).
45 di 122
2. IL CAMPIONAMENTO DEL CDR
2.1 RAPPRESENTATIVITÀ DEL CAMPIONAMENTO PROBLEMATICHE ANNESSE
Parlando di una matrice estremamente eterogenea le operazioni che
vengono condotte a monte del processo analitico che ne determina la
classificazione, sia secondo la UNI 99031 che secondo le UNI CEN/TS
153594, legate soprattutto al campionamento in campo, rivestono un ruolo
primario ai fini di una corretta classificazione. Tuttavia entrambe le norme
non forniscono sufficienti indicazioni legate alla rappresentatività a ed
alla qualità, in termini di accettabilità, del dato analitico misurato sul
campione di laboratorio rispetto al cumulo che giornalmente viene inviato
a combustione.
Nei controlli effettuati in ambito industriale è sempre stata largamente
condivisa l'assunzione per cui la distribuzione del misurando in una
popolazione originale fosse tale per cui un campione ottenuto dalla
miscelazione di un numero adeguato di aliquote prelevate in punti casuali
di tale popolazione ("campione primario") poteva considerarsi
sufficientemente rappresentativo della popolazione stessa. Dal campione
primario, attraverso suddivisioni (in quarti), macinazione e setacciatura, si
ottiene il cosiddetto "campione secondario", cioè quello da sottoporre ad
analisi, ancora una volta considerato rappresentativo del campione
primario e quindi dell'intera popolazione.
Pur rimanendo un obiettivo primario, l'ottenimento di un campione
rappresentativo non è così facilmente realizzabile in campo ambientale. In
pratica, si persegue il miglior livello di rappresentatività possibile,
quantificato dal grado di approssimazione del valore medio misurato, x,
rispetto al valore reale, Il, della popolazione originale. Modelli di tipo
matematico-olistico consentono di prevedere l'evoluzione di una
46 di 122
contaminazione, almeno per intervalli temporali ristretti, sulla base di dati
raccolti da una indagine approfondita e da un monitoraggio successivo,
con procedure di cui sia nota l'incertezza. Uno dei primi studi di
letteratura assegna all'incertezza di campionamento un valore pari ad un
terzo dell'incertezza totale. Nella geo-analisi, tale valore sale al 50% del
risultato analitico, mentre quello legato all'analisi è intorno al 5% 17. Pierre
Gy, un pioniere degli studi sull'argomento, propone un modello
matematico per predire l'incertezza di campionamento da una matrice
solida, basato su fattori legati a dimensioni e morfologia delle particelle
costituenti il materiale da campionare18. Anche se sviluppato per
applicazioni in campo mineralogico, secondo l'Agenzia Americana per la
Protezione dell'Ambiente (US-EP A) lo stesso modello è applicabile
anche in campo ambientale19.
Il campionamento di suoli, fanghi, acque di scarico e piante è stato
oggetto di studio da parte del programma EG COST Action 68120.
Considerazioni statistiche sul campionamento, inclusi schemi, costi e
calcoli sulla dimensione minima degli incrementi (separati o miscelati)
sono state formulate da Taylor 21 ed ulteriormente sviluppate da Keith22.
Uno degli studi collaborativi più importanti condotti a livello europeo è
rappresentato dal progetto CEEM (Comparative Evaluation of European
Methods for sampling and sample preparation of soil - Project, Standard
Measurement and Testing Programme, DG XII, CE), effettuato su un sito
svizzero affetto da contaminazioni di origine industriale ed avente
17 Ramsey MH, Argyraki A (1997), Estimation of measurement uncertainty from field sampling: implications for the classifieation of eontaminated land, The Seienee of Total Environment 198: 243-257.18 Gy P (1979), Sampling of particulate materials. Theory and practice. Elsevier, Amsterdam.19 Gerlach RW, Nocerino JM, Ramsey CA, Venner BC (2003), Gy sampling theory in environmental studies, Analytica Chimica Acta 490: 159-168.20 Gomez A, Leschber R, L'Hermite P (1985), Sampling problems for the chemical analysis of sludge, soil and plants, Elsevier Appl. Science PubI., London.21 Taylor JK (1987), Quality assuranee of ehemieal measurements, Lewis Publ., Chesea, Miehigan.22 Keith LH (1991), Environmental sampling and analysis, Lewis Publ., Chelsea, Miehigan.
47 di 122
destinazioni d'uso di tipo agricolo, a prato stabile e forestale.
Rappresentanti di istituti preposti allo studio del suolo di quindici paesi
dell'Unione Europea hanno effettuato prelievi mediante propri
campionatori e propri protocolli, con accesso al sito per un tempo
prefissato sotto la supervisione del personale del progetto, mentre
l'esecuzione delle analisi (cadmio, piombo, rame e zinco) è stata affidata
ad un laboratorio di riferimento23 24.
La dispersione dei dati ottenuti è risultata molto elevata per tutti i metalli
indagati, segnatamente nella zona forestale25. I valori di incertezza di
campionamento, riferiti all'area totale in studio, sono risultati del 44% per
il cadmio e 12% per il rame26. Quale importante ricaduta dello studio, è
stata individuata una area ristretta (ca. 190 x 40 m2) accuratamente
caratterizzata al punto tale da essere proposta, e da allora utilizzata, come
sito di riferimento (in analogia al materiale di riferimento) per attività a
carattere didattico e/o di addestramento27 28. Uno studio condotto secondo
la stessa impostazione del progetto CEEM è stato organizzato in Italia da
ISPRA (ex APAT) su un area agricola nei pressi di Udine29 30 caratterizzata
a livello spaziale e temporale per quanto riguarda il contenuto di diversi
metalli31 32. Trattamento ed analisi dei campioni prelevati sono state
affidate ad un laboratorio di riferimento. La dispersione molto contenuta 23 Wagncr G, Desaules A, Muntau H, Theocharopoulos S, Quevauviller P (2001c), Harmonization and quality assurance in pre-analytical sleps of sail contamination studies, Science Tatai Environment 264:103-119.24 Muntau H, Rehuert A, Desaules A, Wagner G, Theoch.ropoulos S, Quevauviller P (2001), Analyticalaspects of the CEEM project, Science Total Environment 264: 28-49.25 Wagner G, Lischer P, Theocharapoulos S, Desaules A, Muntau H, Quevauviller P (2001b), Quantitative evaluation of the CEEM soiI sampling intercomparison, Scienee Total Environment 264: 73-102.26 Kurftirst U, Desaules A, Rehnert A, Muntau H (2004), Estimation of measurement uncertainty by the budget approach for heavy metals eontent in soils and under different land use, Accred. Qual. Assur. 9: 64-75.27 Wagncr G, Desaules A, Muntau H, Theocharopoulos S, Quevauviller P (2001), Harmonization and quality assurance in pre-analytical sleps of sail contamination studies, Science Tatai Environment 264:103-119.28 Theoeharopoulos S, Wagner G, Sprengart J, Mohr ME, Desuales A, Muntau H, Christou M, Quevauviller P (200Ib), European soiI sampling guidelines for soil pollution studies, Scienee Total Environment 264: 120-136.29 De Zorzi P, Belli M, Barbizzi S, Menegon S, Deluisa A (2002), A practical approach to assessment of sampling uncertainty, Accred. Qual. Assu.: 7, 5,182.30 Barbizzi S, De Zorzi P, Belli M, Pati A, Sansone U, Stellato L, Barbina M, Deluisa A, Menegon S, Caletti V (2004). Characterisation of reference site for quantifying uncertainties related to soil sampling, Environ. Pollut.: 127, 131.31Desaules A, Sprengart J, Wagner G, Theocharopou[os S, Quevauviller P (200[), Description of the test area and reference sampling at Domach, Science Tota[ Environment 264: 51-62.32 Theoeharopoulos SP, Wagner G, Sprengart J, Mohr ME, Desuales A, Muntau H, Christou M, Quevauviller P (2001), Comparative sampling in the Domaeh site, Scienee Total Environment 264: 63-72.
48 di 122
dei valori di concentrazione dei metalli indagati consente di utilizzare
questa area (10000 m2) come sito di riferimento utile per la valutazione
strategie e tecniche di campionamento. Altri studi significativi hanno
riguardato:
- il piombo nel particolato atmosferico, condotto con campionatori a
diverse portate di aria33;
- metalli in acqua di mare. Allo studio, organizzato dalla Commissione
Europea in collaborazione con l'Università di Venezia, hanno
partecipato i laboratori di ricerca marina di Francia, Italia, Grecia,
Spagna e Portogallo. E' stato impiegato il vascello italiano di ricerca
oceanografica "Minerva", equipaggiato con il laboratorio mobile
dell'Università di Venezia, in grado di effettuare l'analisi di
contaminanti in tracce. In una crociera di tre settimane, squadre di
campionatori hanno effettuato prelievi nel golfo di Lione, nelle
Baleari, nello stretto di Messina e nell'alto Adriatico, ad una distanza
di 500 metri dalla nave con propria attrezzatura e secondo il proprio
protocollo. I campioni prelevati sono stati affidati al personale del
laboratorio mobile (laboratorio di riferimento), che ha proceduto alla
filtrazione, ripartizione ed analisi. Le stesse analisi sono state ripetute
successivamente su campioni analoghi nei laboratori dell'Università di
Venezia. L'elevata dispersione dei risultati ottenuti è stata attribuita
fondamentalmente all'impiego di campionatori di tipo diverso. Nello
stesso punto di prelievo, la concentrazione di piombo variava da
0,38 mol/L (campionatore: Generai Oceanics) a 450 mol/L
(campionatore: Ruttner). Con il primo tipo di campionatore, il
contenuto di piombo è risultato sempre inferiore a 0,5 mo/L, mentre
per il secondo sono stati evidenziati problemi di contaminazione da
33 Arsac F, Berlin A, Boudence J, Godin C, Lahmann E, Langevin M, Muntau H, Seifert B, Smeets J (1976), Programme d'intercomparaison des measures de Pb atmospherique dans les ètats membre de la Communautè Europèenne, European Research Report EUR 5431 FfDfEN, 113 pp., Luxembourg.
49 di 122
parte della stessa attrezzatura usata34. La varianza stimata per il
campionamento primario è del 68% per il cadmio e fino a 1300% per
il piombo, in gran parte ascrivibile alla varianza associata alla tecnica
(effetto campionatore). Lo scarso peso della varianza associata alla
strategia di campionamento è giustificato dal fatto che localizzazione
dei punti di campionamento e profondità di prelievo erano
rigorosamente prefissate;
- piombo e rame in suoli contaminati. Allo studio, condotto in UK,
hanno partecipato nove squadre, ciascuna delle quali ha provveduto a
campionamento ed analisi con propri protocolli. La dispersione dei
dati ottenuti cade nell'intervallo 2,5-250%, con evidente influenza del
tipo di campionatore impiegato35;
- sedimenti in bacini lacustri. Lo studio, condotto sul lago di Lugano, si
è rivelato problematico, nonostante le informazioni disponibili circa le
fonti di contaminazione presenti36.
I problemi sono nati soprattutto dalla difficoltà di utilizzo dei modelli di
sedimentazione noti, date le forti fluttuazioni esistenti in quel bacino in
termini morfologici e di profondità e dal fatto di non potersi avvalere di
alcun controllo visivo in sede di campionamento dei sedimenti. In pratica,
si è fatto ricorso a griglie di campionamento molto strette, mentre una
valutazione quantitativa dell’incertezza legata al campionamento primario
attraverso ripetuti prelievi, è risultata di fatto non praticabile. In una sola
occasione, utilizzando il batiscafo di Piccard, è stato seguito uno schema
predeterminato, con carotaggi effettuati in due diverse zone del lago a 20
cm l'uno dall'altro, distanza che garantisce condizioni di massima
ripetibilità senza rischi di interferenze tra punti di carotaggio adiacenti.
34 Capodaglio G, Toscano G, Cescon P, Scarponi G, Muntau H (1996), Annali di Chimica 84: 329-345.35 Argyraki A, Ramsey MH (1998), Evaluation of inter-organizational sampling trials on contaminated land: comparisco of two contrasting sites, DN Lemer & NRG Walton Ed., Contaminated land and groundwater, Future directions, Geological Society, London.36 Locht B, Muntau H (1981), La eomposition chimique des sediments profonds du Lac Majeur, Mem. 1st.ttal. Idrobiol. 38: 101-186.
50 di 122
Ogni carota, di 60 cm di lunghezza, è stata sezionata in cilindri di 2 cm di
spessore, ciascuno dei quali analizzato separatamente. Sui primi 10 cm di
ogni carota la varianza è risultata del 18% per il fosforo e 38% per il
piombo (bacino indisturbato di Melide) e 33 e 58% (bacino più turbolento
di Lugano). Poiché la varianza tipica dell'analisi XRF è del 3,8% e 6,2%
per fosforo e piombo rispettivamente, il contributo alle varianze di cui
sopra è sostanzialmente da ascrivere alla sola fase di campionamento.
2.1.1 CAMPIONAMENTO DEL CDR – ANALISI DELLE PRINCIPALI FONTI DI VARIABILITÀ
La caratterizzazione del lotto di produzione viene effettuata secondo
metodiche di campionamento definite dalla UNI 9903-3; essa descrive le
procedure per la generazione di un campione CDR ai fini della
caratterizzazione di un lotto di produzione, ma non fornisce indicazioni in
merito alla qualità del dato analitico, giustificando tale omissione con la
eterogeneità della matrice.
La criticità del campionamento del CDR per la sua successiva
classificazione è legata a diversi fattori quali:
la natura eterogenea del materiale che lo compone (rifiuti urbani
indifferenziati residui a valle della raccolta differenziata e rifiuti
non pericolosi di origine industriale - scarti di produzione e rifiuti
da post-uso industriale);
la provenienza del CDR caratterizzata dai impianti di produzione
differenti;
la diversa periodicità di conferimento di ciascun fornitore presso
l’impianto.
51 di 122
Come precedentemente accennato, il campionamento primario e
secondario in un contesto affetto da così tante variabili gioca un ruolo
fondamentale per l’ottenimento di un campione rappresentativo.
Al fine di chiarire meglio la crucialità del campionamento in campo basti
pensare che il fattore di riduzione nel campionamento settimanale è di
circa 103 volte rispetto alla massa in origine solo per il campionamento
primario e di circa 106 volte se consideriamo anche il contributo del
campionamento secondario. Attenendosi scrupolosamente a quanto
suggerito dalla 9903-3, infatti, da circa 300 tonnellate settimanali di CDR
avviato a combustione, una frazione rappresentativa di 500 Kg viene
sottoposto a quartatura e triturazione per la formazione di un campione
settimanale da laboratorio di massa inferiore a 5 kg. Di questi, dopo
ulteriore quartatura e riduzione della pezzatura (da 10 mm a 0,5 mm),
vengono sottoposti ad analisi meno di 5 g (vd. Tab. 2.0).
Tabella 2.0 – Fattore di riduzione a seguito del campionamento
settimanale del CDR (formazione del sottolotto).
CDR avviato combustione
CDR sottoposto a quartatura in
campo
CDR campione da laboratorio
CDR campione di prova Fattore di
riduzione
Parametro
(g) (g) (g) (g) (adimens.)
3 x 108 5 x 105 5 x 103
5 x 102 ~ 10-6 Umidità
1 x 10 ~ 10-7 Ceneri
1 x 100 ~ 10-9 PCI, Cloro, Zolfo
2 x 10-1 ~ 10-10 Metalli
Di fronte a tali rapporti, nonostante gli scrupoli che possono essere
adottati al fine di ottenere un campione da laboratorio che sia il più
rappresentativo possibile, l’eterogeneità della matrice può compromettere
seriamente gli esiti della misura e la successiva classificazione.
52 di 122
Si definisce eterogeneità il grado in cui una caratteristica è più o meno
uniformemente distribuita nell’intera massa di un materiale; in tal senso
un materiale può essere omogeneo rispetto ad una caratteristica ed
eterogeneo rispetto ad un’altra; il grado di eterogeneità è il fattore
determinante nell’errore di campionamento.
In tale contesto si possono identificare parametri la cui distribuzione nella
matrice risulti maggiormente omogenea rispetto ad altri.
Tabella 2.1 – Composizione merceologica dei principali costituenti del rifiuto urbano.
Elemento C H N S O Cl Ceneri
% sul secco
Legno 4,9 5,9 0,25 0,13 41,3 0,12 3,3
Carta 43,9 6,0 0,25 0,38 41,1 0,28 8,1
Plastica 66,4 9,2 1,05 0,35 9,4 3,5 10,1
Tessili 49,5 6,6 4,1 0,3 36,5 0,3 2,7
Organico 44,7 6,5 2,7 0,25 32,0 1,0 12,7
Tale omogeneità è attribuibile a diversi fattori quali le tappe comuni ai
diversi processi di produzione del CDR. La composizione merceologica
del rifiuto in origine varia in base alla zona di raccolta, alla tipologia di
raccolta (indifferenziata o meno), al tipo di pretrattamenti che il RSU
subisce . La tabella 2.1 riporta la composizione elementare media della
merceologia sul campione secco. Il 50% del rifiuto indifferenziato che
conferisce in ingresso all’impianto di produzione è rappresentato dalla
frazione leggera (carta, plastica e legno). Tale frazione si ritrova nel
sopravaglio (costituito da carta, plastiche e materiali tessili) che
rappresenta la materia prima per la formazione del CDR ed è presumibile
che ne caratterizzi fortemente il contenuto di ceneri, potere calorifico,
cloro e zolfo. Si può facilmente supporre che la dispersione di questi
53 di 122
parametri a seguito del campionamento sia molto ridotta e che le fasi di
campionamento, nonostante l’elevato fattore di riduzione, possano
condurre ad un campione di analisi rappresentativo della matrice di
partenza. Al contrario solo il 3% del rifiuto indifferenziato in ingresso è
caratterizzato da materiali metallici (ferrosi e non) rappresentati per lo più
da ferro e alluminio. La successiva fase di eliminazione mediante
elettromagneti contribuisce significativamente ad una distribuzione
casuale e disomogenea dei restanti metalli pesanti aventi valore limite di
cui già la matrice di partenza ne è povera se non priva, che ne determina
una dispersione nel prodotto finito altrettanto disomogenea. Pertanto la
dispersione di tali analiti potrebbe rilevarsi elevata e, malgrado gli
scrupolosi calcoli legati alla pezzatura e alla densità adottati in fase di
campionamento, il campione di analisi potrebbe non essere
rappresentativo di quel metallo nella matrice di partenza. Oltre ad una
variabilità attribuibile alle fasi di produzione bisogna considerare quella
offerta dalle condizioni di stoccaggio pre-combustione in impianto e a
seguito del campionamento durante le fasi di trasporto e stoccaggio in
laboratorio. Bruschi cambi di temperatura, stoccaggi in zone umide e non
depressurizzate possono alterare il valore dell’umidità del CDR e
pregiudicare tutti i parametri analitici ad esso legati, in particolare modo il
potere calorifico. Dato il suo legame anche con altri parametri, ai fini di
una corretta determinazione, la UNI 9903 (parte 7) pone particolare
attenzione alla scelta dei contenitori del CDR a seguito del
campionamento e dello stoccaggio in laboratorio nel tempo che precede le
determinazioni analitiche. L’adeguatezza dei contenitori deve essere
verificata affinché la variazione in massa del campione, mantenuto al loro
interno in condizioni di laboratorio, non vari oltre lo 0,5% durante il
periodo di osservazione di una settimana.
54 di 122
2.2 COME VALUTARE IL PROBLEMA
2.2.2 TEST STATISTICI PER VALUTARE LA DISTRIBUZIONE DEI DATI ED EVENTUALI DATI ANOMALI
In molti casi è necessario trarre conclusioni statisticamente significative
sui risultati di un’analisi e sul confronto di più dati analitici.
A questo scopo sono stati sviluppati test statistici che forniscono risposte a
quesiti sull’accuratezza e riproducibilità dei risultati. I quesiti più comuni
sono i seguenti:
- in una serie di misure sullo stesso campione, è lecito escludere dal
calcolo della media e della deviazione standard un dato che si discosta
dagli altri;
- nell’analisi di un campione a concentrazione nota, lo scarto rispetto al
valore teorico può essere attribuito a fluttuazioni statistiche oppure
alla presenza di errori determinati;
- i risultati dell’analisi di due campioni differiscono solo per la presenza
di errori indeterminati, cioè si può affermare che i due campioni hanno
la medesima concentrazione di analita, oppure le differenze sono
indice di una diversa composizione dei campioni stessi.
In generale per rispondere a queste domande si definisce un’ipotesi e si
valuta la sua significatività con un test. L’operazione si svolge in 5 stadi:
- definizione dell’ipotesi nulla e dell’ipotesi alternativa. L’ipotesi nulla
prevede che le differenze riscontrate tra i valori che si confrontano
non siano significative, cioè siano dovute solamente a fluttuazioni
statistiche. Se si rifiuta l’ipotesi nulla, si dovrà accettare l’ipotesi
alternativa;
- scelta del test da adottare;
- decisione del livello di significatività, cioè della probabilità che
l’ipotesi nulla sia falsa. A questo scopo si sceglie un livello di rischio
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, di solito pari a 0,05 o 0,01 (cioè 5% o 1%). Ricordiamo che è
complementare a P, cioè = 1 - P;
- esecuzione dei calcoli previsti nel test;
- decisione se accettare o meno la validità dell’ipotesi nulla, in genere
confrontando il valore ottenuto nel test con un valore tabulato;
- I test descritti di seguito sono validi per una distribuzione normale dei
dati. Si riportano infine due test per valutare se i valori sperimentali
seguano effettivamente questa distribuzione.
L’analisi statistica dei dati analitici viene di regola utilizzata in fase di
validazione di un metodo analitico, poiché è applicabile quando si hanno
n repliche di uno stesso campione analizzato in condizioni di ripetibilità.
L’analisi statistica delle ripetizioni implica:
verifica della normalità della popolazione dei dati ottenuti nelle n
determinazioni;
individuazione dei valori “anomali”;
calcolo dello scarto tipo sperimentale e dell’incertezza tipo.
Se la distribuzione delle ripetizioni non è normale, prima di eliminare i
dati anomali, è necessario effettuare un esame del procedimento analitico
per accertare eventuali cause delle anomalie e soprattutto se lo schema di
valutazione ed eliminazione è stato rispettato; si procede pertanto, previa
eliminazione degli errori, a una nuova esecuzione delle ripetizioni. Se la
distribuzione delle ripetizioni è normale si procede alla ricerca di
eventuali dati anomali, si eliminano e si ripete il test di anomalia finché
non fornisce esito positivo. Dopo aver definito il numero delle prove da
eseguire al livello di concentrazione di interesse, aver controllato la
"normalità" della distribuzione dei risultati ottenuti, aver scartato quelli
considerati "anomali", il laboratorio può procedere alla elaborazione
statistica ed accettare i dati dopo aver valutato che lo scarto tipo di
ripetibilità stimato (sr), sia compatibile con lo scarto tipo (σr) riportato ad
56 di 122
esempio dal metodo normato che si sta provando, oppure prefissato come
obbiettivo di ripetibilità del metodo in corso di sviluppo. La verifica deve
essere effettuata calcolando il rapporto sr/σr e valutando se il risultato
ottenuto cade all'interno dell'intervallo riportato nel prospetto n.2 del
Manuale Unichim37 179/1-2001, in corrispondenza del numero di gradi di
libertà = n-1. Se il risultato cade nell'intervallo lo scarto tipo di
ripetibilità (sr) è accettabile e si procede alla stima dell’incertezza di
misura. Se il valore è superiore o inferiore al limite è necessario
riconsiderare il procedimento analitico, fase per fase, per apportare le
appropriate azioni correttive o per assicurarsi di non aver trascurato o
male interpretato qualche passaggio previsto dal metodo di prova.
2.2.2.1 LA DISTRIBUZIONE DEI DATI
Per valutare se i risultati sperimentali a disposizione seguono
effettivamente tale distribuzione si può ricorrere ad appositi test (test di
Shapiro Willks, test di Pearson che è applicabile quando si dispone di un
numero elevato di dati, il test di D’Agostino utilizzato se il numero di dati
è superiore a 50).
Per la verifica della distribuzione normale dei dati, per ogni parametro
esaminato è stata condotta mediante il test di Shapiro-Wilks, mentre per la
verifica dei dati anomali è stato utilizzato il test di Huber.
TEST DI SHAPIRO-WILKS
L’ipotesi nulla è: i dati appartengono ad una popolazione avente una
distribuzione normale. Se l’ipotesi nulla verrà scartata, si dovrà accettare
37 Manuale Unichim 179/1-2001, prospetto n.2 - Linee guida per la validazione di metodi analitici nei laboratori chimici - Valutazione della precisione (ripetibilità stretta) di un metodo analitico eseguito in un unico laboratorio da un solo operatore su di un unico strumento in un breve intervallo di tempo.
57 di 122
l’ipotesi alternativa, secondo la quale i dati appartengono ad una
popolazione la cui distribuzione non è normale.
Si definisce un livello di significatività a (di solito del 5% o dell’1%).
Si dispongono i risultati in ordine crescente.
Si calcola la grandezza W:
Dove:
D = (xi - x)2, con xi = valore della singola misura e x = valore medio
dj = x(n-j+1) – xj; cioè d1 = xn – x1, d2 = xn-1 – x2, ecc.
j = 1, 2, 3, … n/2 se n (numero di misure) è pari
j = 1, 2, 3, … (n-1)/2 se n è dispari
aj è un valore tabulato in tabella 1.7
Tabella 2.2 a - Valori dei coefficienti aj per il test di Shapiro-Wilk
2 3 4 5 6 7 8 9 10
1 0,7071 0,7071 0,6872 0,6646 0,6431 0,6233 0,6052 0,5858 0,5739
2 --- 0,0000 0,1667 0,2413 0,2806 0,3031 0,3164 0,3244 0,3291
3 --- --- --- 0,0000 0,0875 0,1401 0,1746 0,1976 0,2141
4 0,0000 0,0561 0,0947 0,1224
5 0,0000 0,0399
58 di 122
Tabella 2. b - Valori dei coefficienti aj per il test di Shapiro-Wilk
11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
1 0,5601 0,5475 0,5359 0,5251 0,5150 0,5056 0,4968 0,4889 0,4808 0,4734
2 0,3315 0,3325 0,3325 0,3318 0,3306 0,3290 0,3273 0,3253 0,3232 0,3211
3 0,2260 0,2347 0,2412 0,2460 0,2495 0,2521 0,2540 0,2553 0,2561 0,2565
4 0,1429 0,1586 0,1707 0,1802 0,1878 0,1939 0,1988 0,2027 0,2059 0,2085
5 0,0695 0,0922 0,1099 0,1240 0,1353 0,1353 0,1447 0,1587 0,1641 0,1686
6 0,0000 0,0303 0,0539 0,0727 0,0880 0,1005 0,1109 0,1197 0,1271 0,1334
7 --- --- 0,0000 0,0240 0,0433 0,0593 0,0725 0,0837 0,0932 0,1013
8 --- --- --- --- 0,0000 0,0196 0,0359 0,0496 0,0612 0,0711
9 --- --- --- --- --- --- 0,0000 0,0163 0,0303 0,0,422
10 --- --- --- --- --- --- --- --- 0,0000 0,0140
Si confronta il valore di W calcolato con il valore tabulato (per n dati e 1-
). Se W calcolato è minore di W tabulato, l’ipotesi nulla deve essere
accettata. In caso contrario, si accetta l’ipotesi alternativa, cioè si può
affermare (con una certa probabilità determinata da ) che i dati non
appartengono ad una popolazione con distribuzione normale.
TEST DI HUBER
Il test di Huber rappresenta uno dei test statistici più robusti per
evidenziare eventuali dati anomali.
Il test utilizza una valutazione incentrata sulla mediana che non risente
dell'influenza dei valori estremi di una serie ordinata di dati. Il test noto
anche come MAD (Median Absolute Deviation) permette di eliminare un
numero di dati anomali non prefissato, come invece accade con il test di
Dixon e di Grubbs. Il valore critico 4,5 riportato nella relazione di Huber
consente di ritenere "anomali" tutti quei dati che elaborati secondo Huber
superano tale limite (Manuale Unichim 179/1-2001)37.
Per l’applicazione del test di Huber si procede nel seguente modo:
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si calcola la mediana (CM) dei dati analitici ordinati in senso
crescente;
si calcolano le differenze (Di) tra i singoli conteggi e la mediana
(CM);
si ordinano le differenze (Di), in valore assoluto, in senso crescente;
si calcola la mediana (DM) delle differenze;
si confrontano le differenze Di rispetto a DM applicando la
relazione: Di ≤ 4,5 x DM;
se Di/ DM ≤ 4,5 il valore è accettabile;
se Di/ DM > 4,5 il valore è anomalo.
Teoricamente il numero massimo dei dati che possono essere eliminati è
pari al 50%. Naturalmente prima di eliminare dei dati anomali è
opportuno e necessario riconsiderare il procedimento analitico con il quale
sono stati ricavati.
2.2.3 IL CALCOLO DELL’INCERTEZZA ESTESA ANALITICA
2.2.2.1 GENERALITÀ
La differenza concettuale tra incertezza ed errore è che la prima
rappresenta l'intervallo di valori al cui interno ricade quello del
misurando, mentre il secondo rappresenta la differenza tra singolo valore
misurato e "valore vero". Nella realtà quest'ultimo non è noto, per cui
anche l'errore, in questa accezione, non può essere conosciuto. Nel caso in
cui si possa valutare sperimentalmente in modo diretto la variabilità di
ciascuna delle grandezze che intervengono nel processo di misurazione,
l'incertezza può essere calcolata senza l'ausilio di alcun modello
matematico del processo stesso. In generale ogni misurazione determina il
valore della grandezza da misurare detta misurando. Il risultato di una
misurazione, pur corretto da eventuali effetti sistematici identificati, è solo
60 di 122
una stima del valore del misurando a causa dell’incertezza originata dagli
effetti casuali e da quelli non noti o non considerati. L’incertezza è il
parametro, associato al risultato di una misurazione, che caratterizza la
dispersione dei valori ragionevolmente attribuibili al risultato.
Non essendo possibile operare facendo variare tutte le variabili coinvolte
nella prova, in modo da renderle indipendenti tra di loro, l’approccio al
problema del calcolo dell’incertezza di misura deve essere condotto
utilizzando due diversi approcci:
approccio metrologico (o bottom up) , si basa sulla valutazione delle
incertezze parziali, correlate a tutti i passaggi ipotetici di una
procedura analitica.
approccio olistico (o top down), è basato sull’utilizzo del
collaborative trial come strumento per ottenere la massima
variazione di tutte le possibili variabilità di una metodica.
Per il calcolo dell’incertezza estesa di misura, in questo studio, è stato
seguito il primo approccio; tale metodologia, ripresa dalla norma UNI CEI
ENV 13005:2000, identifica e quantifica i singoli contributi all’incertezza
e, successivamente, combina le varianze pesate secondo la legge di
propagazione delle incertezze.
Secondo la UNI CEI ENV 13005:2000, ciascuna delle fasi analitiche è
caratterizzata da componenti d'incertezza, definite di categoria A, legate
alla loro variabilità sperimentale, e da altre, definite di categoria B, legate
a informazioni e parametri valutati esternamente rispetto alI'esecuzione
della procedura. Le Il componenti di categoria A e le II! componenti di
categoria B, se note o opportunamente stimate, possono essere combinate
tra loro per ottenere l'incertezza tipo composta, u( c), della procedura di
determinazione nel suo insieme e !'incertezza estesa finale, U (con un
livello di fiducia intorno al 95%, applicando un fattore di copertura
approssimato, k = 2), mediante le espressioni. In particolare ad ognuna
61 di 122
delle stime d’ingresso xi deve essere necessariamente associata
un’incertezza d’ingresso che, assieme alle altre, contribuisce a formare
l’incertezza della stima del misurando, o incertezza composta.
Le incertezze possono essere classificate come segue:
- incertezza del misurando: è legata ad una imperfetta realizzazione o
definizione del misurando e frequentemente nelle misurazioni industriali
può non essere considerata;
- incertezza della strumentazione: è determinata da cause diverse, quali ad
esempio la lettura di strumento analogico, la risoluzione di
strumentazione digitale, gli effetti di condizioni ambientali non noti o
non definiti completamente, l’incertezza dei riferimenti utilizzati per le
tarature;
- incertezza del protocollo: è dovuta ad approssimazioni ed assunzioni
tipiche del metodo;
- incertezza d’uso: è una incertezza introdotta come maggiorazione di
un’incertezza nota (ad esempio, quella della strumentazione), per
considerare possibili cause di incertezza che è più conveniente stimare in
base all'esperienza, che calcolare (esempio, deriva fra due intervalli di
taratura);
Le incertezze di ingresso possono essere determinate attraverso due
categorie di valutazione, contraddistinte con le lettere A e B.
È bene sottolineare che tutte le incertezze hanno la stessa natura per cui la
distinzione in base alle categorie di valutazione (A e B) riguarda
unicamente il modo con il quale le incertezze vengono stimate.
2.2.3.2 VALUTAZIONE DELLE INCERTEZZE DI CATEGORIA A
Quando una grandezza xi può essere valutata direttamente dal laboratorio
attraverso la ripetizione di un processo di misurazione, in condizioni
controllate, si ottiene come risultato una serie di valori. La teoria statistica
62 di 122
insegna come utilizzare al meglio l’informazione in essi contenuta. Per
giungere a questo scopo, viene immaginata una popolazione virtuale
infinita di valori, tutti pertinenti alla grandezza xi in esame nelle
condizioni di misurazione, da cui sono stati estratti, quale campione
casuale, quelli della serie ottenuta in laboratorio.
Il passo successivo, suggerito dalla teoria, consiste nella scelta di un
modello per rappresentare la popolazione infinita. Un modello impiegato
nelle misurazioni di un gran numero di grandezze è quello cosiddetto
normale o di Gauss. Se xiq è un generico valore della popolazione infinita
dei valori assunti dalla grandezza Xi, allora la funzione:
rappresenta la frequenza con cui un tale valore figura come risultato di
una misurazione della grandezza xi essendo i il valore atteso, e i lo
scarto tipo della popolazione infinita dei valori delle misurazioni. Se si
rappresenta sul piano cartesiano questa funzione, si ottiene la classica
curva a campana.
La variabile k p, che rappresenta tutte le popolazioni infinite di valori che
si richiamano al modello normale, si ottiene razionalizzando la variabile
xiq nel seguente modo:
Questa variabile, che ha distribuzione normale con media nulla e scarto
tipo unitario, assume per diversi livelli di probabilità valori crescenti:
Nella pratica, per ragioni di costo e di tempo, le misurazioni ripetute di
una grandezza costituiscono sempre una serie limitata di valori. Pertanto,
tali serie non possono essere sempre razionalizzate e valutate in base alla
variabile kp, anche se si è assunto e provato che la popolazione virtuale
63 di 122
infinita da cui sono tratte è di tipo normale. La variabile che razionalizza
esattamente i valori di serie limitate, è stata studiata da Student ed ha la
seguente espressione:
dove, x i rappresenta il valore medio delle misurazioni xiq , ed è una stima
del valore atteso i, mentre si è lo scarto tipo sperimentale della serie di
misurazioni ed è una stima di i .
Si dimostra che ad ogni stima xi della grandezza Xi corrisponde quindi una
incertezza tipo della media, u(x i ), data dalla formula:
ed un numero i di gradi di libertà.
2.2.3.3 VALUTAZIONE DELLE INCERTEZZE DI CATEGORIA B
Le valutazioni di incertezza effettuate in modo diverso da quello basato su
serie di osservazioni ripetute, si definiscono di categoria B. La situazione
di minima informazione è rappresentata da un intervallo, individuato da
due valori ximax e ximin, al di fuori del quale si esclude possa trovarsi il
valore della grandezza, mentre all’interno dell’intervallo tutti i valori
hanno la stessa probabilità. In questo modo si assume una distribuzione
uniforme di probabilità, detta anche rettangolare, di ampiezza pari ad ximax
- ximin (Figura 3a). In questo caso si può attribuire come stima di xi il valore
medio ell’intervallo, pari a:
Si può dimostrare che l'incertezza u(xi) di questa distribuzione può essere
calcolato con la seguente relazione:
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La relazione scritta può essere utilizzata anche se i limiti superiore ed
inferiore ximax e ximin non sono simmetrici rispetto alla migliore stima di xi.
A volte è più realistico attendersi che i valori prossimi agli estremi siano
meno probabili di quelli centrali. In tal caso è ragionevole sostituire alla
distribuzione simmetrica rettangolare una distribuzione simmetrica
trapezoidale avente i lati obliqui uguali (trapezio isoscele), la base
maggiore di ampiezza ximax - ximin e la base minore di ampiezza ( ximax -
ximin).
2.2.3.4 CALCOLO DELL’INCERTEZZA COMPOSTA
In generale, nel corso di un processo o di una prova, le grandezze in
gioco, con incertezze, sia di categoria A che di categoria B, possono
essere numerose. Il problema da affrontare e risolvere è come calcolare
l’incertezza tipo composta, u(y), pertinente al risultato y del processo o
prova. Quando il modello della misurazione è quello indicato dalla (2),
allora la risposta al quesito viene data da quella che, tradizionalmente, è
chiamata legge di propagazione degli scarti e che nella Norma diventa,
per coerenza, legge di propagazione delle incertezze. L’equazione che
traduce algebricamente questa legge, quando tutte le grandezze xi sono fra
loro non correlate e indipendenti, è la seguente:
dove sotto radice è la sommatoria dei quadrati delle derivate parziali della
funzione y rispetto alle singole variabili xi moltiplicate per il quadrato
delle incertezze tipo u(xi) di cui sono affette le diverse grandezze di
ingresso xi .
65 di 122
Modalità semplici di impiego della u(y) si hanno quando il modello è
costituito da una somma o da un prodotto. Si può osservare che nel caso di
somma algebrica di grandezze d’ingresso:
A+B+C
l’incertezza tipo composta assoluta u(y) è data dalla radice quadrata della
somma dei quadrati delle incertezze assolute delle stime di ingresso:
Una volta calcolata la u(y) l’incertezza estesa U(y) è data da:
Dove la variabile kp, che rappresenta tutte le popolazioni infinite di valori
che si richiamano al modello normale, viene generalmente assunta pari a
2.
2.2.4 CALCOLO DELL’INCERTEZZA ESTESA DI CAMPIONAMENTO
L’incertezza di misura associata al risultato analitico fornisce uno
strumento per la valutazione di conformità, nei casi in cui la norma di
riferimento non dà indicazioni sulle regole decisionali da adottare.
Il campionamento, che può definirsi come l'operazione di raccolta di una
porzione rappresentativa della matrice ambientale che si vuole indagare,
consta di una fase di prelievo in campo (campionamento "primario") e di
una (successiva) in cui si preparano le aliquote di campione da sottoporre
ad analisi (campionamento "secondario"). In termini generali, l'incertezza
legata alla misurazione di un generico parametro, smis, è data dalla somma
di varianze espressa dalla relazione:
s2mis = s2
camp1 + s2camp 2 + s2
an
dove
s2an rappresenta il contributo della fase analitica,
s2camp1 quello del campionamento primario e
66 di 122
s2camp 2 quello del campionamento secondario.
Come descritto per l’incertezza analitica, ciascuno dei termini legati al
campionamento primario e secondario può essere scomposto, per cui:
s2camp1 = s2
strat + s2tecn
s2camp2 = s2
trasp/cons + s2ripart + s2
prep
dove
s2strat è la varianza dovuta alla strategia;
s2tecn quella dovuta alla tecnica;
s2trasp/cons quella dovuta al trasporto e alla conservazione;
s2ripart quella dovuta alla ripartizione;
s2prep quella dovuta alla preparazione per l'analisi.
Se da un lato, nella trattazione dei processi di campionamento si cerca di
utilizzare strumenti analoghi a quelli impiegati nell'analisi chimica
(convalida dei processi, controllo di qualità interno ed esterno, studi
collaborativi che disponga degli analoghi dei materiali di riferimento in
analisi), dall' altro non si possono ignorare alcune sostanziali differenze
che esistono tra campionamento e pratica analitica. La prima differenza è
ravvisabile nel grado di eterogeneità dei campioni: piuttosto ridotto e poco
influente sull'incertezza del risultato in quelli predisposti per l'analisi, di
norma piuttosto elevato e variabile in quelli prodotti in fase di
campionamento. Un valore di incertezza determinato in sede di convalida
di un protocollo di campionamento si riferisce a un materiale "tipico" e
non è automaticamente attribuibile al campionamento del materiale
"reale", nel quale si potrebbero trovare, con frequenza non precisabile in
fase di studio, zone puntuali con livelli di eterogeneità ben maggiori di
quello stimato come "mediamente presente nel materiale "tipico".
La seconda differenza risiede nella difficoltà di determinazione
dell'accuratezza in un campionamento, per l’assenza di procedure
67 di 122
analoghe a quello che rappresenta il confronto con materiale di
riferimento certificato. Per la fase analitica, l'incertezza tiene normalmente
conto anche di effetti di carattere sistematico. Rimane quindi in
discussione il concetto di accuratezza nell'ambito del campionamento.
A livello internazionale, gli approcci proposti per valutare l'incertezza
associata all'operazione di campionamento sono sostanzialmente quelli
che vanno sotto il nome di:
Causa-Effetto", conosciuto anche come "modelling" e "bottom-up";
• "Empirico", noto anche come "empirical" e "top-down".
Entrambi gli approcci sono tuttora oggetto di dibattito nella comunità
scientifica ed è molto sentita l'esigenza di una loro sistematizzazione, sia a
livello teorico che pratico.
2.2.4.1 APPROCCIO CAUSA EFFETTO . IL MODELLO GY
L'approccio, che fa riferimento a quanto descritto nella UNI CEI ENV
13005:2000 (GUM)5, richiede l'identificazione delle singole sorgenti di
incertezza e la quantificazione del loro contributo. La somma dei singoli
contributi, espressi in termini di varianze, determina l'incertezza tipo
composta. Se a livello di procedimento analitico questa modalità ha
trovato molti consensi, la sua applicazione al processo di campionamento
pone dei problemi, riguardo soprattutto il reperimento delle necessarie
informazioni e la definizione dell' incertezza tipo da attribuire a ciascuna
delle fasi di cui si compone il campionamento stesso. Una particolare
versione di tale approccio, basata sulla "Teoria del Campionamento"
formulata nei primi anni '50 e descritta da Gy nel 197918, individua un
certo numero di possibili sorgenti di incertezza, esprimendo la varianza
globale di misura, smis.
Tuttavia, tale approccio presenta difficoltà di utilizzo legate alle numerose
informazioni di natura meccanica, chimico-fisica e morfologica che
necessitano per la sua applicazione. Il modello si è rivelato efficace
68 di 122
quando i materiali da indagare sono prodotti industriali o agricoli con
caratteristiche di omogeneità e stabilità note, o comunque misurabili senza
grandi difficoltà. Cosi non è, purtroppo, per i materiali che si raccolgono
nei vari comparti ambientali.
2.2.4.2 APPROCCIO EMPIRICO
Qualora non fosse indispensabile conoscere il contributo specifico della
componente associata al campionamento secondario (riduzione della
massa/volume del campione primario, quartatura, pretrattamento fisico), il
piano sperimentale si può semplificare inglobando tale contributo
nell'incertezza di campionamento, per cui:
s2mis = s2
camp + s2an
L'incertezza tipo composta, Umis, si ricava dalla radice quadrata della
varianza di misura:
Moltiplicando quest'ultima per un fattore di copertura, di solito
approssimato a 2, si ottiene l'incertezza estesa, Umis (in valore assoluto) e
Umis %, rispetto al valore medio, x:
Umis = 2x umis
Qualora il campionamento venga eseguito in più punti del sito (o in più
cumuli di un lotto), va aggiunta la varianza dei risultati delle misure
effettuate sui campioni stessi, s2t arg; la varianza totale, degli incrementi
u2T, è data quindi dalle espressioni:
69 di 122
u2t = s2
t = s2t arg + s2
camp + s2an
u2t = s2
t arg + s2mis
Da cui, l'incertezza tipo composta:
e l'incertezza estesa, in valore assoluto:
Ut = 2 x ut
Questo approccio, che richiede prelievi in duplicato per almeno il 10% dei
punti di campionamento, con un minimo di 8 punti di campionamento
adatto per matrici solide e liquide e può essere adottato nel caso di un sito
contaminato; nella valutazione della pericolosità di un cumulo di rifiuti,
nel monitoraggio delle acque di un lago o nel controllo di qualità di un
lotto di produzione. Il valore di incertezza stimato è applicabile a singole
misure eseguite nell’ambito del piano di campionamento. Con questa
modalità è possibile per il campionamento e l’analisi sia la ripetibilità che
la riproducibilità.
70 di 122
3 PARTE SPERIMENTALE
3.1 GENERALITÀ
L’impiego di un metodo di campionamento adeguato aiuta a mantenere lo
stesso livello di precisione dei risultati di analisi dei singoli campioni di
massa.
Il campionamento adottato si attiene alle procedure della UNI 9903-
3:2004 applicate sul CDR alimentato al processo: esso è basato sul
prelievo di più incrementi su un orizzonte temporale di 5 settimane (lotto
di produzione). Come accennato nel paragrafo 1.2.2, Nonostante tale
norma sia stata ritirata le nuove previsioni della UNI EN 15442:2011 e
UNI EN 15443:2011 risultano soddisfatte, in alcuni casi come per il
numero minimo di incrementi anche in modo conservativo, dal protocollo
di campionamento adottato nella presente campagna.
Il CDR soggetto a campionamento è di qualità normale di tipo fluf, e ha
mostrato una densità media di 150 Kg/m3 ed una pezzatura < 100 mm ed
una composizione merceologica media in seguito.
Sono stati effettuati dei prelievi giornalieri dal lunedì al venerdì per
ognuna delle 5 settimane; l’insieme degli incrementi è stato utilizzato per
dare origine al campione giornaliero per l’analisi di umidità e al campione
settimanale rappresentativo del singolo sottolotto. L’attività giornaliera di
prelievo del CDR, la seguente macinazione e riduzione dimensionale
richiede una durata funzione della densità e pezzatura del CDR.
Giornalmente è stato estratto un campione per la misura dell’umidità: la
media dei campioni di umidità relativi al sottolotto ha rappresentato il
valore di umidità caratteristico del sottolotto. Per ciascuna settimana, dai
campioni giornalieri sono stati estratti i corrispondenti campioni
rappresentativi del sottolotto, sul quale sono state effettuate le analisi
71 di 122
chimico-fisiche generali. La caratterizzazione del lotto di produzione
risulterà dalla media dei parametri chimico-fisici dei 5 sottolotti
settimanali. Quanto verrà spiegato nelle pagine successive viene
schematizzato in figura 3.1
Figura 3.1 - Schema di campionamento dell’intera campagna di campionamento ( 5 settimane).
3.1.1 COMPOSIZIONE MERCEOLOGICA DEL CDR ESAMINATO
La composizione merceologica dei rifiuti solidi è estremamente variabile.
I rifiuti industriali, tuttavia, si presentano di composizione abbastanza
omogenea all’interno di ciascun settore produttivo, ma estremamente
diversi da settore a settore.
Nel caso dei rifiuti solidi urbani, la variabilità è notevole ed è legata sia
alla scala spaziale del bacino considerato, sia alla diversa influenza delle
iniziative di raccolta differenziata in atto nelle diverse Regioni. Variabili
da cui dipende la composizione merceologica è il prodotto lordo pro-
72 di 122
capite, l’ubicazione (città/campagna, pianura/colina/montagna), le
abitudini della popolazione, la destinazione d’uso delle aree (residenziale
o commerciale), il pendolarismo, la vocazione turistica del territorio, ed
altre. In Italia si possono distinguere fondamentalmente due tipi di rifiuti
solidi urbani: quelli prodotti al Nord (in regioni caratterizzate da forte
presenza di terziario e attività produttive che generano forti quantità di
carta e plastica) e quelli prodotti al Centro-Sud (in regioni con maggiore
presenza di attività agricola diffusa e con maggiore quantità di organico a
scapito della frazione combustibile).
La conoscenza della componente merceologica rappresenta un importante
strumento per la corretta interpretazione analitica successiva, basti pensare
che la componente “combustibile” (materiali cellulosici, materiali plastici,
legno), ormai superiore al 50%, ha determinato un forte aumento del
potere calorifico inferiore (P.C.I.) da 5.400 kJ kg-1 circa alla fine degli
anni ’70 al valore odierno superiore a 9.000 kJ kg-1.
Per tale motivo, analogamente a quanto svolto per i campioni settimanali
è stata svolta un’analisi merceologica su campioni destinati alle analisi
chimiche, ogni settimana sono stati prelevati incrementi giornalieri per la
caratterizzazione merceologica di ciascun sottolotto. Le singole
caratterizzazioni merceologiche sono state condotte su campioni di CDR
non macinati di massa compresa tra i 10-15 Kg.
3.2 LA PROCEDURA DI CAMPIONAMENTO
Nelle pagine seguenti si presenta la procedura per il campionamento del
CDR (combustibile da rifiuti) secondo UNI 9903-3:200438 adottata presso
diversi impianti di termovalorizzazione presenti nel Lazio. I campioni
prelevati nell’arco della campagna sono stati separati per la
38 UNI 9903-3 “Combustibili solidi non minerali ricavati da rifiuti (RDF) – Campionamento e Riduzipne del campione”
73 di 122
determinazione dell’umidità totale e per le analisi generali che verranno
descritte in dettaglio nei paragrafi seguenti. Trattandosi di impianti
utilizzatori e non di impianti di produzione di CDR, il lotto di produzione
è stato individuato nel flusso di CDR inviato a combustione nell’arco
temporale di 5 settimane consecutive e proveniente dal deposito di
stoccaggio presente presso ciascun impianto. La procedura, pur in
aderenza alle linee generali previste dalla norma UNI 9903-2004, tiene
conto della specifica modalità di gestione dei flussi di CDR praticata dagli
impianti utilizzatori.
3.2.2 TECNICHE DI GESTIONE DEL CAMPIONAMENTO DEL CDR
La tecnica di campionamento seguita è quella del prelievo degli
incrementi da scarico libero, utilizzando lo scarico libero del CDR
trasportato dai nastri alle piastre di alimentazione del CDR avviato alla
camera di combustione.
3.2.3 DEFINIZIONE DELLA MASSA DEGLI INCREMENTI SECONDO LA
NORMA TECNICA UNI 9903
La massa degli incrementi prelevata giornalmente per caratterizzare il
lotto di produzione è funzione della pezzatura e densità del CDR oggetto
del campionamento, come desumibile dalla norma tecnica UNI 9903 – 3
punto 4.8. Pertanto, prima dell’inizio dell’attività di campionamento, ed
almeno all’inizio di ciascuna settimana di campionamento, si è proceduto
alla verifica della pezzatura e della densità, per definire inizialmente e
ridefinire successivamente, se necessario, la massa minima degli
incrementi. In particolare la pezzatura massima del CDR è definita come
la dimensione della luce di maglia del setaccio attraverso cui passa
almeno il 95% in massa del materiale.
74 di 122
Dalla pezzatura e dalla densità si è ricavata la massa minima degli
incrementi secondo:
Mm= 2,7 × 10-8 × d3 × s
dove:
◦ Mm è la massa minima dell’incremento (kg)
◦ d è la pezzatura massima nominale del materiale (mm)
◦ s è la massa volumica del materiale (kg/m3)
La massa minima dell’incremento è risultata di circa 2 kg.
3.2.4 CAMPIONAMENTO GIORNALIERO
Per l’attività di campionamento giornaliero sono stati prelevati ad
intervalli di tempo regolari n. 36 incrementi in massa di CDR, sullo
scarico del nastro a piastre. Dopo aver registrato il peso degli incrementi
campione essi sono stati sottoposti a macinazione ad una pezzatura di
circa 20 mm tramite il mulino presente nella zona di macinazione in situ.
Dopo miscelazione degli stessi gli incrementi campione macinati sono
stati sottoposti alle operazioni di quartatura mediante la prima formazione
di un cono, il suo appiattimento ed il suo ribaltamento per tre volte in un
punto diverso. Successivamente il CDR macinato è stato disposto su una
superficie piana e miscelato a terra a formare un rettangolo di spessore
pari a circa 50 mm; esso è stato suddiviso in 20 caselle uguali (4x5 cm)
mediante un nastro; e da ciascuna casella sono state estratte almeno 2
palettate di volume pari a circa 300 ml, fino ad ottenere due campioni
gemelli ciascuno di massa finale pari a circa 5 kg. Dei due campioni in
massa prelevati di circa 5 kg:
uno rappresenterà il campione da laboratorio che verrà trasferito in
laboratorio attraverso un secchio ermetico opportunamente sigillato
ed etichettato per l’analisi giornaliera di umidità (in laboratorio si
75 di 122
effettuerà una riduzione del campione con paletta tipo 20R per
estrarre il campione di analisi per l’umidità);
uno, dopo essere stato sigillato ed etichettato, rappresenterà il
campione di massa giornaliero che, insieme agli altri campioni di
massa giornalieri prelevati nella settimana di riferimento, andrà a
formare il campione rappresentativo del sottolotto settimanale.
Figura 3.2 – Utensile utilizzato per il prelievo degli incrementi – paletta 20 R.
3.2.5 FORMAZIONE DEL CAMPIONE RAPPRESENTATIVO DEL
SOTTOLOTTO
Per ciascuna delle 5 settimane, nell’ultimo giorno di campionamento della
settimana, si è proceduto alla formazione del campione rappresentativo
del sottolotto. Dopo aver trasportato i campioni di massa giornalieri nella
zona di macinazione, essi sono stati sottoposti ad ulteriore macinazione di
10 mm di pezzatura tramite il mulino in dotazione in ogni impianto. I
campioni sono stati disposti su un telo su superficie piana e miscelati
mediante la prima formazione di un cono, il suo appiattimento ed il suo
ribaltamento per tre volte in un punto diverso. Essi sono stati disposti e
miscelati sulla superficie piana a formare un rettangolo di spessore pari a
circa 30 mm. Esso è stato suddiviso in 40 caselle uguali mediante un
nastro o una maglia predefinita (Fig 3.3) . Da ciascuna casella sono stati
estratti almeno 2 palettate mediante l’uso delle palette del tipo N.10R in
76 di 122
dotazione tale da avere due campioni gemelli in massa di circa 5 kg
ciascuno.
Figura 3.3 – Quartatura del CDR.
Dei due campioni in massa di circa 5 kg:
uno rappresenta il campione da laboratorio rappresentativo del
sottolotto che è stato trasferito in laboratorio attraverso un secchio
ermetico opportunamente sigillato ed etichettato per l’analisi
generale (questo subisce in laboratorio una ulteriore riduzione per
incrementi e, ove previsto, una riduzione granulometrica a circa 0,5
mm per poter estrarre il campione di analisi) e per formare, se
necessario, al termine delle 5 settimane, insieme ai campioni
rappresentativi degli altri sottolotti, il campione rappresentativo del
lotto di produzione;
uno rappresenta il campione rappresentativo del sottolotto che resta,
sigillato ed etichettato, presso il sito per eventuali controanalisi.
77 di 122
Figura 3.4 – Campione e contro campione.
3.3 MANIPOLAZIONE DEL CAMPIONE IN INGRESSO E
FORMAZIONE DEL CAMPIONE DA LABORATORIO
Segue una breve descrizione relativo alla formazione del campionamento
secondario per la formazione del campione da laboratorio, rappresentativo
di quello in origine, da sottoporre ad analisi. Come precedentemente
descritto giornalmente (dal lunedì al venerdì) si è proceduto al
campionamento del CDR per le successive misure di umidità totale. La
procedura analitica verrà descritta in seguito.
Analogamente al campionamento primario quello secondario è stato
condotto mediante quartatura del campione di massa su una su superficie
piana e asciutta. Su di essa il campione è stato miscelato mediante la
prima formazione di un cono, il suo appiattimento ed il suo ribaltamento
per tre volte in un punto diverso; successivamente è stato disposto a
formare un rettangolo suddiviso in 20 caselle uguali mediante un nastro.
Da ciascuna casella sono stati estratti almeno 2 palettate mediante l’uso
delle palette del tipo N. 20R tale da avere due campioni di laboratorio
gemelli in massa di circa 0,5 kg ciascuno. Su di essi è stata determinata
l’umidità all’aria secca (par. 3.4.1.1) e, dopo ulteriore quartatura, svolta
78 di 122
secondo metodi dei quarti opposti, da 1 Kg a circa 60 g, si è proceduto
mediante riduzione granulometrica da 10 mm a circa 0,5 mm e da ciascun
campione di laboratorio è stata ricavata un’aliquota di circa 10 g per la
determinazione dell’umidità residua. In questo modo sono state
determinate le umidità giornaliere, espresse come media di due
determinazioni distinte sul campione di massa giornaliero, e dalla media
delle 5 umidità totali ottenute dai campioni giornalieri campionati dal
lunedì al venerdì sono state ricavate le umidità settimanali.
Il campionamento secondario del sottolotto settimanale ha previsto una
quartatura analoga a quanto descritto in precedenza per la determinazione
dell’umidità all’aria secca mediante l’ausilio di una paletta 10R al fine di
ridurne la massa da circa 5 Kg a circa 0,1 Kg e, dopo riduzione
granulometrica da 10mm a 0,5 mm è stato essiccato in stufa a 105°C per 4
ore . Dal campione ottenuto una parte rappresentativa è stata utilizzata per
la determinazione del contenuto di ceneri (par. 3.4.2), di metalli (par.
3.4.5 – 3.4.7), del PCI (par. 3.4.3). Il PCI il cloro e lo zolfo totali una volta
determinati sul secco sono stati convertiti sul tal quale data l’umidità
media settimanale.
3.4 DESCRIZIONE DEI PARAMETRI ESAMINATI E DELLE
PROCEDURE ANALITICHE ADOTTATE PER LA LORO
DETERMINAZIONE NEL CDR
La UNI 9903-1:2004 descrive i parametri che devono essere
obbligatoriamente esaminati nel CDR ed i corrispondenti valori limite
stabiliti anche dal Decreto 05/02/1998 All. 2 Suball. 1 P.to 1 e successive
modifiche ed integrazioni. La Tabella 3.1 riporta i parametri esaminati e le
procedure adottate per la loro determinazione.Segue invece il dettaglio
delle procedure analitiche utilizzate per l’analisi di ogni parametro citate
in tabella 3.1.
79 di 122
Tabella 3.1- Parametri esaminati sul CDR.
Parametri Metodi
Decreto 05/02/1998 All. 2 Suball. 1 P.to 1 e
s.m.i.
Unità di misura
Potere Calorifico Inferiore (P.C.I.)
UNI 9903-5:1992 + UNI CEN/TS 15407:2006 > 15 000 kJ/kg
Umidità Totale UNI 9903-7:1992 25 %
CloroUNI 9903-10:1992 +
APAT CNR IRSA 4020 Man 29 2003
0,9 %
ZolfoUNI 9903-10:1992 +
APAT CNR IRSA 4020 Man 29 2003
0,6 %
Ceneri UNI 9903-9:1992 20 % sul secco
Piombo (volatile) UNI 9903-12:1992 + UNI EN ISO 17294-2:2005 200 mg/kg sul secco
Cromo UNI 9903-12:1992 + UNI EN ISO 17294-2:2005 100 mg/kg sul secco
Manganese UNI 9903-12:1992 + UNI EN ISO 17294-2:2005 400 mg/kg sul secco
Arsenico UNI 9903-12:1992 + UNI EN ISO 17294-2:2005 9 mg/kg sul secco
Rame (composti solubili)
CNR IRSA APP IIA Q 64 1986 + UNI EN ISO
17294-2:2005 300 mg/kg sul secco
Nichel UNI 9903-12:1992 + UNI EN ISO 17294-2:2005 40 mg/kg sul secco
Cadmio + Mercurio UNI 9903-12:1992 + UNI EN ISO 17294-2:2005 7 mg/kg sul secco
3.4.1 DETERMINAZIONE DELL’UMIDITÀ TOTALE.
Questo metodo è basato sulla perdita di peso dell’RDF/CDR essiccato in
atmosfera in condizioni controllate di temperatura, tempo e flusso d’aria.
Data la natura empirica del metodo si richiede nella sua applicazione una
rigorosa osservanza nelle metodiche di analisi. Poiché il RDF/CDR ha
un’umidità estremamente variabile (da uno stato saturo d’acqua ad uno
secco) particolare accuratezza va usata nella fase di campionamento, nella
preparazione del campione e nella metodologia d’analisi. L’umidità
Totale (M) si ricava previa determinazione dell’Umidità all’aria secca (A)
e l’umidità residua (R) secondo la relazione:
80 di 122
3.4.1.1 UMIDITÀ ALL’ARIA SECCA (A)
Il campione (circa 500 g), opportunamente omogeneizzato, viene
asciugato in un ambiente di 10 – 15°C superiore alla temperatura
ambiente senza superare i 40°C fino a che la perdita di peso sia minore
dello 0,1% del peso del campione. Normalmente bisogna arieggiare il
campione per una notte intera o 24 ore. Tale parametro viene determinato
per mezzo della relazione:
Dove:
G è la massa, in grammi, del campione di laboratorio prima
dell’essiccamento all’aria;
L è la massa, in grammi, del campione di laboratorio dopo l’essiccamento
dell’aria.
3.4.1.2 UMIDITÀ RESIDUA (R)
Dopo aver separato i materiali duri non triturabili (NT) si è calcolata la
loro percentuale nel seguente modo:
Per la determinazione dell’umidità residua si è scelto di operare con 10
grammi anziché con un grammo, come previsto dal metodo, al fine di
lavorare con un campione più omogeneo e rappresentativo. Essa avviene
mediante calcolando la differenza di peso dopo riscaldamento in stufa a
107 + 3 °C per circa 4 ore, mediante la relazione:
Dove:
81 di 122
S è la massa del campione di analisi usato, in grammi;
B è la massa del campione dopo il riscaldamento, in grammi;
NT è la percentuale decimale di non triturabile.
3.4.2 DETERMINAZIONE DELLE CENERI
Dopo aver determinato l’umidità residua il campione viene macinato a 0,5
mm. Le ceneri vengono determinate pesando il macinato del campione
dopo incenerimento in condizioni di temperatura, tempo e atmosfera
rigidamente controllate. Si è scelto di operare con 10 g anziché 1 g, come
previsto dal metodo ufficiale, al fine di lavorare con un campione più
omogeneo e rappresentativo. Il campione, opportunamente miscelato,
viene pesato velocemente (10 g), con la precisione di 0,1 mg. e riscaldato
con un gradiente tale da evitare perdite di materiale dovute alla rapida
espulsione di sostanze volatili. La temperatura iniziale è di 200°C e viene
incrementata di circa 100°C ogni 30 minuti (o fino al raggiungimento
della temperatura finale di 575 + 25°C). La temperatura finale viene
controllata tramite apposita termocoppia e l’incenerimento svolgersi in
non meno circa due ore e mezza. Dopo raffreddamento in essiccatore
effettuare la seconda pesata. La percentuale di ceneri nel campione
analizzato si calcola come segue:
dove:
A = massa della capsula + massa delle ceneri, in grammiB = massa della capsula vuota, in grammiC = massa del campione analizzato, in grammiR= Umidità residuaUna volta note le masse A, B e C il calcolo delle ceneri avviene mediante
l’impiego del foglio di lavoro in Figura 3.4.
82 di 122
Figura 3.4 - Foglio di calcolo per la determinazione delle ceneri nel CDR.
3.4.3 DETERMINAZIONE DEL POTERE CALORIFICO INFERIORE (PCI)
Il Potere Calorifico Inferiore (PCI) esprime l’efficienza del calore
sviluppato (KJ) per unità di massa del campione (kg), esso consente di
valutare la qualità del materiale inviato a combustione e, affinché il CDR
sia considerato conforme, il parametro, mediamente stimato su un lotto di
produzione, deve essere superiore a 15 000 kJ/kg. Questo parametro
risente del contenuto di umidità totale riscontrato nel campione. Il PCI si
ricava dal Potere Calorifico Superiore (PCS - determinato secondo UNI
9903-5:1992), noto il contenuto di idrogeno (H) espresso in % p/p
(determinato secondo UNI CEN/TS 15407:2006), secondo la relazione:
Il PCS viene determinato mediante combustione del campione
precedentemente pressato e pesato (circa 1 g) in atmosfera di ossigeno in
una bomba di Mahler. La combustione deve avvenire a pressione costante
di circa 20 atm ad una temperatura di riferimento iniziale di 25°C.
83 di 122
La variazione di temperatura (T) generata a seguito della combustione
consente di ricavare il Potere Calorifico Superiore nota l’energia
equivalente per mezzo della relazione:
PCS = Eeq × TIl calorimetro utilizzato ricava automaticamente l’energia equivalente
(Eeq) dai dati ottenuti in fase di taratura e restituisce il PCS. Tale
parametro è fortemente influenzato dalla percentuale di zolfo presente nel
campione e dall’acido nitrico formatosi all’atto della combustione tra
azoto atmosferico e l’ossigeno utilizzato come comburente. Questi
parametri si ricavano mediante cromatografia ionica delle condense post
combustione recuperate con una soluzione basica di idrossido di sodio.
Una volta ottenuti, tali parametri vanno inseriti nel calorimetro che opera
automaticamente le dovute correzioni fornendo il PCS corretto.
Inoltre, se il CDR sottoposto ad analisi viene precedentemente essiccato in
stufa il valore di PCS ottenuto deve essere corretto per la percentuale di
umidità totale riscontrata sul campione determinata come
precedentemente descritto. La bomba viene tarata con periodicità mensile
mediante l’impiego di acido benzoico certificato che si presenta in
compresse da circa 1g. Il contenuto di idrogeno viene determinate
mediante analisi elementare del campione. Una volta pesato (circa 1 mg)
il campione viene inserito all’interno di una capsula che viene
prontamente sigillato per limitare le perdite di materiale polverulento
provenienti dal campione stesso ed inserito ed avviato ad analisi.
L’analizzatore elementare brucia il campione in atmosfera di ossigeno
(circa 5 atm) convertendo l’idrogeno organico ed inorganico in vapor
d’acqua che viene trasportato dal carrier gas (He) in una colonna
cromatografica ed eluito insieme agli altri prodotti della combustione
(CO2, NO2, SO3). La quantificazione avviene mediante interpolazione
dell’area del picco cromatografico ottenuto con la curva di calibrazione
84 di 122
ottenuta con materiali di riferimento certificati contenenti H a titolo noto
(Cistina 5,0% p/p, sulfanilammide 4,7% p/p e 2,5-Bis(5-ter-butyl-2-
benzo-oxazol-2-yl) thiophene 6,1% p/p).
Una volta determinati PCS e Idrogeno il calcolo del PCI avviene mediante
l’impiego del foglio di lavoro in Figura 3.5.
Figura 3.5 - Foglio di calcolo per la determinazione del PCI nel CDR.
3.4.4 DETERMINAZIONE DI CLORO E ZOLFO TOTALI
Come anticipato in precedenza, la determinazione del cloro e dello zolfo
totali avviene mediante analisi in cromatografia ionica delle condense post
combustione recuperate attraverso una soluzione di NaOH. Lo zolfo, in
queste condizioni si presenta sottoforma di solfato ed il foglio di calcolo
85 di 122
utilizzato (vd. Fig. 3.6) attua le dovute correzioni restituendo la
percentuale di zolfo.
Figura 3.6 - Foglio di calcolo per la determinazione di cloro e zolfo totali nel CDR.
3.4.5 DETERMINAZIONE DI CROMO, MANGANESE ARSENICO NICHEL,
CADMIO E MERCURIO
Il metodo consente la simultanea determinazione dei metalli contenuti in
campioni di CDR dopo digestione acida in microonde ed analisi in ICP-
MS in cui i metalli in essi contenuti subiscono atomizzazione e
ionizzazione assumendo carica positiva unitaria. Gli ioni così formati
vengono selezionati da un quadrupolo ed analizzati dal detector. Tale
procedimento non deve modificare la concentrazione degli elementi di
interesse. Il pretrattamento del campione di CDR include l’essiccazione
del campione a 105°C e la riduzione granulometrica tramite mulino a
lama (con setaccio da 0,5 mm). La massa della porzione di prova per una
singola digestione deve essere selezionata in modo tale che sia
rappresentativa del campione di laboratorio, a tale scopo sono preferibili
86 di 122
masse maggiori di 200 mg. Sul campione viene condotto un attacco acido
con 2 ml di HNO3 e 6 ml di HCl e digestione a microonde.
Successivamente i campioni mineralizzati vengono filtrati e diluiti
opportunamente con una soluzione acquosa di HNO3 all’1% ed analizzati
in ICP-MS il quale fornisce la lettura in ppb della soluzione sottoposta ad
analisi. Il foglio di lavoro utilizzato per il successivo calcolo di ogni
metalli nei campioni è rappresentato in Figura 3.7.
3.4.6 DETERMINAZIONE DEL PIOMBO VOLATILE
Il piombo volatile viene determinato per differenza tra il piombo totale ed
il piombo nelle ceneri riscontrato nel CDR. Anche quest’ultima
determinazione avviene mediante analisi in ICP-MS previo incenerimento
del campione a 950°C per 7 minuti esatti. Le ceneri così ottenute vengono
sottoposte digestione acida, filtrazione, diluizione ed analisi in ICP-MS
secondo la procedura precedentemente descritta. Per il calcolo del Piombo
volatile vedi Figura 2.7.
3.4.7 DETERMINAZIONE DEL RAME SOLUBILE
Il Rame Solubile viene determinato in ICP-MS dopo lisciviazione con
acqua per 24 h sotto costante agitazione. il campione di laboratorio viene
precedentemente passato al setaccio in quanto la prova di lisciviazione
viene effettuata su materiale con granulometria di almeno il 95% (massa)
minore di 4 mm. Il rapporto tra peso di campione e volume di acqua è di
circa 10 g campione /L di acqua. Dopo lisciviazione il surnatante viene
filtrato, diluito opportunamente con una soluzione acquosa di HNO3
all’1% ed analizzato in ICP-MS. Per il calcolo del Rame solubile vedi
Figura 3.7.
87 di 122
Figura 3.7 - Foglio di calcolo per la determinazione dei metalli nel CDR.
3.5 IL CALCOLO DELL’INCERTEZZA ESTESA ANALITICA
3.5.2 INCERTEZZA ESTESA ANALITICA NELLA DETERMINAZIONE DI
UMIDITÀ E CENERI NEL CDR.
L’incertezza estesa analitica da associare all’umidità totale M è stata
determinata mediante combinazione delle incertezze estese dei parametri
che la compongono, l’umidità all’aria secca A e quella residua R. Le
grandezze di ingresso considerate per il calcolo di quest’ultime sono
descritte in tabella 3.2:
88 di 122
Tabella 3.2 - Esame delle variabili in ingresso per il calcolo dell’incertezza estesa
Grandezza in
ingressoTipo
Distribuzion
eIncertezza
Ripetibilità (n = 10)
A Normale
Pesata B Rettangolare sp =
Incertezza composta relativa ů(y) ů(y) =
Lo scostamento associato alla pesata viene fornito dai certificati di
taratura che periodicamente viene condotta sulla bilancia utilizzata.
Una volta ottenute le incertezze composte relative ů(y)A e ů(y)B, associate
rispettivamente all’umidità A e l’umidità R, si compongono formando
l’incertezza composta relativa da associare all’umidità totale M, ů(y)M.
Moltiplicando questa variabile per il valore di M riscontato si ottiene
l’incertezza composta assoluta u(y)M da cui si ricava applicando:
Il valore dell’incertezza estesa analitica da associare al parametro umidità
totale è risultato, in termini relativi del 6%. Trattandosi di parametri
gravimetrici, per il calcolo dell’incertezza estesa da associare alle ceneri
89 di 122
sono state considerate come variabili di ingresso le stesse discusse per
l’umidità totale. Il valore dell’incertezza estesa analitica misurato da
associare al parametro ceneri è risultato, in termini relativi del 6%.
3.5.3 INCERTEZZA ESTESA ANALITICA NELLA DETERMINAZIONE DEL
PCI NEL CDR
Il valore del PCI rappresenta il calore che si genera a seguito della
combustione senza il contributo dell’idrogeno presente nella matrice,
pertanto andrà considerato anche il contributo dell’idrogeno, al fine di
garantire un corretto valore di incertezza estesa. Le grandezze di ingresso
considerate per il calcolo del PCI sono descritte in tabella 3.3. Il valore
dell’incertezza estesa analitica da associare al parametro PCI è risultato, in
termini relativi del 3,3 %.
Tabella 3.3 - Esame delle variabili in ingresso per il calcolo dell’incertezza estesa
Grandezza in ingresso
Tipo Distribuzione Incertezza
Ripetibilità PCS (n = 6) A Normale
Ripetibilità H(n = 6) A Normale
Pesata B Rettangolare sp =
Incertezza composta relativa ů(y) ů(y) =
3.5.4 INCERTEZZA ESTESA ANALITICA NELLA DETERMINAZIONE DEI
CLORO E ZOLFO NEL CDR
Le grandezze di ingresso considerate per il calcolo del cloro e dello zolfo
sono descritte in tabella 3.4:
90 di 122
Tabella 3.4- Esame delle variabili in ingresso per il calcolo dell’incertezza estesa .
Grandezza in ingresso Tipo Distribuzione Incertezza
Ripetibilità (n = 6) A Normale
Incertezza di taratura A Normale ů(x)tar
Pesata B Rettangolare sp =
Volume B Triangolare sv =
Incertezza composta relativa ů(y) ů(y) =
Tra le variabili di tipo A compare l’incertezza associata alla calibrazione
strumentale del cromatografo ionico; essa rappresenta l’incertezza della
misura che si compie approssimando l’andamento del segnale in funzione
della concentrazione sperimentalmente osservato, con quello ideale. I
valori dell’incertezza estesa analitica da associare al cloro e allo zolfo
sono risultati , in termini relativi, rispettivamente del 12 % e del 6,3 %.
3.5.5 INCERTEZZA ESTESA ANALITICA NELLA DETERMINAZIONE DEI
METALLI NEL CDR
Le grandezze di ingresso considerate per il calcolo di arsenico, cadmio,
cromo, manganese, nichel, piombo e rame sono descritte in tabella 3.5.
Al piombo volatile è stata associata l’incertezza estesa derivate dalla
combinazione dei parametri che la compongono. Visto il contenuto
variabile dei metalli nel CDR per ciascun metallo l’incertezza estesa è
stata calcolata su diversi livelli di concentrazione per ogni metallo
analizzato. Al variare della concentrazione si è osservato, per ciascun
metallo esaminato, un andamento iperbolico dell’incertezza estesa.
Tabella 3.5 - Esame delle variabili in ingresso per il calcolo dell’incertezza estesa
Grandezza in Tipo Distribuzione Incertezza
91 di 122
ingressoRipetibilità
(n = 6) A Normale
Incertezza di taratura A Normale ů(x)tar
Pesata B Rettangolare sp =
Volume B Triangolare sv =
Incertezza composta relativa ů(y) ů(y) =
I valori medi dell’incertezza estesa analitica da associare ai diversi
parametri sono i seguenti:
ARSENICO 21 %CADMIO 4 %CROMO 12 %
MANGANESE 11 %NICHEL 4 %
PIOMBO VOLATILE 20 %RAME SOLUBILE 8 %
3.6 IL CALCOLO DELL’INCERTEZZA ESTESA DI
CAMPIONAMENTO
L’incertezza di misura dovuta al contributo di campionamento ed analisi,
è stata calcolata come ripetibilità, secondo l’approccio empirico: metodo
della “Varianza degli incrementi”. Questo approccio, risulta adatto per
matrici solide e liquide; esso richiede prelievi in duplicato per almeno il
10% dei punti di campionamento, con un minimo di 8, per un totale di 40
dati per parametro. Il protocollo di campionamento seguito in questo
studio prevede quartature giornaliere per la formazione dei cinque
sottolotti settimanali che sono stati identificati come punti di
campionamento. Trovandosi di fronte al problema legato al deficit
derivante dal numero esiguo di punti di campionamento, le analisi di
92 di 122
ciascun parametro sono state condotte in quadruplo, sia su ciascun
campione che su ciascun contro campione settimanale, secondo il criterio
illustrato in figura 3.8, ciò con lo scopo di lavorare su un numero di dati
accettabile.
Figura 3.8 - Criterio adottato per l’applicazione del metodo della Varianza degli
incrementi.
Applicando ai 40 dati ottenuti per ciascun parametro l’algoritmo Anova “
a cascata” (nested) si ottiene l’incertezza di misura. Il foglio di calcolo
utilizzato, con il dettaglio delle operazioni condotte viene riportato in
figura 3.9 .
93 di 122
Figura 3.9 – Schema del foglio di calcolo utilizzato per la determinazione dell’incertezza di
misura
94 di 122
4 RISULATI E DISCUSSIONE
4.1 STUDIO PRELIMINARE
Il campionamento è stato condotto giornalmente a partire da frazioni
rappresentative dell’intera massa presente in impianto di circa 100-200kg.
Tale porzione è stata quotidianamente quartata e macinata a 20 mm fino
all’ottenimento di una frazione di 5 kg rappresentativa della massa
giornaliera. Tale operazione è stata condotta per 5 giorni alla settimana
fino all’ottenimento di un campione e di un contro-campione settimanale
rappresentativi di 5 kg ciascuno che vengono ulteriormente quartati ad
una pezzatura di 10 mm.
Il campionamento secondario riduce ulteriormente la pezzatura fino a 0,5
mm per le analisi di laboratorio e la porzione sottoposta a prova è di circa
1 g.
Lo studio statistico è stato condotto utilizzando analizzando gli esiti
analitici presso un impianto di termovalorizzazione presente nel Lazio.
Nel presente capitolo è, quindi, illustrata l’analisi statistica effettuata sui
risultati analitici relativi ai campioni di laboratorio provenienti da una
campagna di campionamento ed analisi sul CDR che conferisce con
cadenza casuale presso tale impianto.
L’analisi statistica è stata condotta su tutti i parametri obbligatori ottenuti
con l’attività di campionamento di cui sopra ad eccezione del parametro
umidità, poiché la distanza temporale tra campionamento e ricezione dei
contro-campioni è risultata troppo elevata per l’esecuzione di un
parametro così sensibile alle condizioni di stoccaggio.
95 di 122
Prima di descrivere le procedure dell’analisi statistica condotte è bene
ricordare che:
la Norma UNI 9903-1: 2004 stabilisce che “la rispondenza
dell’RDF (CDR) alle specifiche della qualità normale”, definite dal
prospetto 1 della stessa, “deve essere verificata con riferimento al
lotto di produzione” e tale rispondenza “si intende verificata
quando la media delle risultanze analitiche dei campioni costituiti a
partire da ciascuno dei 5 sottolotti settimanali compresi all’interno
di un lotto di produzione rispetta tutti i limiti indicati” nel prospetto
1;
“ La caratterizzazione del lotto di produzione viene effettuata
secondo metodiche di campionamento definite dalla UNI 9903-3”;
essa descrive le procedure per la generazione di un campione CDR
ai fini della caratterizzazione di un lotto di produzione, tuttavia non
prevede il campionamento dei campioni per le controanalisi.
Tutto ciò premesso, considerata la mancanza di linee guida che
definiscano un approccio statistico che aderisca adeguatamente alle
esigenze del caso in questione, si è comunque voluto procedere, mediante
analisi critica dei risultati analitici ottenuti dai campioni e dai contro
campioni secondo i metodi descritti nella parte sperimentale per valutare i
relativi risultati.
In tabella 4.1 vengono illustrati il dettaglio delle risultanze settimanali e le
medie con relative incertezze estese analitiche calcolate secondo la GUM5
dei dati analitici raccolti durante la campagna di campionamento.
96 di 122
Tabella 4.1 - Risultati analitici della campagna di campionamento oggetto di studio (campioni + contro campioni).
Parametri ISett
IISett
IIISett
IVSett
VSett.
Media 5 Sett.
Incertezzaestesa dimisura
Unità di misura
Decreto 05/02/1998
All. 2 Suball. 1 P.to 1 e
s.m.i.
P.C.I. 16 459 16 689 16 744 17 051 16 927 16 774 551 Kj/kg > 15 000
Umidità 20,4 24,7 24,4 23,3 22,6 23,1 1,4 % 25
Cloro 0,69 0,81 1,33 0,83 0,78 0,89 0,11 % 0,9
Zolfo 0,16 0,15 0,16 0,15 0,18 0,16 0,01 % 0,6
Ceneri 10,2 15,5 14,5 13,4 13,1 13,3 0,9 %SS 20
Piombo (volatile) 147 106 106 246 95 140 28 mg/kg SS 200
Cromo 125 47 102 74 94 88 11 mg/kg SS 100
Manganese 106 113 87 178 87 114 12 mg/kg SS 400
Arsenico 5,4 3,6 2,5 2,5 2,6 3,3 0,7 mg/kg SS 9
Rame (solubile) 28 38 23 18 21 26 2 mg/kg SS 300
Nichel 104 23 29 51 24 46 2 mg/kg SS 40
Cadmio + Mercurio 2,8 0,7 1,7 1,8 1,9 1,8 0,5 mg/kg SS 7
97 di 122
Le incertezze estese riportate in tabella 4.1 sono quelle ottenute in fase di
convalida di ciascun metodo analitico e precedentemente riportate.
La componente legata alla ripetibilità per ciascuna di esse è stata stimata
sullo stesso campione analizzato 6 volte (n=6).
Per valutare se un parametro settimanale sia aberrante, e vada quindi
scartato, o debba essere incluso nel calcolo della media, si può eseguire il
test di Huber, previa verifica della normalità della distribuzione mediante
test di Shapiro-Wilks. Tuttavia, i risultati da confrontare devono
provenire da un medesimo campione, o da campioni analoghi: in caso
contrario, soprattutto negli studi ambientali, concentrazioni molto alte o
molto basse di contaminante possono indicare la presenza di aree
contaminate o incontaminate, quindi non possono essere scartati
arbitrariamente.
Assumendo campione e controcampione corrispondente come
rappresentativi di un unico lotto (5 settimane); potremmo esprimere il
dato mensile, per ogni parametro esaminato, come la media di tutte le
repliche condotte su campione e controcampione nell’arco dell’intera
campagna.
L’umidità totale viene espressa come media di tutte le repliche delle
umidità misurate sui campioni giornaliere. L’incertezza estesa è stata
calcolata sperimentalmente considerando tutte le repliche (n = 50)
ottenute durante tale periodo di osservazione.
Piccole discordanze tra il valore medio di ogni parametro mediato tra
medie mensili e media totale di tutte le repliche è dovuto alla natura delle
approssimazioni condotte. Si precisa che i singoli esiti che forniscono
valori inferiori al limite di rilevabilità (LOD), vengono trattati
statisticamente come LOD/2.
98 di 122
La tabella 4.2 descrive gli esiti ottenuti da questo studio prima e dopo
l’applicazione dei test di Shapiro-Willks per la verifica della normalità
della distribuzione e di Huber per evidenziare eventuali dati anomali.
Tabella 4.2 - Elaborazione dati condotta mediante applicazione dei test statistici.
Parametro
Senza esclusione di dati anomali
Dopo esclusione di dati anomali Unità di
misura
Test Shapiro- Willks
verifica della normalità
Test di Huber (dati anomali)
Valore limiteValore
medioIncertezza
estesaValore medio
Incertezza estesa
P.C.I. 16772 335 16 729 105 kJ/kg Si Sì > 15 000
Umidità Totale 22,8 0,9 % No non applicabile < 25
Cloro 0,88 0,08 0,82 0,06 % Sì Sì < 0,9
Zolfo 0,159 0,005 % Sì No < 0,6
Ceneri 14,4 0,4 %SS Sì No < 20
Piombo (volatile) 138 27 mg/kg
SSNo non applicabile < 200
Cromo 88 17 mg/kg SS
No non applicabile < 100
Manganese 114 17 mg/kg SS
Sì No < 400
Arsenico 5,1 1,4 mg/kg SS
No non applicabile < 9
Rame (solubile) 26 3 mg/kg
SSSì No < 300
Nichel 46 7 mg/kg SS
No non applicabile < 40
Cadmio + Mercurio 1,6 1,1 mg/kg
SSNo non applicabile < 7
La componente della ripetibilità nel calcolo dell’incertezza estesa è
inversamente proporzionale al numero di repliche, tuttavia è direttamente
proporzionale alla variabilità dei singoli dati, pertanto nelle incertezze
estese così calcolate giocano due influenze contrastanti: una tende a
ridurre il valore dell’incertezza estesa calcolata in fase di convalida poiché
si avvale di un numero di repliche maggiore, mentre l’altra tende ad
incrementarlo avvalendosi di dati che non sono appartenenti allo stesso
99 di 122
campione settimanale bensì a 5 campioni e 5 contro-campioni campionati
nell’arco di 5 settimane.
Un primo confronto tra le due stime (tab. 4.3) può fornire una prima
analisi in merito alla distribuzione di ogni parametro nella matrice.
L'incertezza estesa calcolata sui dati sperimentali così elaborati rimane
sostanzialmente invariata (riducendosi in alcuni casi) per i parametri PCI,
umidità totale, cloro, zolfo, ceneri evidenziando per gli stessi una
distribuzione nella matrice più stabile rispetto agli altri parametri, come si
evince dal test di Shapiro-Wilks che ha mostrato per gli stessi una
distribuzione normale.
Tabella 4.3 - Confronto le due modalità di calcolo dell’incertezza estesa.
ParametroIncertezza estesa %
Stimata in fase di convalidaSullo stesso campione (n=6)
Stimata su tutte le repliche come fosse lo stesso campione mensile (n=25)
P.C.I. 3,3 2
Umidità Totale 6 4
Cloro 12 9
Zolfo 6 3
Ceneri 6 3
Piombo (volatile) 20 19
Cromo 6 19
Manganese 11 15
Arsenico 21 42
Rame (solubile) 8 12
Nichel 4 15
Cadmio + Mercurio 28 60
Per gli altri parametri dal confronto puntuale dei risultati espressi nella
tabelle 4.1 si evidenzia quanto segue:
100 di 122
elevata variabilità da una settimana all’altra per i parametri
caratterizzati da ridotti livelli di concentrazioni (Cr, Cu, As) che
forniscono incertezze estese maggiori;
per parametri caratterizzati da maggiori livelli di concentrazione, al
contrario, l’incertezza estesa si riduce notevolmente, questo è il
caso del manganese le cui determinazioni mostrato una
distribuzione normale ed un’assenza di dati anomali.
Quanto sopra riscontrato non viene confermato nel caso di:
piombo volatile: in quanto determinato dalla differenza di piombo
totale e piombo nelle ceneri e, quindi, risente della somma del
contributo delle singole incertezze;
somma di cadmio e mercurio: si riscontra un incremento
dell’incertezza estesa dovuto, oltre che alla combinazione delle due
incertezze estese, anche alla minima quantità di mercurio
riscontrata, spesso al di sotto di limiti di rilevabilità per la quale
fallisce il test di Shapiro-Willks.
Da questa prima analisi a scopo preliminare si è passati alla stima
dell’incertezza di campionamento di misura, intesa come somma del
contributo analitico e di campionamento. Essa è stata valutata, per ciascun
parametro, mediante lo studio delle varianze dei dati ottenuti in
quadruplicato su campione e contro-campione nell’arco delle 5 settimane.
Essa consente di verificare la rappresentatività di ciascun dato analitico
coperto da valore limite in relazione alla matrice in origine.
Nello studio che segue verranno esaminati prima i parametri che hanno
mostrato una distribuzione normale, a partire quelli da che caratterizzano
la materia prima, rappresentata da rifiuti solidi urbani, e quelli che hanno
non si distribuiscono normalmente.
4.2 I PARAMETRI CHE CARATTERIZZANO LA MATERIA
PRIMA
101 di 122
Come accennato in precedenza il 50% del rifiuto indifferenziato che
conferisce in ingresso all’impianto di produzione è rappresentato dalla
frazione leggera (carta, plastica e legno). Tale frazione si ritrova nel
sopravaglio (costituito da carta, plastiche e materiali tessili) che
rappresenta la materia prima per la formazione del CDR. Esso si ottiene
attraverso processi che eliminano i materiali non combustibili e la
frazione umida; viene consentito l’utilizzo di plastiche non clorurate
(PET), imballaggi multimateriali (carta-alluminio), gomme, resine e fibre
sintetiche non contenenti cloro, non oltre il 50%. Le caratteristiche della
materia prima da cui proviene ed i processi che lo generano fanno
presumere che ne caratterizzino fortemente il contenuto di ceneri, potere
calorifico, cloro e zolfo.
I dati riportati nelle figure 4.1-4 mostrano come la dispersione di dei
valori legati al PCI, zolfo e ceneri a seguito del campionamento sia molto
ridotta. I dati associati a tali parametri hanno mostrato una distribuzione
normale secondo test di Shapiro-Willks, eventuali dati anomali sono stati
evidenziati in rosso nelle figure 4.1-4. Le incertezze delle quali risentono
dei parametri PCI, zolfo e ceneri a seguito della fase di campionamento
sono, rispettivamente, del 1%, del 7,5% e del 15%. Ciò indica come le
fasi di campionamento, nonostante l’elevato fattore di riduzione tra massa
in origine e massa di campione realmente analizzata (Tab. 2.1),
conducano ad un campione di analisi rappresentativo della matrice di
partenza e, quindi all’espressione di un dato che rappresenta una misura
d’insieme. Tale omogeneità è attribuibile più che alla composizione
merceologica del rifiuto in origine alla sua composizione elementare
media (contenuto in C, H, N, S, O, Cl e ceneri). La composizione
merceologica del rifiuto in origine varia in base alla zona di raccolta, alla
tipologia di raccolta, al tipo di pretrattamenti che il RSU, tuttavia il
contenuto medio di zolfo riscontrato nei diversi materiali che
102 di 122
compongono il rifiuto in ingresso varia dal 0,15% al 0,40%, e le ceneri
dal 3% al 13%.
Il Potere calorifico che un corpo possiede è dovuto al contenuto di questi
elementi che producono calore a seguito della combustione; tra parametri
esaminati è infatti quello che ha mostrato una distribuzione più uniforme.
Tabella 4.4 – Composizione merceologica dei principali costituenti del rifiuto urbano.
ElementoC H N S O Cl Ceneri
% sul secco
Legno 49,9 5,9 0,25 0,13 41,3 0,12 3,3
Carta 43,9 6,0 0,25 0,38 41,1 0,28 8,1
Plastica 66,4 9,2 1,05 0,35 9,4 3,5 10,1
Tessili 49,5 6,6 4,1 0,3 36,5 0,3 2,7
Organico 44,7 6,5 2,7 0,25 32,0 1,0 12,7
Al fine di verificare tale corrispondenza è stato svolto un campionamento
per la determinazione della composizione merceologica del rifiuto in
ingresso ed i dati ottenuti sono stati confrontati con la composizione
merceologica dei principali costituenti del rifiuto solido urbano.
Infatti, come accennato nel paragrafo 3.1.1 parallelamente al
campionamento destinato alle considerazioni analitiche è stato raccolto un
campione settimanale rappresentativo durante le 5 settimane di
campionamento.
Tale attività è stata svolta in conformità a quanto indicato nella norma
IRSA CNR Norma CII-UNI 9246 che descrive il campionamento e
l’analisi merceologica dei RSU.
103 di 122
L’analisi consiste in una vagliatura a pezzatura 20 mm (sottovaglio) ed
una cernita delle diverse classi merceologiche di cui è composta la
frazione del sopravaglio del rifiuto.
Sulla base della caratterizzazione merceologica sono stati paragonati i dati
teorici dell’analisi elementare del CDR esaminato con quelli sperimentali.
Dai dati riportati in tabella 4.5 emerge come il dato teorico e quello
sperimentale siano assolutamente confrontabili e fornendo scarti
contenuti.
TABELLA 4.5 – COMPOSIZIONE MERCEOLOGICA DELLE 5 SETTIMANE DI CAMPIONAMENTO.
Analisi Merceologica
Materiale Media 5 Sett.
Sottovaglio < 20 mm 2,1
Sopravaglio < 20 mmMedia 5 Sett. C H N S O Cl Ceneri PCI
% sul secco KJ/Kg
Materie Organiche 15,1 6,7 1,0 0,4 0,0 4,8 0,150 1,9 2155
Materie Cellulosiche 16,1 7,1 1,0 0,0 0,1 6,6 0,045 1,3 1997
Materie Plastiche 24,9 16,6 2,3 0,3 0,1 2,4 0,875 2,5 7476
Vetro 7,0 --- --- --- --- --- --- 7,0 ---
Inerti < 0,5 --- --- --- --- --- --- ---- ---
Materie Metalliche 0,8 --- --- --- --- --- --- 0,8 ---
Tessili e Pellame 9,3 4,6 0,6 0,4 0,03 3,4 0,028 0,3 1219
Legno 24,8 12,5 1,48 0,06 0,03 10,3 0,030 0,83 3883
RUP(Rifiuto Urbano Pericoloso) < 0,5 --- --- --- --- --- --- --- ---
Dati Teorici (ss) 47,45 6,33 1,15 0,25 27,5 1,13 14,61 19021
Dati Teorici (TQ) Umidità 22,8 % p/p 36,63 4,89 0,89 0,19 21,2 0,87 11,28 14684
Dati sperimentali (TQ) --- --- --- 0,16 ---- 0,82 14,40 16729
Scarto dal valore medio (%) --- --- --- 18,0 ---- 6,0 24,3 13,0
104 di 122
Figura 4.1 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza degli incrementi calcolata secondo i dati di PCI.
Figura 4.2 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza degli incrementi calcolata secondo i dati dello zolfo.
105 di 122
Figura 4.3 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza degli incrementi calcolata secondo i dati delle ceneri.
Rispetto a quest’ultimi, il cloro, con un’incertezza estesa di
campionamento pari al 29%, ha mostrato una dispersione maggiore. Le
cause vanno ricercate sia nell’analisi elementare della materia prima, sia
nell’efficienza di impoverimento da plastiche clorurate, che differisce in
base all’impianto, che avviene in fase di deselezione durante il processo di
produzione del CDR.
Il test delle varianze per calcolo dell’incertezza estesa di campionamento,
è stato applicato sui dati provenienti dal contenuto di ceneri di una
precedente campagna svolta presso un impianto diverso da quello trattato
in questo studio.
Come si può notare in figura 4.5 l’incertezza estesa di campionamento
misurata in questo secondo caso ha condotto ad un esito comparabile
(13,6%) con quanto ottenuto in precedenza (14,7%).
106 di 122
Figura 4.4 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza degli incrementi calcolata secondo i dati del cloro.
Figura 4.5 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza degli incrementi calcolata secondo i dati delle ceneri contenute sul CDR di un impianto differente.
107 di 122
4.3 ALTRI PARAMETRI CHE HANNO MOSTRATO UNA
DISTRIBUZIONE NORMALE
Secondo l’analisi preliminare dei dati svolta in precedenza anche i dati di
manganese e rame solubile hanno fornito una distribuzione normale in cui
l’ampiezza delle gaussiane si è mostrata più ristretta nel caso del
manganese. Come accennato in precedenza, solo il 3% del rifiuto
indifferenziato in ingresso è caratterizzato da materiali metallici (ferrosi e
non) rappresentati per lo più da ferro e alluminio. La successiva fase di
eliminazione mediante elettromagneti contribuisce significativamente ad
una distribuzione casuale e disomogenea dei restanti metalli pesanti di cui
già la matrice di partenza ne è povera se non priva, che ne determina una
dispersione nel prodotto finito altrettanto disomogenea. Pertanto, è
presumibile che la dispersione di tali analiti si rilevi elevata e, malgrado
gli scrupoli adottati in fase di campionamento, il campione di analisi
potrebbe non essere rappresentativo di quel metallo nella matrice di
partenza. Come si evince dalle figure 4.6 e 4.7 l’applicazione del test della
varianza degli incrementi ai dati di questi parametri ha fornito incertezze a
seguito del fase di campionamento del 37% nel caso del rame e del 12%
nel caso del manganese. In particolare per il manganese si è osservata
un’incertezza di campionamento minore dell’incertezza analitica.
La natura merceologica della materia prima in questo caso non offre
spunti sufficienti a formulare alcuna ipotesi che giustifichi la distribuzione
omogenea osservata per il manganese; così come i diversi processi di
impoverimento da metalli pesanti a cui il rifiuto viene sottoposto prima di
generare CDR. Il comportamento anomalo di questo metallo rispetto agli
altri esaminati sembrerebbe dipendere e l’elevato livello riscontrato nella
matrice che denuncia l’ubiquitarietà dello stesso. Il manganese è, infatti, il
12° elemento più abbondante sulla Terra e viene largamente impiegato
come alligante nell’industria dell’acciaio, nell’edilizia per la formazione
108 di 122
di mattoni e nell’industria elettrochimica per la formazione delle pile a
secco. È ragionevole pensare che nel processo di inertizzazione
magnetica, solo parte del manganese presente nel rifiuto trattato venga
rimossa e la restante si distribuisca nella matrice.
Figura 4.6 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza degli incrementi calcolata secondo i dati del manganese.
Figura 4.7 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza degli incrementi calcolata secondo i dati del rame.
109 di 122
4.4 PARAMETRI CHE NON HANNO MOSTRATO UNA
DISTRIBUZIONE NORMALE
I dati provenienti da nichel, piombo volatile, cromo, arsenico, cadmio e
mercurio hanno fornito distribuzioni non normali. Il test delle varianze ha
condotto a risultati espressi nelle figure 4.8-12.
Come ipotizzato durante lo studio preliminare si nota come la dispersione
dei dati associati a questi parametri conduca ad incertezze di
campionamento più o meno elevate anche in relazione al loro contenuto
medio riscontrato nel lotto. Per l’arsenico, il cadmio ed il mercurio che
hanno mostrato un ridotto contenuto medio mensile (rispettivamente 5,
1,2 e 0,5 ppm) si sono osservate incertezze di campionamento molto
elevate, rispettivamente, pari al 90% , al 81% e al 231%. Una dispersione
così elevata per il mercurio è attribuibile all’assenza di questo nei diversi
incrementi esaminati. Da un primo esame dei dati espressi nelle figure
4.9, 4.11 e 4.12, rispettivamente per piombo, arsenico e cadmio, si osserva
come repliche in sede allo stesso campione risultino assolutamente
confrontabili tra loro, ma molto differenti al rispettivo contro campione.
Considerando che il campione ed il contro campione settimanali vengono
campionati nello stesso momento pertanto una discrepanza così elevata
suggerisce una distribuzione altamente disomogenea che pregiudica la
rappresentatività del campionamento del CDR per l’analisi di questi
parametri. Un’incertezza di campionamento così elevata per il mercurio,
offre interessanti spunti di riflessione in merito alla classificazione del
CSS secondo UNI CEN/TS 15359 che, come discusso in precedenza,
vedrà il mercurio uno dei 3 parametri (insieme a PCI e Cloro) con i quali
verrà classificato il combustibile. Viene da chiedersi, alla luce di quanto
acquisito sperimentalmente n questo studio, quanto questo parametro sarà
rappresentativo della qualità in termini ambientali del CSS.
110 di 122
Figura 4.8 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza
degli incrementi calcolata secondo i dati di nichel.
Figura 4.9 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza
degli incrementi calcolata secondo i dati di piombo volatile.
111 di 122
Figura 4.10 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza
degli incrementi calcolata secondo i dati di cromo.
Figura 4.11 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza
degli incrementi calcolata secondo i dati di arsenico.
112 di 122
Figura 4.12 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza
degli incrementi calcolata secondo i dati di cadmio.
Figura 4.12 – Calcolo dell’incertezza estesa di misura secondo metodo della varianza
degli incrementi calcolata secondo i dati di mercurio.
113 di 122
4.5 CONSIDERAZIONI FINALI
La tabella 4.6 riassume gli esiti di questo studio esprimendo in ordine
crescente le incertezze di misura (somma dei contributi analitico e di
campionamento) valutate per ogni parametro.
Il confronto tra le incertezze estese analitiche, espresse in termini
percentuali, calcolate secondo approccio metrologico per ogni parametro
su tutte le repliche ottenute (n=25) e quelle estrapolate mediante test delle
varianze, mostra un buon accordo tra i due differenti approcci, nonostante
il test delle varianze non tenga conto dei contributi affidati a fonti di
incertezza quali la pesata, il volume, la temperatura.
Secondo il prospetto 1 della UNI 9903-1 la conformità del lotto deve
essere attribuita mediante il confronto del solo dato medio sperimentale
ottenuto per ogni parametro.Tabella 4.6 - Riassunto dei dati ottenuti.
Parametro
Incertezza estesa – analitica % Incertezza estesa – campionamento %
Incertezza estesa di misura
analitica + campionamento %
Stimata su tutte le repliche come fosse lo stesso campione
mensile (n=25)Estrapolata secondo test delle varianze
P.C.I. 2 2 1 2
Zolfo 3 5 8 9
Ceneri 3 1 15 15
Cloro 9 12 29 31
Nichel 15 14 25 28
Rame(solubile) 12 8 37 38
Manganese 15 37 12 39
Cromo 19 20 67 70
Piombo(volatile) 19 15 82 83
Arsenico 42 42 90 99
Cadmio + Mercurio 60 51 231 236
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Le analisi di conformità di un prodotto con i valori di legge andrebbero
valutate non senza un’attenta osservazione dell’incertezza estesa di
misura39. L’incertezza di misura associata al risultato analitico fornisce uno
strumento per la valutazione di conformità, nei casi in cui la norma di
riferimento non dà indicazioni sulle regole decisionali da adottare. Infatti,
invece di confrontare direttamente la migliore stima del valore vero
(rappresentato dal dato medio di n misure) con il valore limite stabilito
dalla normativa, sarebbe opinabile, effettuare la valutazione di conformità
confrontando il valore limite con l’intervallo costituito dall’incertezza
associata al dato medio, secondo l’approccio condotto dalle Agenzie
Ambientali. L’incertezza estesa in questione tiene conto dei contributi di
analisi e campionamento39.
Figura 4.13 – Differenti casi che possono emergere dal confronto tra valore limite e
l’intervallo costituito dall’incertezza associata al dato medio .
Da tale confronto possono emergere 4 differenti casi (Fig. 4.13) che,
secondo dicitura suggerita dalle linee Guida Ispra39, si possono riassumere
in:39 Ispra”Manuali e Linee Guida- L’analisi di conformità con i valori di legge: il ruolo
dell’incertezza associata a risultati di misura – 52/2009”
115 di 122
• Caso 1: Piena conformità;
• Caso 2: NON piena conformità – NON non conforme;
• Caso 3: NON piena non conformità – NON non conforme;
• Caso 4: Piena non conformità – Non Conforme;
Tale approccio è applicabile alle analisi che presentano distribuzioni dei
valori attribuibili al misurando di tipo normale.
I dati in tabella 4.7 mostrano gli esiti analitici corredati dell’incertezza
estesa di misura.
Tabella 4.7 – Dato medio ed incertezza di misura.
Parametro Valore medioIncertezza estesa di misura
Valore min
Valore max
Valore limite
Unità di misura Giudizio
P.C.I. 16772 335 16437 17107 > 15000 kJ/kg Conforme
Cloro 0,88 0,27 0,61 1,15 < 0,9 % Non non conforme
Zolfo 0,159 0,014 0,145 0,173 < 0,6 % Conforme
Ceneri 14,4 2,2 12,2 16,6 < 20 %ss
Conforme
Piombo (volatile) 138 115 23 253 < 200 mg/kg ss Non non
conforme
Cromo 88 62 26 150 < 100 mg/kg ss Non non conforme
Manganese 114 44 70 158 < 400 mg/kg ss Conforme
Arsenico 5,1 5,0 0,1 10,1 < 9 mg/kg ss Non non conforme
Rame (solubile) 26 10 16 36 < 300 mg/kg ss Conforme
Nichel 46 13 33 59 < 40 mg/kg ss Non non conforme
Cadmio + Mercurio 1,6 3,8 - 2,2 5,4 < 7 mg/kg ss Conforme
Nel CDR esaminato alcuni parametri, quali PCI, zolfo, ceneri, manganese,
rame e la somma di cadmio e mercurio, mantengono la loro piena
conformità, ossia se ad essi viene sommata o sottratta l’incertezza di
misura, essi si mantengono conformi rispetto al valore limite. Tuttavia è
da notare come l’incertezza di misura associata alla somma di cadmio e
mercurio risulti superiore al valore stimato di oltre il doppio.
116 di 122
Al contrario non solo parametri, il cui valore medio è risultato di poco
inferiore al valore limite, quali cloro e cromo, ma anche parametri il cui
valore medio è risultato essere circa la metà del valore limite, quali
piombo e arsenico, dall’applicazione di un’incertezza così elevata non
godono più della piena conformità. Il nichel, che paradossalmente ha
mostrato un valore superiore al limite di legge, diventa NON pienamente
non conforme.
5. CONCLUSIONILo studio ha avuto lo scopo di verificare la rappresentatività del
campionamento del CDR secondo tutti i parametri obbligatoriamente
previsti per la sua classificazione, avvenuta secondo quanto suggerito
dalla norma UNI 9903-1:2004. A tale scopo ci siamo avvalsi dei dati reali
provenienti da una campagna di campionamento e caratterizzazione
svoltasi presso un impianto di termovalorizzazione presente nel Lazio.
La procedura di campionamento seguita, il cui schema è illustrato in Fig.
3.1, rispecchia quanto suggerito dalla scrupolosa norma UNI 9903-3,
allora in vigore, ritirata e sostituita con le UNI EN 15442:2011, UNI EN
15443:2011 e UNI EN 15413:2011 in data 06 ottobre 2011. Queste ultime
descrivono una procedura molto simile a quella seguita individuando un
numero minimo di incrementi da prelevare per lotto pari a 24 anziché 900
come quelli prelevati per questo studio. Ciò dimostra la piena
conservabilità del campionamento adottato rispetto alla procedura
suggerita dalle nuove norme.
Si definisce eterogeneità il grado in cui una caratteristica è più o meno
uniformemente distribuita nell’intera massa di un materiale; in tal senso
un materiale può essere omogeneo rispetto ad una caratteristica ed
eterogeneo rispetto ad un’altra; il grado di eterogeneità è il fattore
determinante nell’errore associato al campionamento. Considerando ogni
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classe di valori associati a ciascun parametro come proveniente da un solo
campione medio mensile, sui dati ottenuti è stato possibile condurre uno
studio statistico preliminare volto a verificare la distribuzione di ciascuno
di essi, secondo test di Shapiro-Willks, e l’eventuale presenza di dati
anomali nelle classi che hanno mostrato distribuzioni uniformi, secondo
test di Huber. L’esito di tale studio (Tab. 4.2) ha evidenziato distribuzioni
normali per parametri quali potere calorifico, ceneri, zolfo e cloro, nonché
rame e manganese e, tra questi, la presenza di dati anomali per potere
calorifico e cloro. Ciò indica come le fasi di campionamento, nonostante
l’elevato fattore di riduzione tra massa in origine e massa di campione
realmente analizzata (Tab. 2.1), conducano ad un campione di analisi
rappresentativo della matrice di partenza e, quindi all’espressione di un
dato che rappresenta una misura d’insieme. Tale omogeneità è attribuibile
più che alla composizione merceologica del rifiuto in origine alla sua
composizione elementare media (contenuto in C, H, N, S, O, Cl e ceneri).
Le caratteristiche della materia prima da cui proviene il CDR ed i processi
che lo generano fanno presumere che ne caratterizzino fortemente il
contenuto di ceneri, potere calorifico, cloro e zolfo. Tale assunzione è
stata confermata attraverso un confronto tra i dati teorici dell’analisi
elementare del CDR esaminato con quelli sperimentali (Tab. 4.5).
Lo studio successivo, legato allo studio del’incertezza estesa di misura
comprensiva del contributo dovuto al campionamento mediante test delle
varianze, ha confermato ulteriormente quanto dichiarato in precedenza
fornendo incertezze di campionamento ridotte per potere calorifico, zolfo,
ceneri e cloro. Da tale studio sono emerse alcune crucialità per le classi di
valori associati ai parametri che non hanno evidenziato distribuzioni
normali nella matrice, come i metalli, per le quali la procedura di
campionamento adottata sembra non condurre a risultati attendibili in
merito alla conformità o meno del CDR. Le cause di ciò sono ascrivibili a
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diversi fattori tra i quali il ridotto contenuto di alcuni elementi riscontrati
nei campioni e alla eterogeneità con cui essi sono dispersi nella matrice. Il
caso limite è rappresentato dalla somma del contenuto di cadmio e
mercurio che ha fornito un incertezza estesa pari ad oltre il doppio del
valore misurato.
Da questo studio emerge l’importanza del contributo all’incertezza
associato al campionamento oltre che quello legato alla misura. La
probabilità di analizzare campioni non rappresentativi è molto concreta e
altrettanto elevato è il rischio di non evidenziare situazioni di non
conformità o al contrario creare allarmismi ingiustificati. Nel passaggio da
CDR a CSS sembra non si sia tenuto conto di tali crucialità sotto diversi
aspetti:
il monitoraggio, che ad oggi viene svolto ogni 6-12 mesi, dovrà
essere condotto in continuo, a seguito di un campionamento che
prevede solo 24 incrementi minimi per ogni lotto;
il mercurio, che è stato dimostrato essere altamente variabile, è
stato scelto come parametro di rilevanza ambientale per la
classificazione del CSS;
non vi sono cenni al contributo del campionamento sull’incertezza
di misura.
Le analisi di conformità di un prodotto con i valori di legge andrebbero
valutate non senza un’attenta osservazione dell’incertezza estesa di
misura. Il certificato di analisi che i laboratori rilasciano ai produttori o ai
termovalorizzatori, e dai quali si traggono informazioni in merito alla
conformità del lotto di CDR, riporta il solo contributo dell’incertezza
estesa analitica stimata per quel parametro, entro un dato intervallo di
concentrazione, in fase di convalida del metodo. Non viene pertanto
considerato, né dal laboratorio, né tantomeno dal cliente che riceve il
certificato sul quale viene espresso l’esito della campagna, il contributo
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affidato al campionamento. Le cause di tale omissione possono avere
diverse origini, spesso influisce la mancanza di sensibilità nei confronti di
una fonte di incertezza così importante, ma principalmente subentrano
questioni diplomatiche di mercato. Spesso le normative a riguardo che
non sono sufficientemente chiare non vengono definite e enunciate in
associazione al valore limite all’interno di norme o capitolati contrattuali.
120 di 122
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