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Date post: 26-Dec-2019
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«Fratello... nessuno qui ti domanderà chi sei, né perché hai bisogno, né quali sono le tue opinioni» VUOI PARLARE CON NOI? CHIAMA IL NUMERO 02 58310493 [email protected] PANE QUOTIDIANO PERIODICO QUADRIMESTRALE - ANNO XXVII N. 91 DICEMBRE 2018 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE A MILANO C.M.P ROSERIO PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE PREVIO PAGAMENTO RESI Pane Quotidiano
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«Fratello... nessuno qui ti domanderà chi sei, né perché hai bisogno,né quali sono le tue opinioni»

VUOI PARLARE CON NOI?CHIAMA IL NUMERO 02 [email protected]

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PaneQuotidiano

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Il nostro showroom da 2000 mq. è aperto per Voi !!

Tutti i giorni fino alle ore 19.00

Il Sabato fino alle ore 18.00

Il Giovedì apertura fino alle ore 21:00

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ANNO XXVII N. 91 Dicembre 2018

Reg. del Trib. di Milano n. 592 del 01/10/90Pubblicazione OmaggioPoste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento PostaleD.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MINumero iscrizione ROC: 31829 del 18/07/18

Direzione, Redazione, Pubblicità e Relazioni StampaViale Toscana, 28 • 20136 MilanoTelefono 02-58310493 • Fax [email protected]

Direttore ResponsabilePier Maria Ferrario

Segretario di RedazioneUmberto Accomanno

RedazioneGerardo Ambrosiano, Marcello Paparazzo, Carmine Speziato

Collaboratori:Claudio Anselmi, Renzo Bracco, Guido Buffo, Angelo Casati, Daniele Cicolari, Fabrizio Gonni, Vittoria Colpi, Petronio De Magistris, Ottavio Ferrario, Pier Maria Ferrario, Luca Formenti, Isabella Groppali, Alessandro Guerriero,Silvio A. Ippoliti, Francesco Licchiello, L’Innominato, Tommaso Ruggero Pedesini, Alessandro Raimondi, Angelo Rho,Luigi Rossi, Anna Savoini, Bruno Sebastiani, Rodolfo Signifredi,Raffaella Zandonella, Alessandra Zucchi

Grafica e stampa:GiCom sncVia G. Di Vittorio, 9 - 15076 Ovada (AL)Tel. 0143 86319 - www.gicomitalia.com

Copertina:Foto: Andrea Boyer

Questo numero della rivista “Che vi do!” (Dicembre 2018)è stato stampato in 11.000 copie.

PaneQuotidiano

“CHE VI DO!” PERIODICO QUADRIMESTRALE DI “PANE QUOTIDIANO ONLUS” (1898)

Gentile lettore/lettrice, la informiamo che i Suoi dati sono inseriti in un database gestitodall’editore. Siamo tenuti a informarLa che il trattamento dei dati che La riguardanoviene svolto a mezzo di supporti informatici nel rispetto di quanto previsto dal decretoLegislativo 30-6-2003 N° 196 (pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 29-7-2003 N° 74)Codice in materia di protezione dei dati personali.In qualsiasi momento, Lei potrà richiedere la modifica o la cancellazione dei dati,scrivendo all’editore. Potrà ugualmente rivolgersi allo stesso indirizzo qualora Lei nondesiderasse ricevere Che vi do.

Gli autori si assumono la piena responsabilità degli articoli firmati. La rivista, salvodiversi accordi firmati tra le parti, diventa proprietaria delle foto, dei disegni e degliscritti pubblicati che non verranno restituiti; questi non possono essere pubblicati senzaautorizzazione. La riproduzione, anche parziale, se autorizzata deve comunque citarela fonte. Eventuali collaborazioni danno diritto, salvo accordi particolari, solo a trecopie giustificative dei lavori pubblicati.

Buoni come il panea cura di Alessandro Guerriero e Alessandra Zucchi2PARLIAMO DI NOI

Gioachino Rossini a 150 anni dalla mortedi Alessandro Raimondi28MUSICA

L’Arca dell’Alleanzadi Daniele Cicolari 19Il cammino del progresso e i suoi oppositoridi Bruno Sebastiani20Carlo Patrian e il suo Istituto Yogadi Rodolfo Signifredi22

CULTO & CULTURE

Gastonedi Gerardo Ambrosiano14GRANDE SCHERMO

Controcorrentea cura de L’Innominato32BUONUMORE

SOMMARIO

L’Eremo di Sant’Alberto di Butrio e il misterocustoditodi Isabella Groppali

4La Jugoslavia... bruciadi Claudio Anselmi7

STORIA

Marocco e il sorianodi Ottavio Ferrario10La faccia nascosta della lunadi Renzo Bracco12

SOCIETÀ

1920-1945: l’arte italiana tra le due guerredi Vittoria Colpi15Dalla materia allo spazio cosmicodi Angelo Rho17

ARTE

Malta 2018: La Valletta capitale Europea della cultura di Silvio A. Ippoliti

24TERRITORI

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La Triennale di Milano, inoccasione dei 120 anni del-l’associazione Pane Quoti-

diano Onlus, presenta la mostraBuoni come il Pane: una multiformeinterpretazione del pane da partedi importanti designer, artisti, chef,scrittori e di un famoso fotografo.

Il pane è interpretato comeemblema della socialità, elementodi grande valore simbolico cheesprime tradizione, arte, manuali-tà, condivisione e spirito di comu-nione.

Venti artisti e designer italiani difama internazionale e dieci famosichef hanno ideato trenta nuovi, ina-spettati, pani. In mostra sarannoesposte sia le versioni ceramiche,rese possibili grazie al sostegno diBosa Ceramiche, sia le loro versioniedibili realizzate dal Panificio Gra-zioli, Legnano. Dieci scrittori hannodonato un breve testo sul pane eOliviero Toscani ne ha propostouna immagine emblematica.

Durante la charity gala dinner il4 dicembre, le sculture, autografatedagli autori, verranno assegnatecon una lotteria a chi avrà acquista-to i relativi biglietti numerati, invendita da settembre.

Il ricavato andrà interamente afavore di Pane Quotidiano Onlus,l’associazione milanese che assicu-ra ogni giorno, gratuitamente, ciboalle fasce più povere della popola-zione, distribuendo generi alimen-tari e beni di conforto.

L’allestimento della mostra saràrealizzato grazie al supporto diAcelorMittal CLN e Scaffsystem.

Artisti e designerAndrea Branzi, Letizia Cariello,Matteo Cibic, Enzo Cucchi, Miche-le De Lucchi, Lucio del Pezzo,Nathalie Du Pasquier, Stefano Gio-vannoni, Matteo Guarnaccia, Ales-sandro Guerriero, Giulio Iacchetti,Daniele Innamorato, Ugo La Pie-tra, Flavio Lucchini, AlessandroMendini, Fabio Novembre, ElenaSalmistraro, Patrick Tuttofuoco eMarco Bruzzone, Nanda Vigo.

ChefAlice Delcourt e Soda Thiam, Vit-torio Fusari, Silvio Greco, PietroLeemann, Juan Lema, Davide Lon-goni, Sergio Mei, Andrea Proven-zani, Claudio Sadler, Elio Sironi.

ScrittoriMarco Belpoliti, Laura Bosio, Alber-to Capatti, Francesco M. Cataluccio,

Lella Costa, Erri De Luca, HelenaJaneczek, Gianni Mura, MichelaMurgia, Carlo Petrini.

FotografoOliviero Toscani.

Elaborazione Artistica allestimentoManuela Bertoli.

Progetto di allestimentoAlessandro Guerriero con Giulia Zorzella.

Buoni Come il Pane5 dicembre 2018 – 13 gennaio 2019Press preview: 4 dicembre 2018, ore 11.30-13.00Inaugurazione: 4 dicembre 2018, ore 18.30La Triennale di Milano

A cura di: Alessandro Guerriero e Alessandra Zucchi (Tam Tam)con Carlo Casti, Francesco M. Cataluccio, Giacomo Ghidellie con Margherita SigillòOrganizzazione generale e ufficio stampa Pane Quotidiano: C-ZONE Comunicazione & Eventi

Ingresso liberomartedì - domenica ore 10.30-20.30 (ultimo ingresso ore 19.30)

Per informazioni relative all’acquisto dei biglietti per lotteria e charity gala dinner: [email protected] +39 02 87286581

La Triennale di MilanoViale Alemagna 6, 20121 MilanoT. +39 02 724341www.triennale.org

Ufficio stampaBuoni come il paneOtto srlT. +39 02 45395860 [email protected]: Andrea Boyer

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PARLIAMO DI NOI

A cura di Alessandro Guerriero e Alessandra Zucchi

Buoni come il paneUn progetto benefico per Pane Quotidiano Onlus

5 dicembre 2018 – 13 gennaio 2019Triennale di Milano

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Pani di pane…Segale, mandorle, lievito madre,fiori di Sambuco, sciroppo di datte-ro, stigma, sepali, alacce di Lampe-dusa, pomodoro “Naso di cane”….Tutto elaborato con estrema “non”precisione… sono pani!Non esprimono se stessi mavogliono esprimere solo delleenergie.Vogliono esprimere un’aria rare-fatta, asimmetrica, volante nelcosmo ma attonita di fronte a stu-pefacenti fenomeni naturali.Appartengono al nostro mondointeriore. Vogliono esprimere unacerta situazione dove l’osservato-re coglie la imprecisione dellaloro forma e della loro inconsi-stenza ma anche del loro conte-nuto il più delle volte invisibile, afavore dell’aura.

Pani di ceramica…Alcuni gialli, neri, arancioni, oro,con superfici informali o con qua-drettature geometriche o consegni puntiformi. Ecco il Nitrurod’alluminio, il Carburo di silicio…ilBerillio. Da vicino sono policromi ea volte anche specchianti.Qualcuno di loro è un mandala…forse più di uno. Altri sembranofatti sotto ipnosi….Questi pani ceramici sono comedegli esercizi, si svolgono sotto lanostra fissità mentale, elaboranoidee circolari, sono una specie diperdita dei tempi e dei luoghi dellanostra memoria, ritmica e ripetiti-va. Sono un monotono atto di dedi-zione all’ignoto, una collezione digesti, una collezione di pensieri diinfiniti ricordi e frammenti.Tutto eseguito con estrema preci-

sione… sono vere e proprie scultu-re di ceramica!

Pani di pane e pani di ceramicaquindi…Tutti i nostri pani, sia quelli dipane che quelli ceramici, sarannoparte di un’anonima folla di ogget-ti significanti.La motivazione del progetto diquesti pani non sta nella sua effi-cienza, la sua realtà consistetutta nella cura con cui esso vieneelaborato, nella poesia che essocontiene.

Alessandro Guerriero

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Pane QuotidianoNata a Milano nel 1898, Pane Quotidiano è un’organizzazione laica, apartitica e senza scopo di lucro, che ha come obiettivo pri-mario quello di assicurare ogni giorno, gratuitamente, cibo alle fasce più povere della popolazione, distribuendo generi alimen-tari e beni di conforto a chiunque si presenti presso le proprie sedi e versi in stato di bisogno e vulnerabilità, senza alcun tipo didistinzione.www.panequotidiano.eu

TAM TAMTAM TAM è una scuola di eccellenza di attività visive. Tutte le sue attività sono gratuite.Suo Direttore è Alessandro Guerriero. Nasce da un’idea di Alessandro Guerriero, Alessandro Mendini, Riccardo Dalisi e Gia-como Ghidelli.I Maestri che collaborano con TAM-TAM sono importanti e il loro intervento è un dono. Non esiste struttura, i suoi luoghi sonomolti.Due sono i suoi momenti teorici fondamentali.• Essere una “non-scuola”: un luogo in cui si sperimentano nuovi saperi e nuovi intrecci delle arti visive con altre discipline, per

un risultato che in un futuro diventerà forse momento formativo per le scuole tradizionali.• Muoversi principalmente nell’ambito del social-design, che ha come proprio punto di partenza i bisogni sociali dell’epoca in

cui viviamo.www.tam-tam-tam.org

PaneQuotidianoA fianco di chi ha bisogno

Foto: Andrea Boyer

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Fra i primi rilievi dell’Ap-pennino Ligure, nellaValle Staffora dell’Oltrepò

Pavese, arroccato su uno speroneroccioso di 700 metri di altezza, sitrova l’antico complesso dell’Ere-mo di Sant’Alberto di Butrio, cheabbracciato da boschi di castagni,di querce e dalle chiome dei pini siaffaccia su un panorama di decliviverdi e azzurrini, al cui orizzonterimbalza la vista dei castelli chene dominano le cime.

In questo luogo di incanto e disilenzio sorge il complesso del-l’eremo, le cui linee asimmetrichee irregolari create dalle spiovenzedei tetti quasi addossate le une allealtre, le grezze mura di pietre avista e il compatto torrione, conce-dono alla fantasia di raffigurarsil’antico monastero come dovevaessere un tempo, arroccato e cintodi fortificazioni, per difendersidalle possibili incursioni dei bri-ganti e dei feudatari prepotenti.

Fondatore di questo complessofu Sant’Alberto, il quale, secondola storia che si narra della suavita, nel 1030 si rifugiò a condurreuna vita di solitudine e meditazio-ne nella vicina valletta denomina-ta “del Borrione”, un luogo imper-vio e selvaggio, ma irrigato da untorrente – il Butrio – che fornival’acqua necessaria e con un riparonaturale di pietre a proteggeredalle calamità atmosferiche e daglianimali aggressivi.

In questo luogo – su cui oggisorge una cappella a lui dedicata –visse nutrendosi di castagne, dierbe e bacche, nell’adorazione diDio e del Creato, fino a che neipressi avvenne un incontro che

avrebbe cambiato la sua vita equella del luogo tutto.

Nel 1035 infatti si imbattè nelMarchese Obizzone Malaspina cheandava a caccia nei paraggi e fu daquesti invitato a recarsi a farglivisita nel suo vicino castello diCasasco. Secondo quanto la leg-genda ci tramanda, arrivando alcastello, gli venne incontro ilfiglioletto del Marchese ed Albertolo benedisse. Da quel momento ilbambino, che era muto dalla nasci-ta, incominciò a parlare, miracolo-samente guarito. Per riconoscenzaverso il santo e per atto di devozio-ne il Marchese fece costruire unachiesetta dedicata a Maria e qual-che locale perché Alberto vi potes-se abitare. Ben presto a lui siaffiancarono altri compagni, perascoltare la sua parola di conforto,per chiedere consiglio e benedizio-ne o desiderosi di rimanere sottola sua austera e paterna disciplinaal fine di condurre una vita eremi-tica. Nasceva così il primo nucleodella vita monastica di questo

luogo, che avrebbe raggiunto lasua massima espressione e noto-rietà nei secoli XII e XIII, e chedopo innumerevoli e alternevicende è arrivata fino a noi, nono-stante i periodi di interruzione.

Alberto divenne quindi abate diun monastero potente, centro spi-rituale di una vastissima zona,volto al sostegno e al sussidio deipiù poveri, che arrivò ad espan-dersi con la fondazione di altrecomunità e a richiamare folle dipellegrini e fedeli fra le cui presen-ze si annoverano anche i nomi diFederico Barbarossa e di DanteAlighieri. Nello stesso tempo peròAlberto divenne anche bersaglio diinvidie e gelosie, tanto che, pergiustificarsi di alcune accuse chegli venivano mosse, dovette recar-si a Roma e presentarsi a PapaAlessandro II, dal quale diretta-mente dipendevano l’eremo diButrio e le altre fondazioni. Al suocospetto l’abate non fece discorsi,ma solo reggendo fra le mani unabrocca colma d’acqua la tramutò

Isabella Groppali

L’Eremo di Sant’Alberto di Butrio e il mistero custodito

STORIA

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miracolosamente in vino, dandoprova della sua santità. La rappre-sentazione di questo prodigio figu-ra in uno degli affreschi dellasplendida chiesetta interamentedecorata che per prima accoglie ivisitatori dell’eremo.

Dopo la sua morte, avvenutanell’anno 1073, venne deposto inun’urna disadorna, a testimonian-za dei suoi principi di povertà efede, che venne accolta entro lemura dell’eremo. Il suo culto peròprese sempre più vigore e si diffu-se all’interno e fuori dalla diocesi,fino a che, nell’anno 1192 il mona-stero di Butrio venne definitiva-mente chiamato “di Sant’Alberto”.

Nei secoli a seguire anchel’aspetto esteriore della strutturasi modificò notevolmente: non piùpiccole celle sparse affiancate allachiesa primitiva, ma un castello-monastero munito di bastioni, diun’alta torre massiccia, di fossati edi un ponte levatoio, per difender-si da scorrerie e saccheggi e pervari secoli l’Abbazia diventò uncentro di apostolato e spiritualità,di cultura e di arte. La fase piùbuia della sua storia – parimentiche per moltissimi altri complessinel nostro Paese – l’attraversòdurante il periodo napoleonico,quando i suoi beni vennero requi-siti ed essa stessa venne soppres-sa come luogo di culto attivo.

Dovette arrivare l’inizio del XXsecolo perché Don Orione ricono-scesse nel silenzio, nella pace enella povertà dell’eremo il luogopiù adatto per stabilire la suacomunità di eremiti contemplativifedeli allo spirito religioso di SanBenedetto. Ottenuta in assegnazio-ne la parrocchia e riadattati allameglio i locali potè quindi stabilir-si una comunità di eremiti Orioni-ni, che secondo la regola benedet-tina scandiscono la giornata fra illavoro e la preghiera e che ancoraoggi, in un esiguo numero, viveospitata entro l’Abbazia.

Nello stato attuale il passato glo-rioso del complesso si può soloimmaginare per quanto la storia citramanda. Rimangono tre chie-suole intercomunicanti – una dellequali interamente affrescata emeravigliosamente conservata –un muraglione che fa da baluardosulla profondissima valle, un ele-gante chiostrino, una galleriascandita da bifore e trifore ingenti-lite da pilastrini, un pozzo e parte

della torre difensiva un temposvettante, con i suoi sei metri dilato, in seguito drasticamente capi-tozzata per ospitare un campanilet-to. Ma ciò che rimane assolutamen-te intatta è l’aria di pace e serenitàche avvolge l’antico monastero.

All’interno del cortile ove sitrova l’antico pozzo, un arco dipietra a tutto sesto sormonta unatomba scavata nella roccia, chepur essendo oggi vuota, passanella tradizione come il luogo disepoltura di Edoardo II Plantage-neto Re d’Inghilterra e custodisceun mistero che questo remotoangolo dell’Appennino Pavese con-serva da secoli. Un mistero cheparla di fuga, di conversione, diricerca di pace e serenità, e scriveun intrigante pagina di storiamedievale.

Edoardo II (1284 - 1327), figliodi Edoardo I e di Eleonora di Casti-glia, nel 1301 ottenne il titolo diPrincipe di Galles, da allora in poiappannaggio tradizionale deglieredi della corona d’Inghilterra enel 1307 salì al trono. Elegante edi bell’aspetto era tuttavia pocoavvezzo all’arte della guerra e delbuon governo.

Trovava piacere nell’ascoltaremusica, nello studio e nell’assiste-re a spettacoli teatrali nei qualispesso si cimentava come attore.Poco incline alla politica dunque,ma sicuramente raffinato e polie-drico, qualità, queste, non apprez-zabili e strategiche nel travagliatoperiodo del Medio Evo in cui vive-va. Alle arti belliche preferiva losvago e la compagnia di gaudenti,spesso intrattenendo rapporti diamorosi sensi con giovani cortigia-ni ai quali conferiva attenzioni,cariche e potere. Ciononostantenel 1308 sposò la bellissima edesuberante Isabella di Francia,figlia di Filippo IV il Bello e sebbe-ne il matrimonio non gli impedissedi continuare a dedicarsi ai suoisvaghi, fu allietato dalla nascita diquattro figli, uno dei quali divenneil suo successore al trono, con ilnome di Edoardo III. Tuttavia lasua debolezza faceva sì che glivenissero meno i consensi ed oltrea ciò il suo regno veniva continua-mente sfiancato da pressanti pro-blemi di politica estera, prevalen-temente originati dalle scorreriescozzesi ai confini del regno concui già il padre, Edoardo I si eratrovato a dovere fronteggiare.

Questi aveva mosso guerra agliscozzesi guidati da William Walla-ce e affiancati dalle forze di RobertBruce, dicendosi disposto a com-battere fino alla sua morte, e per-sino oltre, dal momento che nelsuo testamento aveva disposto chein caso di suo decesso il suo corpovenisse bollito per estrarne leossa, le quali, chiuse in un saccoavrebbero dovuto essere portatealla testa del suo esercito, edavrebbero potuto trovare ripososolo dopo una finale vittoria,sepolte sotto una lapide su cui

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avrebbe dovuto essere ricordatocome “il Martello degli Scozzesi”.Il figlio tuttavia non solo nonmostrò alcuna intenzione di bolli-re il padre defunto, ma nemmenone ereditò la fiera volontà di con-quista territoriale.

Probabilmente in molti ricorde-ranno questi personaggi: il crudelee determinato Re Edoardo I, l’effe-minato Edoardo II, la bellissimaRegina Isabella, il debole RobertBruce, e che dire, l’affascinanteWallace impersonato da Mel Gib-son, per averne seguito le vicendenel film “Braveheart, Cuore Impa-vido” del 1995.

Tuttavia la regina Isabella diFrancia doveva avere ben pocodella dolcezza della Sophie Marce-au del film, dal momento che inrealtà fu una crudele manipolatri-ce e la peggiore nemica di suomarito Edoardo II. Legatasi senti-mentalmente ad un ribelle gallese,con la complicità di questi tramò

per destituire il marito, insedian-do sul trono il figlio adolescentecon il titolo di Edoardo III e con-vinse la Corte a compiere il delittopolitico per eccellenza, facendodapprima imprigionare e poi ucci-dere il re consorte. Questi vennespostato continuamente, di castel-lo in castello, in condizioni disu-mane e sottoposto a continui mal-trattamenti. La speranza inizialeera quella di causare la sua mortea causa dei terribili stenti, ma lafibra di Edoardo era forte e resi-stette strenuamente. Un tentativodi fuga dal castello di Berkley, resopossibile dalla complicità di alcuniseguaci fedeli, fallì miseramente eIsabella si sentì autorizzata a pro-cedere a più drastiche misure.

La morte di Edoardo venne pro-vocata da un’atroce tortura, l’im-palamento con un ferro rovente,che non lasciando sul corpo segniesteriori evidenti avrebbe dato lapossibilità di fare credere che il Refosse morto di morte naturale equindi di inscenare delle sontuoseesequie.

Questa dunque la storia ufficia-le, che racconta che il re EdoardoII fu ucciso nel 1327 in Inghilter-ra, a Berkley, dai sicari agli ordinidella moglie. Eppure all’internodell’eremo di Sant’Alberto si con-serva una tomba che si attribuisceproprio a quel sovrano inglese,anche se quella ufficiale si trovaoggi a Gloucester, in Inghilterra.Fu effettivamente perpetrata lasua morte oppure grazie alla com-plicità dei suoi fedeli fu organizza-ta con successo la sua fuga, chemagari perigliosamente scenden-do lungo l’Europa si concluse pro-prio nel rifugio dell’eremo?

Da qualche anno opera un teamdi studiosi di tutte le discipline chesotto il nome di “Auramala Pro-ject” sta cercando di dimostrareche il sovrano inglese non morìassassinato in Inghilterra nel1327, ma si spense in realtà moltianni dopo fra le colline dell’Oltre-pò. Nonostante fosse vuota, latomba dell’eremo di Butrio avreb-

be costituito, se non una prova,almeno un indizio, in quantosarebbe stato difficile immaginareun valido motivo per dovere ripor-tare che avesse ospitato la sepoltu-ra di un re d’Inghilterra. La tombainoltre non è l’unica prova. Esisteun documento, rinvenuto a Mon-tpellier e scritto nel 1338 dalnotaio papale Emanuele Fieschi,indirizzato ad Edoardo III.

Nel testo il prelato spiega alsovrano che suo padre non eramorto, ma dopo essere riuscito afuggire aveva trovato asilo in unmonastero dalle parti di Cecima(un borgo della zona di Butrio).Alla luce di questa testimonianza èsorto il dubbio che dietro la leggen-da vi fosse un fondo di verità, ed èa questo punto che l’Auramala Pro-ject ha iniziato ad indagare, avva-lendosi di un team formato daumanisti, paleografi, storici, eparimenti di scienziati, come gene-tisti e genealogisti, i primi studian-do documenti, spulciando negliarchivi, per cercare fra le cartedegli indizi che legassero i nome diEdoardo II all’Oltrepò, e gli altricercandone faticosamente ladiscendenza. La ricerca si svolgeeffettuando una comparazione frail patrimonio genetico della popo-lazione locale e quello del corpocontenuto nella tomba ufficialeche si trova a Gloucester. Se inqualche caso dovessero combacia-re non vi sarebbe più alcun dubbiosul luogo dove si concluse la vitaterrena del re inglese, il qualenella pace dell’eremo sfuggì agliintrighi della corte inglese esoprattutto si dovrebbe riscrivereun’intera pagina di storia.

Tutto questo è racchiuso fra lemura silenziose del monastero diSant’Alberto di Butrio, echeggianella pace delle sue chiesette,respira fra le sue colline profuma-te, è scandito dal fruscio dei passidei suoi eremiti laboriosi e contri-buisce a rendere questo remotoangolo dell’Appennino uno fra iposti più intriganti e ricchi difascino del nostro bel Paese.

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Antefatto. La ex Jugosla-via era una nazione isti-tuita, dopo l’occupazione

tedesca della seconda guerra mon-diale, il 29 novembre 1943 dalmaresciallo Tito.

Era costituita da 6 stati e 2 pro-vincie autonome: Croazia (capita-le Zagabria), Serbia ( capitale Bel-grado), Bosnia-Herzegovina (capi-tale Serajevo), Macedonia (capita-le Skopje), Montenegro (capitalePodgorica), Slovenia (capitaleLubiana).

Provincie autonome serbe:Kosovo e Vojvodina.

Le popolazioni di questi statierano molto diverse fra loro perideologia, religione, cultura e livel-lo economico e nonostante nasce-vano spesso scontri e tensioni ilregime comunista di Tito riuscivaa mantenere l’ordine e la coesionegiocando su alcuni fattori tra cui laminaccia costante dell’URSS, ilcarisma dello stesso Tito e un dif-fuso benessere comune.

Alla morte di Tito (4 maggio1980) iniziò una graduale deca-denza politico-sociale della Jugo-slavia. Il governo centrale accusòuna perdita di potere ed, in parti-colare, il Partito Comunista jugo-slavo al potere subì un contraccol-po dalla caduta del muro di Berli-no (9 novembre 1989) e lo sciogli-mento dell’Unione Sovietica (tra ilgennaio 1990 e il dicembre 1991)che portò allo scioglimento dellaLega dei Comunisti e alla indizionedi elezioni democratiche. Questenuove elezioni non ebbero l’effettodesiderato per cui, in breve, nume-rosi stati dichiarano l’indipenden-za dalla Federazione jugoslava.

GUERRA IN SLOVENIAIl primo stato a separarsi dalla

Federazione jugoslava fu la Slove-nia. Il 23 dicembre 1990 si tenne ilreferendum sull’indipendenza, omeglio sulla sovranità slovena,che ottenne l’88,2% di voti favore-voli. Il 25 giugno 1991 il Parlamen-to sloveno approvò l’indipenden-za, creando, di lì a poco, proprieistituzioni e una nuova bandiera.

La conseguenza fu una reazioneda parte dell’esercito jugoslavo, dimatrice fortemente serba, cheattaccò la Slovenia il 27 giugno1991. La guerra fu breve (detta“guerra dei dieci giorni”) e si passòimmediatamente ad una risoluzio-ne politica con l’accordo di Brioni(7 luglio 1991), con cui la Jugosla-via accettò di fatto l’indipendenzadella Slovenia.

GUERRA IN CROAZIANella primavera del 1990 in

Croazia si tennero le elezioni chevidero la vittoria dei nazionalisti.

Nell’estate del 1990 la regionedella Krajina (ai confini con laBosnia) a maggioranza serba, pro-clamò la propria autonomia con ilreferendum del 2 settembre, chesancì anche una possibile futuracongiunzione con la Serbia.

Il 19 marzo 1991 si svolse inCroazia un referendum per lasecessione dalla Jugoslavia, a cuinon partecipò la maggioranzaserba della Krajina, che colse l’oc-casione per proclamare l’indipen-denza dalla Croazia.

Nell’aprile del 1991 fu costituitol’esercito nazionale croato e il 25giugno 1991 fu proclamata, attra-verso un referendum, l’indipen-

denza della Croazia. Questo eventoprovocò l’intervento militare jugo-slavo (iniziato nel luglio del 1991)deciso a non permettere che terri-tori abitati da serbi si allontanas-sero dalla Federazione.

L’intervento militare coinvolsenumerose città croate, in partico-lare Vukovar, il cui assedio diven-ne il simbolo della guerra serbo-croata (dal 25 agosto al 18 novem-bre 1991), territorio dove esiste-va, fino a poco tempo prima, unatranquilla convivenza tra serbi ecroati.

Claudio Anselmi

La Jugoslavia... brucia

STORIA

La guerra dei Balcani negli anni ’90 tra guerra civile e conflitti secessionisti

La sede del parlamento della Bosnia edErzegovina dopo essere stata colpita dacarri armati durante l'assedio del 1992

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Nel periodo in cui la guerra infu-riava maggiormente, i serbi dellaKrajina proclamarono la costitu-zione della Repubblica Serba dellaKrajina (19 dicembre 1991).

Il 4 gennaio 1992 entrò in vigo-re l’ennesimo “cessate il fuoco”rispettato per un certo periodo ditempo. Nel frattempo l’esercitojugoslavo si ritirò dalla Croaziaper entrare in Bosnia, dove laguerra non era ancora iniziata.

Sia la Croazia che la Sloveniafurono riconosciute ufficialmentecome stati indipendenti dalla CEEed entrarono a far parte dell’ONU.

Nel novembre del 1994 Croaziae Stati Uniti firmarono un accordomilitare per l’addestramento del-l’esercito croato su tattiche e ope-razioni di guerra.

Nell’agosto del 1995 le forzecroate invasero la Krajina (Opera-zione Tempesta) allo scopo diriconquistare quel territorio con-trollato dai serbi.

Le operazioni belliche in Kraji-na provocarono il massacro dinumerosi civili e la fuga di circa200.000 serbi, rendendo l’esercitocroato protagonista di una delleoperazioni di “pulizia etnica” piùrilevanti di quel periodo.

Il conflitto si concluse pochimesi dopo con la netta vittoriadelle milizie croate, che poteronocontare anche sulle sanguinoseazioni di guerriglia operate damilizie irregolari filo-croate aidanni della popolazione serba. Inparticolare queste milizie furonoresponsabili di numerosi criminisoprattutto nella città di Karlovac.

La fine della guerra in Croaziavenne ratificata dagli accordi diDayton (dicembre 1995).

GUERRA IN BOSNIA ED ERZEGOVINALa Bosnia ed Erzegovina forma-

ta tra tre diverse etnie (Bosniaci,Serbi e Croati), mentre infuriavala guerra in Croazia, era in unaapparente situazione di pace, mamolto instabile in quanto le ten-sioni etniche erano pronte adesplodere.

Nel gennaio 1992 il Parlamentodecise, nonostante la dura e fermaopposizione dei serbi di Bosnia edErzegovina, di organizzare unreferendum per l’indipendenzadella Repubblica dalla Jugoslavia.

Il referendum ( 29 febbraio – 1marzo 1992) si espresse a favoredella secessione, nonostante il boi-cottaggio dei serbi che bloccaronocon barricate la capitale Serajevo.

Un mese dopo il referenduml’esercito jugoslavo occupò tutti imaggiori centri strategici dellaBosnia ed Erzegovina. Come con-seguenza i tre gruppi etnici siorganizzarono in eserciti regolari,supportati da numerosi gruppiparamilitari.

Il conflitto molto caotico e san-guinoso vide diversi tentativi perun “cessate il fuoco” immediata-mente disattesi dalle diverseparti in guerra. Le Nazioni Unitetentarono più volte di proporrepiani di pace che si rivelarono fal-limentari.

All’inizio i Bosniaci si allearonocon i Croati contro i Serbi, che con-

trollavano gran parte del territo-rio rurale, mentre i Bosniaci-Croa-ti presidiavano le città di Sarajevoe Mostar.

Nel 1993 fu proposto un pianodi pace (Vance – Owen) che preve-deva la divisione del Paese tra letre etnie presenti, ma subito scop-piò un conflitto armato tra iBosniaci mussulmani e Croati aseguito della spartizione virtualedel territorio.

L’assedio di Serajevo e le atroci-tà commesse dalle parti indusserola NATO ad intervenire militar-mente. Il 30 agosto 1995 prese ilvia l’Operazione “DeliberateForce” contro le forze serbe inBosnia.

La campagna militare aereadella NATO si concluse il 20 set-tembre 1995 infliggendo gravidanni alle truppe serbo-bosniache.

Il bilancio della guerra fu spa-ventoso e causò moltissime perdi-te tra la popolazione civile, sotto-posta ad efferati crimini di guerrae operazioni di pulizia etnica daparte dei tre gruppi nazionali inlotta.

Nel novembre 1995 vennero sti-pulati gli accordi di Dayton (Ohio–USA) che decretarono la finedella guerra. Ai colloqui di paceparteciparono i maggiori rappre-sentanti politici delle diverseetnie: il Presidente della SerbiaSlobodan Milošević, quello dellaCroazia Franjo Tuđman e quellodella Bosnia ed Erzegovina AlijaIzetbegović. L’accordo, formalizza-to a Parigi il 14 dicembre 1995,sanciva i confini come quelli fra lerepubbliche federate della exJugoslavia e prevedeva la creazio-ne di due nuove entità autonomeall’interno dello Stato di Bosnia edErzegovina: la Federazione Croa-to-Mussulmana e la RepubblicaSerba di Bosnia.

GUERRA IN KOSOVOIl Kosovo era un provincia auto-

noma della Serbia con una popola-zione a maggioranza albanese.

Con la morte di Tito crebbero ivari nazionalismi, in particolarel’insofferenza etnica degli albanesidel Kosovo verso la FederazioneJugoslava.

Alla fine degli anni ’80 vennerevocata, su pressione del governoserbo, l’autonomia della provincia.

Dal 1989 al 1995 la maggioran-za della popolazione di etnia alba-

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nese del Kosovo attuò una campa-gna di resistenza prevalentemen-te non violenta, guidata dal partitonazionalista LDK (Lega Democra-tica del Kosovo) che in breve raf-forzò l’esercito nazionale, conintenti indipendentisti.

Nel 1996 prese avvio il conflittoarmato in Kosovo che vide l’inter-vento militare dei separatisti alba-nesi dell’UCK (Ushtria Çlirimtaree Kosovës). L’Esercito di Libera-zione del Kosovo iniziò a compiereatti di terrorismo contro le posta-zioni militari e le strutture statalidella Repubblica federale iugosla-va, provocando una dura repres-sione da parte dell’esercito serbo edelle forze armate paramilitaridegli ultranazionalisti serbi, chegià avevano operato in Bosnia edErzegovina distinguendosi in mas-sacri di civili ed operazioni di cec-chinaggio.

La dura repressione provocòmigliaia di morti e l’esodo di mol-tissimi kosovari albanesi verso glistati confinanti (Albania, Grecia,Macedonia).

Nel 1999 dopo il fallimento di untentativo di soluzione diplomaticadella crisi, la Nato decise di inter-venire militarmente (attraversobombardamenti su bersagli milita-ri in Serbia e Kosovo) con l’intentoumanitario di salvare la popolazio-ne civile del Kosovo da deportazio-ni e stragi di massa.

Dopo 78 giorni di continui bom-bardamenti si raggiunse un accor-do, che metteva fine alla guerra eche imponeva alla Serbia il ritirodelle proprie truppe e il riconosci-mento della presenza sul territo-rio del Kosovo di un contingentemilitare composto da forze Nato erusse, sotto il controllo dell’Onu, alfine di garantire e mantenere lapacificazione della regione.

Il 17 febbraio 2008 il governodel Kosovo proclama unilateral-mente l’indipendenza, riconosciu-ta da numerosi paesi europei edagli Usa, ma non dalla Serbia.

GUERRA IN MACEDONIAL’8 settembre 1991 la Repubbli-

ca Socialista di Macedonia pro-mulgò un referendum per l’indi-pendenza dalla Jugoslavia, nelquale una grande maggioranza divotanti (oltre il 95%) si pronunciòa favore dell’indipendenza.

Il 20 novembre 1991 entrò invigore la nuova Costituzione.

La separazione dalla Jugoslavianon provocò conflitti, a parte alcu-ni episodi di tensione interetnicatra macedoni ed etnia albanese.

Fino al 1998 la nuova Repubbli-ca di Macedonia fu guidata dagliex comunisti dell’Unione Socialde-mocratica di Macedonia (SDSM),che non fu in grado di approvarele necessarie riforme socio-econo-miche e di affrontare il problemadella criminalità locale serba edalbanese (soprattutto contrab-bando).

Nel 1998 le nuove elezioni por-tarono alla sconfitta del partito digoverno a favore di una coalizionecomposta da partiti nazionalisti. Ilnuovo governo si trovò ad affron-tare gravi problemi, ma si rilevòincapace di dare risposte e giudi-cato corrotto dal popolo e dallaminoranza parlamentare. In que-sta situazione le già difficili rela-zioni tra maggioranza macedone el’etnia albanese andarono a peg-giorare.

Le tensioni etniche vennero ina-sprite dalla guerra in Kosovo perl’afflusso di migliaia di profughialbanesi kosovari in cerca di rifu-gio nella Repubblica macedone edagli episodi di violenza e di broglielettorali durante le elezioni presi-denziali del 1999.

L’Esercito di Liberazione delKosovo (UCK) intraprese delleincursioni oltre il confine dellaMacedonia, stabilendo basi e cen-tri militari da cui partivano i com-battenti alla volta dell’area koso-vara.

In breve bande albanesi dellacriminalità organizzata, dediti alcontrabbando di carburante,droga, tabacco, schiavi bianchi,formarono corpi armati propri,mentre la classe politica macedo-ne non faceva nulla per arrestareil fenomeno del contrabbando,essendo spesso coinvolta nel traf-fico stesso, dietro pagamento ditangenti.

Tra il 2000 e 2001 si ebbero leprime azioni armate in Macedoniada parte degli albanesi che pren-devano possesso di un villaggiodopo l’altro, dapprima pacifica-mente incoraggiando la popolazio-ne non albanese a lasciare questiterritori, poi nel gennaio – febbraio2001 iniziarono azioni di guerri-glia contro le autorità macedoni.

Inizialmente il governo mace-done non intraprese nessuna

azione in quanto ricevette assicu-razioni che le azioni degli albanesinon erano dirette contro la Mace-donia. Ma nel gennaio 2001apparve sulla scena del combatti-mento un gruppo armato definitoEsercito di Liberazione (NLA), ilcui obiettivo era affermare i paridiritti della minoranza etnicaalbanese all’interno di una confe-derata Macedonia.

Il governo macedone sostenevache l’NLA fosse un’organizzazioneterroristica che cercava di separa-re le zone a maggioranza albaneseper unirle all’Albania.

La reazione dell’esercito mace-done fu immediata, soprattutto daparte delle forze speciali, che cir-condarono i ribelli albanesi, maprima di un possibile tragico epilo-go, l’intervento delle forze dellaNATO riuscirono ad imporre il ces-sate il fuoco.

Il 13 agosto 2001 venne firmatodalle parti in conflitto l’accordo diOcrida in cui si sanciva che ilgoverno macedone avrebbe garan-tito i diritti dei cittadini di etniaalbanese (il 25,3% della popolazio-ne), mentre i ribelli albanesi accet-tarono di far cadere le richiesteseparatiste, di smantellare l’UCK,convertendolo in forza politica e diriconoscere in pieno tutte le istitu-zioni governative macedoni.

CONCLUSIONILa guerra nella ex Jugoslavia

durata dal 1991 al 2001 e definitala guerra “di tutti contro tutti”portò distruzione, morte ed esodidi intere etnie, colpendo soprattut-to la popolazione civile, sottopostaa bombardamenti, crimini di guer-ra e pulizia etnica, da parte ditutte le diverse etnie in lotta.

Se nella prima guerra mondialele vittime civili furono il 10% deltotale e nella seconda guerra mon-diale il 67%, la guerra in Jugosla-via provocò il 95% di vittime tra lapopolazione civile.

Fonti:Wikipedia, Enciclopedia Treccani, Limes

“Accanto alla pulizia etnicac’è stata una pulizia sociale,dimenticata nonostante la suadrammatica evidenza. Con essa,il potere ha distrutto la classedirigente che avrebbe potutosoppiantarlo”.

Paolo Rumiz

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Ottavio Ferrario

SOCIETÀ

Ippolito Nievo (Padova 1831 -Mar Tirreno 1861) uno deipiù grandi scrittori dell'800 -

e comunque il più interessante -compose il seducente “Confessionidi un Italiano” nel biennio 57-58.Una delle pagine di più commossasemplicità è questa che vi propo-niamo.

“Così sentiva i proprii dolori e lepubbliche miserie monsignorOrlando di Fratta. Son io a dirlo chele bestie si mostrarono le più sensi-bili fra tutti gli abitanti del castelloin quella congiuntura: non eccet-tuato me medesimo cui un tardo evano pentimento non varrà certo apurgare dall’odiosa smemorataggi-ne di quella tremenda giornata.Non contando il ronzino di Mar-chetto che lasciò il tafferuglio pertornarsene a casa come doveva fario, ci fu il cane del capitano, il vec-chio Marocco che sdegnò di accom-pagnarsi al padrone nella sua fugaverso Lugugnana.

Ed egli rimase vagante peldeserto castello. Fiutando qua e làcome in cerca di un’anima miglioredella sua; ma non gli venne fatto ditrovarla, e un francesino scape-strato si divertì a forarlo parte aparte colla baionetta nel bel mezzodel cortile. Reduce a casa, quellafrotta di vigliacchi restò tanto atto-nita e confusa che non sentirononeanche il puzzo di quella carognache appestava l'aria da tre giorni.

Toccò accorgermene a me tor-nato che fui da Udine; e alloradiedi ordine a un contadino perchéfosse gettata in qualche fogna. Mail contadino, uscito per questa piaopera, mi chiamò indi a pocoacciocchè contemplassi anch’iouna cosa meravigliosa. Sul cadave-re già verminoso di Marocco avevapreso stanza il gattone soriano,suo compagno di tanti anni, e nonc’era verso di poternelo snidare.Carezze, minacce e strappate nonvalsero, tanto che me ne impieto-sii, e presi anche in qualche vene-razione quel povero morto cheavea saputo destare in un gattouna sì profonda amicizia.

Lo feci staccare a forza, ecomandai che Marocco fosse sep-pellito lì dove aveva ricevuto ilfunesto premio della sua fedeltà.

Il contadino gli affondò per trebraccia la buca e poi gli buttòsopra la terra e credette di averfornito la bisogna. Ma per mesi emesi continui bisognò ogni matti-no rimettere quella terra al suoposto perché il gatto fedele occu-pava le sue notti a rasparla fuoriper riposare ancora sugli avanzidell’amico.

Cosa volete? io rispettai il dolo-re di quella bestia, né mi bastò ilcuore di trafugargli quelle spoglietanto dilette a lui e così lungamen-te incomode all’olfatto dei castella-ni. Le feci coprire con una pietra.Allora il gatto vi posò sopra giornoe notte lamentandosi continua-mente, e girando intorno al sepol-cro con miagolio melanconico. Làvisse ancora qualche mese, e poimorì: e lo so di sicuro perché nonmancai poscia d’informarmi comefosse finita quella tragica amicizia.

Diranno poi che i gatti non hannola loro porzioncella d’anima!

Marocco e il soriano Un’amicizia al di là della morte

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Quanto ai cani la loro fama inproposito è bastevolmente assicu-rata. Il loro affetto ha posto negliaffetti familiari; l’ultimo postocerto, ma il più costante.

Il primo che fece festa al ritornodel figliuol prodigo, scommetto ioche fu il cane di casa! E quando misi gracchia intorno sull’inutilità edil pericolo di questa numerosafamiglia canina che litiga all’uma-na il nutrimento, e le inocula tal-volta una malattia spaventosa eincurabile, io non posso far a menodi sclamare: - Rispettate i cani! -Forse adesso si può star in bilico,ma forse anche, e Dio non voglia,verrà il tempo che si giudicheran-no migliori affatto di noi! Di questitempi ne furono altre volte nellastoria dell’umanità.

Noi bipedi tentenniamo fral’eroe ed il carnefice, fra l’angelo eBelzebù. Il cane è sempre lo stesso;non cambia mai come la stellapolare. Sempre amoroso, pazientee devoto fino alla morte. Ne vorre-ste di più, voi che non avrestecuore di distruggere neppure unatribù di cannibali? ... "

CLARABELLA, CLEMENTINA E JOY-JOY: I MIEI CANILa mia famiglia ha avuto tre

cani, tutti cocker americani, fulvie bianchi a pelo lungo, bellissimi,ancora oggi rimpianti.

La capostipite fu Clarabella,giuntaci da cucciola, affettuosissi-ma e giocherellona. Era moltobella: consapevolmente, quandoincedeva, sembrava a una sfilata equalche premio l’ha pure preso.Dava e riceveva coccole: una com-pagnia ideale, come solo un canesa regalarti.

Mia figlia organizzò l’accoppia-mento e ne sortì una cucciolata diben sette cagnolini. Ne regalammosei, il settimo, un maschio un po’tonto lo volle mio figlio: “L’addor-mentato lo piglio io, perché è sim-patico e un po’ casinista”. Lo chia-mò Joy-Joy e lo portò con sé inToscana, dove però si trovò male,perché Nicola (pilota militare) eraspesso assente e il cane era affida-to a un vicino di casa che probabil-mente lo maltrattava.

Sta di fatto che ebbe un caratte-re instabile, a volte aggressivo avolte affettuoso. Non ho mai vistoun cane tanto vorace, sempre affa-mato. Forse anche culturalmente,giacché rosicchiò tutti i libri del

primo piano della biblioteca eanche le copertine di alcuni dischi(ma solo pop-music, la lirica nonl’interessò mai).

Mai visto uno tanto vorace:mangiò i miei guanti di capretto ela spalliera di una bérgère. Sequalcuno s’alzava da tavola, lui loprecedeva in cucina in perenneaspettativa di cibo, oppure siinstallava sulla sedia vuota, pro-tendendosi verso qualsiasi piattovicino o lontano.

Aveva però un affetto svisceratoper nostro figlio (l’impriting ini-ziale); quando partiva da casanostra, Joy-Joy rima neva a guar-darlo e poi restava immobile sulbalcone per ore, il muso rivoltonella direzione dell’assente. Lo siconvinceva a entrare in casa solocon l’allettamento di un cibo (qual-siasi, non aveva preferenze, basta-va che fosse abbondante). Divenneanche grassoccio. Conviveva benecon sua madre Clarabella. Leimolto aristocratica, lui grezzo masimpatico. Anzi conviveva sintroppo bene, tanto che la ingravi-dò. Mia suocera disse che “questecose in casa mia non si sono maiviste!!”. Noi a dirle che i purosan-gue nascono così, che gli animalinon fanno distinzioni tra una fem-mina qualsiasi e la loro madre. Mamia suocera lo guardava scuoten-do ripetutamente la testa, perniente convinta. Noi per un certoperiodo lo chiamammo Edipo, malui non capiva molto di leggendegreche e continuò a guardarci conun certo stupore e con l’aria dell’in-nocente. “Ma cosa avrò mai fatto?”sembrava dirci e certamente nonpensò mai di accertarsi.

Intanto Clarabella scodellò altrisei cuccioli, che regalammo, tran-ne una, Clementina, che venneadottata da nostra figlia Sarah,che la portò con sé a Vienna. Cle-mentina era buonissima, affettuo-

sa e un po’ pigra. Quando io la por-tavo a passeggiare per i viali del-l’Augarten, un parco prospicientela casa di Sarah, per un po’ sgam-bettava o rincorreva gli uccelli(mai preso uno!), ma poi d’im-provviso mi saltava in braccio, e inbraccio la riportavo a casa, mentrelei mi slinguava la faccia, felicedella posizione conquistata. Quan-do Sarah ebbe la prima figlia, Cle-mentina si aggiunse ai due che giàdimoravano da noi. La passammoalla zia Silvia che, vedova, fu feliced’avere quella compagnia.

La zia sentiva ogni ora “RadioMaria”, Clementina uggiolava,seguendo le litanie, partecipe dellasantità dei canti liturgici che lepiacevano molto. La zia sostenevache pregasse con lei, ma era sugge-stione: mancarono sempre leprove. Poi morì di cancro e la ziavolle seppellirla in giardino, col-mando la terra di fiori e di una pic-cola scultura raffigurante un cane.

Neppure la tomba di suo maritofu mai tanto fiorita e imbellita!

Facemmo intanto sterilizzareClarabella poiché Edipo a volte erasospettosamente affettuoso con lapropria madre.

Pure Clarabella ebbe un cancrointestinale: la facemmo operare eper qualche anno tirò avanti, sem-pre molto affettuosa. La seppellim-mo nel nostro giardino, avvoltanella sua coperta preferita.

Joy-Joy, invecchiando, s’amma-lò anch’egli di tumore intestinale edi un ictus al cervello. In un nostrogiro in Spagna lo portammo connoi, dopo aver costruito uno scivo-lo di legno per farlo salire in auto.Dormiva molto. A Compostela siaddormentò sul sagrato e quandosi riebbe, si accucciò ma proruppein una pisciata gigantesca che nonfu apprezzata dai pellegrini. Com-prai una bottiglia d’acqua (4,5euro, cara Compostela per i disor-ganizzati!) e annaffiai gli scalini.Per il resto si comportò moltobene, pur senza pregare comeinvece avrebbe forse fatto suafiglia-sorella, ma anche in questocaso, mancano prove certe. Lodovemmo sopprimere, perché ilveterinario disse che ormai soffri-va troppo. Tutti e tre i cani ci man-cano molto. Ora abbiamo Lana,una gattina fulva, austriaca, pre-tenziosa e un po’ prepotente. Non èla stessa cosa, ma si può vivereanche così.

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Renzo Bracco

La faccia nascosta della luna

SOCIETÀ

Il lettore non si allarmi; inquesto articolo non si parleràdi astronomia o di astrofisica,

ma di un fenomeno molto più vicinoa noi: l’irruzione nelle nostre vitedelle tecnologie digitali. Ci trovia-mo nel mezzo – o forse solo all’inizio- di un cambiamento epocale: il pas-saggio dall’Homo sapiens all’Homodigitalis. A differenza del passato,la nostra società sta cambiando aritmi inusitati, che spesso ci colgo-no impreparati. Il cambiamento, dasempre, fa parte della nostra vita;già nel V secolo a.C. Eraclito scrive-va: “Sulla terra non c’è niente dipermanente, eccetto il cambiamen-to, che è l’unica costante”.

CAMBIAMENTO E PROGRESSOSono due concetti strettamente

legati tra di loro: la corrente filoso-fica dell’Illuminismo – in primisVoltaire - intendeva il progressocome cambiamento indirizzato almiglioramento della condizioneumana. Ma nella storia è statoveramente così? Ci limiteremo adalcuni esempi, che provano come il

progresso abbia avuto anche risvol-ti negativi, di cui poco si conosce, osi tende a sottovalutare, se non adignorare. È la cosiddetta faccianascosta della luna.

Nel 3500 a.C. i Sumeri inventa-rono la ruota, che doveva servireper produrre vasellame e facilitarela filatura; in realtà fu subito usata,da Alessandro Magno per produrrecarri atti a trasportare il suo eserci-to, ed espandere il suo impero.Arguto l’aforisma di Sid Caesar:“Chi inventò la ruota non sapevache farsene, il vero genio fu chiinventò le altre tre”.

L’età del ferro permise di averenuovi utensili utili per la caccia,l’aratro per l’agricoltura, ma diven-nero presto pugnali per ammazzar-si meglio. Non occorre ripercorrerecosa ha prodotto la scissione del-l’atomo, oltre alla produzione dienergia.

Non potendo qui rivisitare tuttele grandi invenzioni della storia -con i loro risvolti positivi e negativi- ne citeremo solo una dei giorninostri: l’invenzione e la diffusione

dell’automobile, che ha cambiato ilmodus vivendi di buona parte dellapopolazione mondiale. C’è un datodi cui poco si parla, e viene di solitoliquidato in poche righe nelle pagi-ne interne dei giornali, se non total-mente ignorato: il numero di perso-ne che perdono la vita sulle stradedel mondo. Secondo un’indaginedell’ONU, pubblicata dalla ASAPS(Associazione Amici SostenitoriPolizia Stradale) sono 3.400 al gior-no, pari a 1.240.000 all’anno.

Numeri da guerra mondiale. Il lettore potrebbe chiedersi: allo-

ra, perché, a parte le campagne perla sicurezza stradale, ormai sconta-te, non se ne parla di più? Pochi losanno, ma la terza settimana dinovembre si celebra, patrocinatadall’ONU, la “Giornata mondiale inricordo delle vittime della strada”.

Obiettivo dichiarato: sensibiliz-zare le comunità ai rischi di un noncorretto stile di guida. Non è datosapere con quali risultati pratici,oltre a qualche sterile convegno sultema; i pirati della strada, i drogatidell’alta velocità, quanti ignorano

Parte prima

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gli effetti del tasso alcolico non lifrequentano. Si può azzardare unaipotesi su questi fatti: se ne parlapoco o nulla perché il giro d’affarigenerato dall’industria dell’auto-mobile, del petrolio, e del relativoindotto é tale da chiudere la bocca achiunque.

LA RIVOLUZIONE DIGITALEPrima di entrare nel merito,

sembra opportuno riassumere inpoche righe come e quando è natal’era digitale. I primi processori,utilizzati a scopi militari per ilPentagono, furono costruiti neglianni ’40, ed occupavano interestanze. La commercializzazione dimacchine simili iniziò nel ’51, mala vera diffusione avvenne solonegli anni ’70, e soprattutto neldecennio che seguì, con il lanciodel Personal Computer, destinato acambiare la storia dell’informati-ca. Fu l’ingresso nell’era digitale,definita anche “la terza rivoluzio-ne industriale”. La creazione diInternet, a partire dagli anni ’90,ha sancito il definitivo successomondiale di queste nuove tecnolo-gie, tuttora in continua e rapidissi-ma evoluzione.

Ma come viene accettato un talecambiamento epocale, ormai pene-trato in tutte le classi sociali, intutte le fasce di età?

I vantaggi sono sotto gli occhi ditutti, e ogni giorno ne nascono dinuovi. Oggi si possono fare coseche pochi anni fa si leggevano solonei libri di fantascienza. Mancasolo la trasmigrazione del corpoumano, meglio definita come“viaggio astrale”.

Oggigiorno gli utilizzatori diinformatica si possono dividere indue categorie: i “nativi digitali” egli “immigrati digitali”. I primiforse nemmeno capirebbero le con-siderazioni che seguono; essendocresciuti con un cellulare in mano;non sanno che i loro genitori pertelefonare a Roma dovevano pre-notare l’interurbana al centralinodella Sip, unico gestore, o per svi-luppare un rullino di foto a colori sidoveva mandarlo ad un laborato-rio della Kodak. A sentire questidiscorsi forse non chiamerebbero il118, ma certo avrebbero dei dubbisullo stato mentale dei genitori.

Veniamo alla seconda categoria,che racchiude le persone “di unacerta età”: bene o male, con proble-mi e sofferenze di vario tipo,

hanno dovuto “immigrare nel digi-tale”, ovvero aggiornarsi. Comedisse Sandro Pertini nel famosoproclama del 25 aprile ’45: “Non cisono alternative: arrendersi operire”. E si sono arresi. Ciò pre-messo, vediamo i principali van-taggi della faccia visibile dellaluna, la digitalizzazione, e le pro-blematiche della faccia nascosta,di cui poco o nulla si parla.

VANTAGGI E PROBLEMATICHESono sotto gli occhi di tutti.

Forse l’applicazione principe, usataormai quotidianamente, è la possi-bilità di trasmettere e riceveretesti e fotografie in tempo reale.Non occorre più andare in banca,in posta, al supermercato: con unosmartphone si può fare tutto oquasi, compreso il sesso virtuale.

Questo apparecchio – che in ori-gine si chiamava “il telefonino” - hasostituito la macchina fotografica,l’orologio, la sveglia, la calcolatrice,il block notes, la torcia, l’enciclope-dia, le cartine geografiche, le piantedelle città, e infine, per dirla conun’espressione desueta, “carta,penna e calamaio”.

Ormai siamo tutti sempre con-nessi – non si contano quanti chevanno a letto col cellulare – manon siamo più capaci di ascoltare,e di condividere le emozioni: e cosìcapita che spesso ci si sente soli, inun nuovo tipo di isolamento socia-le, che non si vuole ammettere,per “non sentirsi out”. Ecco allorache arrivano in soccorso Facebook– dove si parla di amicizia: maquale?! – WhatsApp, Twitter, Lin-kedin, Snapchat, Instagram,Tumblr e altri ancora...

Naturalmente alcune di questeconsiderazioni possono sembrareopinioni personali ed opinabili: edin parte lo sono. Ma vi sono situa-zioni dove gli effetti negativi delladigitalizzazione, o il cattivo usoche se ne fa, sono ben visibili equantificabili.

Ne anticipiamo alcuni: la ludopa-tìa, il bullismo, amplificato dalcyberbullismo, la pornografia,videogiochi con scene di violenzaestrema, il turpiloquio, la violazionedella privacy, i ricatti effettuati inrete, accesso da parte di minori asiti ed acquisti pericolosi. Ancheuna pratica apparentemente inno-cente come i selfie – quelli che unavolta si chiamavano autoscatti –provocano 240 morti all’anno tracoloro che vogliono osare l’impossi-bile. Si sta diffondendo la dipenden-za da smartphone, che ha sostituitoquella da televisione: sono frequentiormai i casi di giovani, e meno gio-vani, che passano sei ore al giorno,o più, collegati on line, compulsanocontinuamente il cellulare, assimi-labile ormai ad una sorta di escre-scenza del corpo umano; con unneologismo molto significativo,sono stati definiti “webeti”, ovverogli ebeti del web. Lo usano alla guidadell’auto, in bicicletta, sulle striscepedonali, sui marciapiedi, cammi-nando a capo chino, come tanti zom-bie. Sembra paradossale, ma in Cinasu alcuni marciapiedi di grandi cittàincominciano a comparire le pisteper utenti di cellulari, o segnali stra-dali per l’attraversamento dellastrada. Naturalmente la colpa diqueste problematiche non si può farricadere sull’automobile o sul cellu-lare, strumenti inanimati che dasoli non fanno del male a nessuno,anzi, sono il pilastro fondamentaledel progresso della nostra epoca.

Il male sta nel cattivo uso che sene fa, e del troppo poco che si fa percorreggere le devianze, che spessonon si vogliono vedere.

Nella seconda parte di questoarticolo, che sarà pubblicata sulprossimo numero della Rivista,torneremo a trattare questi temicon approfondimenti, relazioni ericerche scientifiche, fatti provatied inoppugnabili, per tentare dicapire dove stia scivolando lanostra società.

Da tecnologia a patologia?

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Gerardo Ambrosiano

“Gastone”Regia di Mario Bonnard (1960)

GRANDE SCHERMO

Interpretato da Alberto Sordi, Vittorio De Sica,Annamaria Ferrero e Paolo Stoppa

Diretto da Mario Bon-nard, “Gastone” è unfilm del 1960. La figura

di Gastone è un omaggio all’omo-nima commedia di Ettore Petroli-ni del quale il regista Bonnard ègrande amico.

In Italia negli anni Venti le sof-ferenze della prima guerra mon-diale sembrano lontanissime,soprattutto se e quando si ha lapossibilità di svagarsi in posticome il Tabarin.

E’ qui che Gastone, in arteGaston Le Beau, professione dan-seur mondain, accompagnato dal-l’inseparabile frac si esibisce bal-lando con estrema eleganza edintrattiene le danarose signoreche vi si recano.

Chiuso nella magnifica immagi-ne del “Bell’Adone”, ballerinosciupafemmine, elegante e sexy,Gastone, interpretato da AlbertoSordi, è in realtà un personaggio

frivolo e senz’arte, truffatore bennoto al commissariato di polizia eche non si cura di essere soltantodesiderato dalle ammiratrici, mavuole ben altro: il successo, quellagloria piena e mai raggiunta acausa della Prima guerra mondia-le. Sordi (Gastone) è circondatoda personaggi fatui e disonesti:principi in declino e strozzini,uno dei quali è un riccone inter-pretato da Paolo Stoppa che “tor-tura” un nobile decaduto e dallemani bucate interpretato da Vit-torio De Sica.

Il nobiluomo chiede continuiprestiti garantiti da cambiali e daterreni probabilmente già ipote-cati. Gastone coltiva le sue ambi-zioni quando alla sua scuola didanza improvvisata si iscrive unanuova allieva di nome Nannina.

Non si tratta solo di una giova-ne e bella ragazza impiegata comedomestica presso una nobilefamiglia, ma di un’ottima balleri-na ambiziosa e determinata. Conlei Gastone si illude di aver final-mente trovato una nuova vedettedel locale, una compagna di balloperfetta. Nannina in breve temposupera il maestro esibendosi neipiù celebri teatri nazionali edeuropei.

Gastone oscurato da Nanninasi rivela incapace di accorgersiche i gusti del pubblico sono cam-biati e che il mondo patinatotanto amato è sulla via del tra-monto.

Sordi (Gastone) ormai dimenti-cato, sfiduciato e senza un soldocerca un’ultima chance tornandoad esibirsi in un locale di secon-d’ordine insieme a Rosa La Tardo-

na (un tempo chiamata “Migno-nette”), una vecchia fiamma sem-pre devota. L’ultima esibizione diGastone si rivela un insuccessototale e sancisce l’uscita di scenadel ballerino.

Nel film di Bonnard è rintrac-ciabile una battuta coloniale sullaSomalia (colonia italiana dal1905 al 1941; in amministrazionefiduciaria dal 1950 al 1960).Gastone, intervenuto ad un tavoloda gioco punta 5.000 lire senzaesibirle materialmente. Rimpro-verato dagli astanti si lamentaper la scarsa fiducia che gli vieneaccordata sottolineando altresì lasua partecipazione alla GrandeGuerra.

Nonostante questi sacrifici lebanche non fanno credito “aireduci” se non dietro presentazio-ne di garanzie, si lamenta l’arti-sta incompreso, e aggiunge che lalealtà delle persone, dopo il bagnodi sangue della IV guerra d’indi-pendenza non è migliorata. Unodei giocatori reagisce alle affer-mazioni di Gastone circa l’inutili-tà dei sacrifici fatti per il Paese.Un altro giocatore (l’attore cheinterpreta il marchese Stucchinel “Vedovo”), furibondo, replicaoffeso e afferma di aver combat-tuto anche contro i Somali erivendica virtù militari colonialie correttezza.

Riferimenti bibliografici

Claudio G. Fava, Alberto Sordi - La biografia, la carriera artistica, i dati e le piùbelle foto di tutti i suoi film, Gremese Editore, Roma, 2003; in particolare “Gastone”, 1960, regia diMario Bonnard, p. 145 e seguenti.

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La produzione artistica ita-liana nel periodo cheintercorre tra le due guer-

re mondiali è di nuovo oggetto diinteresse per critica e pubblico.

Questo emerge da importantimostre inaugurate quasi in con-temporanea: “Margherita Sarfat-ti” al Museo del Novecento di Mila-no; “Il Novecento Italiano nelmondo” al Mart di Rovereto e laricca collezione Iannaccone espo-sta a Londra presso la EstorickCollection of Modern Italian Art.

È passato un secolo da quandoMargherita Grassini, nata a Vene-zia da famiglia ebrea e già sposa aCesare Sarfatti, si avvicina a Mila-no ai circoli socialisti e alle istanzeper il suffragio femminile di AnnaKuliscioff. Ma sono principalmen-te le gallerie d’arte ad attrarla, afarle scoprire nuovi talenti fino ariunire nel dicembre del 1922 ilgruppo dei “Sette pittori di Nove-cento” con Bucci, Dudreville, Funi,Malerba, Marussig, Oppi e Sironi.

A questi artisti era affidato ilcompito di ripercorrere gli idealidi classicità del Quattro e Cinque-cento, allontanandosi sia dagliesiti delle avanguardie sia da unasemplice rappresentazione dellarealtà. Arte che a livello europeoverrà definita come “Ritornoall’ordine” e le cui espressioni benstrutturate nelle forme e coloripossiamo ora ammirare al Museodel Novecento.

Intellettuale e giornalista, laSarfatti intrattiene relazionisociali con politici ed intellettualie, pur colpita dalla perdita in guer-ra del figlio Roberto, ha obbiettiviambiziosi ...

Vittoria Colpi

1920-1945: l’arte italianatra le due guerre

ARTE

Leonardo Dudreville, Partita di calcio (Il gioco), 1924, Museo del Novecento, Milano

Gino Severini, Portrait de Gina (Hommagea Fouquet) 1927, Collezione Franchina

Piero Marussig, Donne al caffe, 1924,Museo del Novecento, Milano

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Dopo la mostra alla Galleria Pesa-ro del 1923, il gruppo iniziale diartisti si allarga con Tosi, de Chirico,Medardo Rosso e Wildt e si presentacon successo come Novecento Ita-liano alla Permanente di Milano nel‘24 e nel ‘29. La Sarfatti riesce nonsolo a promuovere gli acquisti diopere da parte delle istituzioni pub-bliche, come il Comune di Milano, edei collezionisti, ma a fare conosce-re lo stile italiano in Europa e nelSud America.

Poi l’avvento di una vera e pro-pria arte nazionale fascista e delleleggi razziali del 1938 la costringe-ranno ad abbandonare l’Italia.

Proprio l’espansione culturaleitaliana del periodo verso l’esteroviene valorizzata al Mart di Rove-reto che nel passato ha acquisitodalle eredi l’intero Fondo Marghe-rita Sarfatti.

L’importanza del collezionismopubblico e privato, come sostegnoall’arte e come strumento di conser-vazione di opere e di creatività, èanche il leitmotiv della rassegna diLondra che espone ora al pubblicola raccolta di Giuseppe Iannaccone,riguardante il periodo 1920- '45.

La scelta di Iannaccone è cadutainvece su un’arte moderatamenteprogressista, fatta dai piccoli gruppiche in quel momento storico propo-nevano linguaggi più liberi rispettoalle regole ufficiali di Novecento oalle immagini formali del fascismo.Possiamo ammirare così in mostrale nature morte espressioniste diScipione e di Antonietta Raphael, laliricità dei paesaggi di Mafai, artistiattivi nella Scuola Romana o di ViaCavour; la pittura intimista dei Seidi Torino, allievi di Casorati cheespongono a Roma nel 1931 in pole-mica con la Quadriennale romana;l'opera visionaria e logo della rasse-gna londinese, I tre poeti, 1935, diRenato Birolli, esponente del grup-po Corrente con Migneco, Sassu,Treccani e Vedova, in aperta reazio-ne alla cultura fascista. Con l’even-to di Londra si completa quel pano-rama di storia dell’arte italiana trale due guerre, pur contrastato, mache ancora oggi riesce ad affasci-nare per quel clima talora magico,talora aulico, ma sempre sorrettoda grandi capacità espressive.

Margherita Sarfatti allo scrittorio, 1930 ca, Archivio Mart

Renato Birolli, I tre poeti, 1935, Collezione Iannaccone

Scipione, Natura morta con piuma, 1929, Collezione IannacconeErnesto Treccani, Autoritratto, 1940 ca.,Collezione Iannaccone

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PANEQUOTIDIANO

NEWS

Dal 1898diamo loro il pane quotidiano

“Fratello ... qui nessunoti domanderà chi sei, nè perché hai bisogno,

nè quali sono le tue opinioni”

ONLUS

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Iniziative e collaborazioni…

Una mostra per i 120 anni di Pane QuotidianoGrazie all’idea, alla creatività e all’organizzazione dei signori Alessandro Guerriero e Alessandra Zucchidell’associazione culturale Tam-Tam, il Pane Quotidiano sarà protagonista di una mostra organizzataalla Triennale di Milano.

La mostra “Buoni come il pane” sarà allestita dal 5 dicembre 2018 fino al 13 gennaio 2019.In mostra sarà presentato il pane nel suo grande valore simbolico affidato all’interpretazione di una plu-ralità di artisti, designer, chef, scrittori e di un grande fotografo.

Il 4 dicembre è in programma una cena di gala finalizzata a una raccolta fondi a favore della nostraAssociazione durante la quale verranno assegnate, con una lotteria, delle sculture autografate dagliautori.

Tam-Tam è un’associazione culturale nata nel 2012 daun’idea di Alessandro Guerriero, Alessandro Mendini,Riccardo Dalisi e Giacomo Ghidelli.Con le sue iniziative Tam-Tam vuole condividere un nuovomodo di pensare al “design del mondo”.Perché oggi ci muoviamo in un mondo fatto di frammenti,di disuguaglianze sempre più profonde, di richieste di aiutoche nella maggior parte dei casi restano insoddisfatte.Perché oggi il mondo ha sempre più bisogno di essere ridi-segnato da progetti che pongano l’uomo e le sue esigenze relazionali al centro dell’attenzione.Ed è per questo che nei progetti di Tam-Tam, un passo fondamentale del cammino lo si compie solleci-tando ed accogliendo i contributi delle culture eccentriche rispetto al mondo del design: anche il designha bisogno di essere ridisegnato.

Ai gentili lettoriPer ricevere informazioni sulle nostre iniziative e sulle attività che svolgiamo, vichiediamo di comunicarci il vostro indirizzo e-mail a: [email protected]

NEWS

PANE QUOTIDIANO NEWS

Si ringraziano tutte le persone e le aziende che durante l’anno inviano bonifici bancari. Spesso siamoimpossibilitati, viste le leggi sulla privacy, a reperire gli indirizzi. Chi volesse chiedere la ricevuta fiscalepuò telefonare in segreteria. GRAZIE!

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PANE QUOTIDIANO NEWS

I nostri anziani ospiti al Pane Quotidiano

Già dalle prime ore dell’alba davanti ai nostri cancelli arrivano i primi ospiti anziani in attesa dell’ini-zio della distribuzione delle ore 9,00. Sono spesso persone sole che nell’attesa trovano un momento di socializzazione. Noi volontari conosciamo i loro volti e un po’ delle loro storie e siamo felici di ritrovarli ogni giorno.Oltre a prendere il cibo per i loro bisogni, sono sempre felici di portare un aiuto anche ai loro cari. Per loro, spesso pensionati, è difficile riuscire a sbarcare il lunario. Eppure, nessuno di loro, pur nellapovertà, perde la propria dignità.

Il sabato mattina è festa al Pane Quotidiano,il cortile si affolla di bambini di tante diver-se culture, delle loro risate e dei loro schia-mazzi. Chiuse le scuole, chiuse le mense, i bimbiaccompagnano i loro genitori a prendere ilcibo ma non solo. Nel periodo natalizio, infatti, tanti giocattoli,generosamente donati dai milanesi, vengo-no loro distribuiti dai volontari.Che bello lo sguardo di gioia di un bimboquando gli viene offerto anche il più piccolodono!

I nostri piccoli ospiti durante il periodo natalizio

Abbiamo sempre bisogno del vostro aiuto!Vi ricordiamo il conto corrente per i fondi destinati alla ristrutturazione della sede:c/c n. 12161220 Banca Popolare EticaCodice IBAN: IT97Z0501801600000012161220 - Codice BIC: CCRTIT2T

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A Milano la povertà è ancora oggi molto diffusa. PaneQuotidiano Onlus, nelle sue sedi di Viale Toscana e Viale Monza,distribuisce ogni anno pane e generi alimentari a circa 800.000persone che non hanno di che mangiare. Devolvi il 5x1000a Pane Quotidiano, con la tua firma e il nostro codice fiscale:

80144330158.Pane

QuotidianoA fianco di chi ha bisogno

Associazione senza scopo di lucro

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Un connubio di arte escienza alla GAMEC diBergamo per la mostra

“Black Hole, Arte e matericità trainforme e invisibile”. È l'inizio diun percorso ideato dai curatori,Lorenzo Giusti e Sara Fumagalli,sulla materia e sulle nuove teoriescientifiche ad essa inerenti, non-ché sul modo in cui gli artistihanno interpretato questo temadall’inizio del Novecento ai giorninostri. Le prime sale di questa ras-segna sono dedicate agli artistidell’Informale, a coloro cioè chehanno depurato la materia da qua-lunque forma, anche astratta,accumulando strati di colore comefa Jean Fautrier verso la metà delNovecento, o hanno colto l’internodinamismo della forma attraversola gestualità, con improvvise pen-nellate di colore.

Altri artisti hanno sperimenta-to la materia: Burri con i Crettidove le superfici di materiali variessiccandosi si aprono a nuove edaffascinanti realtà, o Fontana peril quale la lacerazione della mate-ria ha il significato di aprirsi allospazio, o ancora Christo con l’ope-ra giovanile Surface d’empaqueta-ge, 1960, in cui versa dello smaltosu materiali diversi accartocciati everifica la contrazione dello spa-zio, quindi la tensione tra pieno evuoto.

La seconda parte della mostraaffronta la realtà materiale delcorpo umano, con fattezze di voltie membra estrapolati dalla mate-ria, secondo l'esempio del “nonfinito” tramandato da Michelange-lo. Così si esprimono in sculturaAuguste Rodin e già nei primi del

Novecento Medardo Rosso; cosìGiacometti nelle sue figure umaneche vivono della materia, fino aivolti monolitici in bronzo delloscultore svizzero Hans Jose-phsohn.

Si giunge quindi al cuore del-l’esposizione, agli aspetti invisibilidella materia, preclusi ai nostriocchi ma studiati dalla scienza.Già negli anni Cinquanta il Movi-mento nucleare con Baj, Sergio

Angelo Rho

ARTE

Dalla materia allo spazio cosmicoAlla GAMEC di Bergamo

Domnitch & Gelfand, installazione, 2017-2018, Courtesy gli artisti

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Dangelo e Joe Colombo, cerca dirielaborare in pittura le suggestio-ni della bomba atomica. Più vicinia noi le performances di HichamBerrada che invitano lo spettatorea fare esperienza dell’energia chescaturisce dalla materia. Poi entrain gioco la scienza con le esplora-zioni sia del mondo subatomicocondotte a livelli infinitesimali, sia

con lo studio dei buchi neri nellospazio infinito. Si fa infatti l'ipotesiche quando una stella si esaurisce,collassa e la sua materia si auto-penetra fino a scomparire oppurea trasformarsi in un punto, oatomo, prima di cominciare a rie-spandersi.

E il culmine della mostra è infat-ti la rappresentazione che l’india-

no Anish Kapoor fa del buco neronell'opera The Earth, 1991. Si trat-ta di una sfera di circa un metro didiametro inserita in una parete.

Il pigmento nero finissimo checopre tutto l'interno della sferaevoca la sensazione del vuoto.

Sempre più coinvolgente l’instal-lazione con rayogrammi degli arti-sti Evelina Domnitch & Dmitry Gel-fand che mutua il titolo da un’equa-zione scientifica: “ER=EPR”, 2017-2018. L’opera mostra, con unmodello da laboratorio e con proie-zioni di fasci di luce sul soffitto, duebuchi neri che procedono in traiet-torie lineari fino a collassare scon-trandosi.

“L'osservazione dei buchi neri -sostiene Lorenzo Giusti in un sag-gio che accompagna il catalogo - hacondizionato enormemente lavisione degli artisti, affascinatidalla possibilità di puntare losguardo sull’ignoto. Sulla massimapresenza e allo stesso tempo sullamassima assenza di materia. Sullaparte visibile del mondo invisibilein cui viviamo”.

E questa è solo una tappa di uncammino avvincente verso laconoscenza.

Baj, Forme nucleari, 1951, Archivio Baj, Vergiate

Fontana, Concetto spaziale, Natura, 1959-'60, Fondazione Lucio Fontana

Hans Josephsohn, Untitled, 1991, 2004, 2003, Courtesy Jose-phsohn Estate, San Gallo

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L’Arca dell’Alleanza, secon-do la Bibbia, era una cassadi legno di acacia rivestita

d’oro all’interno e all’esterno, diforma parallelepipeda, con uncoperchio d’oro puro sul qualeerano sovrapposte due statue dicherubini anch’esse d’oro, con leali spiegate. Fu richiesta da Dio aMosè. Le dimensioni erano di duecubiti e mezzo di lunghezza, uncubito e mezzo di larghezza e altez-za, ovvero circa 110×60×60 cm.

I lati dell’Arca, erano fissati conquattro anelli d’oro e due stanghedi legno dorato, con le quali l’Arcaveniva sollevata quando la si tra-sportava. All’interno della cassaerano conservati un vaso d’orocontenente la manna, la verga diAronne che era fiorita e le Tavoledella Legge. La storia ricordaanche, che al momento dell’inaugu-razione del Tempio di Salomonenon conteneva altro che le Tavoledella legge.

Il compito di trasportare l’Arcaera riservato ai leviti, uomini inca-ricati anche di sorvegliarla ogniistante, a chiunque altro era vieta-to toccarla. Considerata una sortadi filo conduttore con Dio, moltopericolosa, tanto da disintegrare ebruciare ogni oggetto o forma divita che incautamente gli si avvici-nasse. Quando Davide fece traspor-tare l’Arca a Gerusalemme, duran-te il viaggio un uomo di nome Uzzàvi si appoggiò per sostenerla, macadde morto sul posto bruciato.

Ai giorni nostri, potrebbe essereconsiderata come una grande pila,come una enorme fonte di energiaelettrica, è come se con le mani ciattaccassimo ai fili scoperti della

corrente oltre la 220v. La scossasarebbe violentissima, lo stessoavrebbe generato anche l’Arca, macon forse più di 1000 volt, sarebberiuscita a provocare una scossacosì potente da riuscire a uccideree polverizzato ogni cosa.

Secondo la tradizione l’Arcaveniva trasportata coperta da untelo di pelle di foca coperto da unulteriore telo di stoffa turchino e,quando il popolo ebraico si ferma-va, veniva posta in una tenda spe-cifica, definita “Tenda del Signore”o “Tenda del convegno” senza chevenisse mai esposta al pubblico, senon in casi eccezionali.

Inoltre la leggenda vuole chel’Arca, in alcune situazioni, si ador-nasse di un alone di luce e che daessa scaturissero dei lampi di lucedivini, delle folgori, capaci di ince-nerire chiunque ne fosse colpito enel caso non avesse rispettato ildivieto di avvicinarvisi; infine, tra-mite l’Arca, Mosè era in gradoaddirittura di parlare con Dio checompariva seduto su un trono fra idue cherubini che ornavano il

coperchio e che rappresentanol’angelo Metatron e l’angelo San-dalfon.

Visto, anche da un altro punto divista era usata anche come unasorta di telefono con la videochia-mata, oggi giorno l’avremmo vistacosì. Ma ovviamente non possiamodenigrare il punto di vista esoteri-co filosofico spirituale con similitu-dini legate alla nostra tecnologia.

L’Arca è, e resterà, per semprel’Arca dell’Alleanza. Qualcosa dimagico ed inspiegabile, qualcosache va oltre la cognizione umana edil pensiero di ogni uomo, un impor-tanza che è racchiusa e continua adormire protetta e ben custoditanei nostri cuori, alimentati conti-nuamente da miti e leggende di unmondo nascosto sepolto che nonesiste più, ma che un domani a noiprossimo si rifarà sicuramente vivotogliendo ogni dubbio ed alimentan-do solo certezze e sicurezze.

Aspettiamo tutti insieme l’Arca,e che ci illumini e ci indirizzi pernon abbandonare mai i nostri miti ele nostre leggende.

Daniele Cicolari

L’Arca dell’Alleanza

CULTO & CULTURE

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Il 15° secolo si concluse conla scoperta dell’America daparte di Cristoforo Colombo.

Normalmente con tale data siritiene terminata l’“età di mezzo”ed in fase di avvio quella “moder-na”.

Come considerare l’incontro/scon -tro tra gli europei “civilizzati” e gliaborigeni del Nuovo Continente?

I primi indubbiamente rappre-sentavano, nell’ottica dello studioche stiamo portando avanti, quelprogresso di arti, scienza e tecnicache ancora oggi domina a livelloplanetario.

I secondi non appartenevano adun'unica etnìa, ma ad una pluralitàdi popoli contraddistinti da livelliculturali assai differenti da area adarea. Molti di loro (Maya, Incas,Aztechi) avevano raggiunto impor-tanti conoscenze in determinatisettori, come l’astronomia e lamatematica). Ma nel complesso illoro sapere era ben inferiorerispetto a quello dell’uomo europeoe, soprattutto, la loro tecnica nonaveva raggiunto i livelli di quellasviluppata nel Vecchio Continente.

La riprova della fondatezza diqueste osservazioni si ebbe nel tra-gico esito dello scontro tra “conqui-stadores” e “cow-boys” da unaparte e nativi americani dall’altra:i primi vinsero su tutta la linea, isecondi furono sterminati e le lorociviltà spazzate via.

Il cammino del progresso in que-sto caso non fu certamente indolo-re e gli sconfitti possiamo immagi-narli come i suoi oppositori.

Indipendentemente dalle vi -cende belliche, vi è da dire che inativi americani avevano ovun-

que dato vita a società di tiposacrali, mentre l’uomo europeoera già sulla via della desacraliz-zazione e stava sviluppandomodelli sociali sempre più basatisulla ragione e sulla fede nel pro-gresso tecnico-scientifico.

Questa era la realtà così comenoi possiamo percepirla oggi.All’epoca, dai primi viaggi di Ame-rigo Vespucci in avanti, gli esplora-tori del Nuovo Mondo e gli intellet-tuali giudicarono invece gli abori-geni come “uomini di natura”, prividi Dio e di fede nel soprannaturale.Il fraintendimento, per dirimere ilquale fu necessaria nei secoli suc-cessivi l’opera di esimi antropologi,condusse, come è ben noto, allaconquista forzata delle terre deinativi e al tentativo anche di con-quistarne le anime, attività que-st’ultima demandata ai missionarid’ogni congregazione, dai gesuiti aifrancescani.

Il cammino del progresso richie-de che dai pantheon delle tantedivinità si passi al monoteismo, epoi che il solo Dio rimasto al centrodi ogni culto venga sostituito dauna “causa prima”, da un “motoreimmobile”, da un “grande architet-to”, fin quando anche queste entitàscompaiono per lasciare la supre-mazia alla sola ragione umana.

Per inciso, una delle poche vociche si elevarono contro l’opera diconquista e sottomissione dellepopolazioni del Nuovo Mondo fuquella di Giordano Bruno, che nel1584 scrisse:

«Gli Tifi (i novelli argonauti,n.d.a.) han ritrovato il modo di per-turbar la pace altrui, violar i patriigenii de le reggioni, di confondere

quel che la provida natura distinse,per il commerzio radoppiar i diffet-ti e gionger vizii a vizii de l’una el’altra generazione, con violenzapropagar nove follie e piantarl’inaudite pazzie ove non sono, con-chiudendosi al fin più saggio quelche è più forte …» (G. Bruno, LaCena delle Ceneri, in Opere Italia-ne, Novara, De Agostini Libri,2013, p. 452)

Significativo è il fatto che questarara voce dissonante sia poi statatacitata nel rogo di Campo de’Fiori.

Fino a metà del ‘700 ben pochealtre voci si levarono a difesa degliaborigeni, sprezzantemente defini-ti selvaggi, barbari, incivili.

Poi il ginevrino Jean JacquesRousseau osò condannare il pro-gresso e l’avvento della ragione innome del cosiddetto “mito del buonselvaggio”. In realtà egli prese inconsiderazione tutta l’evoluzionedell’uomo, dall’uscita dallo “statodi natura” alle sue successive sem-bianze e capacità intellettuali. Edescrisse ogni passaggio per quelloche fu, e cioè un continuo peggiora-mento man mano che dall’”uomonaturale” ci si incamminò versol’“uomo artificiale”.

Queste considerazioni furonoespresse in due celebri Discorsi, ilprimo del 1749, il secondo del1754, scritti in risposta ad altret-tanti quesiti posti dall’Accademiadi Digione.

Nel secondo, in particolare, lacritica all’avvento della ragione eai danni da essa causati è condottain modo assai puntuale, sino adaffermare che:

«… la maggior parte dei nostri

Bruno Sebastiani

Il cammino del progresso e i suoi oppositori

CULTO & CULTURE

La scoperta del Nuovo Mondo e il mito del buon selvaggioParte terza

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mali sono opera nostra, e … liavremmo evitati quasi tutti con-servando la maniera di vivere sem-plice, uniforme e solitaria che ciera prescritta dalla natura.»

«Se essa ci ha destinati a esseresani, oserei quasi assicurare che lostato di riflessione è uno stato con-tro natura, e che l’uomo che medi-ta è un animale depravato.» (J.J:Rousseau, Discorsi, Milano, BUR,terza edizione, luglio 2015, p. 102).

Anche in altre opere Rousseauribadisce il suo biasimo nei con-fronti della ragione umana. L’“Emi-lio o dell’educazione”, del 1762, siapre con questa frase:

«Tutto è bene quando esce dallemani dell’Autore delle cose, tuttodegenera fra le mani dell’uomo.Egli (l’uomo, n.d.a.) sforza un ter-reno a nutrire i prodotti di unaltro, un albero a portare i frutti diun altro; mescola e confonde iclimi, gli elementi, le stagioni;mutila il suo cane, il suo cavallo, ilsuo schiavo; sconvolge tutto, sfigu-ra tutto, ama la deformità, i mostri;non vuol nulla come l’ha fatto lanatura, nemmeno l’uomo …» (J.J.Rousseau, Emilio, Bari, EditoriLaterza, 2016, p. 51)

Dunque il nome di Rousseau puòessere inserito nella schiera dicoloro che si opposero al camminodel progresso?

In realtà la vasta opera del pen-satore ginevrino non è univoca aquesto proposito.

Rousseau, infatti, dopo averaffrontato nei suoi primi scrittil’argomento di maggior peso (l’in-fausto allontanamento dell’uomoprimitivo dallo stato di natura), hapoi concentrato la sua attenzionesu argomenti meno rilevanti, qualiun romanzo epistolare di intona-zione amorosa (“Giulia o la nuovaEloisa”), un saggio sulle normeche devono regolare la società (“IlContratto Sociale”) e un altro sul-l’educazione (“Emilio, o dell’edu-cazione”, per citare le opere piùfamose).

In nessuna di esse egli proseguìe approfondì la trattazione dell’ar-gomento da cui prese avvio la suaattività speculativa, e cioè la con-statazione che l’essere umanoallontanandosi dallo stato di natu-ra andò via via peggiorando la pro-pria condizione.

Qua e là in ognuna di questeopere troviamo accenni a tale con-statazione (ho già ricordato la

frase con cui si apre l’“Emilio”), maquasi come accenni marginalirispetto ai nuovi contenuti che svi-luppa, nei quali accade anche ditrovare concetti che contraddico-no la ferrea critica condotta nei“Discorsi”.

Sempre in “Emilio” ad esempiotroviamo frasi come queste:

«Il capolavoro di una buona edu-cazione è di fare un uomo ragione-vole…» (J.J: Rousseau, Emilio, cit.p. 100)

«Nobiltà del lavoro produttivo»(ibidem, p. 162, titolo del paragra-fo 9 del capitolo terzo)

«… l’agricoltura è il primomestiere dell’uomo: è il più onesto,il più utile, e di conseguenza il piùnobile che egli possa esercitare.»(ibidem, p. 165)

«L’uomo è il re della terra cheabita … ciò suscita un sentimentodi riconoscenza e di benedizioneper l’autore della mia specie …»(ibidem, p. 198)

Ma come? Non è stato il conse-guimento dello stato di essereragionevole a corrompere lanostra condizione primigenia difelice innocenza?

Non è stata l’agricoltura a indur-re l’essere umano a fare violenzaalla natura?

L’autore delle specie non avevarealizzato un mondo in cui tutti gliesseri viventi coabitassero inarmonia, sin quando ci siamo arro-gati arbitrariamente il titolo di redella terra?

È vero che, giunti al punto in cuiil progresso ci ha condotti, dobbia-mo fare buon viso a cattivo gioco,ma sinceramente i toni usati daRousseau appaiono qui più di con-

divisione che di rassegnata accet-tazione dei danni provocati dalprogresso medesimo.

Più sopra ho scritto che l’operaspeculativa di Rousseau preseavvio dalla constatazione che l’es-sere umano allontanandosi dallostato di natura andò peggiorandola propria condizione.

Ecco, nonostante gli egregi epuntuali approfondimenti conte-nuti nel secondo “Discorso” su taleargomento, il vizio originario delpensiero di Rousseau è stato diriferire sempre e comunque l’utilee il danno (il bene e il male, il posi-tivo e il negativo) alla condizioneumana, non a quella della naturatutta.

Egli cioè non ha osservato larealtà da un punto di vista geocen-trico: è sempre rimasto un inguari-bile antropocentrico, e lo ha dimo-strato dedicando la sua opera piùtarda a dimensioni e attività squi-sitamente umane, accantonandocolpevolmente i problemi maggioriaffrontati nelle prime opere.

Se io appuro che il mio intellettoanziché essere orientato al bene ditutti gli esseri viventi (compresiquelli della mia specie) è volto allaloro perdizione, come posso poidedicare la mia attenzione ad altrequestioni, di importanza incom-mensurabilmente minore?

Ma al di là di queste incongruen-ze rimane a Rousseau il grandemerito di aver attirato l’attenzionedei suoi contemporanei e dei poste-ri sulla condizione dell’“uomo dinatura”, il quale, ancora immunedalla malattia del progresso, vive-va in armonia con la biosfera in cuiera immerso.

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Quando ancora non si par-lava di Yoga in Italia, CarloPatrian lo praticava già da

tempo, e per conto proprio.Negli anni ‘50 era probabilmen-

te l’unico yogi di Milano, ma avevagià le idee chiare su come sarebbe-ro evoluti i tempi e come questadisciplina orientale avrebbe attec-chito anche qui da noi.

Abbiamo conosciuto CarloPatrian nel 1965 frequentando ilsuo Istituto Yoga che, allora, era inVia Lusardi, una trasversale diCorso Italia. Ed in quel luogo un po’misterioso, dalle luci soffuse, pro-fumato di sandalo, il maestro scen-deva in sala yoga da una scaletta dilegno che lo collegava con il suostudio al piano superiore. Era sem-pre una apparizione molto sugge-stiva, sottolineata da sottofon-di musicali indiani ma diffusiin stereofonia. Perché il mae-stro Patrian ha sempre saputoabbinare la classicità delloYoga con le più moderne tecni-che di informazione e con lestrumentazioni più avanzate.

Prima di passare alledomande, vorremmo sintetiz-zare qui di seguito una brevebiografia che lui stesso ci avevatracciata parecchi anni fa, nelcorso di una precedente inter-vista.

Sentiamo direttamente dallesue dichiarazioni di allora cosaci racconta di sé stesso e dellasua iniziazione allo Yoga.

“Personalmente mi occupodi Yoga psicosomatico e spiri-tuale, oltre che di altre brancheesoteriche, dal 1945-50; sin daallora sono in contatto con

scuole indiane. Nel 1949 ho scrittoun libro sull’ipnotismo indù. Nel1945 ho fondato un Centro Yoga aMilano. E nel 1958 è stato pubbli-cato un mio manuale di HathaYoga. La stampa ha parlato dellemie iniziative fin da quando lo Yogaera ancora “tabù”. In quel periodoavevo ancora altre attività e midedicavo al Centro solo nelle oreserali (allora facevo il giornalista,il venditore d’auto, l’aiuto registaed altre cose ancora). Nel 1965 hofondato l’istituto Yoga, una scuolapersonale, dedicandomi completa-mente a questa attività e dimetten-domi dal Centro Yoga che conduce-vo insieme ad altri.

È stata una saggia decisione per-ché non ho più avuto problemi dicontrasti nell’insegnamento, dal

momento che ogni maestro ha, ovuole avere, le sue personali vedu-te in materia.

Nel giro di pochi anni ho avuto ilmio Istituto, regolarmente iscrittoalla Camera di Commercio con ledebite autorizzazioni comunali evarie, ha fatto largamente parlaredi sé stampa e televisione; è diven-tato noto in tutta Europa ed anchein India, perché qui da me hannotenuto conferenze e dimostrazionivari maestri indiani oltre che euro-pei. Ho ospitato Swami Subramu-niya con 30 fra discepoli e monacidella Himalayan Academy di Virgi-nia City, Nevada; ho ospitato riu-nioni guidate da Swami dell’OrdineYoga di Paramhansha Yogananda;e ne febbraio 1969 ho avuto da meSwami Chidananda, presidente

della Divine Life Society diRishikesh e della Leper Welfa-re Ass. of India, successore diSwami Sivananda.

Ho avuto qui tanti altrigrandi dello Yoga contempora-neo, da Satchidananda a Ven-katesananda, da Van Lysebetha Piero Scanziani. E con i mieiallievi abbiamo fatto vari viag-gi in India, alla scoperta dialtri maestri ed alla conoscen-za degli Ashram”.

D- Vuole fare qualche preci-sazione o aggiunta alla brevebiografia riportata?

R- No, mi sembra che tuttocorrisponda a quanto avevodetto a suo tempo. Ed il passa-to non lo si può cambiare.

D- Che differenza c’è tra lo

Rodolfo Signifredi

Carlo Patrian e il suo Istituto Yoga

CULTO & CULTURE

Intervista-ricordo a uno dei pionieri dello yoga in Italiascomparso nel 2008

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Yoga che si praticava venti annifa e quello che lei insegna attual-mente?

R- Solo qualche miglioramentod’impostazione e l’uso di audiovisi-vi. Ma lo Yoga è sempre lo stesso,proprio perché mi baso sulle asanaclassiche, limitando al massimo gliesercizi e le tecniche preparatorie.

D- Molti dei suoi allievi sonodiventati insegnanti; questo le fapiacere?

R- Si, indubbiamente. Tanto piùche sono molti di loro a chiedermidi prepararli all’insegnamento. Hodovuto istituire corsi annuali perla formazione di insegnanti Yogadate le richieste da parte di istrut-tori Isef o titolari di palestre delnord e centro Italia.

D- Ritiene che lo Yoga sia semprein espansione? E questo avvienenella direzione giusta?

R- Dipende dalla formazionedegli insegnanti e dal loro orienta-mento spirituale. La diffusione delTantrismo in mani sbagliate piòessere dannoso.

D- Con quale spirito vengono alloYoga gli allievi di oggi?

R- Per l’80 o il 90% vengono perl’equilibrio psicofisico e vedono loYoga come antidoto allo stress;mentre un 10 o 20% è interessatoai veri scopi dello Yoga.

D- Quali sono, nell’ordine, idisturbi che spingono più frequen-temente allo Yoga?

R- Premetto che il 62% dei mieiallievi è costituito da donne. Neltotale, il 60% segue lo Yoga psico-fisico per vincere l’emotivitàeccessiva, l’ansia, la nevrosi,mentre il 12% lo fa per la salutein genere e l’efficienza personale,l’11% per la linea, il 4% per leforme reumatiche, il 3% per rie-ducazione respiratoria e performe d’asma, il 10% per il perfe-zionamento spirituale; il 7-10% civiene indirizzato da medici e psi-cologi per integrare cure incorso.

D- Come sono i rapporti tra Yogae medicina?

R- Ho promosso molti incontricon medici ed ho organizzato con-ferenze sull’argomento. All’iniziole richieste che facevamo allamedicina in relazione allo Yogaerano appoggiate da pochi medici.Successivamente furono inveceparecchi i laureati in medicina chesi sono dedicati allo Yoga per moti-vi personali; ed a loro non è statodifficile constatare quali fossero inrealtà i buoni rapporti che dovreb-bero esistere tra Yoga e medicina.

D- Come abbiamo già sentito, lasua scuola è dotata elle strumenta-zioni audiovisive più moderne. Aparte questo, lei è più orientatoverso uno Yoga scientifico o versouno Yoga classico e tradizionale?

R- Verso entrambi. Passato efuturo portano avanti il presente.

D- Chi è o chi sono i suoi “mae-stri”? Cioè, a quale scuola di Yoga siispira maggiormente?

R- I miei Maestri sono tutti colo-ro che hanno tenuto lezioni o semi-nari nel mio Istituto. Stimo moltoquelli di Sivanandashram. Maanche yogi isolati come SharmaYogi di Khajuraho, il quale ha pra-ticato con i grandi Yogi che vivononella Foresta dell’India Centrale.

D- Lei è noto anche per essereuno studioso di Nostradamus; puòdirci se nelle previsioni del grandefuturologo provenzale c’era anchequesta diffusione della spiritualitàorientale in occidente?

R- Nostradamus è un personag-gio affascinante, dotato di siddhi eforse illuminato; la previsionedella diffusione della spiritualitàorientale in occidente non l’ho tro-vata, ma dovrei analizzare megliole sue quartine. C’è invece l’indica-zione che un grande Maestro dellascuola ermetica occidentale si tra-sferirà in Oriente, come hannofatto altri. Le sue profezie sonosempre drammatiche e riguarda-no anche future “guerre stellari”,quando quando apparirà unacometa. Auguriamoci che non sitratti della cometa di Halley, (giàpassata quando appariranno que-ste risposte) ma sia relativa aifuturi passaggi (che avvengonoogni 76 anni, per l’esattezza astro-nomica). Nostradamus è tutto un

affresco da Kali Yoga. I riferimentiad un’Era Acquariana sono pochi enebulosi.

D- Lei è stato il promotore efondatore della Federazione Ita-liana Yoga; poi se ne è dissociato.Al di là di ogni polemica, può dircise è stato solo per dissensi sull’in-dirizzo impresso a questo organi-smo o per avere maggior tempoda dedicare a sé stesso ed al suo“sadhana”?

R- L’andamento di una Federa-zione è sempre molto difficile. Ognitesta ha una sua veduta (o un suodharsana). Se non vi sono elemen-ti di spiritualità, fratellanza e com-prensione molto forti, le complica-zioni sono inevitabili. Per questepremesse e per il poco tempodisponibile per il mio Istituto ed ilmio sadhana, mi sono isolato.

D- Siamo già nel Kali Yoga oappena all’inizio? E quali vantaggipossono avere i praticanti di Yogain confronto degli altri?

R- È difficile dirlo. Certo, chi pra-tica lo Yoga fisico e spirituale puòaffrontare meglio il mondo d’oggi,pieno di materialismo e di vibrazio-ni negative.

D- Quali sono i pericoli di degra-dazione che corre lo Yoga così mas-sicciamente diffuso anche da mae-stri spesso improvvisati o senzauna vera vocazione yogica?

R- Penso che i maestri più sca-denti non dureranno e lo Yogaverrà condotto avanti da migliori.La degradazione è anche in funzio-ne della richiesta. Lo Yoga autenti-co, spirituale, interessa una cer-chia ristretta di individui karmica-mente maturi.

A questo punto il MaestroPatrian deve lasciarci perché staper giungere l’ennesimo Swamidall’India e bisogna dedicargli deltempo per le traduzioni, gli incon-tri, la sistemazione, le visite allacittà. Sia che si tratti di una stardello Yoga che di uno sconosciutomeditante himalayano, CarloPatrian è sempre a sua completadisposizione.

È anche per questo che, da oltre30 anni, la via dell’India passaancora dal suo Istituto.

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Malta vive quest’anno, emeritatamente, grandieventi, il primo e più

noto è quello di rappresentarecolla sua capitale La Valletta, laCapitale Europea della Culturaper il 2018, un privilegio che nel2019 toccherà alla nostra Matera.Un evento al quale la città s’è pre-parata per tempo, o per megliodire, si sta preparando da tempo,essendo dei lavori di manutenzio-ne e/o trasformazione non ancoraterminati, mentre l’anno dellecelebrazioni volge al termine.Cose del genere accadono, lo sap-piamo bene anche noi che siamoavvezzi ad un’interminabile seriedi... “incompiute”.

A tali incidenti di percorso che,tutto sommato, possono essereconsiderati marginali – “finita lafesta, gabbatu lu santu” recita unantico adagio popolare – se neassommano solitamente alcunisostanziali e ciò sempre accadequando la politica si fa promotriced’attività che non sono nel suoDNA. Ma per gl’Italiani, gente cheuna raziocinante mutazione gene-tica (che potremmo definire “evo-luzione della specie 2.0”) ha resodalle spalle larghe, per supportarela ciclopica mole del debito pubbli-co, centinaia di milioni di euri inpiù od in meno la vita cambiapoco, abituati come siamo a mette-re mano al portafogli.

LA VALLETTAA La Valletta, invece, il proble-

ma è un altro ed è l’“obbrobrio”realizzato da un noto architetto –dichiarazioni da me raccolte fraNovembre 2017 e Gennaio 2018 da

gente del posto, sgomenta e quasioltraggiata, di fronte al “solido”lavoro portato a termine, questosi, all’entrata della capitale, che,ahimè, non si può ignorare tantoincombente è l’intera strutturasui pedoni che entrano a La Vallet-ta dalla porta di Floriana, ovveroda Triton Square o, come diconolaggiù, da Il-Qawma Tat-Tritoni.

Si tratta della sede del nuovoParlamento Maltese che non solo èbrutta da un punto di vista esteti-co, tanto che farla più attraentenon sarebbe stata impresa proibi-tiva, ma, ancora più grave, è che larealizzazione non si lega coll’am-biente circostante. È il classicopugno in un occhio o così, almeno,lo percepiscono i Maltesi che rim-piangono l’armonia precedente.Occorre considerare che La Vallet-ta è la città barocca per eccellenzae la collocazione alla sua entratada terra d’una struttura modernaed esageratamente dissimile dalresto ha squilibrato inesorabil-mente l’armonia dell’insieme.

La costruzione risulta ostenta-tamente in primo piano, nulla lanasconde e la costrizione a dover-ne prendere atto è un’immeritatacoercizione per l’homo Melitensis(e pel turista) che ora se la dovràsorbire vita natural durante.

Ad introdurre lo sconcertanteParlamento v’è, al posto dell’anti-ca porta d’accesso alla capitale, ilCity Gate, un’overdose di… mura-tura, dei bastioni su ciascun latodella via d’entrata risembianti lascenografia del kolossal “Cleopa-tra”, quello con Liz Taylor. Essinon solo sono di proporzioni a mioavviso eccessive, ma occludono

anche la visuale che una volta daPjazza Teatru Rjal spaziava suidue lati di essa, mentre ora dannosu due interminabili file di scaleche forse sarebbero piaciute aWanda Osiris ma non ai Maltesi.Qualcuno mi ha apertamente par-lato di “sfregio alla capitale”, indi-cando Paris La Défense comeluogo più consono per la colloca-zione d’un edificio come il nuovoParlamento Maltese ed un qualchetempio Egizio lungo il Nilo – Den-dera, Edfu, Kom Ombo, ecc. – per i“bastioni” di cui sopra. Insomma,l’essere Capitale Europea dellaCultura 2018 risulta gradito aiMaltesi, ma non al prezzo di vede-re il fiore all’occhiello della capita-le, la sua entrata da terra, cosìscientificamente modificata dastruttura barocca a pezzo d’… arte(?) contemporanea. Un personag-gio politico locale, che desideraovviamente mantenere l’anoni-mato, mi ha addirittura suggeritod’entrare nella capitale dal water-front, cioè dal mare, ed uscirnedalle “forche caudine” di PjazzaTeatru Rjal “così da potersi lascia-re alle spalle il discutibile elabora-to” compresi i pennoni (?) cheverosimilmente ospiteranno i ves-silli Europeo e Maltese ma per ilmomento ne sono ancora privi,probabilmente per l’enormitàdelle loro supposte dimensioni, separagonate all’altezza dei pennonistessi. L’insieme, insomma, risultaessere davvero scarsamentelusinghiero per la Capitale Euro-pea della Cultura 2018 ed è unpeccato visto che “vetrine” di que-sto genere non capitano tutti igiorni.

Silvio A. Ippoliti

TERRITORI

Malta 2018: La Valletta capitale Europea della cultura E celebrazioni importanti a Qrendi

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PREMI DI CONSOLAZIONEMeno male, però, che altri fatto-

ri intervengono a determinare lamagicità del 2018 per Malta: ilrestauro del Teatru Manoel a LaValletta, il più antico teatro liricod’Europa in attività, costruito pervolere del Gran Maestro ManoelDe Vilhena nel 1731 ed aperto alpubblico l’anno successivo, che haricominciato ad ospitare eventinella seconda metà di quest’anno;il restauro della Fontana dei Trito-ni al City Gate di Valletta, che peròsi trova all’esterno di esso e dun-que non nella capitale, ma geogra-ficamente appartenente a Floria-na che la lambisce.

QRENDIPochi km. a sud-ovest di La Val-

letta esattamente sull’altra costadell’isola, quella che s’affacciasull’Africa, c’è il villaggio di Qren-di per il quale, attenzione, il ter-mine “villaggio” non ci deverichiamare Leopardeschi accenti,essendo esso mutuato dalla defi-nizione Inglese “village” che sot-tende ad una limitata estensioneterritoriale e non certo ad unaridotta ricchezza culturale oscarsa importanza amministrati-va. Anzi, a tal proposito Qrendi èoggi, probabilmente, la localitàpiù importante dell’intero arcipe-lago, a parte, ovviamente, la suacapitale, regina culturale d’Euro-pa quest’anno. A Qrendi si cele-brano infatti nel 2018 due signifi-cativi anniversari, il 400° dellasua istituzione ed il centenariodella nascita del suo figlio piùfamoso, il Dr. Avv. Ġużè Cassar.Ma procediamo con ordine.

Non è che nel 1618 sia nataQrendi, essa era già esistente, maquale parte d’un agglomeratourbano più grande, Żurrieq, alquale però non la legava una solu-zione di continuità, al pari di duealtri piccoli gruppi di casolari, ĦalManin ed Ħal Lew, per cui i loroabitanti erano costretti a seguirele funzioni religiose a Żurrieq,distante alcuni chilometri. Le stra-de erano quelle che c’erano 4 seco-li fa, il sole la faceva da padronecome oggi per buona parte dell’an-no, non c’era acqua nel tragitto(va segnalato che l’arcipelago Mal-tese è l’unico luogo al mondo senzacorsi d’acqua d’alcun genere –fiumi, ruscelli, torrenti, rii – aparte, ovviamente, i deserti), il

vento vi regnava sovrano in Inver-no, rendendo davvero difficile peri fedeli ed i villagers il trasferimen-to a Żurrieq. Fu così che il vescovoMaltese Baldassarre Cagliares, unCavaliere di Malta, dichiarò il 18Febbraio 1618 il villaggio di Qrendiuna “parish”, termine col quales’intende “piccolo comune rurale,distretto parrocchiale”. Ottenutaquesta sorte d’indipendenza le 2piccole cappelle del comprensoriorisultarono insufficienti per lepratiche religiose e nel 1620 s’ini-ziò la costruzione, nel punto piùalto del paese, d’una maggiorechiesa parrocchiale i cui lavorifurono completati nel 1655. Nel1677 Padre Domenic Formosadivenne titolare della parrocchia ela trovò non conforme alle esigen-ze della sua comunità: a quellanuova chiesa non fu dato neancheil tempo di cadere in rovina, venneabbattuta e dato l’avvio ai lavoriper la costruzione di una più gran-de. L’opera iniziò nel 1685 e termi-nò nel 1712. Quest’ultima chiesa èl’attuale magnifico luogo di culto,opera del noto architetto MalteseLorenzo Gafà, dedicato all’Assun-zione in Cielo di Nostra Signora, lacui festa si celebra il 15 Agosto.

L’edificio, cruciforme in stile, ècaratterizzato da una cupola cen-trale e 2 torri gemelle all’esternoed ospita al suo interno, in unambiente totalmente barocco ric-camente addobbato, dipinti di Giu-seppe Calì e suo figlio Ramiro,Rokku Buhagiar, Paul CamilleriCauchi, Giannikol Buhagiar (dub-

bio), Stefano Erardi, FrancescoZahra, Giuseppe Calleja e statue diAntonio Chircop (in legno, rappre-sentante Santa Marija) e KarloDarmanin (Nostra Signora diLourdes, la cui festa si celebra soli-tamente l’ultima Domenica di Giu-gno, ma quest’anno il 1° Luglio).La preziosa chiesa offre anche unaricca pavimentazione in marmoItaliano, frutto del lavoro dei pro-vetti artigiani Edoardo Lombardied Emanuel Buhagiar, quest’ulti-mo attivo anche nella decorazionedelle cornici delle 14 stazioni dellaCroce.

Inoltre i devoti a S. Celestinosaranno lieti di sapere che le reli-quie del santo sono conservate dal1882, provenienti da Roma, nelcoro dietro l’altare maggiore.

Dulcis in fundo, la cattedrale diQrendi ospita anche un organoNapoletano a canne, in stile “Posi-tivo”, del 18° secolo, restauratodal 1998 al 2001 da tre valentiartigiani Silvio Pace, Tony Bartoloe Robert Buhagiar. Lo strumento èstato reinaugurato il 22 Novembre2001 con un concero sotto il patro-nato del Presidente della Repub-blica Guido De Marco.

I 100 ANNI DI CASSARIl secondo motivo d’orgoglio per

i Qrendin e per i Maltesi in genera-le è la celebrazione del 1° secolodalla nascita del Dr. Ġużè Cassar,un noto personaggio politico localeche ha ricoperto in differentiperiodi ruoli diversi, Portavoce,Ministro e Vice Premier, nelle file

Pianta della capitale La Valletta. L’entrata in città è da Triton Fountain, fra i punti 6 e 3.(Si ringrazia Open Street Map Contributors)

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dei governi avvicendatisi nelpaese e fra le schiere dell’opposi-zione quando al suo partito, ilLabourista, toccò sedere sui ban-chi della minoranza.

Il personaggio a Qrendi è quasivenerato non solo per la sua attivi-tà politica nazionale, ma soprat-tutto per essere stato coinvoltoper ben 61 anni in una nota istitu-zionale locale, la Socjetà MużikaliMadonna ta’ Lourdes, per la qualeha ricoperto l’incarico di Segreta-rio dal 1940 al 1942, due anni diguerra, e di Presidente per 59anni, dal 1942 al 2001!

MUSICA, MESTRO!A Malta non è raro assistere al

fatto che piccole comunità vantinoricche tradizioni musicali, fruttodella presenza di bande musicali –spesso 2 nello stesso piccolo paese– che si ricollegano alle due mag-giori espressioni partecipative delpopolo Maltese, la religione e lapolitica. Così le bande musicalirappresentano le diverse Madon-ne in cui s’articola il culto Marianonel Cattolicesimo, e non di radofungono da araldi delle 7 note per i2 partiti dell’arcipelago, il Nazio-nalista ed il Labourista. A Malta iquasi 150 anni di dominazione Bri-tannica hanno lasciato il segno,non ultimo nell’esercizio dellapolitica, con un ben collaudatosistema bipartitico.

A Qrendi, una banda, la KazinTal-Banda Lourdes, fondata nel1895, ovviamente rappresenta laMadonna di Lourdes la cui festa fuintrodotta nel paese nel 1878,poco dopo le apparizioni della

Madonna nella località Pirenaicae, si dice, ma sottovoce per unaspecie di ritrosia a mischiare ilsacro col profano, che rappresentidi più la popolazione di sinistra.Mentre l’altra banda musicale,quella della Socjetà MużikaliSanta Marija, fondata nel 1908, equindi “titolare” della festa dell’As-sunzione (il nostro Ferragosto),cui è dedicata la cattedrale, si dice,ancora una volta non ad alta voce,che rappresenti maggiormente iconservatori del paese. In realtàho verificato che le 2 organizzazio-ni musicali hanno fatto proseliti inmaniera trasversale, sebbene colleprevalenze sopra segnalate e chedunque non influiscono in manie-ra dogmatica né sull’assunzionedi musicisti all’interno dei corpibandistici, né nell’accoglimentodi soci nelle 2 società che le rap-presentano.

Una cosa che va detta è che illivello musicale di questi gruppinon è quello dello stereotipo “tacabanda”, ove le stonature ed i fuoritempo sono “norma consuetudina-ria”, ma d’assoluto prestigio, acagione non solo dell’impegnorichiesto ai componenti dei gruppibandistici, ma dell’assoluta com-petenza e professionalità dellesfere amministrative e della dire-zione musicale di codesti sodalizii.Una delle loro funzioni, infatti, èanche quella d’insegnare musica aneofiti ed accompagnare nel lorosviluppo musicale quelli già edottinell’arte di Euterpe. Naturalmentea coloro che s’avvalgono di questiservizii è richiesta la partecipazio-ne all’attività musicale delle

rispettive società e bande per unperiodo. Normalmente la fedeltàdei musicanti è assicurata essendoessi strettamente connessi al ter-ritorio.

Un esempio della celebratacapacità didattica di queste istitu-zioni è data proprio da una dellesocietà musicali di Qrendi, quelladedicata alla Madonna di Lourdes,che ha saputo plasmare le dotinaturali ed il talento musicale diLaura Falzon, oggi acclamata flau-tista presso le maggiori istituzionimusicali del Nordamerica, nonchémusic professor alla Columbia Uni-versity ed N.Y.U. nella GrandeMela.

L’EDEN AWARDUn terzo elemento di giubilo per

i Maltesi, e d’interesse per even-tuali visitatori, è che nel Novem-bre 2017 a Qrendi è stato assegna-to il premio EDEN, EuropeanDestinaton of Excellence, con rife-rimento ad una peculiarità del suoterritorio, quella che ospita la cap-pella di S. Matteo nei pressi dellavoragine di Ta’ Maqluba.

Un riconoscimento che sottoli-nea la caratteristica d’assolutaunicità del sito, localizzato allaperiferia sudoccidentale del paese,noto per il “buco” che si creò il 23Novembre 1343, quando la terràsprofondò per un’area di 420 mqlasciando un cratere di 260 m. dicirconferenza. Il suolo calcareo, inquella zona sottoposto a corrosio-ne carsica, crollò indebolito dallapenetrazione dell’acqua assorbitadurante i rari ma violenti acquaz-zoni invernali. Dagli oggi e daglidomani la crosta, non più sorrettada un solido substrato, cedette dischianto inghiottita nella voragineche di conseguenza si creò: uneffetto dolina o foiba che dir sivoglia. Tralascerò le leggende chenacquero attorno all’evento ed asua giustificazione e mi concentre-rò sulle sue conseguenze.

Ebbene quel crollo creò nellavoragine le condizioni ideali per lacrescita d’un’essenza autoctonareperibile solo a Malta, l’alberodella sandracca, siġra tal-għargħar in Maltese, una resinagommosa che ha contribuito a farassegnare al Consiglio Comunaledi Qrendi l’EDEN award per “latangibile offerta culturale”. Non acaso l’albero della sandracca è l’al-bero nazionale del paese.

Il tempio di Hagar Qim a Qrendi, eretto nel 2700 a.C., dunque nell’Età del Rame.

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UNA PASSEGGIATA MEGA… LITICA

Ma Qrendi offre anche la piùalta concentrazione di templi prei-storici dell’arcipelago Maltese chene è ricco. Sebbene i suoi non dati-no oltre il 3500 A.C. (a Malta sonopresenti i più antichi manufattidell’umanità sinora reperiti, data-bili dal 7400 A.C.) sono fra i meglioconservati ed a breve distanzagl’uni dagl’altri. Si tratta di operecolossali, i templi megalitici diĦaġar Qim e Mnajdra, che guarda-no verso il mare, quel tratto diMediterraneo che separa l’isoladall’Africa e nel quale è collocatol’isolotto di Filfla. Chissà, magarigl’abitanti d’allora avranno consi-derato l’isolotto, inaccessibilecom’era, separato da un braccio dimare di 4,5 km. dalla costa diQrendi, come una specie di MonteOlimpo o di Walhalla, ovvero sededelle loro divinità che era beneonorare degnamente.

Nella stessa zona, sempre nelterritorio di Qrendi, si trovanoaltri interessanti reperti archeolo-gici, esiste infatti un dolmen, quel-lo di Misraħ is-Sinjura, una strut-tura megalitica dell’Età del Bronzoe pertanto databile attorno al2500-1500 A.C., visibile ma nonvisitabile, essendo in un fondo pri-vato, che testimonia l’osservanzadel culto funerario della popolazio-ne dell’epoca. Il vocabolo dolmenderiva dall’unione di 2 terminiBretoni, dol = tavola e men = pie-tra, dunque “tavola di pietra”.Magari mettendosi d’accordo colproprietario del fondo si potrebbeessere fortunati e farcisi un selfiea distanza ravvicinata.

Sempre a Qrendi, a 250 m. anord dei templi di Mnajdra si tro-vano le cisterne d’acqua sotterra-nee, il-Misqa in Maltese, sulla som-mità del Magħlaq plateau, anch’es-se da collocare nella preistoria.Un’altra perla di quest’incredibilebonanza archeologica.

UN TUFFO, ANYONE?E non è tutto! A Wied iż-Żurrieq,

la parte di Qrendi direttamente sulmare, si trova il Blue Grotto, unmagnifico arco naturale creatosulla scogliera dalla combinataazione delle forze erosive delmare, del vento e del tempo, rag-giungibile – legalmente – solo dalmare, titolare d’una singolarecaratteristica: l’essere posto ad

angolo, ovvero colle due luci d’en-trata (o d’uscita) collocate a circa90° una dall’altra.

MARAVIGLIA DELLE MARAVIGLIE

Nel centro storico di Qrendi poi,chiedendo presso la locale SocjetàMużikali Madonna ta’ Lourdes èpossibile contattare un’incredibileartista del posto, CatherineD’Amato, autrice d’un nutritonumero di scene da Presepio nellequali tutto è fatto a mano dallastessa, dai capitelli delle colonnedel Tempio di Gerusalemme (perla scena “La presentazione di Gesùal Tempio”), alla singola copertinache avvolge il Bambin Gesù (per lascena “Natività”). Un raffinatissi-mo lavoro di cesello, composto damigliaia d’interventi, che hannodello strabiliante. In lei la volontàdi stupire – che spesso si trasfor-

ma nella capacità di deludere,come è successo per la realizzazio-ne di Pjazza Teatru Rjal di cui allepagine precedenti – coglie il segnotanto da valere il tentativo di con-tattarla – parla correntementel’Italiano – chiedendole di mostra-re i suoi autentici capolavori inminiatura. Buona fortuna!

RITORNO A LA VALLETTAPer ultimo, tornando a La Val-

letta donde siamo partiti per que-st’excursus a Qrendi, segnalo dinon tralasciare la visita alla co-cattedrale barocca di S. Giovanni,ove la vista beneficierà della visio-ne degl’affreschi di Mattia Preti,delle sculture di Melchiorre Cafàed Alessandro Algardi e della feno-menale, fondamentale e struggen-te “Decapitazione di S. Giovanni”del maestro del chiaroscuro, ilnostro Caravaggio, MichelangeloMerisi, Cavaliere di Malta.

All’aperto, invece, è da non per-dere il giro del porto della capitaleche si protende, da penisola qual’è,fra due tratti di mare a loro voltacostituenti due insenature, Il GrandHarbour e Marsamuscetto. Ebbe-ne, tale morfologia ed il pescaggiosui due lati fanno del porto di LaValletta – a detta di lupi di marepatentati – il miglior porto natura-le del mondo, tanto che i Cavalieridi Malta, che pur avevano a dispo-sizione l’intera shoreline dell’arci-pelago, lo elessero a domicilio dellaloro flotta.

La voragine di Il Maqluba a Qrendi, dall’alto. Alla sua sinistra la chiesa di San Mattew (foto Guido Baldacchino)

Catherine D’Amato, le... “mani d’oro” di Qrendi

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Immaginate di svegliarviavendo in testa un’armoniadal suono familiare ma

incalzante, via via sempre più pro-rompente, travolgente nella suaespansione sino all’epilogo, unaspecie d’esplosione di note allequali non è consentita una via difuga individuale, come inveceaccade alle schegge impazzite d’unhard rock concert od a quelle inlibera uscita d’una jazz session.Esse, al contrario, seguono tutteun percorso ordinato come l’acquain un grande fiume alla quale, però,manchi ad un tratto l’alveo sotto-stante e si ritrovi così a creare unacascata. Una specie di ZambesiRiver che precipita nelle VictoriaFalls senza possibilità di ritorno,ma costituito da note e non damilioni d’ettolitri d’acqua. Benve-nuti, siete approdati nel mondo diGioachino Rossini, quello in cui laforza creativa del musicista diPesaro ha accompagnato il vostrorisveglio dallo smarrimento inizia-le, frutto del riposo notturno, allapiena consapevolezza della ripre-sa, colle sue note martellanti, rapi-de, continue ed in costante cre-scendo.

“Crescendo” è infatti la parolamagica, quella solo, che a torto faricordare il Maestro Pesarese algrosso pubblico il quale, è bene sot-tolinearlo, come tutte le masse haingenti lacune, fra le quali la scarsaconoscenza della musica sacra pro-dotta dal nostro, quella scaturitacioè dalla verve musicale della suamaturità, definita con bonariaoltraggiosità “Péchés de vieillesse”.

Il percorso artistico di Rossinis’identifica in realtà in 2 filoni

principali, le melodie della giovi-nezza (esordì a Venezia appenadiciottenne con “La cambiale dimatrimonio”), espressione princi-pale dei suoi inebrianti crescendo,indubitabile specchio della sua fre-sca vigoria e quelle sofisticate edevolute della sua notevole e prege-vole produzione di musica sacra –riflesso della sua vissuta religiosi-tà nella seconda parte della suavita – quasi tutta composta inFrancia.

In Rossini il racconto musicaleoperistico, che poggia come notosui 3 pilastri-base armonia, melo-dia e ritmo, trova sublime espres-sione compositiva, eppure genial-mente impetuosa allo stessotempo, da lasciare nell’ascoltatorequasi una sensazione d’appagantevibrazione. Una specie di risultatoallucinogenico senza effetti colla-terali negativi, per il protrarsi delquale è prescrivibile una curamassiccia di “ouvertures” delgenio Pesarese.

Gioachino Rossini fu un uomo dimondo, vorace consumatore disensazioni ed emozioni, da quelleculinarie (chi non ricorda i celebritournedos che da lui presero ilnome?) a quelle dell’alcova a quel-le ludiche, cui mal s’addiceva ilgrigiore della vita condotta in unpaese clericale, lo Stato della Chie-sa, di cui Pesaro faceva parte. Lajoie de vivre doveva trovare unosbocco più confacente alla propriaesuberanza e personalità. Paris, laville lumière, teatro del mondo,ove le avanguardie artistiche sivenivano formando in un perenneprocesso di modernità, dovettesembrare la meta ideale per le suesmanie ed ambizioni. Così, appena31enne, nel 1823 (per alcune fonti1824), ma già musicista di gransuccesso, egli lasciò i patrii lidi e sitrasferì nella capitale Francese.

Paragonata alla sua febbrileattività in Italia quella prodottaoltralpe sembra più rientrare nel-l’occasionale impegno di un pen-sionato, sebbene di tutto riguardo,soprattutto dal 1829 al 1836. Madi ciò parleremo più avanti.

Vero è che il Maestro non s’eramai fermato a lungo a Pesaro daove il padre, banditore del comunee strumentista, e la madre, can-tante, l’avevano allontanato giànel 1806, non certo a digiuno diconoscenze musicali, per farloentrare al Conservatorio di Bolo-gna ove, sotto la guida di padre S.Mattei, apprese approfonditamen-te tutto quanto c’era da imparareper fare della musica il propriomestiere.

Capace ed acuto il giovane Mar-chigiano già in quell’anno, e solo

Alessandro Raimondi

Gioachino Rossinia 150 anni dalla mortePer l’immortalità non c’è scadenza...

MUSICA

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14enne, compose la sua primaopera, “Demetrio e Polibio”, 2 attidi genere serio, tenuta in naftalinasino al 1812 – in attesa che all’im-berbe autore crescesse almeno unfilo di barba – quando venne rap-presentata a Roma.

L’esordio ufficiale del nostroavvenne invece nel 1810 a Vene-zia, come già ricordato, con “Lacambiale di matrimonio”, farsa in1 atto, cui seguì il debutto Milane-se 2 anni dopo con “La pietra delparagone” (2 atti giocosi) che beneindicò la vis comica del giovaneMaestro.

Non bisogna dimenticare tutta-via che il talentuoso musicista sidistricava bene anche nella com-posizione seria, canone imprescin-dibile all’epoca per ogni musicistache doveva essere in grado di com-porre egualmente bene prima lamusica seria eppoi anche il generecomico. E nella musica cosiddettaseria egli annoverò il “Tancredi”(2 atti) presentata a Venezia nel1813 ed “Aureliano in Palmira” –dice niente questa località? – anco-ra 2 atti rappresentati nel 1813 aMilano.

Il 1813 è l’anno della primamaturità artistica – perdonerete ilsostantivo visto che Rossiniall’epoca ha solo 21 anni, ma è pro-dromico all’individuazione di unparticolare momento della suacarriera – dell’eclettico operistache sforna alcune autentiche perledel genere comico: “Il Signor Bru-schino” (1 atto a Venezia), “L’Ita-liana in Algeri” (2 atti a Venezia)ed “Il Turco in Italia” (2 atti) rap-presentata a Milano nel 1814.

A questo punto, acclamato ope-rista nel nord del paese, Rossiniinizia la conquista delle piazzemeridionali ed a Napoli si presentacon “Elisabetta, regina d’Inghilter-ra” (2 atti seri) nel 1815, ed aRoma dove l’anno successivo pro-pone le sue opere forse più famose“Il barbiere di Siviglia” (2 atti gio-cosi) e “La Cenerentola” (altri 2atti giocosi) nel 1817. Fra questi 2ultimi lavori egli inserisce a Napo-li, nel 1816, il suo “Otello”, 3 attiovviamente seri visto che la tramafu estrapolata dalla tragedia sha-kespeariana, ed a Milano nel 1817l’opera semiseria in 2 atti “Lagazza ladra” (recentemente ripro-posta alla Scala).

Rossini è a questo punto dellasua vita l’epigono del suo Figaro,

“tutti lo cercano, tutti lo vogliono”e detta legge zittendo i critici con-servatori che lo ritenevano,diremmo oggi, un progressistamusicale incallito – ma per essiera, con quel comporre, un sovver-titore dell’ordine costituito nelmondo delle 7 note -. Produceinfatti opere serie d’assoluto pre-stigio: è ancora Napoli a dare laluce nel 1818 al celebre “Mosè inEgitto” (3 atti), a “La donna dellago” 2 atti tratti da Sir WalterScott l’anno seguente, e “Maomet-to II” (2 atti, questi tratti da Voltai-re) nel 1820.

Il genio Pesarese è ora prontoper il debutto all’estero: nel 1822 èa Vienna e nel 1823 a Londra, ed èin questo biennio che matura ladecisione d’abbandonare per sem-pre il nostro paese. Senza, però,lasciarlo prima d’avervi rappre-sentato il suo canto del cigno Itali-co, torna infatti a Venezia, che lovide debuttante 13 anni prima, enel 1823 vi rappresenta “Semira-mide”, 2 atti anch’essi tratti daVoltaire.

Parigi lo accoglie nel 1824offrendogli la direzione del Théa-tre-Italien – che accetta – coll’im-pegno però di comporre anchenuove partiture: Gioachino comin-ciò rimaneggiando il suo “Maomet-to II” francesizzandolo in “Le siégede Corinthe” ed allungandolo di 1

atto, facendolo debuttare a Pariginel 1826. Stessa sorte tocca al suo“Mosè in Egitto” che divenne inFrancia “Moïse et Pharaon”, con 1atto in più rispetto alla sua vesteItaliana, rappresentato semprenella capitale Francese nel 1827.Le rielaborazioni non erano laragione per cui il Maestro Italianoera stato invitato a Parigi così ilnostro dovette produrre del nuovoe, buon per noi che così fu, oggiannoveriamo nella sua pregevolis-sima produzione anche l’operacomica “Le Comte Ory” (2 atti) chedebuttò a Parigi nel 1828 ed infineil suo testamento operistico, il“Guillaume Tell” (4 atti d’operaseria tratti da Schiller) che vide laluce a Parigi nel 1829, col qualeRossini marcò il suo massimo sfor-zo per adeguarsi al nascenteromanticismo. Tale dovette essereil suo limite “progressista” poichéla sua attività di grande operistas’interruppe a questo punto: ilMaestro ha solo 37 anni. In tutto19 anni d’attività operistica (23 seconsideriamo per buono il 1806del “Demetrio e Polibio”) in cui ilnostro potenziò il linguaggio musi-cale dell’opera 700esca Italianaevidenziando la caratterizzazionedei personaggi ed ampliando lastruttura delle vicende musical-mente narrate, soprattutto nelgenere comico. Mentre nell’operaseria introdusse un perfezionismodrammatico ancora oggi canoneapplicabile in cui, come superba-mente riconosce Claudio Casini, sisviluppa “un nuovo rapporto fraparola e canto, in cui la vocalitàvenne chiamata ad interpretarel’accento drammatico della paro-la”: in definitiva il primo passo perla trasformazione dei cantanti dasoli produttori di acrobazie vocaliin attori ed interpreti delle vicen-de portate in scena (di cui saràmirabile testimone Maria Callasnel secolo scorso).

La vita Parigina di Rossini tra-scorre ancora a lungo – il Maestrosi spegnerà soltanto nel 1868 aPassy de Paris – in cui vicende per-sonali e familiari compromisero lacreatività del musicista: la separa-zione dalla prima moglie IsabellaColbran, celebre cantante lirica,nel 1837, un secondo matrimoniostavolta con Olimpia Pélissier, masoprattutto il mal di vivere, lapaura della morte che lo attena-gliò sino alla fine dei suoi giorni e

La locandina 2018 del teatro delle Muse diAncona mostra le effigi di G. Rossini e G.Verdi. Quest’ultimo proponente alla mortedel primo di una composizione musicale apiù mani, per celebrarne la grandezza e tri-butargli l’omaggio del mondo delle 7 note.

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che si trasformarono in disturbinervosi costanti. Solo la musica,alla quale concesse ben poco intermini di produzione quantitati-va, ma moltissimo in termini qua-litativi, seppe consolarlo riappro-dandovi di tanto in tanto ma investe religiosa. Lunga gestazioneebbe lo “Stabat Mater” (1832-1841) eseguito la prima volta aParigi il 7 Gennaio 1842 in formacompleta, cioè coi brani 2, 3, 4 e 10composti nel 1841, mentre senzadi essi fu rappresentato il VenerdìSanto del 1833 nella Cappella di S.Filippo El Real a Madrid. Tale com-posizione è considerata dalla pub-blicistica specializzata “uno deivertici più alti mai toccati nellastoria della musica sacra… un irri-petibile compromesso fra teatrali-tà e spiritualità”.

A questo capolavoro Rossiniaggiunge, ormai al tramonto dellasua parabola musicale terrena,1836, un’incomparabile “Petitemesse solennelle”, originariamen-te prevista per un organico musi-cale di 2 pianoforti ed harmoniume vocalmente da 4 solisti ed 8 cori-sti, “straordinaria espressionedella tradizione polifonica Italianain cui contrappunto e melodiacostituiscono i termini di un’unicaconcezione musicale”, com’ebbe asentenziare, cogliendo nel segno,Claudio Casini.

La curiosità di quest’anno è chenon solo si celebra il 150° dellamorte del compositore Pesarese,ma anche il 200nario della primaesecuzione del suo “Mosè in Egit-

to”, più noto come il “Mosè” fra imalati di lirica. Certamente uncaso, che ci consente tuttavia ditrattare di quest’opera giovanile diRossini – era 26enne il Maestro inoccasione della prima Napoletana– nota soprattutto per la preghiera“Dal tuo stellato soglio”, il branopiù celebre della composizione.Ebbene la prima al teatro S. Carloil 5 Marzo 1818 fu un disastro, nontanto dal punto di vista musicale –apprezzati furono infatti i primi 2atti. – quanto per il paradossaleinconveniente che si verificò inscena durante il 3° atto, quando ilMar Rosso doveva aprirsi perlasciar passare gli Ebrei e poirichiudersi al passaggio degliEgizi. Il dramma si tramutò infarsa e le risate del pubblico prese-ro il sopravvento. Troppo per ilgeniale Maestro che in capo ad 1anno rielaborò completamente il3° atto e vi aggiunse la gemma“Dal tuo stellato soglio”, ripresen-tandosi al S. Carlo nel 1819 otte-nendovi questa volta il grande suc-cesso che l’opera merita. Tanto piùche l’allestimento fu portatored’una novità assoluta: la presenzadi un coro!

Questo accadimento la dicelunga sul genio Pesarese che, benlungi dall’essere un personaggiosolo dotato d’un notevole grado dinonchalance, diciamo così, erainvece ostinato e tenace ricercato-re del perfezionismo dello sparti-to, del resto dimostrato dallapurezza della sua scrittura musi-cale in cui aleggia una forza a volte

leggera, come nelle composizionireligiose, sebbene intensa, a voltedirompente, come nelle sue opereliriche, che si sottrae alle eterneleggi del tempo.

Naturalmente un anniversariocosì significativo è stato ed è anco-ra celebrato in questo 2018 da unamesse di tributi da parte dellemaggiori istituzioni musicali e cul-turali nazionali: ricordiamonealcune.

Il Teatro Carcano a Milano hamesso in scena nel Maggio scorso le“Rossini Ouvertures”, una serie dinumeri danzati dallo SpellboundContemporary Ballet sulle travol-genti note del genio Pesarese. Lostesso spettacolo che a Novembre2017 andò in scena a Maceratapresso il Teatro Lauro Volpi.

Mentre ad Ottobre la strutturaMilanese diretta artisticamentedall’indimenticato Sergio Fantoni,ha proposto, coll’Orchestra delConservatorio di Milano diretta daMargherita Colombo, “La cambialedi matrimonio”, il battesimo pub-blico rossiniano.

Sempre nella Marche ove aPesaro si celebra annualmente ilR.O.F., Rossini Opera Festival, par-ticolarmente attivo in quest’annocelebrativo, ad Ancona il Teatrodelle Muse ha allestito il melo-dramma “Il barbiere di Siviglia”colla direzione di José MiguelPerez-Sierra dell’Orchestra Sinfo-nica G. Rossini nell’Ottobre 2017 equest’anno ha assegnato l’onoredella chiusura della stagione ope-ristica, ad Ottobre, a “La Ceneren-tola” in cui la stessa compaginesinfonica è stata affidata alla bac-chetta di Giuseppe Finzi. Adentrambe le opere hanno dato illoro contributo vocale Pablo Ruiz,Martiniana Antonie e Giorgia Paci.Per “La Cenerentola ossia la bontàin trionfo”, questo il titolo per este-so, andata in scena ad Ancona, si ètrattato d’un nuovo allestimentodella Fondazione Teatro delleMuse in collaborazione coll’Acca-demia Rossiniana “Alberto Zedda”del R.O.F..

A Jesi invece, la 51^ stagionelirica di tradizione del Teatro Per-golesi presenta a metà Dicembre“Gran Circo Rossini” in 1^ rappre-sentazione assoluta, dunque unanuova produzione in collaborazio-ne con El Grito, circo contempora-neo all’antica, una – dice la locandi-na – CirOpera di Giacomo Costantini

Il pregevole interno di S. Cristoforo sul Naviglio con la Nuova Polifonica Ambrosiana alle prese col Rossini sacro.

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ovviamente sui temi musicali delMaestro di Pesaro.

Il 21 Ottobre a Matelica, la cittàdi Enrico mattei, è stata rappre-sentata al Teatro Piermarini “IlBarbiere di Siviglia”.

Sempre ad Ottobre l’OrchestraSinfonica di Milano GiuseppeVerdi, che celebra quest’anno ilsuo 1° quarto di secolo d’attività,col Coro Sinfonico di Milano Giu-seppe Verdi che invece celebra ilsuo ventennale, hanno presentatoin collaborazione con l’AccademiaRossiniana di Pesaro, all’Audito-rium di Milano, lo “Stabat Mater”diretto dal M.° Claus Peter Florcon l’ausilio vocale di S. Jicia, V.Girardello, S. Sharma, R. Lorenzi.Forse il tributo “tecnico” maggior-mente significativo per l’opera delgeniale compositore.

Ed, ancora nelle Marche, fra il12 Luglio ed il 18 Novembre, èstata allestita una grande mostra“Rossini 150, la mostra” in tre sediespositive diverse, Pesaro (Palaz-zo Mosca, Musei Civici), Urbino(Palazzo Ducale, Sale del Castella-re) e Fano (Palazzo Malatesta,Sala Morganti) “con un suggestivoallestimento fatto di opere d’arte,cimeli unici, strumenti tecnologicie pianoforti antichi da ascoltare”atta “a far rivivere la complessavicenda biografica del Maestro eper apprezzare le sue intramonta-bili opere, un viaggio per conosce-re il genio e l’arte del suo tempo”.

La Scala non è stata da meno egià nel Novembre 2017, in apertu-ra del centocinquantenario dellamorte del musicista ha allestito,diretta da Riccardo Chailly, la“Messa per Rossini”, uno specialeappuntamento oggetto di una regi-strazione, di cui vale la pena rac-contare la genesi.

Quattro giorni dopo la morte diRossini, Giuseppe Verdi proposeper iscritto – 17/XI/1868 – all’edi-tore Ricordi di contattare un’altradozzina di musicisti per comporreun requiem da suonare in occasio-ne del 1° anniversario della mortedi Rossini, dunque di li ad un anno.Verdi, naturalmente, fu il 13°autore del tributo che puntual-mente venne composto, ma mairappresentato, infatti la progetta-ta esecuzione a Bologna presso laCattedrale di S. Petronio nel 1869fu annullata e la composizione fupressochè dimenticata. Solo nel1986 il musicologo Americano D.

Rosen s’imbattè nella partiturache venne eseguita per la primavolta in Germania 2 anni dopo.Quella andata in scena alla Scala èstata la 1^ esecuzione Italiana.

La sola partitura già nota della“Messa per Rossini” fu la conclusi-va pagina musicale, quella affida-ta a Giuseppe Verdi ideatore deltributo, il “Libera Me” che Verdiutilizzò per la “Messa daRequiem” che scrisse nel 1874 perAlessandro Manzoni. Ma non sideve pensare ad un improprioscippo o gridare allo scandalo, epi-sodi del genere erano frequenti edad essi non si sottrassero nemme-no Mozart e lo stesso Rossini cheutilizzò la medesima sinfonia inapertura di ben 3 opere: “Aurelia-no in Palmira”, “Elisabetta, reginad’Inghilterra” ed “Il barbiere diSiviglia”.

La Società del Giardino di Mila-no ha organizzato ad Ottobre laconferenza “Rossini” del Dr. R.Müller seguita da un concertodegli allievi delle classi di Canto ePianoforte di Milano che ha ese-guito le “Soirées musicales” ed i“Péchés de vieillesse” del MaestroMarchigiano.

Presso la Casa Verdi, sempre aMilano, s’è invece tenuto ad Otto-bre il Concerto dei Vincitori del XVConcorso lirico internazionale S.Francesco di Paola che ha ovvia-mente posto in grande spolvero lepartiture rossiniane.

Il Conservatorio di Milano,diretto dal M.° Massimiliano Bag-gio, è stato attivissimo nelle cele-brazioni rossiniane non solo con-tribuendo alla realizzazione dellaserata organizzata dalla SocietàGiardino (vedere sopra), maanche allestendo un pomeriggioculturale sul tema “La produzione

strumentale di Rossini”, a curadelle classi di Musica da Cameradel Conservatorio, tenutosi adOttobre, ed infine allestendo laserata del 19/X/2018 la “Petitemesse solennelle” per soli e corocon accompagnamento di 2 piano-forti ed harmonium. Diretti dallabacchetta di Giulio Prandi si sonoesibiti gli studenti del Conservato-rio ed il Coro Ghisleri di Pavia.

Ma forse la celebrazione mag-giormente coinvolgente è stataquella svoltasi la sera del15/VI/2018 presso la deliziosachiesetta di S. Cristoforo sul Navi-glio ove, nell’ambito della rasse-gna “Per nutrire l’anima”, s’è inte-so tributare un “Omaggio a Rossi-ni” nel 150° della morte. Le paginescelte, interpretate da Soli e Corodella Nuova Polifonica Ambrosia-na diretti dal M.° F. Locatelli,accompagnati al piano da CeciliaFerreri, provengono dallo “StabatMater”, dal “Mosè”, dai “Trois cho-eurs religieux” del 1844 e da talu-ni “Mottetti”. Può darsi che lasacralità del luogo, confacente alraccoglimento, alla riflessione edalla meditazione, o più probabil-mente la struggente armonia dellenote rossiniane, fra le quali quelleimmortali dell’aria “Dal tuo stella-to soglio” del “Mosè”, hanno pro-dotto istanti d’intensa commozio-ne negli astanti, cui non poco hacontribuito la voce da soprano liri-co puro di Daniela Boni, in cui tro-vano dimora pregevole senso stili-stico, una sontuosa agilità ed unaperfetta emissione.

In chiusura di questa ricostru-zione, giocoforza incompleta, pos-siamo stabilire che in Rossini con-viveva una duplice personalità,quella totalmente dedita alla pro-fessione che lo portò a completarela partitura de “La Cenerentola” insoli 24 giorni, in piena atmosferanatalizia, dal 26/XII/1816 al19/I/1817, e quella ironica che loportava a dire, a proposito del suocollega Tedesco Richard Wagner“Ci sono dei momenti nella suamusica che sono sublimi, maanche certi quarti d’ora…!” Que-sto, però, diciamolo come fannoDandini e Don Magnifico ne “LaCenerentola”, “Zitto, zitto: piano,piano…”.

Gaudio e rigore, vita e musica,questo il ritratto più efficace, in 4parole, di Rossini Cav. Gioachino (oGioacchino?) Antonio da Pesaro.

Daniela Boni, soprano solista della NuovaPolifonica Ambrosiana, il cui radicatosenso stilistico asseconda superbamentela religiosità rossiniana.

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In passato questa pagina haospitato aforismi, paradossi, epillole di saggezza. Frasi brevi

che, in forma sintetica o metafori-ca, riassumono verità, spesso sco-mode. Questi concetti nascono daun pensiero comune: andare con-trocorrente.

Andare controcorrente è scomo-do, ma qualcuno deve pur farlo!(Gary Breck)

Il nostro primo dovere è di nonseguire – come fanno gli animali –il gregge di coloro che ci hannopreceduto. (Seneca)

Il mondo ha bisogno di persone chenuotino controcorrente, apranonuove strade del pensiero, che altrinon sono capaci di percorrere. (William Joyce)

Cerca sempre di essere l’originaledi te stesso, non la brutta copia diqualcun altro (Kurt Cobain)

Ogni volta che vi trovate in mag-gioranza, è il momento di fermarsia riflettere (Mark Twain)

Trovarsi immerso nel conformi-smo, è il modo di piacere a tutti,eccetto che a te stesso (Gerry Brown)

Chi cammina dietro le tracce di unaltro, non lascerà la sua impronta.(proverbio cinese)

Sono i pesci morti che seguono lacorrente: gli altri nuotano contro-corrente (Malcom Ridge)

Solo l’uomo che nuota controcor-rente, ne può conoscere la forza(Thomas Wilson)

Hai presente il vento? Molte per-sone vanno dove soffia alle spalle;

andare controcorrente è il privile-gio dei più forti (Angela Brozzi)

La libertà è di chi ha il coraggio diandare controcorrente, per rima-nere sè stesso (Daniela Orsilia)

Continuare ad imparare è comeandare controcorrente: appenasmetti, torni subito indietro (Confucio)

Per utilità, può capitare di seguire lacorrente. Ma per questioni di princi-pio, rimani fermo come una roccia (Thomas Jefferson)

A forza di seguire la corrente, sirischia di cadere in una fogna(Michael Connolly)

Il mare di stupidità in cui viviamoè così vasto, che si aprono occasio-ni sempre più interessanti perandare controcorrente. (Carlo Livraghi)

Ci è stato insegnato che il virtuosoè colui che va d’accordo con glialtri. Ma il vero innovatore è coluiche è sa anche essere in disaccor-do, e andare controcorrente (Amy Randy)

In chiusura, una breve poesia diYulak, poeta asiatico.

Voglio attraversare la terranascosto e sconosciutocome un viandante nella notte. Voglio attraversare a nuotoil fiume della vita,e camminare con il vento in faccia.

(L’Innominato)

BUONUMORE

Controcorrente

“Parabola del Niagara”La vita scorre come un fiume, emolti uomini si lanciano in que-sto fiume senza sapere doveandranno a finire.Quando il fiume si biforca, nonriescono a decidere da cheparte andare. Così si lascianoguidare dalla corrente, e nondalle proprie idee o dai proprivalori.Finché viene il momento in cuisi rendono conto che stanno apochi metri dalle cascate delNiagara, in una barca senzaremi. E a volte è già troppotardi: finiranno col precipitare(Anthony Robbins)

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