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Parte I – La monetazione repubblicana 1 Le riforme ... · Del resto la tradizione letteraria...

Date post: 16-Feb-2019
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1 Parte I – La monetazione repubblicana Le riforme monetarie di Roma.
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1 Parte I – La monetazione repubblicana

Le riforme monetarie di Roma.

2 Parte I – La monetazione repubblicana

INDICE Le riforme monetarie di Roma.

Introduzione

Parte I: La monetazione repubblicana

1.1 Le fasi premonetali

1.2 La nascita della moneta

1.3 L’aes grave e le riduzioni ponderali

1.4 L’introduzione del denarius e la sua diffusione

Parte II: La “rivoluzione” di Augusto

1.1 Il sistema monetario sotto Giulio Cesare

1.2 Il disordine monetario sotto i triunviri

1.3 La riforma monetaria di Augusto (27 a.C.)

Parte III: Gli sviluppi della monetazione imperiale

3.1 L’inarrestabile declino della moneta

• La riforma monetaria di Nerone (63-64 d.C.)

• Due secoli di progressiva svalutazione

• La riforma monetaria di Caracalla (214-215 d.C.)

• Inflazione e degrado della moneta nel III secolo

• La riforma monetaria di Aureliano (274-275 d.C.)

3.2 Diocleziano tra riforma monetaria ed editto dei prezzi

• La riforma monetaria

• “Edictum De Pretiis Rerum Venalium”

3.3 La riforma di Costantino

Bibliografia

3 Parte I – La monetazione repubblicana

Introduzione In questo lavoro che mi accingo a presentare vorrei illustrarvi quelle che sono le

principali riforme monetali di Roma Antica.

Tracciare un profilo sintetico dello sviluppo della monetazione romana dalle origini fino

alla sua dissoluzione è un impegno arduo e molto complesso data l’impossibilità di

tracciare un percorso evolutivo uniforme e lineare.

Per questo motivo ho suddiviso il mio lavoro in tre parti:

I parte – La monetazione repubblicana

II parte – La “rivoluzione” di Augusto

III parte – Gli sviluppi della monetazione imperiale

Dapprima affronteremo la monetazione repubblicana e tutte le circostanze che portarono

Roma a dotarsi di una propria identità monetale in cui il denarius diverrà il più

importante e conosciuto nominale argenteo del Mediterraneo.

Tratteremo poi della riforma augustea che, dopo il disordine creatosi con le guerre

intestine, getterà le basi per una nuova politica monetaria. Vedremo come essa

rappresenterà uno dei momenti più importanti e significativi non soltanto nella storia di

questo strumento, ma anche nello sviluppo dell’intera Civiltà Occidentale, in quanto essa

portò all’unificazione monetaria di gran parte del mondo allora conosciuto e costituì la

logica premessa di futuri interventi di riforma

Esamineremo, infine, i convulsi avvenimenti della moneta dopo il principato augusteo

scandendo le varie tappe di un inarrestabile declino che trascinò verso la fine il più

grande e duraturo Impero che la storia abbia mai conosciuto.

4 Parte I – La monetazione repubblicana

La monetazione repubblicana

1.1 Le fasi premonetali

La moneta intesa nel senso moderno del termine, cioè come emissione ufficiale dello Stato,

nasce a Roma piuttosto tardi rispetto alla moneta in Grecia, nella Magna Grecia, in Sicilia

e in Etruria. Infatti, a discapito della sua precoce fortuna politica e militare, Roma giunse a

coniare e ad utilizzare la moneta relativamente tardi, soltanto a partire dalla fine del IV sec.

a.C. Precedentemente, non solo Roma non ebbe una monetazione propria, ma, caso

estremamente singolare, stando alla documentazione offerta dai rinvenimenti monetali,

fino a quel periodo non circolavano monete straniere1.

Questo ovviamente non significa che tale strumento fosse sconosciuto, ma conferma in

modo inequivocabile che non si sentiva la necessità di produrlo e d’impiegarlo. D’altro

canto, l’assenza di moneta coniata, non vuol dire che non fossero diffusi altri strumenti

analoghi capaci di assolvere alle stesse funzioni.

È noto ad esempio che, i Romani e le altre popolazioni indigene della penisola italica,

adoperavano il bestiame (pecus) e il bronzo non lavorato (aes rude) come intermediari di

scambio, misura del valore e della ricchezza. Questa consuetudine ha lasciato traccia

indelebile in termini ancora in uso nella nostra lingua: capitale trae origine da capita (capi

di bestiame), pecunia da pecus (beni mobili o gregge), peculio la peculium (piccolo

gregge), erario da aerarium (riserva di aes, tesoro pubblico), stimare da aestimare

(valutare il valore dell’aes), stipendio proviene da stipendium (quanto a ciascuno spetta),

termine che traduce il concetto di pesare la parte di bronzo spettante (stipem pendere).

Del resto la tradizione letteraria romana vuole che almeno fino al V sec. a.C. il pagamento

di alcune multe fosse regolato in capi di bestiame, e più specificatamente in buoi e pecore,

arrivando a definire anche l’equivalenza in valore di 1:10 tra i primi e le seconde (lex

Aterina Tarpeia2 e lex Menenia Sestia3).

1 ASOLATI 2001, p. 39. 2 La Lex Aternia Tarpeia de multis è una legge romana del 454 a.C. che regolava il pagamento di multe e ammende. Fu votata su proposta dei consoli Sp. Tarpeius Montanus e A. Aternius Varius, dai quali prende il nome. Essa stabiliva che 3020 assi equivalevano a 30 buoi e 2 pecore, quindi un bue = 100 assi* e una pecora = 10 assi, regolamentando così il pagamento delle multe che, fino ad allora, non aveva avuto un sistema omogeneo. (Cic. de Rep. II. 35; Dionys. X. 50; Gell. XI. 1; Festus, 9. vv. Multam, Ovibus, Peculatus; Niebuhr, Hist, of Rome, vol. II. p.300). * Alcuni studiosi, tra cui R. Cantilena, quantificano in assi il valore di determinati beni. Questa interpretazione non è accettata da tutti dal momento che non si può parlare di assi in un tipo di economia premonetale.

5 Parte I – La monetazione repubblicana

Nel V secolo a.C., il consolidarsi di forme di organizzazione politica e di relazioni basate

su rapporti di produzione, avevano creato le condizioni per privilegiare, rispetto al

bestiame, il metallo, e principalmente il bronzo, che univa alla praticità di trasporto, la

scarsa deperibilità nel tempo e la possibilità di essere frazionato mantenendo

proporzionalmente il proprio valore.

In una prima fase questo era scambiato a peso in una forma grezza (aes rude, fig.1),

secondo una consuetudine probabilmente presa in prestito dagli Etruschi4, che ne avevano

diffuso l’impiego in molte aree della penisola direttamente influenzate dalla loro cultura. Il

metallo era valutato secondo valori di peso stabiliti in base al sistema della libra5, che si

ritiene abbia avuto nella fase iniziale della monetazione romana il peso teorico di 327,45

g., ma l’attestazione di differenti valori per l’asse librale e la mancanza di specifiche

indicazioni nelle fonti storiche, non ci permettono di affermare ciò con assoluta certezza6.

Fig. 1 – Esempio di Aes Rude

Successivamente si ricorse all’impego di lingotti fusi entro forme quadrangolari sulle quali

erano ricavati segni molto semplici, per lo più a ramo secco o a spina di pesce, i quali

apparivano così in rilievo su questi pani una volta ultimate le operazioni di produzione:

convenzionalmente queste forme prendono il nome di aes signatum, ossia “bronzo recante

un impronta”, e caratterizzavano più o meno tutta l’Italia centrale. Durante il III secolo a.C.

3 La lex Menenia Sextia de multa et sacramento è una legge romana del 452 a.C. Fu votata su proposta dei consoli T. Menenius Lanatus e P. Sestius Capitolinus, dai quali prende il nome. Questa stabiliva la multa in bestiame per il peculato e il codice decemvirale prevedeva penalità in assi: con 300 assi andavano risarciti i danni fisici ad individui liberi, 150 assi se il ferito era uno schiavo e molteplici altri casi. 4 FORZONI 1995, vol. I, pp. 160-163; ASOLATI 2001, p. 39. 5 Livio menziona vari episodi di pagamenti e ammende, risalenti al V sec. a.C. attestanti il ricorso al bronzo pesato: nel 493 a.C. la plebe contribuì alle spese del funerale pubblico di M. Agrippa versando un quantitativo in bronzo corrispondente al sesto di una libra (II, 33, 11); nel 476 a.C. il console T. Menenio fu punito con una multa di 2000 assi (II, 52, 5). Nel 406 a.C. al tempo dell’assedio di Veio, i patres stabilirono che ai militari spettava la paga statale (lo stipendium), calcolato in rapporto al censo e corrisposto in pezzi di bronzo non lavorato o in lingotti (Livio, Ab Urbe Cond. IV, 59-60). Le stesse leggi delle XII tavole del 450 a.C. implicano chiaramente l’impiego di unità di bronzo per il pagamento di ammende. 6 CANTILENA 2008, p. 53.

6 Parte I – La monetazione repubblicana

nuove effigi si affiancano a quella del ramo secco (ben 15 differenti finora catalogate),

tutte senza iscrizione, tranne per una serie con aquila e pegaso in cui è indicata la legenda

in latino “ROMANON” (cioè “Romanorum” ovvero “dei cittadini romani”; fig.2).

Quest’ultima, secondo alcuni autori, sarebbe la serie di aes signatum di sicura produzione

romana, oltre che per la leggenda, anche per la zone di ritrovamento7.

Le testimonianze letterarie, supportate dai rinvenimenti archeologici che documentano in

contesti italici ed etruschi la presenza di aes rude dal X fino al IV sec. a.C., mettono in

discussione un noto e controverso passo di Plinio (N. H., XXXIII,43) secondo cui il re

Servio Tullio (578-535 a.C.) fu il primo a contrassegnare il bronzo con la raffigurazione di

un capo di bestiame, da cui il termine pecunia. Plinio probabilmente riporta una tradizione

erudita che attribuisce al re, di origini etrusche, l’introduzione della moneta a Roma, ma è

molto probabile che egli fu soltanto artefice di una normalizzazione delle misure e del

valore del bronzo, provvedimento coerente con le riforme attribuitegli riguardo al census,

la ricchezza patrimoniale dei cittadini8.

Fig. 2 – Aes signatum con aquila e pegaso con leggenda ROMANON dei primi decenni del III a.C.

Tutto ciò dimostra che con l’aumentare delle esigenze dello stato romano in relazione alla

sua espansione sociale, economica, politica e militare, più viva si fece l’esigenza di dotarsi

di strumenti di pagamento man mano più efficienti. In questo contesto la nascita della

moneta vera e propria fu una conseguenza logica in quanto costituiva un’ulteriore miglioria

rispetto agli strumenti di pagamento premonetali: essa infatti evitava di ricorrere sempre

alla pesatura del metallo ogni qual volta questo veniva impiegato in una transazione dato

che lo Stato stesso si faceva carico di questa operazione una volta per tutte in occasione

dell’emissione della moneta, e nel farlo vi imprimeva delle raffigurazioni e delle lettere a

titolo di garanzia oltre che della corrispondenza ad un determinato standard ponderale.

7 SAVIO 2001, p.80. 8 CRAWFORD 1974, pp. 35-37; Idem 1985, pp. 17-21.

7 Parte I – La monetazione repubblicana

1.2 La nascita della moneta

Dopo questa serie di premesse può forse risultare sorprendente che quando Roma, poco

dopo il 326 a.C., ritenne necessario dare corso alla prima emissione monetale non abbia

fatto riferimento diretto al sistema della libra imperniato sull’asse.

Prodotte, in principio, in scarso numero e saltuariamente, le emissioni seguono il modello e

i valori ponderali della moneta napoletana, per cui sono tradizionalmente denominate serie

“romano-campane”9. Questa monetazione comprende nominali coniati in oro, argento e

bronzo; solo quelli in argento, però, ebbero una reale importanza economica in quanto il

bronzo fu coniato sporadicamente e l’oro emesso in una sola circostanza.

Tradizionalmente si è sempre ritenuto che la produzione coniata romano-campana

rappresentasse un vero e proprio salto di qualità rispetto alla più antica monetazione fusa.

In realtà gli studi più recenti, basati sull’esame dei ritrovamenti più che sullo stile,

propendono per una datazione precedente a quella dell’aes grave, che potrebbe aggirarsi

attorno alla fine del IV secolo a.C. A tal proposito Crawford opera due lungimiranti

osservazioni: innanzitutto mette in evidenza come dal punto di vista concettuale la moneta

fusa sia più evoluta con la struttura precisa del suo asse librale scandita dall’indicazione

della marca di valore, assente nei nominali romano-campani10; poi ricorda come Roma non

chiedesse tributi agli alleati italici ma soldati e pertanto non aveva interesse ad attivare un

vero e proprio circuito monetale nel centro Italia, mentre la sua espansione verso Sud

necessitava di moneta per affrontare le spese militari11.

L’officina che le produsse non fu quella di Roma, bensì quella di Neapolis: questa prima

emissione fu caratterizzata da esemplari in bronzo di poco più di 6 grammi, i quali

risultavano formalmente distinguibili dalle contemporanee monete napoletane (Testa di

Apollo/ Toro androcefalo) solo per il fatto che recavano scritto ΡΩΜΑΙΩΝ (“dei romani”)

in luogo di ΝΕΟΠΟΛΙΤΩΝ (“dei cittadini di Neapolis”)12.

Evidentemente questa emissione rispondeva ad esigenze del tutto particolari la cui

individuazione non può prescindere dal fatto che proprio in quegli anni Roma, in seguito

alle vittoriose campagne militari contro i Sanniti prima (343-341 a.C.), e contro i Campani

poi (340-338 a.C.), era arrivata ad espandere i propri confini fino al golfo di Napoli e

9 Riguardo ai rinvenimenti e alla diffusione della monetazione “romano-campana” si veda VITALE 2001, pp. 97-116. 10 CRAWFORD 1985, pp.39-40. 11 CRAWFORD 1985, p. 17. 12 THOMSEN 1957-61, pp.37-48.

8 Parte I – La monetazione repubblicana

proprio nel 326 a.C. aveva stipulato un trattato di alleanza (foedus aequum) con la stessa

colonia greca di Neapolis che sancì l’inizio della conquista romana del Mezzogiorno

(fig.3). Entro tale contesto acquista significato la prima emissione monetale romana, ossia

operare in un’area già da lungo tempo abituata ad utilizzare un determinato tipo di moneta,

adeguandosi ad un ordinamento monetale già consolidato con l’unico scopo di poter

interagire con esso e con coloro che erano abituati a farvi ricorso.

Fig. 3 – Cartina dell’espansione militare di Roma repubblicana.

Alla prima produzione enea fece seguito una successiva emissione in argento (fig.4), che

costituì una novità assoluta per il mondo romano che, come abbiamo visto, era abituato ad

utilizzare il bronzo. D’altronde nel mondo greco, il metallo bianco, costituiva la base della

produzione monetaria da quando questa era stata importata per la prima volta nella

9 Parte I – La monetazione repubblicana

penisola nella seconda metà del VI sec. a.C. Anche questa circostanza ci aiuta a capire

verso quali interlocutori Roma intendesse rivolgersi quando diede corso alla prima moneta

in argento che non a caso corrisponde ad una doppia dracma di peso campano (7,3 g).

Fig. 4 – Didracma Marte/Protome equina. Zecca campana (310-300 a.C.). British Museum.

Non è ancora del tutto chiaro in quale officina monetaria sia stata coniata questa prima

emissione: secondo le più recenti interpretazioni dei dati di ritrovamento, può collocarsi

poco prima del 300 a.C.13, forse in relazione con la costruzione della via Appia che tra il

310 ed il 308 a.C. unì Roma a Capua14. Le raffigurazioni che vi furono impresse sono, al

diritto, una testa di Marte e, al rovescio, una testa equina sul cui collo correva la legenda

ROMANO: quest’ultima scritta in caratteri latini, era il segno distintivo dell’autorità

emittente espresso al genitivo in forma abbreviata (ossia “romanorum” = “dei Romani”),

secondo una consuetudine mutuata ancora una volta dall’ambiente magnogreco.

Recenti studi sostengono che, dopo l’emissione della seconda serie, molto probabilmente

la zecca fu trasferita direttamente a Roma sulla base della tipologia inequivocabilmente

romana con la testa di Eracle sul diritto e la lupa con i gemelli sul rovescio (fig.5). Per

questa terza serie è stata proposta a buon diritto la datazione del 269/268 a.C. collegandola

ai celebri passi di Plinio (N. H., XXXIII, 44) e di Livio (Epit. XV) nei quali si indicano

rispettivamente il 485 e il 486 ab urbe condita come data per la produzione o l’uso della

prima moneta d’argento a Roma15.

13 Lo studioso Burnett fu il primo a schierarsi a favore di un’origine romana di tali emissioni sia in relazione alla zecca di coniazione che ai contenuti culturali espressi dalla tipologia adottata: BURNETT 1978, pp. 121-142; idem 1980, pp. 169-174; idem 1986, pp. 67-75; idem 1989, pp. 33-57. 14 CRAWFORD 1985, p. 29. 15 SAVIO 2001, pp. 88-89.

10 Parte I – La monetazione repubblicana

Fig. 5 – Didracma Ercole/Lupa e gemelli. (269/268 a.C.). British Museum.

A questa emissione ne fecero seguito altre durante il III sec. a.C., così come proseguirono

le emissioni di bronzi di ispirazione greca, almeno fino ai primi anni della Seconda Guerra

Punica. Tutte queste giocarono un ruolo importante nel veicolare la politica espansionistica

di Roma nell’Italia Meridionale, cosicché si tende a scandire la sequenza in riferimento a

singoli avvenimenti o episodi di natura militare, quali la guerra contro Pirro (280-275 a.C.,

fig.3), la Prima Guerra Punica, la costruzione della flotta nel corso di quest’ultimo

conflitto, ecc., sulla base di una relazione tra guerra e moneta che nel mondo antico sembra

abbia avuto una valenza assolutamente determinante16.

Intorno al 225 a.C. venne introdotto il nuovo tipo del quadrigato (fig.6), cosiddetto in

quanto sul rovescio compare la quadriga di Giove guidata dalla Vittoria, mentre al diritto la

testa di Giano (o testa gianiforme dei Dioscuri secondo la denominazione del Crawford).

Fig. 6 – Quadrigato (230-220 a.C.).

Non si trattò solo di un cambio tipologico ma anche di una vera e propria riforma

quantitativa perché i coni usati per produrlo ammontano a migliaia contro le decine

precedenti17. La causa doveva certamente essere la grande leva che i Romani effettuarono

in questi anni per rafforzare la loro potenza militare.

16 ASOLATI 2001, p. 43. 17 BURNETT 1987, p. 12.

11 Parte I – La monetazione repubblicana

L’unica coniazione aurea della serie romano-campana è rappresentata da due nominali

rispettivamente di 6 e 3,3 g. circa detti “Oro del Giuramento” (statere e ½ statere) per la

scena rappresentata sul rovescio accompagnata dalla scritta ROMA in esergo (fig. 7).

Fig. 7 – Oro del Giuramento (225 a.C.).

1.3 L’aes grave e le riduzioni ponderali

Inserite nella tradizione romana e centro-italica, la cui zecca è da localizzarsi con certezza

nella stessa Roma, sono tutte le serie delle monete fuse in bronzo che generalmente vanno

sotto il nome di aes grave (bronzo pesante). Appare facilmente intuibile che tali monete

ebbero un’area di circolazione ed un bacino di utenza del tutto differenti rispetto a quelli

degli esemplari romano-campani. Anche se vi sono delle sovrapposizioni parziali tra i

rispettivi ambiti di diffusione, la circolazione dei pezzi fusi rimase limitata essenzialmente

all’Italia centrale e, quindi, è evidente che l’aes grave era destinato essenzialmente ai

bisogni di Roma stessa, oppure delle colonie romane e latine della penisola.

La maggior parte degli studiosi ritiene che tali emissioni presero avvio in coincidenza di un

evento bellico, verosimilmente con la guerra contro Pirro (280-275 a.C.), ma ebbero uno

straordinario incremento soprattutto durante la Prima Guerra Punica: in un periodo

compreso fra il 289 e il 275 a.C. sarebbe stata creata la prima moneta sicuramente statale in

bronzo fuso; secondo gli assertori di questa cronologia Roma, ormai vincitrice delle guerre

sannitiche e padrona di tutta l’Italia centrale, si sarebbe sentita in dovere di dotarsi di una

monetazione interna rispettabile. La data del 289 a.C. proposta dal Thomsen 18 e da

Zenhacker19 si accorderebbe con la notizia fornita da Pomponio (Digesto, I, 2, 2, 27-32)

secondo cui in quell’anno sarebbe stato stabilito il primo collegio dei tresviri monetales.

18 THOMSEN 1957-61, vol. III, p. 259. 19 ZENHACKER 1973, p. 222.

12 Parte I – La monetazione repubblicana

Il sistema ponderale adottato era quello della libra, inizialmente corrispondente ad un asse

(327 g. ca). Quest’ultimo si divideva in dodici once e aveva i seguenti sottomultipli: il

semisse o mezzo asse, il triente o terzo di asse (pari a quattro once), il quadrante o il quarto

di asse (pari a tre once), il sestante e l’oncia. Recavano tutti il valore espresso con il segno

dell’unità (I) per l’asse, con (S) per il semisse e con tanti globetti (°) quanto erano le once

per gli altri nominali. Tutti i nominali erano senza iscrizioni, non avevano cioè nessuna

leggenda, neppure il nome Roma. L’uso della fusione per queste prime serie non deve

meravigliare dato il peso delle monete stesse, soprattutto dei nominali maggiori, asse e

semisse, che non permetteva la battitura.

La serie più nota e diffusa di aes grave è la serie “della prua” (225 a.C.; fig. 8), cosiddetta

perché tutti i suoi nominali recano al rovescio una prua di nave, generalmente volta a

destra. Questa serie continua per tutto il periodo della repubblica, fino alla prima metà del I

secolo a.C. Al diritto vi sono le effigi di diverse divinità fisse a seconda dei nominali:

sull’asse Giano (tipo originale romano), sul semisse Giove, sul triente Minerva, sul

quadrante Ercole, sul sestante Mercurio, sull’oncia una testa femminile probabilmente

Bellona.

Fig. 8 – Aes grave: asse da 267,17 grammi (230-220 a.C.). British Museum.

Il peso degli assi, e dei suoi sottomultipli, conobbe una graduale diminuzione nel corso del

tempo sebbene il valore nominale resti invariato (v. tab.1). Assistiamo quindi ad emissioni

di aes grave di peso differente.

Lo storico Theodor Mommsen (1817-1903) stimava il peso teorico della libbra latina in

273 g. Tale calcolo purtroppo è inconciliabile con i pesi effettivi rilevati che sono talvolta

molto maggiori, quindi si è ipotizzato che in un primo periodo la libbra dell’aes grave fu

quella romana di 327,5 g con i suoi sottomultipli; e solo in un secondo momento, fra il 270

13 Parte I – La monetazione repubblicana

e il 225 a.C., la libra dell’asse pesante dovrebbe essere stata quella osco-latina di 273 g.

pari a 10 once di libra romana20.

Al tempo della riduzione semilibrale, agli inizi del III secolo, Roma sarebbe ritornata alla

sua libbra più pesante (327,5 g) che, d’ora in avanti, rimarrà la base o il piede di tutte le

monetazioni fino alla caduta dell’Impero Romano. In questa fase un asse pesava quanto

mezza libbra romana 163,5 g e i sottomultipli vennero adattati al nuovo peso dell’asse.

Tab. 1 – Riduzioni ponderali dell’aes grave secondo le datazioni di Crawford.

La politica di espansione di Roma come non dette tregua alle popolazioni italiche e italiote,

così non la diede nemmeno alla sua moneta ufficiale, l’asse di bronzo, che alla fine del III

secolo a.C. risultava soltanto di un ¼ di libra romana. Dopo l’assestamento monetario

avvenuto subito dopo la conquista del Lazio, vengono via via emessi assi con un peso al di

sotto di quello legale. Di emissione in emissione si arriva al 214 a.C., con un asse che pesa

tre once, denominata quadrantale (81,75 g.). Le date dei diversi abbassamenti non sono

certe, pur tuttavia non possono essere dissociate dagli avvenimenti bellici in cui Roma

visse momenti di gloria, ma anche situazioni di grande pericolo con conseguenti crisi

finanziarie: al contrario di quanto si possa pensare, la conquista dell’Italia centro-

meridionale richiese sacrifici e anche la perdita nel potere d’acquisto della moneta. Le

indennità di guerra non furono però in grado di far recuperare alla moneta il degrado subito

a causa dei lunghi conflitti. Fu possibile fermarlo sanzionando di fatto la svalutazione

dell’asse da 3 once librali a 2 (54,5 g.) e così i romani ebbero il c.d. asse sestantale, con i

suoi sottomultipli ridotti di peso e di valore in proporzione. Contemporaneamente fu

20 SAVIO 2001, pp. 82-83; Questa convulsa fase di passaggio tra libbra romana e osco-latina non è del tutto chiara e rappresenta uno dei principali problemi non ancora risolti della monetazione romana che ha visto l’alternarsi di numerose teorie e proposte tra i vari studiosi. Secondo CRAWFORD (RRC, I, tav. 5) e Barnett (1987, p. 4) l’aes grave si sarebbe stabilizzato definitivamente al peso di 240 scrupoli (272 g. ca) intorno al 225 a.C. con l’inaugurazione della serie Giano/Prua.

14 Parte I – La monetazione repubblicana

introdotta una nuova moneta in argento che cambiò radicalmente il sistema monetario

romano: il denarius (v. par. 1.4).

Nel corso del II secolo a.C, Roma conobbe un’altra inflazione: l’asse sestantario di 2 once

fu ridotto a un asse di una sola oncia e scese da 54,5 a 27,25 g.

Dopo un secolo abbondante di prosperità, Roma ripiomba nell’incubo delle lotte intestine

del bellum sociale: la breve ma intensa lotta tra romani e italici comportò uno sforzo

finanziario enorme portando inevitabilmente ad una nuova svalutazione dell’asse da un

oncia a mezza oncia. In pratica il decreto di svalutazione, ovvero la Lex Plautia Papiria de

aere publico, riconobbe una situazione di fatto, giacché il peso dell’asse veniva ribassato di

emissione in emissione. Nel 91 a.C., ufficialmente, i romani, i latini e gli italici, ormai

accomunati dalla cittadinanza, ebbero l’asse semionciale ossia di 1/24 dell’originaria libbra

pari a 13,6 grammi circa.

1.4 La nascita del denarius e la sua diffusione

Roma entrò nella seconda guerra punica dotata del sistema monetario di cui si è detto

finora, basato sostanzialmente sul quadrigato e sulle varie monete enee, e ne sarebbe uscita

completamente trasformata con la creazione del denarius intorno al 211 a.C.

L’introduzione del sistema del denario romano è stata intesa dai numismatici e dagli storici

come una vera e propria riforma della politica monetale di Roma, corrispondente

all'avvenuta emancipazione dell'Urbe dall'influenza monetale delle città greche dell'Italia

Meridionale 21 . Mentre nella prima fase della sua monetazione d'argento Roma si era

ispirata nella scelta dei tipi e del sistema ponderale agli stateri magno-greci, con il denarius

avrebbe introdotto un nominale di ideazione autonoma, corrispondente al quadruplo della

sua unità di misura, lo scrupulum, all'interno di un sistema di multipli e di sottomultipli

fondato sul contemporaneo utilizzo di tre metalli 22 . I diversi nominali erano posti in

reciproca relazione dai segni di valore che ne indicavano il potere d'acquisto, secondo un

computo che aveva a base l'unità di bronzo, l'asse.

L'importanza storica del denarius consiste nell'avere rappresentato per circa cinque secoli,

dalla fine del III sec. a.C. al III d.C. la principale valuta d'argento romana, il vero e proprio

perno di un’economia le cui principali voci di spesa furono senza dubbio quelle militari. 21 LO CASCIO 1980-81, pp.335-358. 22 La consapevolezza della contemporanea coniazione dei tre metalli fin dalle prime fasi delle emissioni del denario è fenomeno piuttosto recente, si veda Thomsen 1957-61, pp.246-265.

15 Parte I – La monetazione repubblicana

Ma la data e le motivazioni che portarono alla sua introduzione sono argomenti intorno al

quale si è sviluppato un intenso dibattito tra gli studiosi, perché non vi è corrispondenza tra

i dati letterari e la documentazione archeologica23.

A parte una tradizione assolutamente minoritaria che identifica in Servio Tullio l’inventore

della moneta d’argento, la maggior parte delle fonti antiche sembrano datare la sua

introduzione nel 269-268 a.C. In particolare Plinio24 ci riferisce che in quella data (cinque

anni prima dell’inizio della Prima Guerra Punica) i Romani “coniarono” per la prima volta

l’argento, mentre Livio ricorda che i Romani “usarono” per la prima volta questo metallo.

Gli studiosi moderni hanno variamente interpretato tali passi, ora sostenendo che si

alludesse alla data d’inizio della monetazione in argento25; ora ritenendo che i due autori si

riferissero al denarius; ora, infine, che quella data segnasse il momento in cui iniziò ad

operare la zecca di Roma per coniare moneta argentea26.

La chiave di lettura di quest’episodio, la cui importanza non deve comunque essere

sottovalutata vista l’attenzione dedicata dalle fonti antiche, va ricercata nelle parole

impiegate da Livio, ossia nel fatto che nel 269-268 a.C. i Romani cominciarono ad usare

l’argento27. L’affermazione liviana può essere messa in relazione con quella di Dionigi di

Alicarnasso il quale, parlando a proposito di una vendita avvenuta nel 269 di un bottino di

guerra, riferisce che l’argento ricavato fu distribuito ai cittadini di Roma. Non possiamo

sapere in quale forma tale distribuzione sia avvenuta, se in monete coniate romane o

straniere o ancora in argento a peso, e del resto ciò appare di scarsa importanza: quello che

va sottolineato è che probabilmente a questo avvenimento fu attribuita grande importanza

poiché per la prima volta una società abituata all’uso del bronzo poteva disporre di un'altra

forma di ricchezza, l’argento. Soltanto in un secondo momento autori come Plinio

avrebbero interpretato tale disponibilità e tale uso del metallo bianco come l’avvio della

23 Per una sintesi su questo argomento RONCHI 1998, pp.3 9-88. 24 Plin., N.H., XXXIII, 42-47:“Argentum signatum anno urbis CCCCLXXV Q. Ogulnio et C. Fabio coss. quinque annis ante primum punicum bellum, et placuit denarium pro decem libris aeris valere, quinarium pro quinque, sestertium pro dupondio ac semisse”. 25 Questa interpretazione viene confutata dal fatto che, come abbiamo visto prima, la didracma romana fu battuta con buona probabilità poco prima del 300 a.C. (BURNETT 1978, p. 121.). 26 In merito poi all’inizio dell’attività della zecca di Roma per quanto concerne l’argento, oggi si preferisce credere che la prima emissione, che con certezza si può attribuire a tale officina monetaria, sia stata battuta durante il periodo della Prima Guerra Punica (264-241 a.C.) (CRAWFORD 1985, p. 31 e 42). 27 Le affermazioni di Plinio sono messe a confronto con quelle di Livio da NENCI 1968, pp. 3-36; nel quale afferma che la fonte di Plinio sarebbe stata Varrone.

16 Parte I – La monetazione repubblicana

produzione di monete in argento consolidando l’idea che il 269-268 a.C.28 coincidesse con

la data di nascita della moneta argentea romana29.

In mancanza di riferimenti sicuri, superato il sistema di datare in base allo stile o alle sole

fonti letterarie che conducono ad esiti troppo soggettivi, non si può non riconoscere che il

primo tentativo di offrire una cronologia oggettiva sia stato, ancora una volta, operato dal

Crawford in RRC, fondato sostanzialmente sull’analisi dei ritrovamenti e sullo studio delle

monete riconiate. Dunque intorno al 212-211 a.C. il denario fu introdotto come cardine di

un nuovo sistema monetario in contemporanea con la riduzione sestantale dell’asse30.

Questa datazione è basata, oltre che su molte coincidenze 31 , anche sull’evidenza

archeologica degli scavi di Morgantina in Sicilia. Verso la fine degli anni cinquanta, infatti,

gli archeologi dell’Università di Princeton trovarono nel santuario di Demetra e Kore,

distrutto nel 214 o nel 211 dal fuoco durante la riconquista dei Romani, alcuni esemplari

fra i più antichi della serie denariale di conservazione quasi fior di conio; il che significa

che non avevano circolato e che erano stati coniati da poco32.

Questo nuovo sistema basato sul denario d’argento è stato attuato nel corso del conflitto

contro Annibale intorno al 211 a.C., in un momento critico per Roma a causa dell’inopia

aerari, cioè dell’indisponibilità di fondi pubblici, per le difficoltà nel reperimento di risorse

per le spese di guerra. La riforma stabilisce un rapporto stabile tra l’argento e il bronzo,

fissando a 10 assi il valore della nuova unità monetaria d’argento, dal peso di circa 4,50 g.

Tutte le emissioni del sistema del denario, nelle serie iniziali, presentano tipi fissi e

contrassegni indicanti il valore. Denario, quinario e sesterzio hanno al diritto la testa di

Roma e i segni del rispettivo valore in assi (X, V, IIS = 2 assi e un semisse); al rovescio

presentavano i Dioscuri a cavallo e la legenda ROMA (fig.9). La presenza di Castore e

Polluce, si riallacciava in atmosfera bellica, al loro leggendario intervento in favore dei

romani sul lago Regillo contro i Volsci e i Latini nel 499 o 496 a.C. È molto probabile che

28 Tale cronologia è stata sostenuta dalla scuola italiana CESANO 1938, pp. 3-26; BREGLIA 1948, pp. 11-16; STAZIO 1955, pp. 233-241; Idem 1958-1959, pp. 344-347; BELLONI 1993, pp. 36-37. 29 BURNETT 1978, pp. 124-125; CRAWFORD 1985, pp. 32-32; ASOLATI 2001, pp. 42-43. 30 THOMSEN 1961, III, p. 265; CRAWFORD 1985, pp. 55-56; BURNETT 1987, p. 34; SAVIO 2001, p. 106. 31 Simboli accessori comuni tra bronzo e argento; i tesoretti spagnoli hanno restituito denari delle prime fasi insieme a quadrigati e a monete cartaginesi coniate non prima del 209 a.C; riconiazioni di denari su monete siracusane degli anni 216-212 a.C. 32 Lo studio della documentazione di Morgantina con le nuove proposte di datazione sul denario si devono a BUTTREY 1965, pp. 261-267; Idem 1979, pp. 149-157; Per ottimo inquadramento del contesto di Morgantina e sull’introduzione del denario si veda CACCAMO CALTABIANO 1992, pp.55-71.

17 Parte I – La monetazione repubblicana

il tipo sia stato mutuato dalla monetazione dei Brettii oppure dai bronzi siracusani

dell’epoca di Gerone II e Geronimo.

Fig. 9 – Denario (fine III sec. a.C.).

Gli sforzi della guerra annibalica33 dovettero essere ingenti e si fecero sentire anche negli

anni successivi alla sua conclusione, così in un secondo imprecisato momento, il peso del

denario fu ridotto a 3,90 g.; mentre in una data difficile da precisare, ma che di solito si

indica intorno al 140 a.C. (RRC, II, 613) il denario venne ritariffato e il suo valore fu

portato da 10 a 16 assi, ma continuò ad avere il numero X in accordo con il cambio per i

soldati, per i quali si continuò a quotarlo a 10 assi sestantali anziché a 16 assi onciali34. Fu

questa una specie di imposta a carico di chi non era sotto le armi35 (la svalutazione colpì

anche il vittoriato che fu ridotto dal 3,4 a 2,9 g.).

Contemporaneamente al denario fu introdotto anche il vittoriato36, moneta cosi chiamata

anche dalle fonti perché presentava sul rovescio una vittoria che incorona un trofeo di

armi, con leggenda ROMA in esergo, e al diritto testa laureata di Giove (fig.10). I vittoriati

si dividono in tre gruppi e si conoscono anche rarissimi doppi vittoriati e mezzi vittoriati37.

Questa moneta era coniata con un peso di 1/96 di libbra romana, cioè 3 scrupoli (3,4 g. ca),

corrispondente a ¾ del denario; questo rapporto si mantenne stabile anche quando il

denario fu decurtato di peso da 1/72 a 1/84 di libbra (il vittoriato pesava 2,85 g. ca).

Intorno al 120 a.C. la produzione del vittoriato venne sospesa per poi essere ripresa poco

prima del 101 a.C. (RRC, II, 610) col il peso di mezzo denario, sostituendo di fatto il

33 Nel 218 Annibale, infatti, scese in Italia e in seguito ad una serie di brillanti vittorie sul campo riuscì a sottrarre a Roma il controllo di vaste aree d’Italia e ad acquisire alleati sullo stesso suolo del nemico. Ciò si tradusse per Roma in una improvvisa e drastica riduzione di risorse umane e materiali, le cui conseguenze non mancarono di riflettersi anche sulla monetazione. La moneta in bronzo fu ridotta di peso su base sestantale, mentre quella d’argento subì importanti cambiamenti con l’introduzione del denario. 34 SAVIO 2001, p. 103. 35 Di questo ci informa Plinio (XXXIII, 45) 36 CRAWFORD 1985, p. 56. 37 Per un approfondimento sulla funzione e circolazione del vittoriato si veda MARRA 2001.

18 Parte I – La monetazione repubblicana

quinario. Questo passaggio ci è testimoniato anche da Plinio (N.H., XXXIII, 13, 46)

citando a tal proposito la lex Clodia.

Fig. 10 – Vittoriato (fine III sec. a.C.).

Va detto che il vittoriato rappresenta una moneta dalla funzione alquanto enigmatica. È

impensabile che il nominale avesse, almeno inizialmente, una funzione commerciale dal

momento che il suo contenuto di argento si aggira, secondo le diverse analisi effettuate, fra

il 65 e l’80 % ed è difficile che i Romani potessero usarlo come mezzo di scambio con i

Greci e la Sicilia abituati ad una moneta qualitativamente migliore. Altrettanto impensabile

appare quanto riferito da Plinio che il vittoriato fosse in qualche modo collegato all’Illirico

forse facilitandone il conguaglio con la dracma (3,4 g.) visto che in questa regione non

sono stati segnalati ritrovamenti significativi.

In realtà, oggi, si ritiene che i molti vittoriati ritrovati in Spagna e prodotti probabilmente

nel corso della II guerra punica riconducano questa moneta alla suo originario significato

militare, innegabile nell’impressione del rovescio.

Una suggestiva ipotesi in questo senso è quella avanzata dallo studioso belga P. Marchetti

secondo cui il vittorio avrebbe costituito la valuta con cui i Romani pagavano gli “auxilia”,

cioè le truppe straniere che percepivano uno stipendio inferiore rispetto a quello dei soldati

romani. Lo Stato avrebbe in pratica frodato gli “auxilia” pagandoli con una moneta

adulterata, ma non tanto da rendere la truffa tanto evidente38, oppure potrebbe essere che

gli stessi “auxilia” gradivano questa moneta poiché simile nel peso alla dracma.

Ancora più limitata nel tempo è la coniazione di tre serie nominali in oro, il cosiddetto

“Oro Marziale” per la testa di Marte al diritto e l’aquila sul fulmine al rovescio con la

38 MARCHETTI1978, pp. 466-471.

19 Parte I – La monetazione repubblicana

leggenda ROMA in esergo 39 (fig.11); contemporanee ai primi denari esse recavano il

marchio del loro differente valore 60, 40 e 20 assi.

Fig. 11 – Oro marziale dal valore di 60 assi (fine III sec. a.C.).

Le vittorie su Annibale e Cartagine (battaglia di Zama 202 a.C.), su Filippo V di

Macedonia (197 a.C.) ed Antioco III di Siria (191 a.C.) comportarono l’acquisizione di

grandi ricchezze per i risarcimenti, indennità di guerra e migliaia di tonnellate d’argento

riempiono le casse dello Stato Romano. Roma, assunto il controllo sul Mediterraneo,

amplifica il gettito monetario e la sua moneta domina incontrastata nella penisola italica e

in Sicilia. La produzione monetaria è ricondotta alla sola zecca urbana e sui denari iniziano

a comparire nuovi tipi (la Vittoria, Giove, Diana, Giunone su carro, ecc.) accompagnati dai

monogrammi e dai simboli indicanti il nome dei magistrati responsabili dell’emissione.

Intorno alla metà del secolo (140 a.C.) è decretata per tutto lo Stato la ritariffazione del

denario reso equivalente a 16 assi e sulla moneta il valore è espresso talvolta con il

numerale XVI. Tale riduzione del valore del denario fu probabilmente conseguenza del

fatto che il peso dell’asse durante la prima metà del secolo si era di fatto progressivamente

ridotto fino a raggiungere lo standard unciale (un asse pesava quanto un oncia 27 g). Le

conseguenze di questa riforma furono l’abbandono dell’asse come unità di conto in favore

del sesterzio e la cessazione della sua stessa coniazione a partire dal 146 a.C. almeno fino

agli anni ’90 del secolo successivo.

Il denario, invece, assunse nella seconda metà del II sec. a.C un ruolo sempre più

importante estendendosi in molti degli ambiti prima riservati alla moneta di bronzo e la sua

produzione aumentò in maniera straordinaria grazie, come suggerisce il Crawford40, alla

riapertura delle miniere d’oro e d’argento del Pangeo nella Grecia settentrionale (157 a.C.). 39 L’unico ritrovamento con aurei repubblicani con oro “marziale” è un tesoretto rinvenuto ad Agrigento nel 1987 per il quale si rimanda a CACCAMO CALTABIANO 1990, pp.1-17; per un approfondimento generale su questa tematica si veda CACCAMO CALTABIANO 1993, pp.109-116. 40 CRAWFORD 1974, p. 74.

20 Parte I – La monetazione repubblicana

In tali circostanze non stupisce il fatto che il denario sia divenuto il più importante e

conosciuto nominale argenteo del Mediterraneo: le dimensioni della sua diffusione

raggiunsero livelli tali che le stesse autorità romane preposte all’emissione non giudicarono

più indispensabile continuare a porre le raffigurazioni e le legende tradizionali su queste

monete, dato che in ogni caso ne sarebbe stato riconosciuto il valore e l’autorità emittente.

Fu quindi lasciata ai magistrati monetari la più ampia facoltà di scegliere le tipologie e le

legende da proporre sulle monete. Le nuove raffigurazioni celebravano la gens di

appartenenza e il prestigio dei magistrati monetari in carica attraverso le immagini allusive

di divinità tutelari, di imprese militari, di miti legati alle tradizioni familiari, di episodi di

vita pubblica, di monumenti eretti a cura della propria gente.

Con un medesimo intento propagandistico gli italici insorti contro Roma scelgono le

immagini da apporre sui denari battuti negli anni del bellum sociale (90-87 a.C.; fig.12),

tese ad esaltare l’alleanza fra i popoli della confederazione. Eloquente il tipo della lupa

romana schiacciata dal toro italico propugna la forza dell’esercito dei socii; la testa

femminile al diritto con la legenda in latino o in osco indica trattarsi dell’Italia, rappresenta

la più antica raffigurazione della personificazione del concetto di unitarietà tra le

popolazioni italiche.

D/ testa d’Italia D/ testa d’Italia

R/ toro italico che schiaccia la lupa R/ Giuramento a otto della Confederazione Italica

Fig. 12 – Denari del Bellum Sociale (90-87 a.C.). ANS database.

Dopo la guerra sociale scoppiano a Roma le lotte intestine per l’affermazione del potere

personale dei capi delle fazioni (a fasi alterne Silla, Mario, Pompeo, Cesare, Marco

Antonio, Ottaviano). La turbolenta situazione politica determina varie conseguenze in

campo monetario, tra cui, innanzitutto, lo sviluppo della monetazione detta “imperatoria” o

“militare” parallela alla monetazione urbana, battuta nei luoghi dove si spostano le legioni

per pagare le truppe e provvedere agli approvvigionamenti. Questa pratica, in precedenza,

si era limitata a poche occasioni autorizzate dal Senato. A partire dal tempo di Silla, il

fenomeno assume dimensioni vistose; in seguito con Cesare dopo il passaggio del

21 Parte I – La monetazione repubblicana

Rubicone del 49 a.C., le coniazioni “imperatorie”, emesse a cura dei comandanti delle

armate o dei loro questori, diventano usuali. Negli ultimi decenni della Repubblica, un

segnale dell’accentramento del potere individuale sono i tipi monetali impressi sulle

monete che, se in precedenza si erano limitati a rappresentare uomini e fatti del passato,

ora si riferiscono a personaggi ed eventi contemporanei. Cesare è il primo ad ottenere il

privilegio di riprodurre il suo ritratto sulla moneta41, onore designato dal Senato poco

prima della morte per mano di Bruto e Cassio (fig. 13).

Fig. 13 – Denario di Bruto esaltante l’uccisione di Cesare (43-42 a.C.). British Museum.

Altra importante innovazione del periodo è il moltiplicarsi di emissioni in oro. In

precedenza vi erano solo due coniazioni auree propriamente romane, quella del

“giuramento” e quella dell’oro “marziale”. Con Silla, poi con Pompeo e soprattutto con

Cesare si afferma la coniazione della moneta in oro in conseguenza del gran quantitativo di

metallo prezioso ricavato nelle guerre di conquista. Il denarius aureus, tagliato sul sistema

romano della libra, è battuto da vari generali per finanziare le imprese militari e come

forme di ostentazione del proprio operato e affermazione di prestigio. Gli anni di Cesare

(dal 46 al 44 a.C.) sono quelli in cui a Roma si conia più oro, data l’abbondanza del bottino

riportato dalla conquista della Gallia.

Fig. 14 – Aureo di Cesare e Marco Antonio (43 a.C.). British Museum. 41 L’unico caso precedente, annoverato però nella monetazione greca, è l'emissione di rarissimi stateri dal peso attico, battuti a nome di Tito Quinzio Flaminino, il generale romano che sconfisse Filippo V di Macedonia a Cinoscefale nel 197 a. C. e l'anno dopo proclamò a Corinto l’indipendenza della Grecia.

22 Parte I – La monetazione repubblicana

Per le loro coniazioni in oro e in argento, i vari personaggi che si contendevano il potere,

hanno sempre usato un’ottima qualità di metallo prezioso: il titolo della lega e il peso delle

loro monete sono gli stessi di quelle prodotte, in numero sempre più ridotto, dal Senato.

Unica eccezione è rappresentata dai denari che Marco Antonio emette nel 32-31 a.C. per

pagare legioni e coorti al suo comando, i cosiddetti “denari legionari” in pessima lega di

argento come ricorda lo stesso Plinio (N.H., XXXIII, 46).

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