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Sezione I civile; sentenza 7 aprile 1947, n. 524; Pres. Brigante P., Est. Di Macco, P. M. DallaMura (concl. conf.); Riggio-Arnese (Avv. Marucchi, Pulejo) c. Ministero guerra (Avv. dello StatoFrattini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 70, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1947), pp. 739/740-743/744Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23139976 .
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PARTE PRIMA
La Corte, ecc. — La resistente oppone nella sua me
moria l'improcedibilità del ricorso per non essere stato
preceduto nè comunque seguito dal deposito per il caso
di soccombenza. Va però al riguardo osservato che og
getto della contestazione è la convalida di licenza per una
piccola affittanza, la quale, perchè tale, rientra nelle con
troversie del lavoro (art. 429 n. 2 cod. proc. civ.), e co
munque non è richiesto il deposito (art. 364 n. 3).
Comunque è sotto altro aspetto che il ricorso stesso
déve essere dichiarato inammissibile.
L'istituto del [regolamento di giurisdizione è stato dal
legislatore creato come un rimedio preventivo nel conflitto
virtuale tra il giudice ordinario e l'Amministrazione attiva
ed i giudici speciali. Sorge allora la necessità, per una più
rapida definizione del processo, della decisione in via pre ventiva sul potere giurisdizionale del giudice ordinario ri
spetto alla pubblica Amministrazione ed ai giudici speciali. Onde, fino a che la causa non sia decisa nel merito, in
primo grado, ciascuna parte può chiedere alle Sezioni unite
della Corto di Cassazione la risoluzione delle questioni di
giurisdizione di cui all'art. 37, mediante la proposizione del
ricorso ; che, ai sensi dell'art. 367 cod. proc. civ., produce effetti sospensivi (art. 41 cod. proc. civile).
Nel caso in esame, il ricorso non*è stato però esperito
per risolvere in antecedenza un conflitto di giurisdizione fra il giudice ordinario e quello speciale, ma per chiedere
la riforma della sentenza del " giudice di primo grado sul
punto nel quale sospende la pronuncia sulle spese proces suali e rimette le parti davanti alla commissione speciale
prevista dall'art. 3 del decreto legislativo luogotenenziale 19 ottobre 1944 n. 311.
Ora tale pronuncia avrebbe potuto impugnarsi con i
rimedi ordinari, ma non con quello preventivo di regola mento di giurisdizione ; manca, infatti, la materia oggetto di una questione da risolvere in via preventiva per l'accer
tamento della giurisdizione. Il regolamento sulle spese non
implica una questione di giurisdizione, perchè riguarda unicamente la situazione giuridica delle parti nel processo e trova il suo presupposto nella soccombenza di una di
esse, che ha perciò l'obbligo di rifondere le spese all'altra
rimasta vittoriosa, per la responsabilità della lite. Ora se
il giudice ordinario non emette sul regolamento delle spese
processuali una pronuncia definitiva perchè, con la dichia
razione di sua incompetenza, ne riserva il giudizio al
competente giudice speciale che dovrà poi pronunciare sul
merito, la sua sentenza potrà per questo impugnarsi solo
con i mezzi ordinari, ma non con quello di regolamento
pria giurisdizione, esamini anche il merito, non è ammesso il re
golamento preventivo per dolersi della sola parte relativa alla
giurisdizione; b) Cass. 20 marzo 1944 (id., 1946, I, 244, con am
pia nota di richiami), la quale non disse precluso dalla sentenza declinatoria di giurisdizione il regolamento preventivo. Infine, Cass. 22 marzo 1944 (id., Rep. 1943-45, voce cit., n. 173, e Giur. Cass. civ., 1944, 185, con nota di Andrioli) cui era stato propo sto regolamento necessario di competenza, ritenne, pur dopo averlo
respinto per la parte relativa alla competenza, di addivenire ad una diversa ripartizione delle spese del giudizio di merito; mentre Cass. 19 dicembre 1945 (id., Rep. 1943-45, voce cit., n. 409) ha negato che oggetto del regolamento necessario fosse la pronun cia sulle spese del giudizio di merito. Mentre l'antinomia tra le due sentenze da ultimo citate è innegabile, quella riportata non è in contrasto con la sentenza 22 marzo 1944, perchè il re
golamento preventivo di giurisdizione non solo non è necessario, come è il regolamento proposto contro la sentenza che si limiti a pronunciare sulla competenza, ma non è un mezzo di impugna zione, si liberie un rimedio per risolvere preventivamente le que stioni attinenti alla giurisdizione : tale carattere conserva anche nella ipotesi che ne occupa, in cui la pronuncia declinatoria non tanto costituisce l'oggetto della impugnazione, quanto non rap presenta il limite preclusivo del regolamento, perchè non è .con siderata sentenza di merito.
E nemmeno contrasta con le due ultime massime la citata sent. 20 marzo 1947, nella quale in tanto la Cassazione ha pro nunciato sulle spese in quanto la questione di giurisdizione aveva formato oggetto di regolamento preventivo e non di controricorso dell'intimato.
di giurisdizione, perchè come già si è osservato ne manca
il presupposto. Nè si potrebbe dire che la questione della giurisdizione
è stata ugualmente sollevata in Cassazione dalla contro
parte col suo controricorso, e potrebbe, pertanto, essere
esaminata dalle Sezioni unite ai fini del regolamento. L'istituto del controricorso, così come è anche regolato
dalla legge attuale, agisce solamente come un mezzo di
difesa, e giova unicamente alla controparte per esporre le
sue ragioni, sia formali che sostanziali, contrarie al ricorso, ma non opera laddove il resistente abbia da far valere
istanze e deduzioni proprie in via autonoma.
In questo ultimo caso egli deve proporre, con l'atto
contenente il controricorso, il ricorso incidentale contro
la stessa sentenza ed a questo si applicano le stesse dispo sizioni di cui agli agli 364 e segg. cod. proc. civile.
Ora l'istanza per regolamento di giurisdizione va pro
posta unicamente col ricorso, e quindi, mancando nella
specie il ricorso incidentale, il regolamento di giurisdizione non può essere preso in esame dalle Sezioni unite.
Per questi motivi, dichiara inammissibile, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile; sentenza 7 aprile 1947, n. 524; Pres.
Brigante P., Est. Di Macco, P. M. Dalla Mura
(conci, conf.) ; Riggio-Arnese (Avv. Marucchi, Pulejo) e. Ministero guerra (Avv. dello Stato Frattini).
{Sent, denunciata : App. Messina 4 giugno 1945)
Responsabilità civile — Amministrazione pubblica —
Reati commessi dai dipendenti — Danni non patri moniali — Risarcibilità (Cod. pen., art. 185.: cod.
civ., art. 2059).
La pubblica Amministrazione è responsabile dei danni non
patrimoniali causati da un reato colposo commesso da
suoi dipendenti nell'esercizio delle loro attribuzioni. (1)
La Corte, ecc. — I ricorrenti censurano la denunziata
sentenza per aver violato il disposto dell'art. 185 cod.
pen., nonché i principi sulla .responsabilità della pubblica Amministrazione per il risarcimento dei danni derivanti
da reato commesso dai suoi organi, ed inoltre per difetto
di motivazione.
Tralasciando quest'ultima censura, non più ammissi
bile per il vigente codice di rito, si dirà subito che le
dedotte violazioni in efletti sussistono, onde il ricorso va
accolto. La Cori e di Messina, partendo dall'esatto presupposto
che tra l'Amministrazione militare ed il militare non si
forma un rapporto institorio a norma dell'art. 1153 (cod. civ. 1865) dovendosi considerare il militare non come un
commesso ma come un organo di quella, dopo avere os
servato che per rispondere anche dei danni morali — na
scenti questi solo dal reato e non pure dall'illecito civile —
occorre, come risulta dall'art. 185 cod. pen., proprio il
rapporto institorio, è giunta alla conclusione che questo
(1) La decisione riportata si attiene al nuovo indirizzo se
gnato dalla decisione 14 aprile 1943, n. 869 (Foro it., 1943, I, 629), relativo al risarcimento dei danni non patrimoniali deri vanti da reato colposo commesso da dipendenti della pubblica Amministrazione, indirizzo confermato di recente nella decisione 11 febbraio 1946, n. 117, richiamata nella motivazione e rias sunta in Foro it., Mass., 1946, 33.
La decisione annotata conferma l'enunciazione contenuta nella ricordata pronuncia del 14 aprile 1943, secondo la quale al concetto di imputabilità si sostituisce, nel confronti della per sona giuridica pubblica, quello della riferibilità dell'atto illegit timo, soggiungendo che la esistenza del rapporto organico tra
pubblica Amministrazione e dipendente non può determinare una responsabilità minore di quella derivante dal fatto del pre posto, che impegna l'ente a titolo indiretto.
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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE
articolo non è applicabile nei confronti dell'Amministra
zione militare, la quale è tenuta per responsabilità di
retta e altresì, a sensi dell'art. 120 cod. stradale, quale
proprietaria del veicolo, giusta la giurisprudenza, anche
a Sezioni unite (26 febbraio 1937 n. 580, Foro it., 1937,
I, 1104) di questo Supremo Collegio. Ora, torna utile precisare anzitutto che già nel 1943,
e cioè anteriormente alla pronuncia impugnata, questa Corte Suprema aveva, con la sentenza del 14 aprile n. 869
(Foro it., 1943, I, 629) anche a Sezioni unite, mutato ra
dicalmente la propria giurisprudenza affermando il prin
cipio che la pubblica Amministrazione è responsabile an
che dei danni non patrimoniali cagionati dal reato com
messo dai suoi organi. Principio questo che è stato poi confermato con la successiva pronuncia dell'11 febbraio
1946 n. 117 (Foro it., Mass., 1946, 33).
Ma, all'infuori di ciò, dal fatto della inammissibilità
di un rapporto institorio tra la pubblica Amministrazione
e il dipendente che agisce quale organo della stessa, e
quindi dalla inesistenza per l'Amministrazione della re
sponsabilità indiretta a norma dell'art. 2049 cod. civ. (già 1153 cod. 1865) non è lecito trarre la conseguenza di una
limitazione per l'Amministrazione stessa della propria re
sponsabilità, escludendosi, così, il suo obbligo al risarci
mento dei danni non patrimoniali. Perchè, se per l'art. 185, secondo comma cod. pen., al risarcimento del danno anche
non patrimoniale sono tenute, con il colpevole del reato, le persone che a norma delle leggi civili debbono rispon dere per il fatto di lui, vale a dire le persone indirettamente
responsabili, una volta riconosciuto, come è pacifico, che
l'ente pubblico risponde direttamente per l'illecito penale dei propri dipendenti, non è ammissibile che la sua re
sponsabilità diretta possa avere un contenuto ed una por tata neppure uguale ma inferiore a quella derivante dalla
responsabilità indiretta per fatto altrui. L'unico argomento addotto dalla impugnata sentenza per negare la respon sabilità della pubblica Amministrazione per i danni non
patrimoniali, e cioè la mancanza tra questa ed i suoi or
gani di un rapporto di preposizione, si rivela dunque, per quel che si è detto, non concludente, se non addirittura
contrario all'assunto della sentenza medesima.
Nè miglior sorte possono avere gli argomenti di rin calzo prospettati in questa sede dall'Amministrazione resi
stente. Questa comincia con l'osservare che, poiché l'Am
ministrazione risponde del fatto posto in essere da un suo
organo come di un fatto proprio, rimane per ciò solo esclusa quella rèsponsabilità indiretta alla quale l'art. 185
appunto si riferisce, e che ciò costituisce un grave osta
colo — che non sembra sia stato finora avvertito — per
l'accoglimento della tesi dei ricorrenti. Ma è superfluo,
dopo quanto si è detto, rilevare che il supposto ostacolo,
già avvertito e superato con la citata sentenza delle Se zioni unite dell'aprile 1943, non esiste, in quanto è stato con essa dimostrato come l'atto illecito penale addebitato
all'organo diventa proprio dell'ente per quella combina zione della volontà di un soggetto con l'interesse dell'al
tro, che è stata posta in evidenza dalla moderna dottrina nello studio della figura del soggetto complesso.
Soggiunge la difesa dell'Amministrazione che tale osta
colo è poi reso più evidente dal fatto che l'art. 185, nel sancire la responsabilità a carico dei responsabili civili, non
distingue tra delitto doloso e delitto colposo onde, se fosse vera la tesi contraria, si dovrebbe dichiarare la responsa bilità dell'Amministrazione anche per i danni non patri moniali derivanti da delitto doloso, mentre è pacifico che il dolo rompe il rapporto tra l'atto dell'agente e l'Ammi
nistrazione, per cui non sussiste la responsabilità di que sta, a differenza di quel che avviene per i responsabili ci
vili ai quali si riferisce il citato articolo. Ma a tale obie zione può facilmente rispondersi che appunto perchè il
dolo rompe, in modo assoluto, qualsiasi rapporto tra l'ente
pubblico ed i suoi dipendendi, la questione della respon sabilità o meno dell'ente anche per i danni non patrimo niali derivanti da reato commesso dai dipendenti medesi
mi, può essere posta e va posta solo allorché trattisi di
reato colposo, non potendosi far risalire all'ente pubblico
l'attività dolosa del proprio dipendente, anche se colle
gata all'esercizio delle incombenze affidategli, come è pa cifico nella dottrina e nella giurisprudenza del Supremo
Collegio (da ultimo, Sezioni unite 9 luglio 1946 n. 819, Foro it.,
J/ass.,^1946, 192).
Proseguendo, la stessa difesa non può poi non ricono
scere che il fatto di essere l'imputabilità propria della
persona lisica non gioverebbe al suo assunto, in quanto la
responsabilità per danni è sempre di carattere civile, tanto che l'art. 185 è posto sotto il titolo « Delle sanzioni ci vili». Ma trova che queste sanzioni civili sono estrema mente prossime alle sanzioni di vero e proprio carattere
penale, come nel caso della riparazione del danno me diante pubblicazione della sentenza di condanna (art. 186) e in quello della obbligazione civile per il pagamento delle
ammende gravanti sulle persone giuridiche, fatta eccezione
per lo Stato, le provincie e i comuni (art. 197) ; per cui
dovrebbe, a suo parere, sicuramente ritenersi escluso l'ob
bligo del risarcimento dei danni non patrimoniali per il
suo carattere complementare della sanzione penale. Ma, come è già stato osservato in dottrina e nella citata sen tenza 11 febbraio 1946 di questo Supremo Collegio, la
sanzione civile non può esser considerata in relazione di
complementarietà con quella penala, data la sostanziale diversità della natura e degli effetti di entrambe. Ed in
vero, mentre la sanzione penale è personale al colpevole e quindi intrasmissibile, ed inoltre varia a seconda del
grado di pericolosità dello stesso e della gravità del reato, la sanzione civile si trasmette agli eredi (art. 22 cod. proc.
pen.), ed inoltre varia a seconda della maggiore o minore
quantità del danno. Così pure, mentre fine della sanzione
penale è la difesa della società contro il delitto, fine della sanzione civile è la integrale riparazione del nocumento sof ferto dalla persona offesa o danneggiata dal reato. Onde,
per queste ed altre essenziali diversità tra le due sanzioni, è da escludersi, come si è visto, nella sanzione civile, quel suo preteso carattere di complementarietà di quella penale.
Quanto, infine, alle ulteriori considerazioni che la di
fesa dell'Amministrazione trae, a sostegno della propria tesi, dal fatto che, mentre la responsabilità civile trova il suo fondamento anche nel concetto del rischio inerente ad una determinata attività, tale rischio non si estende alla garanzia del dolo dell'agente, e che comunque, se tra i rischi di impresa possono farsi rientrare i danni patri moniali, lo etesso non può farsi per i danni non patrimo niali che sarebbero invece sanzioni previste dalla legge penale ed assai prossime alle pene afflittive, valga quel che finora si è detto a confutazione dei precedenti ana
loghi argomenti addotti dalla stessa difesa, e cioè che il
reato, commesso dal dipendente, che viene preso in con siderazione ai fini del risarcimento da parte dell'onte pub blico del danno non patrimoniale, è solo quello colposo
giacché, ili caso di dolo, qualsiasi rapporto è rotto, come si è detto, in modo assoluto, tra l'ente stesso ed il proprio
dipendente, o che, benché prevista dalla legge penale, la
sanzione in esame, al pari delle altre comprese negli arti coli 185 e segg., è essenzialmente una sanzione di carat
tere civile.
Concludendo, alla imputabilità che è della persona fisica, corrisponde la responsabilità dell'ente per il cui in
teresse essa agisce. E tale responsabilità non può essere
che piena nel senso che tutto il danno, nella sua interezza, deve essere risarcito. L'art. 185 non distingue, infatti, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, ponendo l'uno e l'altro a carico di chi deve rispondere civilmente
per il reato commesso da altri ; e pertanto, se si riconosce che la pubblica Amministrazione risponde dell'uno, è forza
riconoscere che deve necessariamente rispondere anche del
l'altro. Parimenti, poiché lo stesso articolo non distingue tra persona e persona, una distinzione che volesse farsi, e si è cercato di fare, tra persone fisiche e giuridiche e, nell'ambito di queste ultime, tra persone giuridiche pub bliche e private, urterebbe contro il generale disposto del
l'articolo medesimo che nessuna distinzione consente. A ciò può aggiungersi che non v'è nella legge, ed esu
lerebbe dalla logica, il principio per cui il risarcimento
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PARTE PRIMA
dovrebbe essere commisurato non alla entità del danno, ma alla persona tenuta a rispondere del danno stesso. E
ohe, con la soluzione che si adotta, si elimina infine l'in
giustizia di un risarcimento minore allorché il danno derivi
da reato commesso da un organo della pubblica Ammini
strazione, essendo il più delle volte concretamente inef
ficiente il diritto del danneggiato di ottenere, dal solo
autore del reato, il risarcimento del danno non patri moniale.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione III civile ; sentenza 22 febbraio 1947, n. 242 ; Pres. Telesio P., Est. Sardo, P. M. Pomodoro (conci,
conf.) ; Sabbadini (Avv. Sansoni, Langosco) c. Guerci
(Att. Tamburini).
(Sentenza denunciata : App. Milano 15 settembre 1942)
Appello civile -— « Reformatio in peius » — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 112, 329).
Responsabilità eivile — Danni non patrimoniali — Danni alla vita di relazione — Carattere (Cod. civ., art. 2043, 2059 ; cod. pen., art. 185).
Non viola il divieto della reformatio in peius il giudice d'ap pello che, in mancanza di gravame dell'appellato, confer mando una condanna a risarcimento di danni a carico
dell'appellante, lascia immutato nella sostanza e negli ef fetti l'oggetto della decisione di primo grado, ma determina l'entità economica dei singoli titoli di danno dedotti in
giudizio, mentre tale determinazione era mancala in primo grado. (1)
Danni morali sono quelli che si esauriscono nell'ingiusto perturbamento delle condizioni d'animo, senza arrecare
pregiudizio al patrimonio in modo diretto o indiretto ; il danno causato alla vita di relazione da lesioni personali deve pertanto essere risarcito come danno patrimoniale, quando sia accertato che esso ha riflessi di ordine econo mico. (2)"
La Corte, ecc. — (Omissis). Si sostiene dal Sabbadini nel primo motivo che la Corte di appello abbia operata una reformatio in peius, perchè, avendo ridotto gli altri titoli di danno (riparazioni all'automobile, deprezzamento, mancato uso della macchina, spese varie e di cure, ed in dennizzo temporaneo), non avrebbe potuto attribuire la stessa somma di lire 50.000. Avrebbe in tal modo la Corte
illegittimamente aumentato l'indennizzo per il danno mo
rale, mentre il Guerci aveva accettato la sentenza del Tri bunale di Milano, che a titolo di danni morali gli aveva
(1) Vedi in senso conforme, sulla portata del divieto della
reformatio in peius, Cass. 7 agosto 1946 n. 1107 (Foro it. Mass., 1946, 255) ; Cass. 26 aprile 1938 (Foro it., Rep. 1938, voce Ap pello civile, n. 508); Cass. 11 gennaio 1937 (id., Rep. 1937, voce
cit., n. 244). In dottrina si consultino Chiovenda, 1st. di dir. proc. civ.,
II, n. 399, 400 ; Betti, Dir. proc. civ. it.2, pag. 667, 684 ; e, per la questione dell'esistenza del divieto nel sistema del nuovo co dice di procedura civile, Andrioli, Commento cod. proc. civ.2, Jo vene 1945, II, pag. 328; Provinciali, Sistema delle imp. civ. secondo la nuova legist., 1943, pag. 303; Zanzucchi, Il nuovo dir.
proc. civ.2, 1941, pag. 191.
(2) Per la definizione del concetto di danno non patrimoniale o morale vedi in senso conforme, da ultimo, Cass. 8 agosto 1942, Foro it., 1943, I, 402 con nota di richiami. In dottrina cfr. da ultimo De Cupis, Il danno, Giuffrè 1946, pag. 30 e segg. e 301.
Sul carattere dei danni alla vita di relazione, si vedano in dottrina Gentile, Il danno alla vita di relazione, in Resp. civ., 1940, pag. 161 ; Perettt-Griva, I danni per la vita di relazione, in Riv. crit, 1940, 205 ; Montel, Sui danni alla cosidetta vita di
relazione, in Giust. pen., 1940, III, pag. 462 ; Bottero, Sulla ri aarcibilità del danno alla cosidetta vita di relazione, in Resp. civ., 1939, pag. 145.
attribuita la differenza tra la somma di lire 50.000 com
plessivamente liquidata, e quella stabilita per gli altri ti
toli di danni. Ma tale reformatio in peiws non sussiste. Il
Tribunale non aveva determinato l'entità economica di
ciascuno dei titoli di danno dedotti in giudizio, ma con
un giudizio complessivo, che era anche il risultato di una
valutazione equitativa e prudenziale, aveva liquidato il
danno nel suo complesso in lire 50.000. La Corte, invece,
con una indagine più particolareggiata, ha voluto deter
minare l'entità economica di ogni singolo titolo di danno
alla stregua degli stessi concetti, che erano stati posti a
base della motivazione dei primi giudici, giungendo alla
stessa conclusione cui era pervenuto il Tribunale.
Ora, per aversi il vizio della reformatio in peius, oc
corre la modifica della portata della sentenza di primo
grado senza gravame dell'interessato. Ma allorquando l'og
getto della decisione resti immutato nella sostanza e negli effetti senza che perciò ne derivi per l'appellante una soc
combenza in misura più grave di quanto risulti dalla
sentenza di primo grado non si ha alcuna reformatio in
peiws : mancherebbe, infatti, il pregiudizio economico mag
giore rispetto a ciò che è stato deciso in primo grado, nel
quale appunto opera il divieto della reformatio in peiws. E nella specie essendo stata la sentenza di appello
contenuta rigorosamente entro i limiti della portata della
sentenza di primo grado, questo vizio denunciato non
sussiste. (Omissis) Nel terzo motivo si censura la sentenza per avere at
tribuito l'indennizzo per danni da vita di relazione senza
che ne fosse sicura la ripercussione Sul patrimonio del
danneggiato, venendo così a creare un duplicato del danno
non patrimoniale. Il controricorrente sostiene che questo motivo trovi
ostacolo nella cosa giudicata, per avere la Corte di merito
ritenuto nella precedente sentenza interlocutoria la risar
cibilità anche del danno alla vita di relazione, conside
rato sempre come danno patrimoniale, laddove afferma
che la deformazione appariva tale da potere essere detur
pante e costituire, quindi, un ostacolo al pieno svolgimento della vita di relazione, con conseguente ripercussione sul
l'attività professionale ed i propri guadagni. Il giudicato,
però, non esiste. Le sentenze che ammettono dei mezzi
di prova costituiscono giudicato solo sull'ammissibilità e
concludenza dei mezzi stessi, e non vincolano, quindi, il
giudice nella decisione futura di merito. D'altronde, qui, il giudicato viene ad essere escluso anche dalle stesse con
siderazioni della sentenza laddove esattamente rileva che
la questione su tal punto non poteva risolversi a priori sconoscendosi l'entità del postumo, e. quindi, doveva re
stare impregiudicato ogni giudizio in merito.
Comunque il motivo è infondato. Danno non patrimo niale, comunemente detto morale, è quel danno che non
arreca nè in modo diretto nè indiretto una qualsiasi altera
zione nel patrimonio, ma tutto si consuma in un ingiusto
perturbamento arrecato alle condizioni di animo di una
persona ; e per il suo contenuto etico non è valutabile at
traverso un conguaglio patrimoniale. Si deve, però, esclu
dere dal campo del danno morale il pregiudizio arrecato
all'integrità fisica della persona con riflessi patrimoniali, in
quanto essa possa dare incremento al patrimonio. Il danno,
allora, non è puramente morale, ma patrimoniale, giacché ha ripercussione indiretta sul patrimonio e la legge pre vede appunto, come elemento per la valutazione del danno
patrimoniale, anche il lucro cessante.
Nella specie, la Corte ha, con incensurabile apprezza mento di fatto, ritenuto che lo sfregio residuato al Guerci
dalla lesione riportata all'orecchio veniva a costituire una
diminuzione della sua personalità anche nel campo della
sua professionale attività in avvenire, per la ripercussione e gli effetti nella sua vita di relazione sociale, creandogli una posizione di disagio e di difficoltà che veniva a ri
flettersi nel campo patrimoniale. E se cosi è, si deve con
cludere che non è esatto che l'indennizzo liquidato al
Guerci per danni derivati da vita di relazione costitui
scano un duplicato di quelli morali, ma sempre un risar
cimento per lucro cessante.
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