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Sezione I civile; udienza 5 luglio 1938, n. 2273; Pres. ed est. Casati P., P. M. Morbioli (concl.conf.); Tameri (Avv. Barbieri) c. Felosi (Avv. Reichlin, Rossini, Beretta)Source: Il Foro Italiano, Vol. 64, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1939), pp. 35/36-37/38Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23137825 .
Accessed: 10/06/2014 20:18
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35 PARTE PRIMA 36
diventava uno sforzo dialettico senza risonanza pratica.
Se, dunque, il legislatore italiano, malgrado questi prece
denti, che non potevano essergli ignoti, conservò la du
plice espressione, altro non è possibile ritenere se non
ch'egli ne abbia riconosciuta l'utilità, per mantenere alla
norma quella interpretazione ch'era diventata comune in
Francia, la quale presunzione è, del resto, convalidata,
giusta il rilievo dì qualche autore, dai lavori preparatori. In secondo luogo alla Corte sembra che l'opinione diver
gente dalla comune è soltanto nel modo com'è presentata diversa, ma, nella sostanza, s'identifica. Quando, infatti,
si ammette, per fermarsi ad uno degli esempi, che, ove il
testatore abbia onorato una persona del legato di cento
e con disposizione successiva abbia onorato la stessa per sona del legato di cinquanta, si deve, per stabilire se si
tratti di un solo o di due legati, ricercare quale sia stata
la volontà del testatore nel dettare la seconda disposi zione, quella, cioè, di ridurre la precedente liberalità o di
aggiungerne una nuova, ; si scivola necessariamente nel
campo della revoca intenzionale, non essendo possibile
pensare ad incompatibilità materiale ed obbiettiva tra le
due disposizioni, e dovendo, invece, riconoscersi che la re
voca è conseguenza implicita unicamente dell'accertamento
della intenzione del testatore di ridurre la precedente li
beralità. Nè occorre trascurare che le ammissioni, alle
quali l'opinione divergente è stata costretta, sono in con
trasto con quel principio del rigore formale in materia del
diritto testamentario, con cui si è cercato di sorreggerla. Detto principio, invero, è stato invocato per trarne l'ap
plicazione che l'art. 920 non si riferisse alla revoca inten
zionale, ma la conseguenza sarebbe dovuta essere che lo articolo stesso vada limitato al solo caso della incompa tibilità per la contrarietà obbiettiva e materiale delle di
sposizioni successive, all'infuori di ogni ricerca della vo lontà del testatore. Ma quando sono chiari i segni che una tale conseguenza è apparsa contrastante con la realtà delle cose, viola meno il principio del rigore formale del diritto testamentario il riconoscere che la duplice forma della revoca dipende dalla locuzione della legge, piuttosto che farvela entrare di straforo attraverso uno sforzo dia lettico. Come, però, spesso accade, la riagitazione della
quistione può giovare a fissare alcuni punti. Pare indiscu
tibile, infatti, che dal principio del rigore formale in ma teria di testamenti derivi che pur la revoca intenzionale debba trovare la sua fonte originaria nelle tavole testa
mentarie, nel modo, cioè, come le disposizioni successive sono organizzate, e che gli elementi dedotti aliunde pos sono solo valere ad integrarne il concetto. Come pure pare indiscutibile che, nel dubbio, il giudice debba escludere la revoca.
Che, convalidata la sentenza denunciata nei principi!, da cui è partita, è agevole dir ostrare che le ulteriori censure non hanno fondamento. La Corte ha affermato che il Komeo avesse revocato il legato a favore della sorella proprio in base allo studio degli undici testamenti successivi. Essa ha rilevato che ogni testamento, per la rinnovazione dettagliata ed integrale delle disposizioni ap pariva dal lato formale come un atto nuovo e completo.
Analizzando le varie schede ha osservato che, mentre la volontà del testatore aveva seguito con costanza un certo orientamento, col testamento del 1933 tale orienta mento mutò. Nei precedenti aveva istituito eredi vari ni
poti, con questo istituì erede soltanto il nipote Giulio, tra sformando per gli altri la vocazione ereditaria nella con cessione di vistosi legati. Nel testamento del 1933, per la
prima volta non si trova più traccia del legato alla so rella Anna. Al posto, però, di tale legato di lire 100.000, entra, ugualmente per la prima volta, a far parte delle di
sposizioni, un legato di lire 50.000 per ciascuno ai quattro figli di detta sorella. Ha aggiunto che l'orientamento della
volontà, risultante dal testamento del 1933, si mantiene costante nei cinque o sei atti successivi, fino all'ultimo del 1934, tranne piccole varianti quantitative per i lega tari. La Corte ha, quindi, tratto con certezza il convinci mento che il Eomeo col testamento del 1933 avesse vo luto tacitamente revocare la disposizione a favore della
sorella, sostituendola con quella a favore dei figli di lei an
che più vistosa. E ciò, ha aggiunto la Corte, il testatore
volle ed attuò non per diminuito attaccamento alla so
rella, ma perchè, trovandosi essa esposta per debiti rile
vanti (tal D'Angelo aveva nel 1932 notificato un precetto
immobiliare) pensò di sottrarre la sua liberalità al pericolo dell'addentamento da parte dei creditori. Ora, per quanto
possa pensarsi che sia consentito alla Corte di cassazione, in simile materia, un sindacato più penetrante allo scopo che il potere del giudice del merito non decampi dai li
miti derivanti dal sistema della legge, deve riconoscersi
che la motivazione della Corte è così coerente e sicura
nello stesso tempo che fondata principalmente sulle schede
testamentarie, da escludere ogni possibilità di censura.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.
Sezione I civile ; udienza 5 luglio 1938, n. 2273 ; Pres.
ed est. Casati P., P. M. Morbioli (conci, conf.) ; Ta
meri (Avv. Barbieri) c. Felosi (Avv. Reichlin, Ros
sini, Beretta).
(Sent, denunciata : App. Brescia 28 luglio 1937)
Società — Società civile — Scioglimento anticipato —
Molivi (li scioglimento — Mancanza (li un socio ai
propri impegni — Effetti (Cod. civ., art. 1735).
La mancanza di uno dei soci ai propri impegni legittima lo scioglimento anticipato della società civile a tempo de
terminato, anche a richiesta dello stesso socio inadem
piente, se determina uno stato di fatto (quale uno stato
di tension? e di discordia) che renda impossibile il rag
giungimento dello scopo sociale, salva restando sempre l'eventuale responsabilità del socio inadempiente"J,n sede
di liquidazione. (1)
La Corte, ecc. — Il primo mezzo si sostanzia nell'as
sunto secondo cui la facoltà accordata al socio dall'art. 1735
cod. civ. nel caso di mancanza agli impegni sociali, co
stituirebbe una particolare applicazione alla materia del
patto commissorio ; epperò la denunciata sentenza viola l'art. 1165 cod. civ., col ritenere clie l'inadempimento del
socio Felosi alla propria obbligazione di finanziamento so ciale non abbia potuto spogliarlo della facoltà di chie dere lo scioglimento anticipato della società. L'assunto è infondato.
L'art. 1735 cod. civ. nell'esemplificazione dei casi che
possono costituire quei giusti motivi onde si legittima l'an
ticipato scioglimento della società, annovera anche quello che uno dei soci manchi ai suoi impegni. E' manifesto che in tale ipotesi, ove la mancanza agli impegni costi tuisca vera e propria inadempienza contrattuale, il socio
inadempiente non potrebbe farsi a richiedere, contro la volontà degli altri soci, lo scioglimento anticipato della società : e ciò non già in applicazione del capoverso del l'art. 1165 che (dettato per i contratti bilaterali di scarn
(1) Nel senso che la discordia fra i soci può costituire giu sto motivo per dar luogo allo scioglimento anticipato di una società civile contratta a tempo determinato, si consulti Cass. Regno 9 gennaio 1935 (Foro it., Rep. 1935, voce Società, n. 452) e Cass. Torino 23 marzo 1920 (id., 1920, I, 461), con nota di richiami.
Per le società di commercio, è stato deciso che non si può chiedere lo scioglimento anticipato quando un socio manca ai propri impegni, invocando la condizione risolutiva, che è sottin tesa nei contratti bilaterali : cfr. Cass. Regno 13 aprile 1928 (Foro it., 1928, I, 885).
Si ritiene tuttavia che la discordia dei soci possa legitti mare lo scioglimento anticipato soltanto quando abbia per ef fetto di rendere impossibile il raggiungimento del fine sociale, ai sensi dell'art- 189 n. 2 cod. comm. : cfr. in tal senso Cass. Regno 27 luglio 1933 (Foro it., Rep. 1933, voce Società, n. 342) e 2 dicembre 1932 (id., 1933, I, 422, con nota di B. Scorza).
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37 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 38
bio, male si adatta alla struttura giuridica del rapporto plurilaterale di società) sibbene in omaggio al generale principio di ragione naturale che non consente che si tragga profitto dal proprio comportamento antigiuridico.
Ma l'art. 1735 cod. civ., nell'esemplificare i casi che
possono legittimare lo scioglimento del rapporto sociale, considera la mancanza del socio ai proprii impegni non in sè stessa, cioè in relazione allo specifico adempimento delle obbligazioni contrattuali facenti carico al socio, ma in quanto determini uno stato di fatto che sia giusto mo tivo per lo scioglimento immediato della società per con siderazioni di natura pratica e contingente, la cui valu tazione è dall'art. 1735, ultimo alinea, rimessa alla pru denza dell'autorità giudiziaria.
Questo stesso rinvio legale del giudizio, circa i giusti motivi legittimanti nei singoli casi lo scioglimento ante
tempus della società, all'applicazione di criteri informati non già al rigore giuridico di una valutazione di respon sabilità contrattuale, ma alla discrezionalità di un apprez zamento dettato dalla prudenza, sta già a dimostrare co me nel pensiero della legge la mancanza del socio ai pro prii impegni sia circostanza che deve operare obbiettiva
mente, quale causa legittima di scioglimento anticipato della società, indipendentemente dalla valutazione giuri dica concreta della mancanza stessa ai fini della respon sabilità contrattuale del socio stesso. Tale mancanza agli impegni è giuridicamente rilevante, in quanto basti a de terminare uno stato di fatto per il quale si renda impos sibile l'utile prosecuzione della vita dell'ente. Tale fatto
impeditivo dell'ulteriore sopravvivenza sociale la Corte Su
prema con la sentenza 9 gennaio 1935, n. 61 (Foro it.,
Eep. 193% voce Società, n. 452), già ritenne potere con
sistere anche nella discordia che fra i soci si sia ve nuta determinando circa il modo di esplicazione della
rispettiva attività sociale. Onde appare evidente che ove
tale stato di discordia pure si ricolleghi alla mancanza
del socio ai proprii impegni, questi nel farsi a chiedere
per tale motivo l'anticipato scioglimento della società, in
realtà non si avvale del proprio comportamento antigiu ridico al fine di trarre profitto (giacché l'anticipato scio
glimento sociale non esclude che in sede di liquidazione il socio che ha mancato ai proprii impegni, dando causa
a tale anticipato scioglimento, debba rispondere con l'azio
ne per danni delle conseguenze nocive per la società che
da un proprio comportamento anticontrattuale sieno de
rivate), ma invoca uno stato obbiettivo d'impossibilità per la società di raggiungere il proprio scopo e quindi di con
tinuare a vivere. Nè deve sembrare illogica e contraddit
toria questa concettuale scissione fra inadempienza con
trattuale del socio quale fondamento dell'azione sociale
per risarcimento del danno, e mancanza del socio ai pro
prii impegni quale giusto motivo dell'azione individuale
per scioglimento anticipato della società. Il significato pro fondamente diverso delle due locuzioni risponde al con
tenuto sostanzialmente diverso della duplice attività di
contraente e di socio ; per cui ben può sussistere una ina
dempienza contrattuale del socio che non sia, per sè stessa
esplicazione di un comportamento antisociale incompati bile con la permanenza del vincolo, e correlativamente
una mancanza del socio ai propri impegni determinante
tale incompatibilità che non si risolva tecnicamente nella
violazione di una obbligazione contrattuale. La moderna
dottrina ha posto acutamente in evidenza la varietà del
contenuto (identico per tutti i soci) dell'attività che i
partecipanti per efletto del vincolo sociale sono tenuti a
prestare, e per la quale si manifesta e si attua il requi sito deìl'affectio societatis che fa sì ohe il socio abbia, non
solamente il dovere, ma ben anche il diritto e l'interesse
di eseguire la propria prestazione, in contrapposto alla ri
gida fissità del contenuto (che può essere diverso per i
due contraenti) delle obbligazioni derivanti ad essi dal
contratto bilaterale di scambio, contenuto rispetto al quale ciascun contraente si trova, per l'adempimento della pro
pria obbligazione, in una situazione antagonistica a quella dell'altro contraente rispetto alla propria. In tale con
trapposizione risiede appunto la ragione eliminatrice del
l'apparente antinomia concettuale dei principii sopra enunciati.
Ai quali è correttamente uniformata la denunciata
sentenza, quando giustamente osserva che la soluzione
della vertenza posta con la domanda di anticipato scio
glimento della società va ricercata, non nella valutazione
del grado di colpa contrattuale nelle rispettive inadem
pienze reciprocamente rimproveratesi dai due soci, ma
nella constatazione dello stato di tensione e di discordia
determinatosi fra gli stessi in conseguenza delle recipro che accuse, stato di tensione e di discordia che impedisce e rende impossibile l'utile prosecuzione della società e co
stituisce perciò il giusto motivo di scioglimento preveduto dall'art. 1735 cod. civile. Se la sospensione di ulteriori
versamenti di capitale nella azienda comune da parte del
socio capitalista, nota con esauriente e logica motivazione
la sentenza, suscitava l'impressione nel socio d'industria
che le cose sociali andassero alla malora in conseguenza di quella mancanza all'impegno assunto dall'altro socio, non era meno vero che il comportamento di lui per la
lavorazione meno oculata del podere, per l'indebita occu
pazione di locali il cui uso era invece riservato al rico
vero dei prodotti spettanti all'altro socio, per la meno re
golare ripartizione dei frutti, ecc., era tale da provocare nel socio capitalista (che già aveva erogato lire 35.000
nell'azienda comune) l'impressione « che ogni suo ulteriore
sforzo economico fosse destinato ad infrangersi contro uno
stato di fatto che egli non aveva preveduto come facil
mente verificabile ». Epperò, constatata l'esistenza di un
comportamento non conforme alle esigenze sociali in en
trambi i soci, e di uno stato di tensione fra gli stessi
conseguente a tale comportamento ed incompatibile ob
biettivamente con l'attività utilmente diretta al raggiun
gimento del fine sociale, correttamente la Corte di merito
ha accolto la domanda di scioglimento anticipato, riser
vando alle parti di spiegare in sede di liquidazione l'ini
ziativa diretta alla constatazione, ai fini del risarcimento
del danno, delle specifiche inadempienze contrattuali,
eventualmente incidenti in quel generico antisociale com
portamento. La pretesa del ricorrente che l'esame di co
desta iniziativa debba precedere quello della domanda di
anticipato scioglimento della società al fine di eluderne
l'accoglimento, può giovare ai suoi particolari interessi,
ma è giuridicamente assurda ; non essendo ammissibile che
il diritto presti la sua forza cogente per il mantenimento
di una situazione della quale-è venuta a mancare la stessa
ragione di sussistere, per essere divenuto inattingibile lo
scopo presupposto dal diritto stesso, per il cui raggiungi mento essa era stata creata. (Omissis)
Per' questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO*.
Sezione II civile; udienza 4 luglio 1938, n. 2236; Pres.
Azara P., Est. Ruggiero, P. M. De Martini (conci,
conf.) ; Rovatti (Avv. Cavasola, Redenti, Mala
gutti) c. Sigliinolfi (Avv. Macherione, Candian).
(Sent, denunciata : App. Bologna 17 maggio 1937)
Obbligazioni e contratti — Obbligazione naturale —
Rapporti eon una successiva obbligazione civile —
Causa valida (Cod civ., art. 1237).
Obbligazioni e contratti — Obbligo di coscienza — Pos
sibile eflicacia giuridica — Motivo di atto giuridico valido.
Qualsiasi obbligazione naturale può fornire all'obbligato naturalmente la causa ad una successiva obbligazione, civilmente valida, colla quale il debitore si impegna ex novo a compiere la prestazione, sia pure con effi
* Il testo della sentenza leggesi in Foro it., 1938, I, 1547 con nota di richiami.
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