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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Sezione I civile; udienza 28 luglio 1932; Pres....

Date post: 30-Jan-2017
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Sezione I civile; udienza 28 luglio 1932; Pres. Venzi P., Est. Miraulo, P. M. Levi (concl. conf.); Finanza (Avv. di Stato Pugliese) c. De Cecco (Avv. Mapei) Source: Il Foro Italiano, Vol. 58, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE (1933), pp. 201/202-205/206 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23134008 . Accessed: 24/06/2014 23:08 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.152 on Tue, 24 Jun 2014 23:08:42 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione I civile; udienza 28 luglio 1932; Pres. Venzi P., Est. Miraulo, P. M. Levi (concl. conf.);Finanza (Avv. di Stato Pugliese) c. De Cecco (Avv. Mapei)Source: Il Foro Italiano, Vol. 58, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1933), pp. 201/202-205/206Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23134008 .

Accessed: 24/06/2014 23:08

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201 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 202

tembre 1981-29 settembre 1940 e pel canone annuo di

lire oro 31.000,— pagabile a semestri anticipati di lire

oro 15.000 cadauno. Cogli interessi, le spese, e con senten

za provvisoriamente esecutiva. Eccepisce la convenuta di

essere disposta a pagare l'affitto solo in ragione lire 110

al mq. e cioè per mq. 1.110 di supesficie lire 111.100

avendo precedentemente al 29 settembre 1931 in tal mi

sura corrisposto l'affitto ; e con deduzione del 10 °/0 d'ab

buono a norma delle disposizioni governative ; vale a dire

lire 19.990 annue, pari a lire 9.995 semestrali : e che

se il locatore non intende accettare, essa non si ritiene

obbligata a pagare l'affitto, come quegli pretende, in lire

ragguagliate al cambio dell'oro corrente alla data della ma

turazione della rata ; non essendo a ciò tenuta pel disposto

del regio decreto 21 dicembre 1927 n. 2325, che stabilisce

la parità aurea in ragione d'un peso d'oro fino di gram

mi 7.919 per ogni 100 lire italiane, e che fa obbligo a

tutti di ricevere i biglietti della Banca d'Italia, e di Stato,

e le monete coniate in virtù dei regi decreti-leggi n. 1505

del 1926 e n. 1148 del 1927, nonostante ogni contraria

convenzione. Chiede con salvezza di ogni diritto e azione

il rigetto delle domande attrici.

Dirigo. — Ma queste eccezioni sono assolutamente in

fondate. Il contratto d'affitto, da cui sorge l'obbligazione

della quale si chiede adempimento, fissa il canone in una

somma espressamente determinata e non proporzionale alla

superficie dei locali affittati; e l'abbuono del 10 °/0 che

ogni locatore, buon cittadito, deve ritenersi tenuto a con

cedere ai suoi conduttori, per un superiore motivo di so

Tariffa posteriore alla stabilizzazione

Denominazione Unità Dazio Coeff. di Totale delle merci base maggior. lire

La clausola del pagamento di una determinata valuta estera non introduce elementi nuovi nel problema da noi esaminato.

Concludendo : la clausola del pagamento in lire oro tende

a garantire i creditori dal deprezzamento dei biglietti di banca

sopra tutto in periodi di inconvertibilità monetaria, ma non li

garantisce dalle modificazioni legislative della unità monetaria alla quale i creditori si sono voluti espressamente riferire per evitare le alee inerenti al valore dei titoli di credito e dei

biglietti di banca. Alberto De Stefani Accademico d'Italia

Professore di politica economica e finanziaria nella R. Università di Boma.

(*) JLa Corte di cassazione, nella sentenza che riportiamo insieme con quella del Tribunale di Milano commentata da S. E.

De Stefani, pronunciando su ricorso contro la sentenza della

Corte d'appello di Palermo 17 aprile 1931, pubblicata anch'essa

in questa Raccolta (1931, I, 1177) ha preso in esame un patto di pagamento in moneta di argento e lo ha risolto in base al

l'art. 1822 cod. civ., nel senso che il debitore debba pagare

l'equivalente al valore intrinseco che le monete d'argento ave

vano al momento del contratto.

Senonchè, come osserva S. E. De Stefani, l'art. 1822 è ap

plicabile soltanto quando siansi somministrate monete d'oro

o d'argento e quando ne sia stata pattuita la restituzione nella

medesima specie e quantità, ciò che nel caso esaminato dal

Collegio Supremo devesi intuitivamente escludere, trattandosi

di un debito nascente da un contratto di enfiteusi.

Resta quindi applicabile l'art. 1821 cod. civ. e risorge, per

questa clausola argento, il problema già esaminato nella nota

che precede a riguardo della clausola oro. Si tratta di decidere

se un debito di lire argento, contratto prima della rivalutazione,

possa esser oggi pagato con una egual somma di lire d'argento attualmente in circolazione (o con biglietti di banca converti

bili per legge alla pari), oppure se il creditore debba esser com

pensato del diminuito valore delle monete contrattate.

N. d. D.

lidarietà nazionale, si riferisce ai contratti in corso al 1 di

cembre 1930 ; e perciò la sua applicazione non può nella

specie essere invocata. Quanto all'interpretazione da darsi

al patto che determina l'ammontare del canone in lire oro, l'eccezione della convenuta parte da un grosso equivoco. Nulla ha a che vedere nella presente controversia l'art. 2 del

regio decreto-legge n. 2325-2597 del 21 dicembre 1927, che fa obbligo di ricevere come monete legali, nonostante

qualunque patto in contrario, i biglietti della Banca d'Italia

e di Stato, e le monete d'argento e le monete coniate in

virtù dei regi decreti-leggi n. 1508 del 1926 e n. 1148 del 1927, poiché l'attore non le rifiuta affatto, anzi le

chiede in pagamento ; ma da buon creditore le chiede na

turalmente nella quantità dovutagli a norma del contratto, e ricusa d'accettarle nella minor quantità" offertagli dalla

sua debitrice : la quale pretenderebbe pagando lire carta, di pagare lire oro, sol perchè si è rivalutata la carta in

oro, coniandosi anche monete d'oro da lire 100 e da lire 50

(regio decreto n. 1148 del 1930); non accorgendosi che

queste monete non sono già l'equivalente di lire oro, ma

l'equivalente di lire carta ; non sono lire oro, ma lire carta

d'oro, cioè rivalutate in oro. Per cui, se in seguito alla

rivalutazione in oro della lira, non c'è più differenza, ma

equivalenza fra lire carta e lire d'oro, rimane sempre la

differenza fra queste (lire carta e lire d'oro) e la lira oro.

Quindi se la convenuta pagasse pel semestre d'affitto 155

pezzi d'oro da lire 100, non pagherebbe affatto, come deve,

15.500 lire oro, ma pagherebbe in oro 15.500 lire carta ;

per cui, pagando cosi molto meno del dovuto, non ver

rebbe a liberarsi, contrariamente a quanto assume e pre

tende, della sua obbligazione, ma solo a sottoporsi ad un

inutile impegno, coll'andare a cercare lire oro, mentre può trovare sul mercato altrettanti equivalenti lire carta in ab

bondanza. E certo perciò che le parti nel determinare il

canone in lire oro non potevano riferirsi alla lira d'oro,

poiché data la sua equivalenza alla lira carta, tale espressa

specificazione non avrebbe avuto alcun senso nè causa ;

ma hanno voluto e non potevano non riferirsi che all'oro ;

e cioè non alla lira che l'oro è sceso a rivalutare, bensì

all'oro cui la lira deve innalzarsi e cui il tenace sforzo del

lavoro italiano certamente l'innalzerà, ma cui ancora non

si è innalzata : onde chi si era obbligato a pagare in lire

oro, deve fino a quando la lira non abbia raggiunto l'oro,

colmare la distanza che all'atto di scadenza del suo debito,

separa le lire dal punto d'oro, mediante pagamento d'al

trettante lire quante ne occorrono per raggiungerlo ; di

stanza che giornalmente è registrata dal corso medio del

cambio dell'oro e che al 29 marzo 1931, come risulta in

atti, era di lire 379,13. Le eccezioni convenute vanno

perciò respinte, e la domanda attrice di merito va accolta,

perchè provata, senza che siavi d'uopo di ulteriore istrut

toria (1312 cod. civ.). Le spese seguono la soccombenza,

e l'esecuzione provvisoria può concedersi senza cauzione

(370, 409 cod. proc. civile). Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.

Sezione I civile ; udienza 28 luglio 1932 ; Pres. Venzi

P., Est. Miraulo, P. M. Levi (conci, conf.); fi

nanza (Avv. di Stato Publiese) c. De Cecco (Avv.

Mapei).

i ( Sent, denunciata : App. Aquila 18 agosto 1931)

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PARTE PRIMA

Tassa Ipotecarla — Società di persone — Quota so

ciale — Beni Immobili — Cessione — Trasferi

mento immobiliare — Soggezione alle tasse di tra

scrizione e di voltura (Cod. civ., art. 418, 19S2 ) R. D. 30 dicembre 1923 n. 3269, sulle tasse di re

gistro, art. 27; R. D. 30 dicembre 1923 n. 3272, sulle

tasse ipotecarie, art. 1).

La cessione della quota sociale di una società di per sone proprietaria di beni immobili costituisce, fino

alla concorrenza di questi, un trasferimento immo

biliare e come tale è soggetta alle tasse di trascri

zione e di voltura. (1)

La Corte, ecc. (Omissis) — La quistione fondamen

tale della causa", ohe viene riproposta col secondo mezzo,

sta nel vedere se la cessione, a titolo oneroso o gratuito

(nel caso era a titolo gratuito), delle quote di partecipa

zione in società commerciali di persone, cui appartengono

beni immobili, sia soggetta alle tasse ipotecarie di tra

scrizione e di voltura in quanto importi o meno un tra

passo immobiliare. Il che si risolve nello stabilire se le

dette quote ed entro quali limiti siano da considerare di

carattere immobiliare.

Ora pel diritto comune, civile e commerciale, non

v'ha dubbio che le quote o azioni delle società di com

mercio o di industria siano mobili, anche quando alle

dette società appartengano beni immobili. È testuale in

tal senso la disposizione dell'art. 418, comma primo, co

dice civile ed essa espressamente contempla le azioni,

che sono la somma dei diritti spettanti ai soci nelle so

cietà azionarie, e le quote di paitecipazione che compren

dono tanto le quote dei soci nelle società anonime per

quote quanto i diritti spettanti ai soci nelle società in

nome collettivo ed in quelle in accomandita semplice.

L'assunto della ricorrente Amministrazione finanziaria

che la cessione delle quote in cotesto ultime società a

base personale, si risolve in una cessione della parte spet

tante al socio cedente sui singoli beni che costituiscono

il patrimonio sociale, non è accettabile. La cessione della

quota, con effetto di mettere al posto del cedente il ces

sionario sia qiesto estraneo alla società o già socio, quando

venga consentita dal contratto sociale o accettata dalla

totalità dei soci, come nel caso è avvenuto, non trasfe

risce che la qualità di socio coi diritti ad essa inerenti,

e quindi un bene considerato dalla legge mobile, ma non

tocca in nulla il patrimonio sociale. Questo rimane inte

gro e seguita ad appartenere, come prima, alla società,

che è ente giuridico distinto dalle persone dei soci, e re

sta invariata nel suo organismo, pur mutando i soci, per

(1) Vedi in senso contrarlo Ja sentenza denunciata App.

Aquila 18 agosto 1931 (Foro it., Rep. 1931, voce Tassa ipoteca

ria, n. 3). Come si rileva dalla motivazione della sentenza surripor

tata, secondo l'art. 418 cod. civ. la quota sociale è considerata

cosa mobile qualunque sia la categoria della società e la com

posizione del patrimonio : vedi in tali sensi Cass. Regno 10 lu

glio 1931 (Foro it., iiep. 1931, voce Mandato, n. 14). In applica zione di tale principio, anteriormente all'entrata in vigore del

regio decreto 30 dicembre 1923 sulle tasse di registro preva leva in giurisprudenza l'opinione che la cessione della quota sociale fosse assoggettata alla tassa sui trasferimenti mobi

liari : vedi in proposito Oass. Roma 24 gennaio e 14 aprile 1914

(id., 1914, I, 677) e App. Brescia 21 luglio 1914 (»6icZ., 1500) con

note di richiami. Consulta anche, per qualche riferimento. Cass.

Roma 30 dicembre 1918 (id., 1919, I, 585) ; nonché Cass. Regno 14 aprile 1926 (id., Rep. 1926, voce Registro, n. 45 46), ricordata

nel corso della motivazione della sentenza qui riferita,

cui non v'è alcun trasferimento di una quota reale dei

beni sociali dal cedente al cessionario. Non si può tra

smettere quello che non si ha, ed i soci non hanno, fin

ché dura l'ente, alcun diritto di proprietà o di comu

nione sui beni sociali, nemmeno relativamente a quelli che essi abbiano conferiti in società. Nè la cessione della

quota cogli effetti di cui sopra, nè il recesso del socio

quando sia consentito, importano, contrariamente a quanto si sostiene nel ricorso, scioglimento, sia pure parziale della società e non dànno luogo a trasferimento dei beni

sociali, limitatamente alla quota del cedente o recedente.

Quest'ultimo non ha verso la società che un diritto di

credito, che va certo determinato e commisurato al pa trimonio sociale depurato dalle passività, ma non ha di

ritto ad una quota proporzionale delle cose sociali.

Nel caso attuale, è pacifico che la quota di parteci

pazione del socio recedente, Filippo De Cecco, fu do

nata agli altri soci, che ebbero ad accettarla nello stesso

rogito 22 agosto 1924 col quale furono fatti la donazione

ed il recesso. Non regge quindi nemmeno che il De Cecco

non era più socio quando trasferiva la sua quota agli al

tri soci, come sostiene la ricorrente Amministrazione in

vocando l'ultimo inciso del primo comma dell',art. 418

cod. civ. per cui « le azioni o quote di partecipazione sono

reputate mobili rispetto a ciascun socio e pel solo tempo in cui dura la società». Si tratta qui di atti contestuali,

e perciò, oltre a quanto si è detto sopra circa il per durare della società rimanendo inalterato il patrimonio a

lei solo appartenente, è chiaro che il De Cecco venne a

perdere la qualità di socio per effetto della cessione della

sua quota che gli tolse ogni diritto ed ingerenza nella

società e quindi dopo e non prima del trasferimento della

quota stessa.

E pertanto da concludere che, in base all'art. 418

cod. civ. la donazione della quota del De Cecco agli al

tri soci e figliuoli suoi avrebbe carattere mobiliare.

Ma siffatta norma di diritto comune subisce aperta

deroga per l'art. 27 della legge sul registro del 30 di

cembre 1923 n. 3269, il quale nel suo terzo comma cosi

testualmente dispone :

« Le quote di partecipazione nelle società in nome col

lettivo od in accomandita semplice, sono considerate mo

bili od immobili secondo la natura dei beni costituenti il

patrimonio sociale. Se questo comprende beni mobili ed

immobili, la quota di partecipazione fino a concorrenza

del valore degli immobili si considera di natura immobi

liare ».

Si distinguono con questa disposizione le azioni o

quote delle società per azioni od anonime, per le quali

resta fermo il carattere mobiliare, sancito nell'art. 418

cod. civ., dalle quote di partecipazione nelle società per

sonali, che vengono dichiarate beni immobili qualora il

patrimonio della società contenga immobili e fino a con

correnza del valore di questi. La conseguenza è che la

cessione di tali ultime quote, costituisce un trasferimento

immobiliare ed è colpito dalle maggiori tasse proporzio

nali per esso stabilite.

Convengono ambo le parti in causa, e risulta del re

sto chiaramente dalla relazione governativa al nuovo testo

della legge di registro, che proprio cotesto fu lo scopo

della innovazione. Non avendo trovato fortuna nella giu

risprudenza la tesi della Finanza imperniata sulla inter

pretazione dell'art, 418 cod. civ., che anche sopra si è

chiarita infondata, si vollero con una netta disposizione

I legislativa impedire le frodi che frequentemente avveni

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205 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 206

vano col trasferire dei beni immobili a favore di un so

cio, senza il pagamento della corrispondente tassa, sotto

la forma apparente della cessione di quote di partecipa zione in società di persone, costituite soltanto fittizia

mente.

Questa genesi e questa portata della norma innovativa

ben chiariscono come essa abbia carattere generale di

deroga nel campo fiscale riguardante i trasferimenti im

mobiliari alla norma dell'art. 418 cod. civ., sebbene in

serita in una legge fiscale speciale, come è quella del re

gistro, e debba quindi produrre i suoi effetti anche per

riguardo alle altre gravezze che si connettono ai detti

trasferimenti.

In particolare ciò è a dire per le tasse ipotecarie di

trascrizione e di voltura che sono dovute tutte le volte

in cui, a qualsiasi effetto di le^'ge, vi sia un trasferi

mento immobiliare, il quale, per siffatto suo carattere, in

virtù del principio generico dettato nell'art. 1932 cod.

civ. deve essere reso pubblico mediante la trascrizione.

Non si può argomentare in contrario dal fatto che la

disposizione sopra trascritta dell'art. 27 della legge di

registro è riportata anche nell'art. 29 della legge sulle

successioni del 30 dicembre 1923 n. 3270, e non in quella sulle tasse ipotecarie della stessa data n. 3272. La ri

petizione appariva necessaria nel primo caso in vista del

dubbio che poteva sorgere sulla esistenza o meno di un

trasferimento, mentre nessun dubbio del genere poteva esservi nel secondo caso per quanto fu sopra osservato

ed anche per la considerazione che la legge sulle tasse

ipotecarie, come palesemente risulta da molteplici sue di

sposizioni, è ispirata, pur mantenendo la sua autonomia, ai criterii informatori della legge di registro per quanto attiene ai trasferimenti immobiliari. E male a proposito si invoca una precedente sentenza di questo Supremo Col

legio (del 14 aprile 1926 in causa Ministero delle finanze

contro Miniere di Trabonella Foro it., Rep. 1926, voce

Registro, n. 45 46). Si trattava di un caso ben diverso, ossia della cessione del diritto di escavare e di prendere materie da terreni o da miniere, che è stato sempre ri

tenuto dalla giurisprudenza di carattere mobiliare. So

steneva la Finanza che essendo la detta cessione sotto

posta dall'art. 1° della tariffa allegata alla legge di re

gistro, alla stessa tassa stabilita per il trasferimento di

immobili e di diritti reali su immobili, doveva essere con

siderata come un trasferimento immobiliare e soggetta

perciò anche alla tassa di trascrizione. Giustamente si

osservò in quella sentenza che l'equiparazione, agli effetti

unicamente della tassa, dettata nella tariffa, non signifi cava affatto equiparazione nel loro contenuto e nel loro

carattere mobiliare od immobiliare dei diritti, trasferiti

ri eli'un caso e nell'altro. Alla tesi della Finanza contra

stava anche il testo esplicito dell'art. 1° della tariffa in

cui il carattere ben diverso del diritto di escavazione dai

diritti immobiliari enunciati avanti nell'articolo, è segna lato dalla particella « nonché » che precede la menzione

del diritto di escavazione.

Nel caso attuale, invecé, trattasi di una vera e pro

pria definizione giuridica data nel testo della legge di re

gistro (art. 27 citato) in deroga al principio di diritto co mune dettato nell'art. 418 cod. civ., come sopra si è lar

gamente dimostrato, e non è perciò invocabile la ripe tuta sentenza.

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO

Sezione I civile ; udienza 28 luglio 1932 ; Pres. ed est.

Venzi P., P. M. Assisi (conci, conf.) ; Bignami

(Avv. Storoni, Ciridolli, Biondi) c. Sindacato emi

liano infortuni (Avv. Cavasola, Redenti, Baldi,

Jemolo).

(bent, denunciata : App. Bologna 20 febbraio 1931)

Bffedo cambiarlo — Nome del prenditore In bianco — Riempimento eoi nome <11 un terzo — Ecce

zioni opponibili (Cod. comm., art. 824).

Rilasciata una cambiale col nome del prenditore in bianco

e successivamento riempita col nome di un terzo,

questi è un cessionario del precedente possessore ed

è vulnerabile dalle eccezioni opponibili a questo. (1)

La Corte, eco. (Omissis) — Considerato che col 2°

motivo il ricorrente sostiene che, ad ogni modo, il De

Rosa, cui dalla liquidazione era stata conferita la facoltà

di riempire le cambiali rilasciate col nome del prendi tore in bianco, aveva diritto di trasmettere tale sua fa

coltà al Bignami il quale, col riempirle, diventava il vero

e unico creditore cambiario, restando estraneo ai rapporti così tra la liquidazione e il De Rosa. Questa tesi è in

sostenibile, e basterà a persuadersene tener presen'e che

la cambiale è un titolo all'ordine, e non un titolo al por

tatore, quale evidentemente diventerebbe ove fosse accet

tabile la tesi del ricorrente. Ed è risaputo che nella nostra legislazione non sono

ammesse le cambiali al portatore. La emissione di un

foglio con i requisiti della cambiale, meno il nome del

prenditore lasciato in bianco, è ammessa considerandosi

come una delegazione che l'emittente faccia al prenditore di completarla, ma la delegazione è limitata al prenditore soltanto delegatus delegare non potest ; solo quando il

foglio sia stato completato dal prenditore secondo il rap

porto fondamentale corso fra esso e lo emittente (che non

può essere eliminato trattandosi di un titolo all'ordine), il titolo sarà considerato come cambiale, con tutti gli effetti che la legge attribuisce al rapporto cambiario.

Se il prenditore potesse delegare ad altri la facoltà

ricevuta, coll'istesso effetto, cioè coll'effetto di porre altri

al proprio posto, con i medesimi diritti, la cambiale si

staccherebbe dalla sua causa originaria e circolerebbe

come un vero e proprio titolo al portatore, il che, ripe

tesi, non è ammesso dalla nostra legge. Se il prenditore trasmette ad altri il foglio non riem

pito, egli non compie una operazione cambiaria o una

girata mancandone l'oggetto, cioè la cambiale, tale non

essendo in quel momento il foglio privo di uno dei requi siti essenziali della cambiale, quale è il nome del pren

ditore, l'operazione così compiuta non è che una ordina

ria cessione di credito, soggetta al diritto comune. Tale

operazione non può danneggiare l'emittente che potrà

sempre opporre a chiunque sia cosi venuto in possesso del foglio, in bianco, le eccezioni che avrebbe potuto op

ti) Vedi, in conformità, la sentenza confermata App. Bolo

gna 20 febbraio 1931 (Foro it., fiep. 1931, voce Effetto cambiario, n. 71). Consulta anche, Cass. Regno 7 marzo 1932 n. 812 (Mas simario Foro it., 1932, 169.

In dottrina, consulta nello stesso senso, Bokkli.i, Cambiale, p. 193 e p. 263, II ediz.; Ascarelli, Appunti di dir. commerciale, Vol. Ili, p. 317, anche con riferimento alle nuove disposizioni della Convenzione di Ginevra 1932.

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