Sezione II civile; udienza 21 dicembre 1929; Pres. Azzariti P., Est. Belfiore, P. M. Conforti(concl. conf.); Fallimento Panzeri (Avv. Sciarretta, Porreca) c. Becchino (Avv. De Gregori)Source: Il Foro Italiano, Vol. 55, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1930), pp. 11/12-13/14Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23130993 .
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11 PARTE PRIMA 12
bio, in conseguenza, che il giudizio negativo del giudice di merito intorno alla incorporazione sfugga al sindacato
del Supremo Collegio. Che col sesto motivo, i ricorrenti impugnano la sen
tenza, in quanto ha rigettata l'eccezione, che, pur am
mettendo la natura mobiliare delle scorie e le conse
guenze da tale natura derivanti, non per ciò le sorelle
Vanni Desideri possano vantare dritti sulle scorie, aven
do a qualunque ragione rinunziato con la transazione
19 marzo 1923, per notar de Saint Seigne, di cui si
è parlato nella esposizione del fatto. Ora, la Corte
d'appello ha a questo punto della controversia consa
crata una diffusa motivazione, con la quale ha, in pri mo luogo, dimostrato che l'art. 5 del contratto di dona
zione, innanzi integralmente riportato, intorno a cui sorse
la lite, definita poi con la transazione, non si riferisca al
plusvalore dipendente dalle scorie ed in secondo luogo
che la rinuncia, contenuta nella transazione, non si po tesse estendere a ciò che non ne era stato l'oggetto. E
facile scorgere che si tratta di motivazione tutta imper niata sopra interpretazione di clausole contrattuali e so
pra apprezzamenti di fatlo sottratta quindi al sindacato
della Corte di cassazione. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.
Sezione II civile ; udienza 21 dicembre 1929 ; Pres. Az
zariti P., Est. Belfiore, P. M. Conforti (conci,
conf.) ; Fallimento Panzeri (Avv. Sciarretta, Por
reoa) c. Becchino (Avv. De Gregori).
(Sent, denunciata: App. Genova 27 aprile 1929)
Impiego privato — Fallimento «lei datore di lavoro — Risoluzione del contratto — Inammissibilità.
(D.-legge 13 novembre 1924 n. 1825, art. 11 ; cod.
comm., art. 703, 806).
Il contratto d'impiego privato non è risolto ipso iure per
effetto della dichiarazione di fallimento del datore di
lavoro riguardo alV azienda di lui, salvo che per patto
espresso o per speciali circostanze il contratto non
risulti di natura meramente personale rispetto alla
persona del datore di lavoro. (1)
La Corte, ecc. — La sentenza impugnata ha affer
mato che il rapporto di impiego è di natura meramente
personale e si risolva, naturalmente, colla dichiarazione
di fallimento del datore di lavoro riguardo all'azienda di
lui, e perciò gli impiegati non hanno obbligo, se continui
provvisoriamente l'azienda, di continuare a prestare ser
vizio, nè viceversa la massa creditoria e per essa il cu
ratore il diritto di mantenere in vita il contratto per il
tempo della liquidazione fallimentare, nè di dare il preav viso di licenziamento, come invece hanno diritto di fare
gli altri datori di lavoro. In conseguenza, per il solo ve
rificarsi del fallimento gli impiegati hanno diritto alle in
(1) Conforme la Commissione eentrale dell'impiego privato nella sentenza 21 luglio 1924 (Foro it., Rep. 1924, voce Locazione
d'opera, n. 367), ma, successivamente, in senso contrario la Commissione arbitrale di Milano nella sentenza 15 marzo I°>28
(id., Rep. 1928, voce Impiego privato, n. 310). Si cfr. poi anche Trib. Napoli 14 dicembre 1927 (Foro it.,
Bep. 1928, voce Impiego privato, n. 313).
dennità di preavviso e di licenziamento, ai sensi dell'ar
ticolo 11 cap. u., ed il servizio successivamente pre stato dagli impiegati stessi che vi acconsentissero non
possa essere che effetto di un nuovo contratto, che va
regolato separatamente tanto relativamente agli stipendi che alle indennità di preavviso e di licenziamento.
L'opinione della Magistratura del lavoro non può es
sere accolta da questo Supremo Collegio. Il fallimento,
infatti, non risolve di diritto i contratti bilaterali ; per essi è regola invece, donde l'applicazione di cui all'arti
colo 806 cod. comm., che il curatore ha facoltà di man
tenerli in vita, oppure di risolverli ; giacché egli, in quanto si avvale di un diritto derivante da un precedente rap
porto contrattuale, non fa che sostituirsi al fallito, ed
agire in sua vece nell'interesse della massa fallimentare.
Solo nei contratti di natura specialmente personale, di
cui si ha esempio nell'art. 1729 n. 4 cod. civ., che di
spone lo scioglimento della società civile per il fallimento
del socio ; nell'art. 191 cod. comm. che stabilisce lo scio
glimento della società commerciale in nome collettivo per il fallimento del socio e della società in accomandita, se
non è convenuto altrimenti, per il fallimento dell'acco
mandatario o di uno degli accomandatarii ; nell'art. 1757
cod. civ. per il mandato, chè è sciolto per il fallimento
del mandante o del mandatario, e nel contratto di conto
corrente, che per l'art. 348 n. 3 cod. comm. è sciolto di
diritto per il fallimento di una delle parti, vige la regola contraria. Ora il contratto, in genere, di locazione d'opera, tranne il caso in cui si abbia da parte del prestatore una
stretta collaborazione col datore di lavoro, si che anche
la speciale considerazione della persona di quest'ultimo sia o la causa o la preponderante ragione del rapporto, se può considerarsi, per quanto concerna il locatore, di
natura meramente personale, dato il carattere personale della prestazione da sua parte, non cosi può dirsi pel con
duttore o datore di lavoro, salvo che per patto espresso o per speciali circostanze, come quella sopra cennata, non
debba diversamente ritenersi. E lo stesso è a dirsi, evi
dentemente, per il contratto di impiego privato, che è
una specie del contratto di locazione d'opera. Né è esatto, come ha ritenuto la sentenza impugnata, che il contratto
d'impiego privato sia sempre ed egualmente, anche per
quanto concerne il datore di lavoro, un contratto di na
tura meramente personale, e perciò soggetto a risoluzione
di diritto in caso di fallimento, sol perchè al capo del
l'azienda, il fallito, sottentri un altro che l'amministra e
la guida, cioè il curatore, nell'interesse della massa cre
ditoria ; perchè, nel contratto d'impiego privato, la na
tura personale della prestazione si ha, come si è accen
nato, in confronto degli impiegati verso il datore di la
voro in quanto è in essi richiesta una speciale idoneità
all'ufficio e al compito loro assegnati, ma non così nei
riguardi del datore di lavoro verso gli impiegati, perchè
normalmente il requisito personale del datore di lavoro è
estraneo alla causa del contratto, e poco importa ai loro
rapporti chi diriga o amministri, giacché quel che più conta è l'azienda, di cui gli impiegati sono i veri presta
tori d'opera. Da questi principii, appunto, discende l'ap
plicazione che se ne ha nella disposizione dell'art. 11 del
decreto 13 novembre 1924 n. 1825, per cui nei casi di
cessione e trasformazione di-ll'azienda, pur verificandosi
il mutamento della persona del datore di lavoro, il con
tratto non si risolve senz'altro, e l'impiegato non ha per
ciò diritto a ricevere l'indennità di licenziamento ma re
sta impiegato dell'azienda ceduta o trasformata, e, solo
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IB GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 14
nel caso ohe la nuova ditta non intenda assumerlo con
ogni diritto ed onere a lui competenti per il servizio pre*
stato presso l'azienda cedente, essa è tenuta agli obbli
ghi gravanti sulla precedente ditta come se avvenisse il
licenziamento ; e discende inoltre la norma generale san
cita nell'art. XVIII della Carta del Lavoro, che prescrive
che « il trapasso dell'azienda non risolve il contratto di
lavoro >. Per questo le legislazioni straniere che hanno
specialmente previsto il caso che ci occupa, l'hanno ri
soluto in tali sensi, e così la legge germanica § 22, un
gherese § 24, olandese art. 40, austriaca § 28, e in tali
sensi è la prevalente opinione in dottrina. A parte che,
nei rapporti del fallimento, non si può invero giuridica
mente affermare aversi un mutamento del datore di la
voro, perchè il fallimento è solo una speciale forma di
liquidazione dei beni e dell'azienda del fallito, i quali tuttavia restano, fino alla liquidazione, proprietà del fal
lito stesso, ed il curatore, in quanto esegue e si avvale
dei contratti stipulati dal fallito non fa che rappresentare
questi, sebbene la sua gestione sia nell'interesse della
massa creditoria fallimentare.
La sentenza impugnata e il controricorrente hanno
tuttavia accennato all'art. 11 del decreto 13 novembre
1924 cap. ultimo ed affermato che questo invece risolva
tassativamente la questione sancendo che, in caso di fal
limento dell'azienda, l'impiegato ha diritto alle indennità
stabilite negli articoli precedenti, vale a dire alle inden
nità di licenziamento e di mancato preavviso ; e che per
ciò questo diritto discenda dal semplice fatto del falli
mento, senza che sia subordinato ad alcuna condizione e
in particolare alla condizione che da parte del curatore del
fallimento vi sia una volontà diretta al recesso unilaterale ;
donde la illazione che col fallimento avvenga la risolu
zione ipso iure del contratto d'impiego, non potendosi
concepire il diritto all'indennità di licenziamento se il
contratto non sia già risoluto. La legge però, con quella
disposizione, ha voluto solo sancire chiaramente anche per
lo impiegato licenziato a cagione del fallimento dell'azienda
gli eguali diritti degli altri impiegati licenziati, e rico
noscergli per le indennità spettantigli il privilegio di cui
all'art. 773 n. 1 cod. comm., in quanto potesse essere
oggetto di dubbio che essendo il fallimento un evento,
che spesso è effetto non solo di colpa mà anche di forza
maggiore, potessero quelle indennità, per la cessazione
in tronco del rapporto, reputarsi non dovute ; non già che
quella disposizione, oltre il caso normale della non pro
secuzione del servizio, abbia voluto creare una posizione
migliore all'impiegato dell'azienda fallita, e sancire che
l'amministrazione fallimentare sia privata del diritto, in
caso di esercizio provvisorio dell'azienda, di fare prose
guire il rapporto di impiego, e di quello di dare, come
in genere tutti i datori di lavoro, il preavviso all'impie
gato e di servirsi frattanto della sua opera. Erroneamente
quindi la sentenza ha ritenuto nel caso del Becchino
spettargli di conseguenza, contemporaneamente, l'inden
nità di preavviso e il pagamento dell'opera prestata per
tal periodo alla curatela del fallimento.
Per questi motivi, cassa, esc.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.
Sezione II civile ; udienza 30 dicembre 1929 ; Pres. Bar
cellona P., Est. Boterà, P. M. Macchiarellj(conci,
conf.) ; Urzi (Avv. Corrao) c. Camerata.
(Sent, denunciata : App. Messina 27 dicembre 1928)
Possesso — Bini mollili per natura — Terzi acqui
renti di buona fede — Possesso giuridico — Hf
fetto di titolo (Cod. civ., art. 707).
Il possesso richiesto agli effetti dell'art. 707 cod. civ., non è soltanto il possesso reale, ma anche quello giu ridico. (1)
La Corte, ecc. — Osserva ohe il ricorrente, con i tre
motivi del ricorso, impugna la denunziata sentenza per violazione e falsa applicazione degli art. 686, 687, 691,
692, 701, 707, 710, 1125, 1126, 1234, 1235, 1312, 1350, 1351, 1459, 1465 cod. civ., in relazione agli art. 360,
361, 480 e 517 cod. proc. civile. Assume che à violato
la cosa giudicata contenuta nella sentenza del Tribunale
di Catania 31 gennaio-7 febbraio 1924, ritenendo che è
stata implicitamente risoluta la questione indirizzata a sa
pei e se il pianoforte in contestazione fosse o meno il me
desimo di quello acquistato per diritto ereditario da Rocco
Camerata ; aggiunge che avendo acquistato in buona fede
un bene mobile per natura, il possesso produce a suo fa
vore l'effetto stesso del titolo ; e conclude che l'acquisto
per successione del pianoforte in controversia da parte di
Hocco Camerata era in ogni caso nullo, perchè compiuto in frode delle ragioni dei creditori. Il primo motivo del
ricorso non è fondato.
A norma dell'art. 1351 cod. civ., l'autorità della cosa
giudicata non à luogo, se non relativamente a ciò che à
formato il soggetto della sentenza. Or poiché tanto il ri
corrente Urzi Francesco, che il suo avversario Rocco Ca
merata, contendevano sull'identico pianoforte, detenuto da
Camerata Francesco, evidentemente rimaneva assorbita
ogni disputa rivolta a sapere se il pianoforte reclamato da
Camerata Rocco fosse cosa diversa. Convergendo le ri
spettive pretese sopra di un unico oggetto, più che la
cosa giudicata, entrava in considerazione la prevalenza
del titolo di acquisto.
Osserva che fondato è, invece, il secondo motivo del
ricorso. A tenore dell'art. 707 cod. civ., riguardo ai beni
mobili, per loro natura ed ai titoli al portatore, il pos
sesso produce a favore dei terzi di buona fede l'effetto
stesso del titolo. In forza della scrittura privata 30 marzo
1921, il ricorrente Urzi comprò in buona fede e ricevette
il possesso del pianoforte in esame e perciò solo ne è
divenuto proprietario, ancorché l'alienante non vi avesse
avuto alcun diritto. La Corte d'appello di Messina, per
concludere che la proprietà della cosa mobile non si è
trasferita all'Urzi à interpretato l'art. 707 cod. civ. nel
senso che il possesso dal medesimo richiesto è di fatto,
per modo che se la cosa mobile venduta continua a ri
manere , sia pure ad altro titolo, presso l'alienante, desso
diviene inapplicabile e il compratore non può più invo
carlo per goderne gli effetti. Manifesto è l'errore di di
ritto nel quale è incorsa la denunciata sentenza. Richie
dendo il menzionato art. 707 cod. civ. che l'acquirente
di buona fede, per acquistare la proprietà del bene mo
bile abbia ricevuto il possesso del medesimo, non può non
riferirsi se non al possesso, qual'è definito nel precedente
art. 686 detto codice, consistente nella detenzione di una
(1) In senso conforme vedi, Oass. Regno 23 febbraio 1927
ined. (Foro it., Rep. 1927, voce Possesso, n. 16). In argomento, consulta anche Oass. Torino 31 dicembre
1898 (id., Rep. 1898, voce cit., n. 14).
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