Sezione III civile; udienza 20 marzo 1933; Pres. Marzadro, Est. Caliendo, P. M. Gaetano (concl.conf.); Goretti (Avv. Kambo, Gatteschi) c. Goretti (Avv. Marucchi, Cammeo, Terrini, Serragli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 58, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1933), pp. 1433/1434-1437/1438Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23134357 .
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1433 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 1434
del Supremo Collegio, nel ritenere ohe la presunzione l'uris tantum, stabilita dall'art. 25 debba restare ferma
ed avere il suo pieno effetto giuridico, fintantoché non
sia combattuta e vinta da una fondata e certa prova con
traria, e nello spiegare poi che i procuratori delle impo ste e le Commissioni non possono derogare al criterio det
tato da quell'articolo di legge e procedere ad accerta
menti presuntivi del reddito, senza avere dapprima im
pugnato specificamente le singole partite del bilancio e
dimostrato la loro falsità od erroneità.
Gli organi dell'Amministrazione delle finanze non sono
tenuti ad istruire un giudizio per fare dichiarare false od
erronee le impostazioni del bilancio, da cui fu desunto il
reddito, ma basta che siano manifestate all'altra parte le
ragioni della inattendibilità di quei dati, perchè divenga legittimo il ricorso al metodo dell'accertamento induttivo, e subentri quindi l'ampia potestà di determinare il red
dito anche con criteri prudenziali e di equità, che gli ar
ticoli 37 e 50 della legge conferiscono agli agenti delle
imposte ed alle Commissioni.
In tal caso il giudizio di estimazione non importa il di
sconoscimento del valore che in astratto la legge attri
buisce al bilancio delle operazioni dell'accertamento del
reddito, e non è il prodotto di erronei criteri giuridici di
altra natura, ma resta nei limiti di semplici apprezza menti di fatto, che sfuggono al sindacato dell'autorità
giudiziaria per il disposto dell'art. 53 della stessa legge.
Orbene, nel caso conoreto, cosi la difesa del Consor
zio agrario Bergamasco come la denunciata sentenza, che
si rileva al riguardo perplessa e contraddittoria nella sua
motivazione, riconoscono in sostanza che il procuratore delle imposte e le Commissioni di prima istanza e di se
condo grado avevano la potestà di accertare il reddito
col metodo induttivo, dopo di aver espresso le ragioni,
per cui veniva posto da banda il criterio normale di esti
mazione, stabilito dall'art. 25 della legge ; e la censura
al procedimento adottato si concreta nel rilievo che si sa
rebbero scartate le risultanze del bilancio senza aleuna
motivazione.
Il Supremo Collegio, chiamato a decidere una que stione di competenza, esercita un pieno sindacato giuri
sdizionale, che si estende alle indagini di fatto e non può condividere il giudizio espresso dalla Corte di merito sul
contenuto degli atti del procedimento amministrativo.
Risulta, invero, dal ricorso presentato alla Commis
sione provinciale contro la decisione di primo grado, che
il Consorzio agrario, lungi dall'insistere nella sua dichia
razione che gli utili netti relativi alla gestione dell'anno
1924 ascendessero a lire 35.254, ossia alla somma indicata
dal bilancio, espose 'che in base alle risultanze del mede
simo il reddito non poteva essere superiore a lire 81.500, e chiese che l'accertamento, fatto dall'ufficio delle im
poste, fosse ridotto a tale misura. Riconobbe, quindi, im
plicitamente che aveva adottato criteri di larga valuta
zione delle attività dell'azienda, e con tali calcoli si era
ottenuta una cifra di utili netti, che non corrispondeva a
quella reale.
In coerenza al contenuto del ricorso la Commissione
di secondo grado ritenne che non fossero attendibili le im
postazioni del bilancio e che quindi si doveva ricorrere
ad un accertamento presuntivo.
La motivazione del pronunciato è molto sintetica»ed
anche attraverso una forma non lucida rileva il concetto
del Collegio nel senso che, secondo le cifre indicate nel
bilancio, la valutazione' dell'attività era il risultato di cri
teri molto prudenziali, in guisa da portare ad una dimi
nuzione degli utili, effettivamente ricavati dalle vendite.
Per tali ragioni il ricorso fu accolto solo in parte e l'ac
certamento venne ridotto a lire centomila.
E' manifesto, adunque, che la decisione cadde sulla
semplice estimazione del reddito, come fu ritenuto della
Commissione Centrale, e non è soggetta al sindacato del
l'autorità giudiziaria. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto, e la sentenza
va cassata senza rinvio. (Omissis) Per questi motivi, cassa senza rinvio, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.
Sezione III civile ; udienza 20 marzo 1933 ; Pres. Mar
zadro, Est. Caliendo, P. M. Gaetano (conci, conf.); (foretti (Avv. Kambo, Gatteschi) c. Goretti (Avv.
Maroochi, Cammeo, Terrini, Serragli).
(Sent, denunciata: App. Firenze 19 aprile 1932)
Cognome e nome — Granducato di Toscana — He
girne di libertà nell'assunzione del cognome — Ri
spetto sotto la legislazione posteriore — Prova del
l'assunzione del cognome In detto regime.
Nel Granducato di Toscana, fino alla notificazione 25
maggio 1819, aveva pieno e incontrastato impero il
principio di diritto romano secondo cui ciascuno po teva assumere il cognome che voleva, purché V assun
zione avvenisse sine fraude, essendo estranei in quella
disciplina del diritto al nome gli attributi dell'ina
lienabilità e dell' imprescrittibilità. (1) Tale diritto non trovava altro limite se non quello de
rivante dall' osservanza del diritto altrui e nel logico e inevitàbile divieto che, attraverso nuove assunzioni, sostituzioni o aggiunzioni, venissero create confusioni o illecite invasioni nella sfera giuridica altrui. (2).
Il nuovo ordinamento creato dalla legge 18 giugno 1817
che rese stabili per l'avvenire le indicazioni personali,
rispettando i diritti quesiti, confermò i principi di libertà vigenti neli'ordinamento anteriore circa l'as
sunzione, la sostituzione e aggiudicazione dei cognomi onde va ritenuto che gli attributi di inalienabilità e
imprescrittibilità del diritto al nome non possano invocarsi sotto il regime antecedente alla suddetta
legge. (3) Sotto detto regime la prova dell' assunzione di un nuovo
cognome o dell'aggiunzione di uno antico o del suo
uso costante, poteva desumersi oltre che da atti di na
scita, di matrimonio, di morte, anche da altri atti
pubblici, sentenze, verbali di adunanze comunitative,
diplomi di comunità religiose, bolle pontificie, atti
privati, corrispondenza con famiglie cospicue del
tempo. (4)
(1) Si veda in proposito l'ampio studio di Vittorio Scialoja ad illustrazione della sentenza della Corte d'appello di Ancona del 14 agosto 1889 (Foro it., 1889, I, 1101) la quale decise, con formemente alla sentenza che pubblichiamo, che per il diritto romano e per il pontificio a ciascuno era lecito mutare il co
gnome, assumendone uno ancorché portato da altri, purché ciò facesse sine fraude et iniuria.
Si confronti anche, per le utili nozioni storiche in materia, Marquardt, Vie privée des Romains, vol. I, pagg. 7 a 38,
(2-4) Non ci risultano precedenti editi.
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1485 . PARTE PRIMA 1436
La Corte, ecc. (Omissis) — Fatto. Con istanza 17
agosto 1911 i germani Marchese Ugo, Giovanni Gualberto
e Cesare Coretti Miniati ohiesero al Ministero della Giu
stizia l'autorizzazione ad aggiungere al loro casato Goretti
Miniati, l'altro de' Flamini, interponendolo tra i due co
gnomi, in applicazione degli art. 119 e segg. dell'ordina
mento dello stato civile 15 novembre 1865 n. 2602.
Ordinata la pubblicazione della domanda, ad essa si
oppose il Conte Goretto Goretti Flamini che rivendicò
esclusivamente per sè e per la sua famiglia il diritto al
cognome Flamini. Il Ministero della Giustizia, con deli
berazione 3 luglio 1915, in conformità del parere del Con
siglio di Stato, ritenne non essere il caso di accogliere
la domanda e tale provvedimento negativo reiterò succes
sivamente, nel 1928, quando i germani Goretti-Miniati
riprodussero l'istanza considerando che la richiesta più che
ad ottenere una concessione graziosa, era rivolta ad otte
nere la rivendicazione di un cognome ohe i fratelli Go
retti-Miniati asserivano essere appartenuto per il passato alla famiglia dalla quale dicevano di discendere.
Con atto del 21 giugno 1929 il Marchese Ugo Goretti
Miniati, premesso che da quattro generazioni la sua fa
miglia era conosciuta col cognome Goretti Flamini o De'
Flamini, mentre l'aggiunta del cognome Miniati proveniva dalla famiglia dell'ava Miniati Giovanna ; che l'uso del
cognome Flamini era stato ripreso in seguito a riconosci
mento della loro discendenza dagli antichi Flamini di Rieti
e, quindi, di Arezzo ; che interessava ad esso istante il
riconoscimento del diritto a portare quel cognome in con
traddittorio col Conte Goretto Goretti Flamini fu Ottaviano,
il quale aveva con lui comune l'origine familiare e si tro
vava nelle identiche condizioni di diritto e di fatto salvo
il diritto solo al predetto Goretto Goretti Flamini di por tare il titolo di Conte concesso all'antenato Giuseppe Go
retti Flamini da Maria Teresa Imperatrice, come da di
ploma 27 febbraio 1767 e 27 marzo 1796 e da rescritto
di riconoscimento del Granduca di Toscana 23 settembre
1790 ; oonveniva il Conte Goretti Flamini davanti il
Tribunale di Firenze per sentir riconoscere il diritto di
aggiungere al suo cognome quello « Flamini » o « de' Fla
mini », ordinandosi all'ufficiale di stato civile di Firenze
di eseguire la rettifica del suo atto di nascita e di quelli
dei suoi discendenti.
Il Tribunale con sentenza 2-31 luglio 1930, rigettava
la domanda. Appellava con atto 30 maggio 1931 il Mar
chese Ugo Goretti Miniati, ma la Corte di appello di Fi
renze, con la sentenza ora denunciata, del 5-19 aprile,
respingeva il gravame.
Ricorre il Marchese Ugo Goretti Miniati e deduce,
con il primo mezzo, la violazione, falsa e contraddittoria
applicazione della legge unica, « Cod. de mutatione nomi
nis » (lib. IX tit. 25) già vigente in Toscana ; con il se
condo, la violazione del principio non mai mutato « nemo
res suas iactare praesumitur » ; con il terzo, la violazione
dell'art. 517 nn. 2, 6, 7 cod. proc. civile. Diritto. La sentenza impugnata, dopo di avere profi
lata la questione, che si agitava fra le parti, nel senso se il
padre dell'istante avesse acquistato il diritto, anterior
mente all'entrata in vigore del regio decreto del 1865
sull'ordinamento dello stato oivile, di portare il cognome
aggiunto « Flamini » quantunque non sia inserito nell'atto
di nascita, rilevò esattamente che l'azione intentata, giac
ché non si contestava lo stato di famiglia dell'istante, ma
solo se avesse diritto a portare il detto cognome, fosse di
reclamo di nome ; che' il nome patronimico, per quanto
non in modo esplicito, in vari articoli del cod. civ. (arti
coli 131, 185, 210, 574 e 378) ed il diritto ad esso, di sua natura personale, sia tutelabile, sia per far cessare il
turbamento di altri all'uso del proprio cognome, sia per
impedirne l'uso illegittimo da parte di terzi.
Aggiungeva la Corte fiorentina, in ordine al primo
degli assunti del ricorrente, che la prova della discendenza
del ramo dello istante dall'originaria famiglia Elamini era
stata data, ma il titolo al cognome, nonostante la ricono
sciuta discendenza, non poteva sussistere, non per man
canza di rapporto di cognazione o di parentela, giuridica mente valido (entro il decimo grado), ma per la singolare situazione di fatto e di diritto verificatasi nello sviluppo successivo dei rami della famiglia Flamini. A Michele
Flamini era successo Goro, verso il 1400, che aveva so
stituito al casato Flamini quello Goretti ; sostituzione le
gittima, vigendo in Toscana, in quell'epoca, il diritto ro
mano, sotto il cui impero, in virtù della legge unica « Cod.
de mutatione nominis 9,15» ciascuno aveva piena facoltà
di mutare il proprio cognome, assumendone un altro, pur ché ciò avvenisse sine fraude.
Per oltre due secoli dai successori di Goro era stato
portato sempre il nuovo cognome Goretti, donde la im
possibilità dell'istante di reclamare un cognome cui dai
danti causa legittimamente si era rinunziato mediante la
sostituzione con altro cognome.
Nè tanto era in contrasto col principio della impre scrittibilità del diritto al cognome.
Giacché non si reclamava un cognome lasciato in disuso, ma un cognome rinunciato e sostituito da un altro che
mai si era portato insieme con quello abbandonato, e non
valeva il richiamo per analogia al regio decreto 21 gen naio 1929 n. 61, sull'ordinamento dello stato nobiliare,
che, nell'art. 14, stabilisce che le distinzioni nobiliari non
si estinguono per mancato uso nè si acquistano per lungo
uso, in quanto, pur vigendo, anche pel diritto al nome
patronimico, il principio della imprescrittibilità acquisitiva (lungo uso) ed estintiva (non uso), nella specie non si re
clamava un cognome disusato, ma un cognome definitiva
mente rinunciato.
E' contro questa parte della motivazione che si ap
puntano i due primi mezzi, con i quali il ricorrente la
menta che la Corte abbia violata e falsamente applicata la L. unica, Cod. de mutatione nominis (libro IX ti
tolo 25) già vigente in Toscana, e violato altresì, il prin
cipio nemo res suas iactare praesumitur} sia per avere
ammessa la rinunzia a un diritto che pur la Corte ha
riconosciuto essere elemento integrativo di personalità, inalienabile e imprescrittibile ; sia per avere presunta la
rinunzia ad un diritto senza enunciare alcun fatto con
creto che potesse giustificarla, mentre, al più permaneva soltanto il semplice non uso, il mancato esercizio, circo
stanza di per sè inidonea a indurre la perdita del diritto.
(Omissis). La denunziata sentenza nel dare rilievo al fatto emer
gente dalla documentazione esibita che, a partire dal 1400
e per oltre due secoli, i successori di Michele Flamini
avessero sostituito al cognome Elamini il cognome Goretti,
osservò, oome si è visto, che tale sostituzione concretasse
una rinunzia al primitivo cognome e che la rinunzia non
fosse in contrasto con i caratteri di inalienabilità ed im
prescrittibilità del diritto al nome, altro dovendo ritenersi
il mancato esercizio di un diritto che non viene per duto per non uso, altro la rinunzia al diritto stesso me
diante la sostituzione di un nuovo cognome a quello ori
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1437 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 1438
ginario. Meglio avrebbe potuto dire la denunziata sentenza, una volta ammesso che in quell'epoca e per tutto il tempo successivo sino alla notificazione 25 maggio 1819 nel Gran
ducato di Toscana, esplicasse pieno ed incontrastato im
pero il principio di diritto romano che ciascuno potesse assumere il cognome che voleva, purché l'assunzione av
venisse sine fraude, chè erano estranei alla disciplina del
diritto al nome gli attributi della inalienabilità e della im
prescrittibilità, attributi, cioè, che sono conseguenza di
un regime, quale quello poi introdotto ed ora vigente nel
Regno, nel quale abbiano prevalenza elementi d'indole
formale e pubblicistica.
Nè, al riguardo, come sostiene il ricorrente, sarebbe
esatto riferirsi al clima storico e giuridico in cui nella
Roma repubblicana e imperiale il diritto al nome veniva
inteso ed attuato, dovendo il principio di diritto romano
non altrimenti essere valutato che nella portata con cui
era stato ricevuto e veniva applicato nel Granducato quale
principio di diritto comune.
Ora detto principio importava libertà di assunzione del
cognome, di sostituzione di un nuovo all'antico, e tale li
bertà non altra restrizione incontrava che quella deri
vante dall'osservanza del diritto altrui e dal logico ed ine
vitabile divieto che attraverso nuove assunzioni o sostitu
zioni o aggiunzioni, venissero create confusioni o illecite
invasioni nella stera giuridica altrui.
Sistema senza dubbio non scevro di inconvenienti, donde il bisogno avvertito poi, in occasione della compi lazione dei pubblici registri dello stato civile prescritti dalla legge 18 giugno 1817, di rendere stabili per l'av
venire le indicazioni personali secondo il nuovo ordina
mento introdotto dalla Notificazione del 1819, diretta come
si legge nel preambolo « a conciliare gli atti successivi
con gli originari e a rendere possibili le variazioni e le
assunzioni di nuovi cognomi con le risultanze dei registri ».
Per altro, è ovvio, mentre il nuovo ordinamento, pur im
ponendo la preventiva emanazione di un decreto del giu
dice, da trascriversi nei registri per l'assunzione di un
nuovo cognome, rispettava i diritti quesiti, veniva confer
mando che l'ordinamento anteriore fosse del tutto ispirato
a principi di libertà nell'assunzione, sostituzione o aggiun
zione di cognomi ; pertanto contro lo accertamento della
Corte che l'originario cognome Flamini veniva sostituito
da quello Goretti e tale sostituzione perdurò per lungo
tempo, indice univoco e sicuro dell'abbandono dello ori
ginario cognome, non potrebbero farsi valere gli attributi
di inalienabilità e imprescrittibilità del diritto al nome, richiamati nel ricorso, propri di un ordinamento giuridico
diverso da quello sotto cui avvenne la sostituzione.
Passando, poi, la Corte ad esaminare l'altro assunto
del ricorrente, quello della legittima riassunzione del co
gnome Flamini da parte del quadrisavolo dello istante Ce
sare di Emanuel ; e della continuazione dell'uso da parte
dei suoi discendenti, dopo di aver considerato, in base ad
un esame dei documenti relativi, che la concessione del
titolo di Conte nel 1767 all'abate Giuseppe Maria Goretti,
in quanto oriundo dell'antichissima illustre e nobile fami
glia Flamini, non costituisce ostacolo anche all'altro ramo,
cui l'istante appartiene, di aggiungere il cognome Flamini, riteneva che l'aggiunzione non si fosse verificata.
Al riguardo la sentenza denunziata cosi motiva :
« I documenti prodotti a giustifica dell'aggiunta del
cognome Flamini da parte di Goretti Cesare, di Giov.
Battista, di Cesare e di Alessio di Cesare, sono o prove
nienti da terzi o stilati su enunciazione di parte o di scarsa
efficacia probatoria di un uso costante preordinato a tener
fermo il mutamento del cognome stesso. E prova di ciò
è che in nessuno degli atti più importanti della vita fami
liare che dovevano testimoniare della volontà recisa di mu
tamento del cognome erga omnes, gli atti cioè di batte
simo, di matrimonio, di morte del ramo dell'appellante, è
segnato col Goretti anche il Flamini ».
Non a torto si muove censura alla sentenza con il terzo
mezzo del ricorso, e il difetto che inficia il ragionamento della Corte, nella fondamentale proposizione sopra ripor
tata, è quello di aver negata senza un congruo esame,
importanza a tutta una serie di documenti, per il riflesso
che essi fossero provenienti da terzi o stilati su enuncia
zione di parte, ovvero, che essi non fossero avvalorati,
nelle loro risultanze, dalle indicazioni emergenti dagli atti
di battesimo, dì matrimonio o di morte.
Ragioni tutte che si dimostrano di per sè inadeguate
od insufficienti, se si pensi che, vigendo sempre, quando
gli atti dell'una o dell'altra specie erano posti in essere,
il regime della piena libertà nell'assunzione o riassunzione
di cognomi, ad attestare la volontà di mutamento o, ad
essere più precisi, di riassunzione o aggiunzione dell'an
tico cognome, potevano dare utile contributo al convinci
mento della Corte, anche per ciò che attiene all'ulteriore
manifestazione di quella volontà, non solo i documenti re
lativi a taluni speciali atti della vita, quali la nascita, il
matrimonio, la morte, ma anche tutti gli altri documenti
che, come gli atti pubblici, le sentenze, i verbali di adu
nanze comunitative, stampe, diplomi di comunità religiose,
bolle pontificie, atti privati, corrispondenza con famiglie
cospicue del tempo, si rapportano pur essi ad atti note
voli della vita di una famiglia, e dei quali non può essere
esclusa a priori, la rilevanza.
Il contrario avviso ha indotto la Corte ad una indebita
restrizione del campo della propria indagine sindacabile
in questa sede, ben diverso essendo il convincimento cui,
dopo l'esame di tutti i documenti, la Corte avrebbe po
tuto pervenire, dal limite che essa intese porre alla valu
tazione degli uni in confronto agli altri, limite incompa
tibile con la piena libertà con la quale la volontà di rias
sunzione dell'antico cognome si sarebbe potuta attuare,
perchè il documento, considerato e nel suo contenuto e
nelle sue circostanze in cai viene redatto, sia su enuncia
zione di parte, sia su enunciazione di terzi, si appalesasse
testimonianza seria di quella volontà, e quindi di un uso
pratico e costante al fine sopra indicato. (Omissis)
Per questi motivi, oassa, eoo.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.
Sezione III civile; udienza 9 marzo 1933; Pres. Marza
dro, Est. Levkr, P. M. Ratti (conci, diff.); Società
Fiat (Avv. Del Papa, Rolfini) o. Paoloni (Avv. Libotti, Florio).
(Sent, denunciata : App. Roma 25 febbraio 1932)
Responsabilità civile — Automobili — Vendita con
patto di riservato dominio — Danni prodotti dalla
circolazione — Irresponsabilità del venditore (Cod.
civ., art. 1158; R. D. 31 dicembre 1923, n. 3043, art. 79 ; R. D. 2 dicembre 1928, n. 3179, art. 122).
Il venditore di un'automobile con patto di riservato do
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