Sezione III civile; udienza 13 gennaio 1930; Pres. Piola Caselli P., Est. Parrella, P. M. Levi (conf.);Masciarelli (Avv. Mapei) c. SelecchiSource: Il Foro Italiano, Vol. 55, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1930), pp. 141/142-143/144Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23131038 .
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141 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE Ì42
solo quello ohe nel suo fondo esiste, e non già quello su
cui non può stendere la propria mano e la propria atti
vità e che non può apprendere e ritenere come cosa pro
pria secondo il disposto degli art. 436 e 440 del cod.
civile. La Corte osserva che le norme, dettate da codesti ar
ticoli, avrebbero carattere decisivo per la soluzione del
quesito nel senso propugnato dal controricorso, se non esi
stesse un altro testo di legge. Quello dell'art. 578 che
venne invocato dalla società attrice, come titolo ad colo
randam possessionem. Per concorde insegnamento di dot
trina e giurisprudenza nell'esame delle questioni posses sorie è lecito un giudizio di delibazione dei titoli invocati
al detto scopo e quindi anche sul contenuto di un testo
di legge, quando il titolo ivi si trova. Orbene, per il
principio sancito dall'art. 436, il diritto del proprietario di godere e servirsi della cosa nella maniera più assoluta
può incontrare delle limitazioni nei diritti stabiliti dalla
legge in favore dei proprietari vicini nell'interesse della
convivenza sociale, o per favorire l'agricoltura e l'in
dustria.
Una di codeste limitazioni è apportata precisamente dall'art. 578 che consente al proprietario di un fondo di
aprirvi sorgenti e stabilirvi capi o aste di fonte sempre
quando siano osservate quelle distanze ed eseguite quelle
opere necessarie ad evitare un nocumento agli altrui fondi
od alle altrui sorgenti od ai capi ed aste di fonti, canali
od acquedotti preesistenti e destinati alla irrigazione dei
beni od al giro di edifici. La locuzione della legge è ampia e generica in mate
ria di acque e comprende cosi le fonti naturali come
quelle artificiali ed il percorso delle vene idriche da cui
sono alimentate. Essa impone il rispetto di uno stato di
fatto, creato precedentemente da un altro soggetto sulla
sua proprietà sulle vene idriche dell'altrui sottosuolo già
utilizzate per un miglioramento agricolo od a scopo indu
striale. Per la interpretazione di detto articolo di legge la difesa del controricorrente invano ricorre ai precetti di diritto romano, che, informandosi ad una vasta con
cezione giuridica del diritto di proprietà non proibivano di recidere nel proprio sottosuolo le vene idriche che af
fluivano all'esterno del fondo altrui, tranne quando fosse
stata già costituita al riguardo una servitù prediale, e
non si faceva luogo per operato ad interdetto possessorio, come risulta da questo frammento : Si in meo aqua, erum
pat, quae ex tuo fundo venas habeat : si eas venas in
cidevi s et oh id desierit ad me aquam pervenire, tu non
videris vi facisse, si nulla servitus mihi eo nomine de
bita fuerit ; nec interdicto quod vi aut clam teneris
(L. 21 Dig. XXXIX, 3). Era proibita la detta recisione di vene idriche quando veniva fatta per il solo fine di recare
un danno, e non già per migliorare il proprio campo (L. 1 § 12 ibid.).
Codesti precetti furono accolti e seguiti dal Codice
Napoleone ; ma si dipartì da essi il Codice Albertino con
l'art. 602, al quale si uniformò il Codice italiano con la
suddetta disposizione di legge che sancisce un principio
opposto. Essa, invero, come fu esposto dalla Commissione
del Senato nella sua relazione sul progetto, ebbe la fina
lità di incoraggiare l'incremento dell'agricoltura e del
l'industria col rimuovere il pericolo che capitali, più o
meno rilevanti e talvolta ingenti, impiegati per la ricerca
e la utilizzazione delle acque, vadano perduti per effetto
di scavi o di altre opere eseguite da un altro proprieta
rio in un suo fondo vicino.
Può mettersi in dubbio, in ispecie dal punto di vista
di una esatta terminologia giuridica, se quel disposto faccia
nascere un diritto di servitù prediale stabilito dalla legge, come fu pur ritenuto da una autorevole dottrina, trattandosi
di una norma speciale, collocata in uno dei paragrafi che
contemplano e disciplinano tali servitù (art. 535 cod. civ.) ; ma è però indiscutibile che venne sancita una limitazione
del diritto di proprietà nel sottosuolo in favore della pro
prietà altrui ed il soggetto, che già utilizzò l'acqua af
fluita al suo fondo dai naturali rivoletti sotterranei, ben
può affacciare un diritto reale immobiliare sui medesimi
che in sostanza rappresentano accessorio della vasca o del
bacino di raccolta all'uopo impiantato ed un suo braccio
allungato nei visceri di una indeterminabile zona di terreni.
La situazione di fatto, già creata al riguardo, ha quindi tutti i caratteri esteriori del godimento di un diritto di
tal genere, e deve essere rispettata, sino a quando non
venga definita la contestazione fra i due proprietari. Di conseguenza bene è adatta alla fattispecie la sol
lecita tutela dell'azione di reintegrazione in possesso, in
quanto mira a reprimere l'operato arbitrario dello Sgara
vatti, per aver questi, malgrado le proteste ed una dif
fida intimatagli dalla Società attrice, come fu ritenuto in
fatto dalla denunziata sentenza, proseguito gli scavi nel
suo fondo superiore, che avrebbero prodotto con la re
cisione delle vene idriche una rilevante diminuzione di
acqua nel bacino di raccolta dello stabilimento della so
cietà.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.
Sezione III civile ; udienza 13 gennaio 1930 ; Pres. Piola
Caselli P., Est. Parrella, P. M. Levi (conf.) ;
Masciarelli (Avv. Mapei)c. Selecchi.
{Sent, denunciata : App. Aquila 11 gennaio 1929)
Ingegnere e architetto — Incarico professionale —
Possesso di documenti relativi — Credito per gii
onorari — Diritto di ritenzione — Inammissibilità.
Ali1 ingegnere non compete un diritto di ritenzione dei do
cumenti affidatigli dal committente in occasione dello
espletamento di una perizia fino al soddisfacimento
degli onorari per tale perizia, massime quando li ab
bia volontariamente restituiti e ne sia con un prete sto rientrato in possesso. (1)
La Corte, ecc. (Omissis) — Quanto al primo mezzo
la Corte di merito incorre, in errori ed omissioni che mi
nano la base della sua decisione e che è assai facile iden
tificare, se anche lo stesso ricorrente non dimostii nella
sua confutazione una chia a visione dei concetti che pre
siedono all'istituto della ritenzione.
Che questo istituto nel nostro ordinamento positivo
rappresenti un ius singulars che non consenta una ap
plicazione estensiva non è lecito dubitare per quanto ha
tratto alla funzione del medesimo nel negozio giuridico
contrattuale. È risaputo che in tal caso quel diritto è fon
dato sulla presunzione di legge che sia stato tacito inten
dimento delle parti all'atto della conclusione del negozio
di sottoporre la cosa affidata ad una di esse in dipen
(1) Non ci risultano precedenti editi sulla fattispecie.
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denza del negozio medesimo a garanzia per l'esatto adem
pimento dell'obbligazione contratta a di lei favore. Là
dove questa presunzione non risulti espressamente stabi
lita l'istituto non trova una giuridica ragion d'essere.
Anche nelle legislazioni a tipo tedesco in cui l'istituto
stesso ha una disciplina gene ale ed autonoma esso è limi
tato alle sole obbligazioni fra commercianti, e se una forte
tendenza dottrinale dei paesi latini mira a seguire a scopo di unificazione tale indirizzo, trattasi pur sempre di una
tendenza che non solo non consente una estensione ai
rapporti civili, ma che nella stessa materia commerciale è
ancora lontana da una pratica realizzazione.
Comunque il diritto di ritenzione è un diritto di ga ranzia del contraente non sulla cosa propria, ma sulla cosa
dell'altro contraente di cui egli abbia la temporanea de
tenzione a causa o ad occasione del contratto. La riten
zione della cosa propria fa capo invece alla diversa fun
zione della eccezione ìnadimpleti contractus.
Inoltre quel diritto, mentre ha degli apparenti con
tatti con la suddetta eccezione estesa alla ritenzione della
cosa alt ui, sostanzialmente si distanzia da questa per ra
dicali differenze attinenti al rispettivo contenuto giuri dico. Anzitutto quell'apparenza è spiegabile solo là dove
la detenzione della cosa attenga alla intima costituzione
del rapporto obbligatorio giacché solo allora essa può en
trare nel giuoco delle obbligazioni bilaterali e la mancata
riconsegna può esser posta in relazione di effetto a causa
all'inadempimento della prestazione precedente da parte dell'altro contraente.
Ma la realtà giuridica è che mentre la eccezione sud
detta ha carattere personale e funzione di resistenza pas siva alla pretesa di costui il diritto di ritenzione ha ca
rattere reale e funzione attiva di garanzia del detentore
sulla cosa detenuta, per l'adempimento dell'altrui presta zione. E da questo carattere di realità, che fu detto di
pegno legale, deriva come illazione che l'esercizio di quella
garanzia non possa prescindere dalla detenzione della cosa
o dal fatto che al proprietario di questa sia stata sot
tratta la disponibilità della cosa medesima.
E' pur vero che anche nel caso dell'eccezione anzi
detta l'abbandono del possesso della cosa possa renderla
improponibile ma ciò pe -
l'incompatibilità ideologica di un
atto equivalente a rinuncia ad avvalersi di quella eccezio
ne. Mentre lo spossessamento agli effetti del diritto di ri
tenzione fa venir meno quello stato di soggezione fra la
cosa e chi pretenda di essere garantito sul valore della
medesima, soggezione che svanisce tosto che la cosa sia
uscita dalla sfera della materiale disponibilità del deten
tore, cosi come accade per il pegno convenzionale.
Applicando questi principi schematicamente esposti alla specie decisa è evidente anzitutto l'errore in cui la
Corte è caduta pretendendo di applicare l'istituto della ri
tenzione ad un caso dalla legge non previsto e cioè di
una locazione di opera professionale di natura civile.
In secondo luogo altrettanto evidente è l'errore di
viso dallo stesso ricorrente nel parlare di un diritto di
ritenzione sulle perizie redatte dall'ingegnere quasi che
queste fossero cose di pertinenza del committente. In
vero il professionista richiesto di un'opera del suo inge
gno rimane nel possesso della medesima sino a che non
l'abbia consegnata al richiedente. E se egli non intenda
prestarsi a quella consegna prima che gli sia stato pagato il relativo compenso, questo suo rifiuto troverà il suo fon
damento nel mancato adempimento della corrispettiva ob
bligazione personale di esso richiedente. Un diritto di ri
tenzione potrà da parte sua essere esperibile solo sui do
cumenti che gli siano stati affidati da costui o che egli
siasi procacciato per di lui incarico. Ed in tal caso egli non potrà vantare che questo solo diritto, in quanto l'af
fidamento ed il deposito in sue mani di quei documenti è
legato alla commissione data dell'opera professionale da
un rapporto meramente occasionale.
Ciò posto nella specie occorreva distinguere fra le pe rizie redatte dall'ingegnere ed i documenti che erano ser
viti alla loro compilazione di cui a quest'unico scopo lo
ingegnere era entrato in possesso. Per le prime si sarebbe
potuto utilmente invocare la eccezione inadimpleti con
tractus, mentre di un diritto di ritenzione sarebbe stato
possibile parlare solo in relazione ai secondi.
Senonchè, anche per tali documenti esiste una ragione ostativa di tale diritto nel fatto che in quel caso speci fico la legge civile, non ne consente l'esercizio su cose
occasionalmente venute in potere del professionista. Una sola statuizione esiste di simile diritto nella legge
commerciale nella disciplina del mandato sulle cose a di
sposizione del mandatario anche se non abbiano uno stretto
rapporto causale con la esecuzione del mandato stesso.
Nella legge civile, invece, è previsto il solo diritto del
depositario di trattenere la cosa depositata per compen sarsi delle spese subite a causa del deposito. Nella legge sull'ese cizio della professione forense è data facoltà al
procuratore di trattenere i documenti di causa solo fino
alla liquidazione del compenso dovuto dal cliente ed è
espressamente fatto divieto di trattenerli fino al pagamento di tale compenso. E per quanto a giustificare quest'ultima norma possano concorrere anche altri motivi di diversa
indole, il concetto generale che presiede all'esclusione nei
rapporti civili di un diritto di ritenzione allorché manchi
una intima connessione tra il credilo che s'intende garen tire e la cosa su cui si pretende esercitare tale garenzia consiste nella presunzione di una tacita volontà delle
parti contraria ad una soggezione di quella cosa al vin
colo suddetto.
Ad ogni modo ancora più manifesta è la grave omis
sione in cui incorse la Corte nel non discutere il rilievo
che aveva indotto il tribunale ad escludere che nel caso
particolare potesse parlarsi di diritto di ritenzione: il ri
lievo che poggiava sul fatto che l'ingegnere aveva già in
un primo tempo dimesso il possesso delle pratiche e con
segnate le stesse all'amministratore del ricorrente : con
che egli aveva perduto ogni possibilità di esercitare quel diruto. E' pur vero che questi era poscia rientrato nel
possesso delle pratiche stesse, ma era stato accertato in
fatto che egli vi era rientrato con dolo adducendo il falso
motivo di modificazioni da apportarvi. Motivo risultato
soltanto pretestuoso. Onde quella nuova detenzione aveva
una causa illecita non più dipendente dal rapporto origi nario e con essa veniva posta in essere una situazione in
compatibile col fondamento razionale dell'istituto. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.
Sezioni unite ; udienza 25 novembre 1929 ; Pres. Biscaro
P., Est. Samperi, P. M. Nuoci (conci, coni.) ; Alto
Commissariato di Napoli (Avv. erar. Malpeli) c. Man
dara (Avv. Torre).
(Sent, denunciata : App. Napoli 25 ottobre 1928)
Espropriazione per pubblica utilità — Indennità —
Aree fabbricabili — Vincolo per bellezza naturale — Irrilevanza (L. 11 giugno 1922 n. 778, art. 1).
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