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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Sezione III civile; udienza 17 novembre 1933;...

Date post: 27-Jan-2017
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Sezione III civile; udienza 17 novembre 1933; Pres. Padiglione, P., Est. Lener, P. M. Macchiarelli (concl. conf.); Ditta Carretto (Avv. Tamburini, Calda, Ferroni, Gregoraci) c. Patelli (Avv. Orlandi, Magli, Del Vecchio, Buttafuochi) Source: Il Foro Italiano, Vol. 59, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE (1934), pp. 35/36-39/40 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23129592 . Accessed: 24/06/2014 21:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.101 on Tue, 24 Jun 2014 21:23:48 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione III civile; udienza 17 novembre 1933; Pres. Padiglione, P., Est. Lener, P. M. Macchiarelli(concl. conf.); Ditta Carretto (Avv. Tamburini, Calda, Ferroni, Gregoraci) c. Patelli (Avv.Orlandi, Magli, Del Vecchio, Buttafuochi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 59, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1934), pp. 35/36-39/40Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23129592 .

Accessed: 24/06/2014 21:23

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35 PARTE PRIMA 36

delle ipoteche posteriormente alla trascrizione del precetto, sino alla data della anzidetta annotazione. Le quali ipo

teche, non potendo essere, per le ragioni ormai note,

quelle convenzionali, non possono essere che quelle legali, le quali siano estranee alla attività del debitore, e quelle

giudiziali. Devesi, tuttavia, aggiungere, in rapporto alla presente

fattispecie, qualche ulteriore rilievo, sia di fatto che giu

ridico, in rapporto ad una speciale eccezione, sollevata

sia dal Fenoglio che dalla Banca di Cuneo : il preteso contenuto fraudolento delle ipoteche giudiziali, di che

trattasi.

In proposito, è manifesto come appunto per essere le

ipoteche giudiziali il prodotto non già della libera e spon tanea attività del debitore, benoi, quello dell'attività giu risdizionale dello Stato, è contro la detta attività, ed

unicamente contro di essa, che va rivolta, se ed in quanto

ammissibile, l'impugnativa dei creditori.

E poiché l'ordinamento giuridico processuale offre, al

riguardo, ai creditori danneggiati dalla sentenza, resa tra

il loro debitore ed il terzo, il rimedio della opposizione di terzo, di cui all'art. 512 del codice di rito civile, que sto e non altro è il rimedio che ai creditori è dato espe rire nel caso che ne occupa.

Sono, per altro, noti gli elementi indispensabili alla

ammissibilità dell'anzidetto gravame : 1° occorrono an

zitutto, il dolo, o la collusione, cioè la coscienza, nel solo

debitore, od in lui e nel terzo insieme, della insussistenza

del diritto, che costui ha fatto valere in giudizio ; 2° oc

corre, inoltre, che la sentenza, di che trattasi, abbia ac

colta e canonizzata la ingiusta domanda del terzo ; 3° oc

corre, infine, il danno dei creditori.

Ora, è pacifico che uè il Fenoglio nè la Banca di Cu

neo hanno mai esperita la opposizione di terzo contro le

sentenze, che servirono di base ai loro avversari, attuali

resistenti, Bertolino, Banco di Torino e Giorgis Biagio,

per la accensione delle loro ipoteche ; opposizione di terzo,

la quale, per giunta, a norma dell'art. 511 dello stesso

codice di rito, andava esperita, dal punto di vista della

competenza davanti alla medesima autorità giudiziaria, che

ha pronunziata la sentenza impugnata.

Ed è, altresì, pacifico che mai il Fenoglio e la Banca

di Cuneo hanno contestato la effettiva sussistenza dei

crediti fatti valere, nei rispettivi giudizi, dai ridetti loro

avversari; ma si sono unicamente limitati, nel presente

giudizio, a dedurre ed a chiedere di provare che i ripe

tuti loro avversari recedettero maliziosamente da alcune

trattative di bonario componimento ingaggiate dai credi

tori con la debitrice esecutata. La qual prova fu giusta

mente, per le suaccennate ragioni, dichiarata irrilevante

dalla impugnata sentenza.

Infine, dopo l'innanzi detto, riesce oltre modo agevole

la reiezione di un ultimo argomento difensivo, posto dai

ricorrenti a sostegno delle loro ragioni : quello analogico,

desunto da essi dal ben noto capoverso dell'art. 9 della

legge 10 luglio 1930 n. 995 ; il quale, dopo di avere af

fermato il principio che, quando la garenzia ipotecaria sia

costituita, contestualmente al credito, essa è sottratta alla

presunzione di frode, sancita, nel procedimento fallimen

tare, dal n. 4 dell'art. 709 cod. comm., ha aggiunto che

la detta presunzione ha invece sempre luogo, allorché la

garenzia non è costituita contestualmente al credito « an

che se si tratti di ipoteca giudiziale-».

Si afferma, appunto, dai ricorrenti doversi analogica

mente la detta norma estendere dal procedimento falli

mentare a quello di esecuzione forzata immobiliare.

Senonchè, a parte le profonde differenze d'ordine ge nerale esistenti tra i due istituti : quello fallimentare e

quello della esecuzione forzata immobiliare, essendo il

primo informato al rigido principio collettivo concursuale

della par condicio creditorum, laddove prevale nel se

condo il principio individuale della libera iniziativa dei

creditori, sta di fatto che mal si presta alla invocata

estensione analogica degli art. 709 n. 4 ood. comm. e 9

della citata legge n. 995 del 1930 la diversità del loro

congegno normativo, sia d'ordine sostanziale, sia d'ordine

processuale, rispetto alle corrispondenti norme contenute

nell'art. 2085 cod. procedura civile. I primi due articoli, in

fatti, non comminano già la nullità degli atti in essi pre visti e quindi delle ipoteche, bensì una mera presunzione di frode, la quale può essere vinta dalla prova contra

ria. L'art. 2085 cod. civ., invece, commina, secondo la

costante interpretazione datane dalla dottrina e dalla giu

risprudenza, la nullità degli atti in esso previsti, cioè

delle alienazioni, e, giusto l'innanzi detto, delle ipoteche convenzionali.

Applicare, peroiò, in tema di ipoteche, sia pure giu

diziali, alla esecuzione forzata immobiliare l'istituto della

presunzione di frode, equivarrebbe ad esorbitare comple tamente dalla lettera e dallo spirito del ridetto articolo

2085, di cui è nota la fondamentale importanza nel qua dro del processo esecutivo.

Il fatto, poi, che gli art. 709 cod. comm. e 9 della

nuova legge fallimentare n. 995 del 1930 costituiscono,

palesemente, una eccezione ai principi generali relativi àlle

prove ed una presunzione di frode, fa si che essi siano,

per il loro intimo contenuto, di restrittiva interpretazione, in base al principio ermeneutico contenuto nell'art. 4

delle preleggi ed al precetto di Gaio « semper in dubiis

benigniora praeferenda sunt ».

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.

Sezione III civile ; udienza 17 novembre 1933 ; Pres. Pa

diglione, P., Est. Lener, P. M. Macchiarelli

(conci, conf.) ; Ditta Carretto (Avv. Tamburini, Cal

da, Ferroni, Gregoraci) c. Patelli (Avv. Orlandi,

Magli, Del Vecchio, Buttafuochi).

(Sent, denunciata : App. Bologna 1 agosto 1932)

Responsabilità civile — Scontri» tra veicoli — Vei

colo fermo irregolarmente — Presunzione di re

sponsabUitA — Applicability (B. D. SI dicembre

1928 n. 3043, sulla circolazione stradale, art. 79 ; R.

D.-legge 2 dicembre 1928 n. 3179, sulla circolazione

stradale, art. 122).

La presunzione di responsabilità per i danni prodotti dalla circolazione dei veicoli si estende anche ai vei

coli fermi irregolarmente al momento dello scontro. (1)

(1) Con la decisione ohe pubblichiamo la Corte Suprema conferma la sentenza App. Bologna i agosto 1932 (pubblicata in

questa Raccolta 1933, I, 448, con nota di richiami). La sentenza della Cassazione 4 marzo 1932, ricordata nel

testo di quella che pubblichiamo, leggesi riassunta in Foro it..

Hep. 1932, voce Renponsabilità civile, nn. 194, 195.

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37 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 38

La Corte, eoe. — Con l'unico complesso mezzo di ri

corso si censura la impugnata sentenza per essere incorsa

in un grave errore di diritto ed in evidente vizio di at

tività per difetto di motivazione.

Nel primo, perchè la norma racchiusa nell'art. 79 del

codice stradale del 1923 (oggi art. 122), in quanto con

cerne i danni prodotti dalla circolazione, si applica al vei

colo che circola, il quale è poi il veicolo investitore ; il

veicolo fermo, sia pure in contravvenzione all'art. 3 del

codice stradale, non circola e pertanto non potendo essere

investitore ma investito, la presunzione di colpa non gioca contro il conducente ed il proprietario di quest ultimo

veicolo.

Nel secondo perchè la sentenza, deviata da erronei cri

teri giuridici, non ha apprezzato, o ha malamente apprez zato le risultanze di causa le quali escludevano che l'au

tista del veicolo investitore avesse raggiunta la prova li

beratoria, impostagli dalla legge. Sotto entrambi i profili la censura è destituita di fon

damento.

A) E' ormai insegnamento concorde della dottrina e

della giurisprudenza che per la retta intelligenza dell'art. 79,

devesi prescindere dai vieti concetti di veicolo investitore

e veicolo investito, per l'ovvia ragione che l'avere inve

stito non implica senz'altro che si versi in colpa, come

l'essere stato investito non importa che da questa siasi

esente.

Nella ricerca e nell'accertamento della responsabilità

per colpa resta pur sempre guida sicura e precisa il prin

cipio della causalità efficiente, per il quale basta l'aver

fatto sorgere le circostanze causali del fatto, per doverne

rispondere. La legge speciale non ripudia siffatto principio, distac

candosi essa dal diritto comune soltanto in relazione al

l'onere della prova. La circostanza quindi che il veicolo circoli o sia fermo,

che sia danneggiante il primo e danneggiato il secondo o

viceversa, a parte la presunzione di legge contro il dan

neggiante, ha una rilevanza relativa, nel senso che da

essa potranno solamente attingersi elementi utili, in con

corso con gli altri che la causa olire per stabilire la esi

stenza del nesso causale tra il fatto posto in essere dal

conducente dell'uno o dell'altro veicolo ed il danno veri

ficatosi.

Ora, la Corte di merito, si è pienamente uniformata

a codesti criteri giuridici. Il suo giudizio infatti può rias

sumersi in tre proposizioni : a) la legge speciale consi

dera come veicolo circolante non soltanto quello che sia

effettivamente in moto, ma anche quello ohe sia irrego larmente fermo ; b) la presunzione di colpa di cui al

l'art. 79, col conseguente onere della prova liberatoria,

sussiste, non già contro il conducente del veicolo inve

stitore, ma contro quello del veicolo danneggiante ed a

favore del danneggiato, purché un rapporto vi sia fra la

circolazione del veicolo ed il danno prodotto alle cose

ed alle persone ; c) necessità del nesso di causalità tra

il fatto contra ius e l'evento dannoso.

A codesto giudizio, (per il quale è da escludersi che

la Corte abbia ritenuto, come affermano i ricorrenti, « che

quando un veioolo in moto si urta con un veicolo che è

fermo sulla sinistra, la presunzione colpisca questo e non

quello ») essa è pervenuta, riferendosi alle norme discipli nanti la circolazione dei veicoli sulle strade ed aree pub bliche (art. 3, 7, 79) e valutando con esame lungo ed ana

litico, le modalità tutte del fatto.

« « I veicoli » ha osservato la Corte, « usciti por cir

colare, per percorrere le strade, od aree pubbliche, se

costretti a frequenti fermate per la specialità del servizio, cui attendono (levata di cassette postali, raccolta delle im

mondizie, consegna dei bidoni di latte, e ritiro ecc.) non

cessano di circolare, anche nei momenti che stanno fermi

per subito rimettersi in movimento, fino ad espletamento del servizio». E più oltre «.... finché non rientrino nei

depositi, garage o rimeese, o non si collochino negli spazi,

espressamente alle soste riservati » si reputano sempre in circolazione. Di qui la conseguenza logica che tutti i

veicoli sono soggetti alla disciplina dettata dalla legge per rendere possibile la coesistenza dei vari mezzi di locomo

zione nelle loro esigenze di tempo e di spazio, ossia « per rendere libera la circolazione», con l'ulteriore conseguenza, non meno logica e corretta, che il proprietario ed il con:

ducente del veicolo, che abbia arbitrariamente occupato strada od area pubblica, non ha diritto diverso, solo per il fatto che il veicolo stesso non sia in effettivo movi

mento. D'altronde, se la legge impone ai conducenti tutti

di usare ogni cura per evitare che si verifichino danni, è innegabile per ciascuno di essi, il diritto di contare, nel regolamento della propria condotta, sull'osservanza

della legge stessa da parte degli altri.

Ed allora, non dubitandosi che, nella specie, danneg

giale sia stato il veicolo irregolarmente fermo e danneg

giato il veicolo in moto, la presunzione di colpa militava

contro il primo e non contro il secondo, come si pretende dai ricorrenti. J quali poi, a torto invocano la sentenza

di questo Supremo Collegio, n. 785 del 1932 (Foro ii.,

Rep. 1932, voce Responsabilità civile, nn. 194, 195), che oltre a riferirsi ad una situazione di fatto, completa mente diversa, ha in sostanza riaffermato i principi di di

ritto, propugnati dalla denunziata sentenza, per quanto

riguarda la presunzione di colpa ed il nesso di causalità, ritenendo « che il proprietario di nn autoveicolo, non può

pretendere di essere risarcito dei danni cagionati dall'urto

di un carretto che gli stava dinanzi (era di pieno giorno) se questo procedeva nella giusta direzione senza deviare

dalla sua mano e l'urto avvenne perchè l'autoveicolo cercò

di sorpassarlo ».

Per la terza proposizione poi, con insindacabile giu dizio di fatto, la Corte ha attribuito al conducente del

carro (il Filippini), le circostanze causali dello scontro e

delle conseguenze, riponendole nel fatto di essere stato il

carro stesso fermato sulla sinistra e di essersi il condu

cente allontanato dalla testa del cavallo in condizioni am

bientali che rendevano più grave la trasgressione alla legge stradale (tempo di notte, 5,30 o 5,50 della fine di no

vembre con la pubblica illuminazione che di già era ces

sata). E rilevato che il comportamento dell'autista (Ba

ranzoni) fa conforme alle norme di legge, della prudenza e del normale accorgimento, sicché nulla egli avrebbe po tuto fare di più di quel che fece per evitare, da parte

sua, lo scontro, ha concluso che il Filippini oltre alla

presunzione di legge, versava effettivamente in colpa, non

potendo la sua condotta trovare alcuna giustificazione in

pretese consuetudini, nel regolamento di polizia urbana, e nelle disposizioni del capitolato di appalto per il servi

zio di raccolta delle immondizie.

E pertanto non sussistono le lamentate violazioni di

legge.

B) Dal momento che il vizio di attività per difetto

di motivazione, viene dai ricorrenti ricollegato all'errore

nel giudizio di diritto, esclusa, per quanto si è osservato,

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PARTE PRIMA

la esistenza di siffatto errore, questo Collegio potrebbe anche esimersi da ogni ulteriore indagine inerente alla

motivazione. Vuoisi tuttavia osservare che la Corte di

merito esaminò non soltanto nel suo complesso il sistema

difensivo degli attuali ricorrenti, e ciò per l'art. 265 del

regolamento gen. giudiziario salverebbe già la sentenza

dalla censura de quo, ma anche analiticamente confutan

done le particolari ragioni. Infatti sul rilievo che, anche fermo il carro nella si

nistra vi sarebbe stato sempre spazio sufficiente che con

sentiva all'autista di proseguire verso la propria destra e

sul relativo capitolo di prova, la Corte ha osservato che

la precisazione della ubicazione del carro della nettezza

urbana avrebbe avuto molta importanza, se fermatosi sulla

propria destra, si fosse trattato di accertare la sufficienza

o meno dello spazio lasciato libero per i veicoli soprag

giungenti ed incrocianti ; ma fermatosi arbitrariamente

sulla sinistra, sia pure verso la mediana della strada, erasi

con ciò posta in essere « la causa dell'urto giacché il Ba

ranzoni non era in obbligo di usare manovra di estrema

difficoltà, per togliere di mezzo la colpa altrui od atte

nuarne le conseguenze». Nè è esatto che la Corte non

siasi preoccupata di indagare, se il Baranzoni poteva ve

dere il carro, perchè invece l'indagine essa se l'è pro

posta e l'ha assolta in senso negativo, enunciandone le

ragioni e cioè la visuale limitata consentita dai piccoli fa

nali dell'autoveicolo e la impossibilità di scorgere il fana

lino posto sotto il carro, situato a sinistra. Dell'obbligo

poi che l'autista ha di guardare a destra ed a sinistra, con cura e vigilante attenzione, la Corte ha tenuto conto

implicitamente, quando ha affermato che il Baranzoni pro cedeva c in modo conforme a legge in tutto e per tutto, di guisa che nemmeno il più piccolo appunto poteva a lui

muoversi, come risultava anche dal verbale dei Reali

Carabinieri ».

Si obbietta infine che non siasi giustificata adeguata mente la affermazione che ai termini dell'art. 3 del codice

stradale era da considerarsi illecita la fermata del carro

sulla propria sinistra quando invece questa era conforme

alle clausole del capitolato d'appalto ed alla pratica co

stante circa il modo con cui si svolge in Bologna il ser

vizio di nettezza urbana.

Senonchè buona parte della impugnata sentenza è de

dicata alla dimostrazione della fallacia di codesto assunto.

Dato il precetto, di cui all'art. 3 del codice stradale, ha

correttamente considerato la Corte, i conducenti di qual siasi veicolo sono tenuti rigorosamente ad osservarlo , nè

consuetudini, nè regolamenti locali, nè capitolati di ap

palto possono consentire a chicchessia di derogarvi. Ha

soggiunto che ad ogni modo, le clausole del capitolato e

le norme regolamentari, erano formulate con perfetta ade

renza al suddetto precetto, cosi concludendo : c In so

stanza la impresa del Carretto era libera di adottare quei sistemi che più le fossero garbati ; ma gli art. 12 e 15

del capitolato la esortavano al rispetto della legge e dei

regolamenti e le addossavano piena ed assoluta responsa bilità di ogni fatto o atto, dipendente dai servizi affidati

gli nei confronti di chiunque e ciò a sollievo anche della

responsabilità civile ». E' chiaro quindi che gli apprezza menti della Corte sono stati esaurientemente giustificati, checché ne pensino in contrario i ricorrenti.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.

Sezione II civile ; udienza 7 novembre 1933 ; Pres. D'An cona P., Est. Butera, P. M. Pitta lis (conci, coni.) ; Banca Agricola Industriale (Avv. Cevolotto) c. Ca

pozza (Avv. Roberti).

(Sent, denunciata: App. Bari (Mag. Lav.) lò novembre

1932)

Impiego privato — Norme di legge e convenzione —

Applicazione delle disposizioni più favorevoli (E, D.-legge 13 novembre 1924 n. 1825 sull'impiego pri

vato, art. 10, 17).

Neil'applicare alla liquidazione delle indennità spettanti all' impiegato licenziato le disposizioni più favorevoli, il giudice non deve applicare esclusivamente quella

fonte di norme, che globalmente stabilisce il tratta

mento più favorevole, ma deve per ogni capo di do

manda applicare la norma più favorevole. (1)

La Corte, ecc. — Col primo motivo del ricorso, la

Banca Agricola Industriale si duole che la Corte di ap

pello di Bari, nel liquidare le indennità, dovute al Ca

pozza, a causa ed in conseguenza del suo licenziamento

d'impiegato, ha applicato al medesimo cumulativamente le

disposizioni più favorevoli sia della convenzione che della

legge, creando cosi un terzo e nuovo sistema di norme

giuridiche, mentre avrebbe dovuto scegliere, dal punto di

vista globale, una delle due fonti giuridiche, la più fa

vorevole, senza tener conto poi dell'altra. Questo primo motivo di ricorso non è fondato. Secondo l'art. 10 e 17

della legge sull'impiego privato (art. 10 della legge 3 aprile

1926, n. 563, e art. 54 legge 1° luglio 1926 n. 1130) il giudice di merito a fine di stabilire la misura dell'inden

nizzo dovuto all'impiegato licenziato, deve applicare le di

sposizioni più favorevoli. In cotesta indagine la Magistra tura del lavoro non è tenuta ad istituire un esame preven tivo e globale dei vari sistemi legislativi applicabili, ma

per ogni singolo capo di domanda deve ricercare e deci

dere se la disposizione più favorevole è riposta nella con

venzione o contratto collettivo di lavoro, nella legge o nel

l'uso : onde ben può accadere ed accade che le varie

fonti giuridiche più favorevoli siano cumulate. Discorren

dosi non di sistema legislativo applicabile, ma di dispo sizioni più favorevoli, il legislatore ha inteso di riferirsi

caso per caso ai capi di domanda separati e distinti, nella

loro realtà concreta, più che all'unità astratta di un in

tero sistema legislativo, il che dà luogo a ricerche com

plicate e forse inattuabili. (Omissis) Per questi motivi, rigetta il motivo, ecc.

(1) Giurisprudenza ormai costante, per la quale si consultino Cass. 3 maggio 1933 (Foro it., 1933, I, 1326 con nota di richiami) e 15 luglio 1933 n. 2777 (Massim. Foro it.} 1933, 539).

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.

Sezione III civile; udienza 7 luglio 1933; Pres. Lava

gna, Est. Isotti, P. M. De Villa (conci, difi.) ; Gemassmer (Avv. Mazzolani, Vinatzer, Marchk

sani) c. Beck (Avv. Taiti, Boscarolli).

(Sent, denunciata: App. Trento 4 ottobre 1932)

Esecuzione Immobiliare — Precetto trascritto dopo

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