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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Sezione III; udienza 15 gennaio 1930; Pres....

Date post: 31-Jan-2017
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Sezione III; udienza 15 gennaio 1930; Pres. Piola Caselli P., Est. Parrella, P. M. Salviati (conf.); Barcali (Avv. Ghiron) c. Montagni (Avv. Guerra, Michelozzi, Valeri) Source: Il Foro Italiano, Vol. 55, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE (1930), pp. 195/196-199/200 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23131058 . Accessed: 28/06/2014 14:11 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.98 on Sat, 28 Jun 2014 14:11:24 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione III; udienza 15 gennaio 1930; Pres. Piola Caselli P., Est. Parrella, P. M. Salviati (conf.);Barcali (Avv. Ghiron) c. Montagni (Avv. Guerra, Michelozzi, Valeri)Source: Il Foro Italiano, Vol. 55, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1930), pp. 195/196-199/200Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23131058 .

Accessed: 28/06/2014 14:11

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PARTE PRIMA 196

zione giurisdizionale, attribuita dalla legge agli arbitri, è incompatibile con la nozione del mandato e con la co

stituzione di un qualsiasi rapporto contrattuale fra l'ar

bitro e colui che lo ha prescelto. Pertanto la responsabilità, stabilita dall'art. 34 cod.

proc. civ. a carico degli arbitri che, dopo aver accettata

la nomina, senza giustificato motivo desistano o non pro nuncino nel termine loro prefisso, non è una responsa bilità contrattuale, ma una responsabilità extracontrattuale, la quale non ricade su tutti gli arbitri, ma soltanto su

quello, che abbia commesso il fatto colposo. La Corte di appello ha quindi errato quando ha rite

nuto che « non giovava al prof. Marghieri dedurre a sua

giustificazione che venendo a scadere il termine altra volta

prorogato al 27 giugno 1922, ejli, con lettera del 13 dello

stesso mese (esibita in atti) aveva avvertito il presidente del Collegio per un'eventuale riunione, perchè non avendo

avuto luogo tale riunione, sia pure per il fatto degli al

tri due arbitri, non veniva meno la responsabilità del

prof. Marghieri, il quale nell'accettare il mandato si era

fondato sulla vigilanza degli altri due ».

Non può revocarsi in dubbio che la responsabilità può fare carico anche a colui che non abbia commesso il fatto

colposo generatore del danno, ma ciò avviene solamente

quando per legge egli debba rispondere del fatto altrui, il che non si verificava nella specie.

La Corte di appello avrebbe dovuto perciò esaminare

se dagli atti e documenti emergesse che la pronuncia del

lodo fosse mancata per fatto colposo commesso dal prof.

Marghieri (che non era nemmeno il presidente del Col

legio arbitrale), e tale esame essa non ha fatto, essendosi

limitata ad affermare che « dal Marghieri non era stato

adempito il mandato con la diligenza del buon padre di

famiglia»; che gli arbitri, i quali erano tenuti diretta

mente all'osservanza dei termini, avrebbero potuto in

tempo utile, ordinare, onde evitare la decadenza dell'ar

bitramento, un mezzo istruttorio qualunque, come la com

parizione personale delle parti, la esibizione di un docu

mento qualsiasi, e che il non aver avuto luogo il 27 giu

gno 1922, sia pure per colpa degli altri arbitri, la riunione,

non faceva venir meno la responsabilità del Marghieri. E tanto più era necessaria, prima di procedere alla

riforma delia sentenza del Tribunale, un'accurata disamina

delle risultanze degli atti e documenti prodotti e disporre, se del caso, anche i mezzi istruttori chiesti dal Marghieri,

in quanto il Tribunale nella sentenza appellata aveva fatto

un diligente esame degli atti e documenti e ne aveva

tratto il convincimento, diffusamente ragionando al ri

guardo, che « dai medesimi fosse rimasto escluso ogni ele

mento di colpa a carico del prof. Marghieri ».

Va infine rilevato l'altro errore giuridico, in cui è in

corsa la sentenza denunciata, quando ha mosso rimprovero al Collegio arbitrale di non avere, allo scopo d'impedire la scadenza del termine, emessa una sentenza, con cui

si disponesse un mezzo istruttorio qualsiasi. Imperocché dalle più autorevoli dottrine, seguite dalla giurisprudenza del Supremo Collegio, giustamente si ritiene che la sen

tenza degli arbitri, la quale disponga mezzi istruttori non

necessari per la decisione della causa e al solo fine della

proroga del termine, non produce quest'effetto, venendosi

in tal caso con un simulacro di sentenza a frustrare il

divieto, fatto agli arbitri, di prorogare a sé stessi il ter

mine.

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.

Sezione III; udienza 15 gennaio 1930; Pres. Piola Ca

selli P., Est. Parrella, P. M. Salviati (conf.); Barcali (Avv. Ghiron) c. Montagni (Avv. Guerra,

Miohelozzi, Valeri).

(Sent, denunciata : App. Firenze 12 gennaio 1929)

Privati ve industriali — Questioni tecniche — Peri

zia — Richiesta in appello — Ammissibilità (' L. 30

ottobre 18B9, sulle privative industriali, art. 62).

Nelle controversie in tema di privative industriali che

importino questioni di indole tecnica il giudice ha

Vobbligo di disporre la perizia anche se richiesta,

dalle parti per la prima volta in sede di appello. (1)

La Corte, ecc. — Il ricorso è indubbiamente fondato.

Per ben intendere l'errore in cui è incorsa la Corte

di merito giova ricordare anzitutto i principi che rego

lano l'ordine e lo svolgimento del processo specie nella

sua seconda fase di cognizione.

Niuno ignora che il nostro ordinamento processuale tradizionale (tale era anche quello del codice sardo) è in

cardinato sul sistema del doppio esame, per cui una stessa

controversia è sottoposta al giudizio di due organi giuri

sdizionali diversi cui è attribuita la conoscenza piena della controversia medesima. Discende da ciò che il prov vedimento avente carattere e fisonomia di vera e propria decisione risolutiva della lite è la sola sentenza emessa

dal giudice di secondo grado. Quella del primo giudice

può aver valore ed efficacia di giudicato solo nel caso non

sia gravata di appello. Altrimenti essa non rappresenta che una semplice

tappa nel cammino della lite. Ciò importa che il giudice di appello decide del rapporto giuridico controverso come

se la prima fase di cognizione non sia esistita ed il pri mo giudice non siasi affatto pronunciato, usando degli

stessi poteri ed attribuzioni di costui.

Dall'attuazione di quel sistema deriva il concetto della

integrazione processuale e cioè il dovere nel giudice di

appello di tener conto anche delle difese dalle parti pro

poste nel giudizio di primo grado alle quali esse non ab

biano rinunciato ; e la facoltà nelle parti stesse di com

pletare quelle difese o di adottare nel giudizio di secondo

grado un metodo difensivo nuovo anche se incompatibile

col precedente. Unico limite nella estensione di questa

facoltà è la immutabilità del petitum, ossia dell'oggetto

su cui si è costituito il rapporto litigioso. Pertanto in

sede di appello se non è consentito modificare la doman

da, è perfettamente lecito addurre nuove prove e nuove

eccezioni idonee a sorreggerla o a contrastarla.

Poste queste premesse, per seguire la Corte di me

rito nell'applicazione dell'art. 62 della legge del 1859 oc

correrebbe di necessità ammettere che il legislatore nel

dettare quella disposizione abbia creduto, al tempo stesso

che intendeva portare un più sicuro presidio alla difesa

delle parti in giudizio, scuotere e sconvolgere dalle fon

damenta il sistema diretto ad offrire in via normale le

migliori garanzie all'attuazione della difesa medesima.

Basta porre il quesito per risolverlo in senso nega

tivo. L'assurdo infatti che mina alla radice la tesi adot

(1) In senso difforme, App. Torino 18 marzo 1898 (Foro it.,

Rep. 1898, voce Privative ind., n. 24). Vedi pure, in argomento, Cass. Torino 10 agosto 1909 (id., Rep. 1910, voce eit., n. 28).

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197 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 198

tata dalla Corte e che traspare dalle abili argomentazioni addotte a sorreggerla dalla difesa del resistente, consiste

nel ritenere che la norma suaccennata abbia voluto crea

re, anzi dare alle parti la facoltà di optare sin dall'ini

zio per un tipo di processo difforme e diverso dal tipo comune. In altre parole si sostiene che le parti, se in

tendono giovarsi della garenzia della perizia obbligatoria, devono decidersi a rinunciare a tutti i maggiori presidii e alle maggiori possibilità del doppio esame. Se invece

preferiscono tali presidii e tali possibilità devono ritenersi

tagliate fuori dal benefìzio di quella obbligatorietà.

Ora, a parte che inammissibile da un punto di vista

generale è la rinuncia preventiva della parte a quelle re

gole che attengono strettamente all'esercizio della fun

zione giurisdizionale, e che mirano ad assicurare con l'in

teresse delle parti il consegnimento del fine superiore della giustizia nel processo, in realtà la legge del 1859

nella disposizione in esame non ha, nè può avere, la por tata sovvertitrice che le si vuole attribuire. Anzi se uno

scopo si intese con essa di raggiungere fu quello di raf

forzare, e non di indebolire, la tutela di quell'interesse ; di meglio assicurare, e non di rendere più incerta, la

realizzazione di quel fine.

Può addursi in contrario la lettera dell'articolo che

parla del tribunale come dell'organo obbligato a disporre la perizia chiesta da una delle parti e della Corte come

dell'organo obbligato a disporre la revisione della perizia. Ma è facile convincersi che l'articolo ha inteso di pre vedere il caso del normale svolgimento delle attività delle

parti nel processo e non le diverse situazioni particolari che il processo stesso possa subire, cioè quelle eventuali

deviazioni che sono correlative all'intreccio ed al giuoco delle reciproche schermaglie difensive. Neque leges, ne

que senatusconsulta ita scribi possunt ut omnes ca

sus qui quandoque incideririt, comprehendantur. Il pre cetto legislativo d'ordinario prevede 1'id quod plerumque accidit: e compito del magistrato è l'adattamento della

norma a quelle applicazioni che rientrano nell'orbita del

precetto stesso.

La relazione ministeriale che precede il testo di legge

giova efficacemente a ribadire questo concetto, quando ac

cenna all'ammissione della perizia e della revisione chiesta

dalle parti, come ad un obbligo imposto ai giudici ordi

nari quale mezzo onde ottenere una migliore sicurezza

di giustizia nei raffronti col sistema dell'esame della con

troversia attribuito in via straordinaria a corpi speciali sforniti dalle attitudini critiche di quei giudici. In detta

relazione non si accenna ad un tipo di processo avanti ad

essi che non sia quello inerente all'esercizio ordinario della

loro funzione, ma soltanto ad una maggiore accentuazione

del potere dispositivo delle parti in quel processo. E del resto, nello stesso art. 62 al capoverso si legge

che in tutti i casi può sempre il tribunale e la Corte

ordinare una perizia ed una revisione e cioè anche quando

le parti non la chiedano. Questo richiamo al sistema or

dinario in tema di ammissione di perizia, quale si evince

dalle norme degli art. 252 e 269 cod. proc. civ. (corri

spondenti agli art. 315 e 347 del cod. sardo) e questa con

ferma del potere inquisitorio del giudice nella materia,

convince che la obbligatorietà della perizia su richiesta

di parte non rappresenti che una semplice deviazione

della facoltà concessa al giudice nel processo comune, di

negare tale ammissione. Donde, si ha ragione di riflet

tere che quell'articolo non può aver autorizzato il giudice

ad ammettere di sua iniziativa la perizia in sede di ap

pello e soppresso al tempo stesso l'obbligo di ammetterla

se richiesta dalla parte. Ma la incompletezza del testo dell'articolo è chiarita

dalla ragione che ispirò la disposizione e con la quale si

intese soltanto di superare l'unica grave obiezione che si

opponeva al retto esercizio della giurisdizione ordinaria

in tema di privative industriali, e cioè la incomprensione da parte del giudice togato della delicata materia.: obie

zione che aveva all'uopo determinato in altre legislazioni la costituzione di appositi corpi tecmVi. Di questo fonda

mento razionale è data ampia e convincente illustrazione

nella cennata relazione, nella quale è posto in evidenza

il concetto che la perizia obbligatoria era una escogita zione diretta soltanto ad ovviare ai pericoli di quella in

comprensione. Nè si sostenga che forzare in un qualsiasi modo la

lettera della norma, sia pure avvicinandosi al suo spirito, si risolva in una violazione del precetto dell'art. 4 delle

preleggi, versandosi in tema di ius singular e ed equiva lendo quella obbligatorietà pur sempre ad una limitazione

del principio del libero convincimento del giudice.

Anzitutto, una simile limitazione non sussiste affatto.

La norma con una presunzione iuris et de iure ritiene

che il giudice perchè possa disporre degli elementi ne

cessari su cui esercitare il suo libero convincimento debba

ricorrere al parere degli esperti quando le parti ravvi

sino nella contestazione tale preponderanza del fattore

tecnico da indursi a chiedere il sussidio di quel parere. Con ciò essa non viene a distruggere la possibilità di de

cidere la contestazione secondo i dettami della di lui co

scienza, ma soltanto ad assicurare la serietà di quella de

cisione tornendo al giudice i- mezzi idonei onde orientarla

verso la più illuminata e corretta soluzione. La facoltà

di orientamento del giudice avrà tanta maggiore fran

chezza ed autonomia quanto più perfetto sarà il mate

riale di cognizioni che egli potrà utilizzare nell'esercizio

dei suoi poteri critici. E la legge che detta la regola più consona ad una particolare situazione per il migliore eser

cizio di quella facoltà non fa che obbedire al precetto

per cui non può esistere libero convincimento senza co

noscenza piena del suo obietto.

Del resto quando anche il carattere di ius singulare lo si voglia desumere dal fatto che la norma deroga co

munque al sistema del potere discrezionale del giudice circa l'ammissione dei mezzi di prova, è facile riflettere

che se quel diritto non si presta ad una interpretazione

analogica vuole essere applicato anche estensivamente fin

dove giunga l'influenza particolare della norma stessa.

Se la tendenza del legislatore è di raggiungere una certa

meta propter aliquam utilitatem e non gli si offra per

raggiungerla altra possibilità che quella di fare una brec

cia in una concezione tradizionale tradotta nell'ordine po

sitivo, verrebbe meno alla sua missione il giudice che non

volesse assecondare l'attività legislativa fino all'estremo

limite che quegli credette nella sua mente di conseguire.

Mutilare per una mera questione di parole il pensiero

e l'obiettivo della legge del 1859 circa la perizia obbli

gatoria che si propose il fine di irradiare di completa

luce la coscienza del giudice in una materia in cui è la

stessa natura della invenzione che lo pone quasi sempre

di fronte alle più inopinate e complicate manifestaz oni

della fertilità dell'ingegno umano, ed a problemi di tec

nica cui egli non può non sentirsi impreparato equivale

a tradire l'essenza di quel pensiero e di quell'obiettivo.

Basti rendersi conto dalla stessa legge della composizione

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199 PARTE PRIMA 200

della Commissione dei reclami contro il negato rilascio

degli attestati e della grande prevalenza in essa del per sonale specializzato, per convincersi della grande impor tanza attribuita da essa all'elemento tecnico nella solu

zione di quei problemi. E basti soltanto ammettere la

giuridica possibilità che una questione di novità della in

venzione possa esser proposta per via di eccezione in sede

di appello (nè di questa possibilità è lecito dubitare) per scorgere tutta la incongruenza ed insieme la aberra

zione di una applicazione letterale della norma che ver

rebbe a defraudare la parte del diritto esperito per la

prima volta per necessità di cose in quella sede di ve

dere accolta la sua richiesta di perizia con oltraggio evi

dente alla verità ed alla giustizia. In conclusione, poiché è normalmente in facoltà della

parte di proporre in sede di appello anche per la prima volta nuove prove non vi è motivo plausibile per negare

anche in quel caso l'impero della norma relativa all'ob

bligo nel giudice di assecondare la di lei proposta. Una limitazione razionale di tale precetto può discu

tersi soltanto quando, a parte il caso di una mera que

stione di diritto che prescinda da un qualsiasi presup

posto di indole tecnica, si sia di fronte ad un processo o

ad un metodo industriale in cui la ricerca della origina

lità e novità non importi la necessità di un esame del si

stema adottato e dei suoi particolari tecnici, come pure di fronte ad un oggetto suscettivo di uno sfruttamento

industriale in cui sia prima facie visibile l'assenza com

pleta dei cennati requisiti. Soltanto allora il giudice, pro cedendo con la maggiore cautela, può ritenere superato il voto della legge e ultronea l'ammissione della perizia.

Nella specie, invece, fu la stessa Corte ad ammettere

trattarsi di un processo industriale come quello della ap

plicazione della rete sul telaio volumetrico e della lavo

razione del filet sulla rete così applicata. E senza voler

seguire la Corte nella sua discutibile differenziazione fra

applicazione industriale nuova e semplice uso ed impiego nuovo di una applicazione vecchia, è fuor di dubbio che

essa sotto l'apparenza di una questione giuridica affrontò

l'esame di una questione essenzialmente tecnica in quanto

il ricorrente assumeva che la fabbricazione di una rete

deformabile mercè l'aggiunta di maglie supplementari ed

adattabile al telaio volumetrico in guisa da permettere la

diretta lavorazione del ricamo a filet sul detto telaio in

volgeva per sè stessa la soluzione di un problema tecnico

nuovo che non aveva niente di comune con le applica zioni di stoffa sullo stesso telaio e con la esecuzione del

ricamo sulla stoffa medesima.

Nè si dica che la Corte, per negare alla invenzione

il carattere di novità, abbia espresso un giudizio di fatto

basato sugli elementi estrinseci acquisiti alla causa che

contrastavano quel caratt ere, ritenendo tali i campioni di

cappelli di rete ricamati esibiti dal resistente che dimo

stravano la preesistenza in commercio di cappelli di rete

ricamati direttamente su telaio volumetrico. Diffìcile in

tesi astratta è dissociare la indagine della novità estrin

seca della invenzione da quella intrinseca, e pure nella

prima indagine l'elemento tecnico ha il suo valore pre

ponderante anche quando si tratti di stabilire soltanto

quella notorietà storica nella preesistenza di una inven

zione che può essere accertata solo attraverso quelle

cognizioni che normalmente solo il tecnico può possedere in maniera esauriente e completa. Ma in concreto la

Corte dalla identità di un risultato industriale credette

di desumere la identità del processo e del metodo usato

per conseguirlo : processo e metodo che per la sua origi nalità ed industria]ità poteva formare per sè solo obietto

di privativa. Ciò facendo la Corte non solo non si rese esatto

conto dei termini della contestazione, ma credette di poter fare a meno di quell'elemento tecnico che apparir doveva

indispensabile per decidere sulla identità dei due processi, dato che si versava in tal caso nella ipotesi più squisita di una indagine di novità intrinseca.

L'errore del comportamento della Corte è, infine, ag

gravato dal fatto che essa stessa, a proposito della do

manda per danni, diede atto della opinione espressa dal

perito chiamato a descrivere i cappelli sulla assoluta no

vità del ritrovato del Barcali e ritenne che la nullità

dell'attestato non appariva cosi chiara ed evidente da do

ver escludere che il Barcali avesse chiesto ed ottenuto

il provvedimento relativo in piena buona fede. Questi ri

lievi nella loro manifesta gravità avrebbero dovuto in

durre senz'altro la Corte all'applicazione rigorosa della

norma circa la obbligatorietà della perizia. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.

Sezione II civile; udienza 11 dicembre 1929; Pres. Az

zariti P., Est. Mantella, P. M. Macchiarelli

(conci, conf.) ; Pisillo (Avv. Giusti) c. Ministero delle comunicazioni (Avv. er.).

(Sent, denunciata: App. Firenze 21 luglio 1928)

Servitù — Fondo intercluso — Determinazione «lei

passaggio Giudizio del magistrato di merito —

Incensurabilità (Cod. CÌV.,art. 593).

Nella determinazione del passaggio da concedersi ad un

fondo intercluso spetta al magistrato di merito, con

apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione,

giudicare quale dei singoli fondi circostanti offra una

possibilità di transito che concilii la duplice esigenza della maggior brevità e del minor danno al fondo servente con i bisogni relativi alla cultura e alla

idonea utilizzazione del fondo intercluso. (1)

La Corte, ecc. — Osserva che col primo motivo di

ricorso si denuncia la violazione dei principi da cui è

regolata la materia della servitù di passaggio necessario.

Assume il ricorrente, che la Corte di merito, con l'esclu

dere il percorso da lui indicato per l'esercizio del pas

saggio e che avrebbe dovuto attraversare le adiacenze

della linea ferroviaria, per innestarsi ad una via preesi stente al disopra della galleria Montarioso, proseguendo,

ulteriormente, per un certo tratto, in direzione parallela alla sede stradale della ferrovia, interpretò in modo er

roneo l'art. 593 cod. civ. isolando la norma di cui nel

capoverso di tale disposizione, dove si prescrive come

criterio di scelta la maggiore brevità ed il minor danno, dalla statuizione della prima parte dell'articolo medesimo, che fissa come scopo fondamentale del passaggio coattivo

la necessità di provvedere alla coltivazione ed al conve

niente uso del fondo. Si dice inesatta la concezione da

(1) Conforme, l'altra sentenza, citata anche nel testo, 2 lu

glio 1927 (Foro it., 1927, I, 656, con nota). Circa l'ammissibilità, agli effetti dell'art'. 593 cod. civ., an

che di una interclusione semplicemente relativa, vedi stessa

Corte 16 gennaio 1928 (Foro it., 1928, I, 671, con richiami).

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