Sezioni unite; udienza 31 luglio 1916; Pres. Mortara P. P., Est. Palladino, P. M. De Feo (concl.conf.); Masetti (Avv. Storoni) c. Angeletti (Avv. Ollandini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 41, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1916), pp. 1285/1286-1287/1288Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23119373 .
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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 1286
In altri termini, il far decorrere i miglioramenti dal
1° gennaio 1913, anziché da una data posteriore a quella
del regolamento, costituisce un altro mezzo, un altro
espediente di governo, con il quale si è voluto applicare
Vequo trattamento, e per il quale, naturalmente, la società
onerata potrà chiedere ulteriori e proporzionati compensi
sulla base di quelli che le potranno essere accordati per
l'aumento nella misura degli stipendi e dei salari. Mentre,
dunque, il personale ferroviario, per una maggiore esten
sione dell'eguo trattamento, è ammesso a godere dei mi
glioramenti dal 1° gennaio 1913, rimangono salvi gli
interessi della Società Nord-Milano agli effetti dell'art. 11
della legge del 1912. Per le esposte considerazioni Appare manifesto, da una
parte, che l'atto, con il quale il Governo ha fissato la
decorrenza dei miglioramenti, è sottratto all'ordinario
sindacato giurisdizionale, e dall'altra, non potendo la
Società subire, in definitivo, una lesione di diritti patri moniali per effetto di quell'atto, non vi è luogo ad azione
di risarcimento.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE Di ROMA. Sezioni unite: udienza 31 luglio 1916; Pres. Mortara
P. P., Est. Palladino, P. M. De Feo (conci, eonf.);
Afasetti (Avv. Storoni) c. Angeletti (Avv. Ollandini).
Inabili iasione e Interdlslone — Domanda di interinatone
proposta dal Pubblico finissero — Conglanto del
1 interdicendo — Opposizione alla domanda — 4in
missibitiftA (Cod. civ., art. 326, 338; cod. proc. civ.,
art. 201, 841).
AT«Z giudizio di interdizione promosso dal Pubblieo Mini
stero è sempre ammissibile l'intervento volontario dei
congiunti dell'inter dicendo aventi qualità per chiedere
l'interdizione o la sua revoca, tanto se essi interven
gano per sostenere la relativa domanda, quanto se
intendono farvi opposizione coadiuvando la difesa del
convenuto. (1)
La Corte, ecc. {Omissis.) — Considerato che non con
tiene seguire la sentenza impugnata e la difesa del cu
ratore Angeletti nelle prolisse e inesatte deduzioni con
cui si affaticano a sostenere la tesi medesima che aveva
avuto fortuna immeritata presso il Tribunale e la Corte
di Bologna, pretendendo, cioè, che ai congiunti dell'in
terdicendo, cui spetterebbe facoltà di promuovere l'azione,
sia lecito bensì intervenire in quella promossa dal P. M.,
ma solo al fine di coadiuvare l'attore, non a quello
contrario di coadiuvare la difesa del convenuto. Giova pe
raltro notare che la sentenza ora impugnata, con ragiona
mento involuto, esagera il carattere del giudizio d'in
terdizione, considerandolo di esclusivo interesse pubblico in base a semplici particolarità di regole processuali per
esso dettate, e dimenticando quali gravi e delicati in
(1) Le Sezioni unite della Cassazione di Koma confermano
così la massima accolta nella stessa causa dalla Sezione civile
con la sentenza 24 febbraio 1915, inserita a col. 457 del prece dente volume di questa Eaccolta con nota di riferimento dei
precedenti di giurisprudenza e dottrina, generalmente contrari
all'opinione che ha trionfato presso la Suprema Corte ; opinione
seguita più recentemente anche dalla Corte d'appello di Torino
con sentenza 18 febbraio 1916 (in questo volume, retro col. 1215) e
sostenuta pure dal Mortàìia nell'ultima edizione del suo Ma
nuale di procedura civile (8a ediz., Torino 1916), vol. II, nn. 1137, 1138.
teressi e diritti personali e patrimoniali vi siano coin
volti e abbiano la loro sorte indissolubilmente legata al
suo risultato. Giova pure rilevare ohe la medesima sen
tenza travisa la struttura di questo giudizio e la funzione
assegnata in esso al P. M., quasi raffigurando come di
spettanza esclusiva di quest'organo della giustizia l'eser
cizio dell'azione e riassumendo in esso la tutela di tutti
gli iuteressi personali e patrimoniali del soggetto passivo dell'azione e dei congiunti di lui. Basta leggere l'art. S26
cod. civ. per scorgere che l'azione d'interdizione è sopra tutto un alto interesse della famiglia, per cui l'iniziativa
ne è dalla legge attribuita prima ai congiunti, poi, quasi
sussidiaramente, al P. M.,
Questo richiamo è sufficiente per rettificare le idee
fondamentali da cui si deve muovere per risolvere la
semplicissima questione oggi riproposta alla Corte. Se la
legge dà ai congiunti l'azione, riconosce in loro l'inte
resse che della medesima è presupposto inseparabile a
norma dell'art. 36 cod. proc. civ. ; e poiché questo mede
simo interesse legittima, in chi lo possiede, l'intervento
volontario nella causa da altri promossa, giusta l'art. 201
dello stesso codice, cos) era impossibile disconoscere nel ri
corrente Masetti la facoltà di intervenire nel giudizio
d'interdizione promosso dal P. M. contro la sua germana. Ma la legge, come dà al congiunto l'azione per chiedere
l'interdizione (cit. art. 826 cod. civ.), gli dà pure quella per
promuoverne la revoca (art. 338} quando sia cessata la causa
che vi ha dato luogo. Ora, se la causa non esistesse, se l'in
terdizione fosse stata pronunciata per errore giudiziario, la
cui possibilità è nell'ordine dei fatti umani, l'interesse del
congiunto ad agire per la revoca si verificherebbe imme
diatamente dopo proferita la sentenza, poiché non vi sa
rebbe motivo per attendere la cessazione di una causa di
interdizione non mai esistita. Ciò è semplice, logico, in
tuitivo. E porta alla conseguenza, del pari logica e limpida,
che sia assurdo pretendere dal congiunto, che sia consa
pevole e convinto della insussistenza di una giusta causa
d'interdizione, che si astenga e serbi un contegno passivo
durante il giudizio, riservandosi di insorgere con l'azione
di revoca tosto che questo sia compiuto. Lo stesso inte
resse che legittima l'azione di revoca, evidentemente
legittima l'intervento volontario nel giudizio pendente,
per coadiuvare la difesa della libertà e della capacità del
convenuto principale. Ciò è confermato in modo esplicito
dalle disposizioni del codice di procedura civile, dal ri
corrente in vocate, relative all'appello. Il congiunto, rimasto
estraneo al giudizio d'ititerdizione, ha facoltà di appellare,
giusta l'art. 841 del citato codice, tanto se la domanda
sia stata rigettata quanto se sia stata accolta. È vero che
i commentatori accennano d'ordinario alla prima ipotesi,
come quella che può verificarsi più frequentemente; ma
è sofistico escludere la seconda, traendone argomento ese
getico dalla lettera dell'art. 481, che detta doversi diri
gere l'appello «contro la persona di cui fu chiesta l'in
terdizione». La preposizione contro è usuale in tutti i
casi di designazione del soggetto passivo di una istanza
giudiziale, e quindi non significa che lo scopo della do
manda che si propone con l'appellò, nella specie, debba
essere soltanto la dichiarazione dell'interdizione e noij
anche la liberazione dall'interdizione pronunciata in primo
grado. Si potrebbe piuttosto osservare che il testo, per
restringere in questo senso la facoltà di appellare, avrebbe
dovuto esprimersi con ben diversa forma; per es., con le
parole «contro la persona di cui si chiede l'interdizione»,
dato che questo fosse precisamente ed esclusivamente lo
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1287 l'Ait i E iJiUMA 1288
scopo per cui è permesso l'appello. Per di più, va consi
derato che il testo soggiunge immediatamente doversi
notificare l'appello anche al curatore provvisorio se è stato
nominato, il che sta in rapporto logico con l'ipotesi di
appello da sentenza che abbia pronunciato l'interdizione;
giacché, se la domanda è stata rigettata, la funzione del
curatore è venuta meno, a prescindere dalla poca proba
bilità che esso sia nominato quando la domanda si pre
senti cosi poco seria da meritare di essere respinta.
Queste, per altro, sono osservazioni secondarie, ba
stando il carattere generico e il senso non limitato delle
parole usate nella prima parte dell'art. 841 per stabilire
che chiunque può domandare l'interdizione e la revoca
di essa, può anche appellare dalla sentenza che l'ha pro
nunciata o l'ha rifiutata. Il sistema della legge cosi è
armonico e perfettamente logico ; e in tal guisa se ne trae
nuovo argomento per convalidare la tesi che l'intervento
del congiunto nel giudizio di primo grado può essere pro
posto tanto allo scopo di sorreggere l'istanza quanto allo
scopo contrario di opporvisi nell'interesse della persona
di cui fu chiesta l'interdizione. Ni vale obbiettare che
questa persona è dalla legge sufficientemente tutelata con
la piana libertà di difesa che le è conferita sia in primo
grado che in appello. Le eventualità dolorose di artifizi
e raggiri, che impediscano la libera difesa alla persona che per fini obliqui si voglia ridurre in istato di inca
pacità legale, dovevano essere prevedute dal legislatore,
essendo tutt'altro che sconosciute o improbabili; le cro
nache dei manicomi ne hanno registrato esempi signifi
canti e ammonitori. Certamente eventualità siffatte non
debbono presumersi allorquando l'azione è promossa dal
P. M,, come nel caso concreto. Ma la controversia at
tuale ha per oggetto le regole generali e la loro appli
cazione; è una questione di massima, non di specie.
Nella specie potrebbe essere giusto non accogliere l'op
posizione del Masetti alla interdizione della sorella
dopo avere esaminato e riconosciuto infondati, se tali ri
sulteranno, i motivi di essa ; non può essere e non è
giusto rifiutare di ascoltarlo nella assunta qualità legit
tima di interveniente in causa. Ed è verosimile che se
l'azione fosse stata proposta da altro congiunto e non dal
P. M., le obbiezioni inopportune e illegali che hanno
fatto velo al retto discernimento dei giudici di merito
non sarebbero state prese in considerazione nel modo er
roneo in cui lo furono. Anche più è verosimile che esse
sarebbero apparse intuitivamente infondate nell'ipotesi
inversa che l'azione fosse stata proposta da un congiunto,
e l'intervento per opporsi alla medesima fosse stato ope
rato dal P. M. Ma, giova ripeterlo, sia attore un con
giunto o lo sia il P. M., l'indole e la finalità del pro
cedimento non variano; i diritti sostanziali e processuali
di ogni interessato sono sempre i medesimi. L'iniziativa del
P. M. può essere una migliore guarentigia della serietà del
l'istanza, ma non può escludere che l'esame di questa sia
circondato da tutte le altre guarentigie che provvidamente
la legge ha autorizzato. Non crede la Corte che si debba,
da altra parte, trascurare di avere presente, nella specie,
che la iniziativa del P. M. non fu spontanea, che il Con
siglio di famiglia vi fu unanimemente contrario, e che il
rappresentante la legge presso questa Suprema magistra
tura, tanto nel giudizio sul precedente ricorso quanto
nell'udienza avanti le Sezioni unite, ha dato autorevolis
simo opinamento in favore dell'intervento del Masetti,
noa troppo opportunamente contrastato dal P. M. nei gradi
inferiori.
Per queste ragioni è mestieri accogliere il ricorso e
rinviare la causa ad altro magistrato di appello, che a
norma dell'art. 547 cod. proc. civ. dovrà uniformarsi alla
presente decisione nel senso di ritenere legalmente am
missibile, in base agli art. 326 e 338 cod. civ., 201, 841
cod. proc. civ., nel giudizio di interdizione promosso dal
P. M., l'intervento volontario di un congiunto avente
qualità per chiedere l'interdizione e la revoca di essa, tanto se intervenga per coadiuvare il P. M., quanto se
intervenga allo scopo di opporsi alla sua istanza. (Omissis). Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA I.-— Sazioni unite; udienza 17 luglio 1916; Pres. Mor
tasa P. P., Est. Bertola, P. M. De Feo (eonol
oonf.) ; Finanze dello Stato (Aw. erar.) c. Ditta Man
fridi (Aw. Posit ano, De Vincentiis).
II. — Sezione civile ; udienza 17 luglio 1916; Pres. Mor
taha P. P,, Est. Bertola, P. M. De Feo (conci, conf.) ; Finanze dello Stato (Avv. erar.) c. Ditta Manfridi
(Aw. Posit ano, De Vincentiis).
B&leebena mobile — Questioni nnll'eililenu e ■all'am
montare dei redditi — Question! di tassabilità —
Indagini e ooustatamlonl di mero fatto — Opificio
teenieamente orsuniiiato — Competenza giudiziaria
(L, 24 agosto 1877, sull'imposta di ricchezza mobile,
art. 53; L. 15 luglio 1906, provvedimenti a favore
delle provincie meridionali, art. 3). ttlcebecift mobile — E3senslone -— Optitelo teenlnameute
organizsato — Requisiti L. 15 luglio 1906, pròwe dimento a favore della provincie meridionali, art. 8).
Ai sensi della legge organila sulla imposta di ricchezza
mobile, V incompetenza dell'autorità giudiziaria è li
mitata alle questioni relative all'esistenza e all'am
montare dm redditi; e perciò ogni questione di tassa
bilità rientra completamente nelle attribuzioni della
giurisdizione ordinaria, anche per quanto attiene alle
indagini e constatazioni di fatto da cui la risoluzione
di tale questione dipende [la sentenza], (1)
Conseguentemente, l'autorità giudiziaria è competente ad
accertare se un determinato stabilimento industriale
si trovi, o no, di fatto in quelle condizioni che devono
verificarsi perche possa qualificarsi « opificio teeniea
mente organizzato », ai sensi della legge 15 luglio 1906 [la sentenza]. (2)
(1-2) I. — La Suprema Corte resta ferma nel concett» ohe rientri nella competenza del magistrato ordinario l'accertamento
di circostanze e condizioni anche di mero fatto, tutte le volte
che esso sia preordinato alla risoluzione di una questione di
tassabilità (cfr. da ultimo sent. 18 dicembre 1915, in questo stesso volume, retro, col. 391, con riferimento dei precedenti). Dalla premessa che lo statuire sul diritto, o non, di un con
tribuente all'invocata esenzione da imposta per un determinato
cespite, include necessariamente una questione di diritto, si vor
rebbe giustificata la conclusione che l'autorità giudiziaria sia
pure competente a constatare se nei singoli casi si verifichine, o no, tutte quelle circostanze di mero fatto, che per legge soao
condizione dell'esenzione. Ma che dall'anzidetta inoppugnabile premessa derivi la a»*
seguenza dell'attribuzione alla giurisdizione civile ordinaria dal l'accertamento di meri fatti materiali, da attuarsi con quei mezzi d'istruzione e di prova che funzionano nel sistema pre cessuale ordinario, non si può non fortemente dubitare, soJ ohe
si pensi che, se fosse esatta la proposizione che la questione di tassabilità schiuda la via a siffatto accertamento, bis»g*e r#bbe ammettere che, non appena il contribuente propon««»e
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