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Sezioni unite; udienza 23 maggio 1930; Pres. D'Amelio P. P., Est. Mantella, P. M. Nucci (concl.conf.); Ministero Comunicazioni (Avv. erar. Scuncio) c. Fatatis (Avv. Storoni, Della Corte)Source: Il Foro Italiano, Vol. 55, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1930), pp. 747/748-749/750Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23131223 .
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747 PARTE PRIMA 748
rito credette completare la formola includendo la que stione dell'esistenza o meno di siffatto termine, ma cosi
facendo alterò la sostanza della formola voluta dal defe
rente e violò la legge. Egli invece doveva, non già deferire
il giuramento sulla formola proposta dall'attore, come fece
il Pretore, ma accertare che in essa non era contenuta
la questione e respingerla come non idonea a decidere la
controversia. Con che l'attore si sarebbe trovato nella
condizione o di modificare la formola includendovi il punto controverso o di non contare su quel mezzo di prova ed
accingersi, come di regola, a dare altrimenti la prova del
suo assunto.
Il magistrato non può alterare la sostanza della for
mola di giuramento proposta includendovi i termini del
l'eccezione della controparte ; ma se, esclusi tali termini, il tema controverso rimane fuori dulia formola, il magi strato dichiarerà che la formola non è decisoria e riget terà la proposta del giuramento.
Non contrasta con tale interpretazione la disposizione dell'art. 1372 capov. del codice civile, che concede alla
parte che ha deferito il giuramento la facoltà di rivo
carlo anche dopo la sentenza irrevocabile di ammissione, se in questa fu variata la formola proposta. Questa fa
coltà della parte non importa che il giudice abbia intanto
potere di variare ed aggiungere. Il potere del giudice, di fronte alla formola proposta, è quello che è. Varia
zioni di forma, si; variazione di sostanza, no. Che se il
giudice abbia superato tali limiti, per qualunque ragione, e la voce del proponente sia stata vana nel combattere la ri
chiesta di variazione o questa sia intervenuta di ufficio,
egli può ancora, come extrema ratio, rivocare il giura mento ; in che è una conferma del carattere speciale di
questo mezzo di prova e della severa necessità che esso
aderisca strettamente alla volontà del deferente ed alla
sua disponibilità. Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DEL REGNO.
Sezioni unite; udienza 23 maggio-1930; Pres. D'Amelio
P. P., Est. Mantella, P. M. Nuoci (conci, conf.) ; Mi
nistero Comunicazioni (Avv. erar. Scuncio) c. Fata
tis (Avv. Storoni, Della Corte).
(Sent, denunciata : App. Roma 2 luglio 1929)
Infortuni sul lavoro — Infezione malarica - In<len
nixxabilità — Estremi (li. 31 gennaio 1904 n. 5!, art. 7).
Nella infezione malarica la violenza della causa richie
sta dalla legge degli infortuni sul lavoro, ai fini delV indennizzabilità, risale al momento della pun tura dell'anofele ; e pertanto, essa, qualora sia ac
certata V occasione del lavoro, costituisce infortunio
indennizzabile, indipendentemente dal decorso della
infezione che posteriormente si determina. (1)
(1) La Saprema Corte a Sezioni unite conferma con questa sentenza il principio da ultimo accolto in varie decisioni delle Sezioni semplici, della indennizzabilità, cioè, ai sensi della leg ge infortuni, della infezione malarica contratta per ragioni di
lavoro, indipendentemente dalla manifestazione violenta del
morbo, fra le quali vedansi da ultimo quella del 27 maggio 1929 (Foro it., 1929, I, 838) e l'altra recentissima del 28 mag gio 1930 {retro, col. 598) con i rispettivi richiami ; ed in coerenza
La Corte, ecc. — Osserva che col 1° motivo si cen
sura la Corte di rinvio, per la inidonea indagine circa la
causa violenta, quale elemento integratore dell'infortunio, ma la doglianza si appalesa infondata, poiché prescinde dalla più recente interpretazione con cui il Supremo Col
legio ha fissato, in codesto can.po, il proprio pensiero, con riferimento alla ipotesi della infezione malarica. As
sume l'Amministrazione ricorrente che i termini con cui, davanti al giudice di merito, fu prospettata la indagine
erano, per sè stessi, tali, da escludere quei caratteri di
repentinità e di intensa accentuazione che sono il pre
supposto della causa violenta e che valgono a differen
ziare l'infortunio dalla malattia professionale. Sosteneva,
invero, la difesa di essa ricorrente, che il Campana aveva
contratto la infezione malarica fin dal 1917, tempo in cui
prestava servizio militare in Albania, e^ le manifestazioni
posteriormente avute non potevano riguardarsi che come
una recidiva dell'annoso morbo; nè la versione allegata dalla controparte contrastava, srstanzialmente, codesta
tesi, poiché i gravi fenomeni ai quali accenuavasi (iposi stobia cardiaca, coliche epatiche, oligoemia ecc.) e che si
sarebbero manifestati nel Campana in seguito agli attac
chi malarici del gennaio 1924 erano, per loro natura, con
seguenziali ad una forma malarica pregressa di lungo de
corso. Si era, adunque, di fronte ad una situazione di
fatto inconciliabile con la causa violenta.
Così argomentando, si dimentica l'affermazione cui è
pervenuta la indagine sperimentale intorno alla etiologia della malaria. E ormai, fra i postulati acquisiti alla scienza
che tale infermità si origini dalla inoculazione del virus
patogeno provocato dalla puntura della zanzara malarica
(anofeles). Codesto fattore esterno, nel suo rapido contatto col
corpo umano, spiega quell'azione lesiva nella quale è a
ricercarsi la impronta della violenza, per il perturbamento che consegue nell'equilibrio dell'organismo, e siffatta im
pronta permane quale che sia la forma chimica ed il de
corso della infezione che. posteriormente, si determina.
Voler, quindi, isolare la possibilità dell'infortunio alla
singola ipotesi della febbre perniciosa è confondere due
termini che non sono identificabili ; la violenza degli
effetti, con la violenza della causa; mentre la legge spe ciale del gennaio 1904, nel fissare i presupposti dell'in
fortunio sul lavoro, si preoccupò esclusivamente del se
condo di tali elementi, traendo monito da quel che in
segnano la pratica e la scienza ; che, cioè, non sempre da una causa violenta conseguono manifestazioni morbose
che abbiano, a loro volta, i caratteri della violenza, e,
per contrario, non intrequentemente, accade che dai morbi
violenti prorompono dalla lenta e morbosa subdola azione
di quotidiane, reiterate intossicazioni succedutesi nell'am
biente del lavoro, per l'assorbiménto di gas venefìci.
La distinzione fra le forme malariche perniciose e le
forme malariche ordinarie, ai fini della indennizzabilità
dell'infortunio, non è giustificata di fronte alla comunanza
del fattore etiologico ; vi ha bensì tra esse un'accentuata
differenza, pel grado di intensità della sindrome morbosa
a ciò decidendo ora a Sezioni unite, con la sentenza che rife
riamo, nella stessa causa in cui ebbe a decidere a Sezione sem
plice con sentenza del 30 giugno 1928 {id., 1928, I, 1208), men tre in tale sentenza ritenne che la infezione malarica avesse causa violenta quando si sviluppasse in febbre perniciosa, in
questa che riferiamo ritiene invece che la causa violenta si ve rifica nella genesi della malattia derivante dalla puntura del
i l'anofele.
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749 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE
e quanto al possibile insorgere delle complicazioni, ma, in entrambi, l'agente patogeno è unico, cioè a dire, il
parassita malarico immesso nell'organismo dalla puntura
dell'anofele, e, quindi, e nell'un caso e nell'altro, non può revocarsi in dubbio la violenza della causa, la quale, nella
sua esplicazione, dà luogo a diversità di fenomeni e di
decorso, a seconda del fattore organico e di altre circo
stanze contingenti. Ciò premesso, invano s'insorge contro la sentenza de
nunziata : essa rettamente applicò i principi che, dopo
qualche oscillazione, hanno finito col prevalere in tema di
infortunio (Cassazione 5 febbraio 1929, Eesca c. Sind. It.
Infortuni; 27 maggio 1929, Ferrovie dello Stato c. Ciampi
cacigli (Foro it., 1929, I, 833)). La circostanza che le pri me manifestazioni del morbo si sarebbero avute nel gennaio
1924, mentre la morte del Campana seguì a distanza di
oltre cinque mesi non vale ad escludere i presupposti del
l'infortunio, perchè, qualora la indagine peritale, disposta
con la anzidetta sentenza giungesse ad accertare, attraverso
gli elementi acquisiti al processo, che il Campana con
trasse la infezione malarica a S. Nicola Vasco, il decorso
ulteriore dell'infermità non sarebbero in antitesi con "la
violenza della causa originaria, fonte unica, secondo la tesi
difensiva della Fatatis di tutte le progressive manifesta
zioni che determinarono il graduale disfacimento dell'or
ganismo e la predisposizione di esso ad un esito letale.
Non regge l'altro rilievo che si prospetta col 1° mezzo
di censura circa l'elemento della concausalità inserito
nella formulazione dell'indagine peritale. La Fatatis, da
vanti al magistrato di merito, sostenne che la infezione
malarica « avrebbe, in ogni caso, concorso per la dege
nerazione in appendicite, e, poiché, in tema di infortu
nio, pel conforme insegnamento della dottrina e della
giurisprudenza, la concausa vale come causa unica, nella
specie non si rilevava, ai fini della indennizzabilità, che
la morte del Campana fosse dovuta alla esistenza di due
cause efficienti: la malaria e l'appendicite». Ora, l'Am
ministrazione ricorrente non esita a riconoscere l'esattezza
del principio richiamato dalla controparte, ma si duole
della monca motivazione della sentenza in quanto non
avrebbe adempiuto ad una ricerca sostanziale, quale era
quella di accertare che, nel caso concreto, ricorressero,
effettivamente, gli estremi dell' infortunio. La rilevata
lacuna, però, non sussiste poiché la Corte di rinvio,
dopo di essersi richiamata alle norme secondo le quali va
concepita la configurazione della causa violenta, stimò
utile di comprendere nella indagine commessa al perito
anche l'accertamento di tale estremo, non tralasciando i
rilievi di ordine presunzionale che accreditavano il rap
porto di occasionalità tra la infezione malarica subita dal
Campana ed il disimpegno del suo ufficio. Per rimuove
re, poi, ogni dubbio in rapporto alle difese contrastanti
delle parti circa l'efficienza della predetta infezione nel
decesso che seguì all'atto operatorio, opportunamente,
ampliò il campo della indagine tecnica, inserendovi anche
la ricerca della concausa, in quanto lo stesso operatore
Prof. Padula, medico fiduciario dell'Amministrazione, nel
riferire intorno all'esito dell' intervento chirurgico, non
trascurò di rilevare, che, « tenuto conto della gravissima
malaria progressiva, tutt'altro che spenta, dei ripetuti
attacchi di appendicite, dell'alterata crasi, si doveva pen
sare ad uno stato di estrema suscettibilità del cuore e di
possibile degenerazione che la malaria poteva offrire con
la enolisi ».
Osserva che il secondo motivo di ricorso investe la
sentenza per quel che concerne l'altro elemento richiesto
dall'art. 7 della legge del 1904, per la integrazione del
l'infortunio, il nesso di occasionalità tra l'evento dannoso
e le incombenze del lavoro. L'Amministrazione ricorrente
impugnava, davanti alla Corte di merito, l'esistenza di
un. rischio specifico, poiché trovandosi l'ambiente del la
voro in una plaga malarica il Campana, nella esplicazione dei doveri inerenti al proprio ufficio, era soggetto al pe
ricolo della infezione ugualmente che tutti gli altri abi
tanti di quella medesima località. Si duole che intorno
a codesta difesa la Corte anzidetta non abbia adeguata
mente motivato, ma neanche tale censura si ravvisa fon
data, poiché la sentenza richiama quanto il Supremo Col
legio aveva già considerato circa I' impugnato rapporto
di occasionalità nei riguardi del Campana, afferma l'esi
stenza di un rischio particolarmente aggravato, con ri
ferimento alla peculiare natura delle funzioni che quegli
esplicava e per la quale era obbligato ad esporsi all'am
biente esterno durante il servizio notturno. Il criterio che
informò la decisione non può essere disapprovato, poiché, se è vero che la malaria rappresenta un rischio generico
per tutti gli abitanti della zona infetta, non è men vero
che, in determinati casi, possa assurgere a rischio del
lavoro e dar luogo alla configurazione dell'infortunio, come
allorquando rimanga accertato dalla prova che il soggetto,
proveniente, da una plaga immune dalla cennata infezione
e non mai anteriormente investito da attacchi malarici,
sia obbligato, per le mansioni del proprio lavoro, a ri
siedere in una zona dominata da quel morbo ed ivi con
tragga la infezione.
In codesto caso, si è di fronte al rischio specifico im
provviso, o rischio generico aggravato, e l'evento dan
noso giustifica l'indennizzo, poiché, se il lavoro è ragione
di aggravamento di quel pericolo che, indipendentemente
da esso, avrebbe sofferto un carattere di minore accen
tuazione, o sarebbe stato addirittura evitato, il vincolo
di occasionalità non è dubbio. Riesce, certo, malagevole
10 stabilire, nei singoli casi, la corrispondenza fra l'in
fortunio e l'occasione del lavoro, ma tale difficoltà non è
sinonimo di impossibilità obbiettiva e non costituisce un
argomento decisivo, per escludere, a priori il nesso oc
casionale ; può soltanto consigliare una più severa e cauta
valutazione degli elementi acquisiti alla causa.
Osserva che l'ultima doglianza lamenta anche essa
una lacuna della motivazione, in quanto la Corte avrebbe
omesso di dimostrare che i fenomeni dell'infezione mala
rica si fossero, inizialmente, manifestati, nel gennaio 1921,
mentre ex adverso si affermava che quei fenomeni fos
sero una recrudescenza della infermità contratta in Al
bania, fin dal 1917. Il rilievo non ha giustificazione di
sorta, perchè il giudice di merito, attraverso un sobrio
esame di prove documentali hic inde prodotte, si con
vinse che le manifestazioni morbose insorte a distanza di
tanti anni, dacché era cessato il servizio militare e quando
11 Campana, da più dì quindici mesi, risiedeva nelle zone
malariche, in apparente stato di perfetta sanità, non po
tessero attribuirsi ad una recidiva di malaria pregressa,
e codesto apprezzamento, sussidiato da molteplici consi
derazioni, è insindacabile da parte del Supremo Collegio.
Giova d'altro canto, ricordare che la sentenza denun
ciata, nella delimitazione delle indagini peritali, non tra
scurò l'argomento prospettato dalla difesa dell'Ammini
ziohe, poiché volle che la ricerca del tecnico si esten
desse ad accertare se la infezione malarica fosse stata
effettivamente contratta nella sede dove il Campana di
simpegnava il suo ufficio.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
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