Udienza 11 dicembre 1914; Pres. De Seta, Est. Civiletti, P. M. Palladino (concl. conf.); Finanzedello Stato (Avv. erar. Pulvirenti) c. Società Sikelia (Avv. Scialoja, Gioazzini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 40, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1915), pp. 73/74-75/76Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23116974 .
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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 11 dicembre 1914; Pres. De Seta, Est. oivi
letti, P. M. Palladino (conci, conf.) ; Finanze dello
Stato (Avv. erar. Polvirenti) c. Società Sikelia (Avv.
scialoja, gloazzinl).
Zolfiira — Tmh anifla di lire ano a tonellata — Eeen
ilone da o|nl altra tassa — KleehMia mobile an
anticipi di fitti e ni a tu i al proprietari dalle sol
fare — Inapplicabilità della eienilone (L. 22 lu
glio 1897, sulla tassa sugli zolfi, art. 2 ; L. 15 luglio
1906, sulla industria zolfìfera, art. 24, 25 ; L. 24 ago
sto 1877, sull'imposta di ricchezza mobile, art. 2).
La tassa unica di lire una a tonellata stabilita sugli
zolfi dalle leggi 22 luglio 1897 e 15 luglio 1906, se esonera da ogni altra tassa diretta o indiretta, go
vernativa o comunale, compresa la tassa di registro,
per tutto ciò che si riferisce alla estrazione o produzio
ne e al commercio dello zolfo, e da quelle riguardanti
la costituzione e l'esercizio di società zolfifere, non
esonera però dal pagamento dell'imposta di ricchezza
mobile sugli interessi di capitali versati ai proprie
tari delle zolfare dagli esercenti di queste, sia in an
ticipo di fitti, sia in forma di mutui. (I)
La Corte, ecc. (Omissis) — Attesoché la ricorrente
Amministrazione delle finanze a ragione lamenta che la
Corte di merito ha erroneamente inteso e applicato alla
fattispecie gli art. 2 L. 22 luglio 1897, 24 e 25 L. 15
luglio 1906, e violato il principio di cui all'art. 2 della
legge per l'imposta sui redditi di ricchezza mobile, te
sto unico 24 agosto 1877, secondo cui ogni individuo ed
ente, sia nazionale che straniero, è tenuto all' imposta
sui redditi, salve le eccezioni stabilite per legge.
Non è dubbio che la ragione che determinò il legi
slatore a stabilire ccyi la legge 22 luglio 1897 la tassa
speciale di una lira per tonellata di zolfo da riscuotersi
all' uscita dello zolfo dalla Sicilia a titolo di abbona
mento in sostituzione di ogni altra tassa diretta o indi
retta, erariale o comunale, sulla produzione e sul com
mercio dello zolfo, fu quella di fare affluire il capitale
nella industria zolfìfera, la quale, appunto, languiva per
difetto di capitale. Già precedentemente, per risolvere la questione zol
fifera, il legislatore aveva creduto opportuno di abolire
il dazio di uscita dello zolfo, ciò che fece con la legge
"25 luglio 1896. Ma prima ancora che entrasse in vigore
questa legge si comprese, e subito dopo si constatò, che
l'abolizione del dazio di uscita, mentre si risolveva in
una perdita per l'Erario, veniva a peggiorare le condi
zioni del mercato e dell'industria per il maggior rin
vilio verificatosi nei prezzi a causa della risoluzione dei
precedenti contratti in cui era convenuta la clausola ri
solutiva per la già prevista abolizione; donde una ple
tora di merce, a tutto vantaggio dei compratori stra
nieri. Si vide allora che la causa vera del disagio in
cui si dibatteva l'industria era la mancanza del capi
tale occorrente, il quale (come ebbe ad esprimersi il mi
nistro delle finanze nel presentare alla Camera dei de
putati il progetto che divenne poi la legge 22 luglio
1897), pauroso del. nostro sistema fiscale, esitava a venire
in aiuto all' industria, non tanto per la gravità dei tri
buti, quanto per la loro pluralità e per i modi di ac
(1) Non ci risultano precedenti sulla questione.
certamente) e di percezione, come l'imposta di ricchezza
mobile e le tasse di registro, che potevano colpire la co
stituzione di società, i contratti a scadenza fatti con i
produttori e i contratti di deposito, e tutte le minute
tasse che potevano imporre i municipi. Fu perciò che il Governo, in via di urgenza, sti
pulò con la nuova Società anglo-siciliana per gli zolfi, costituita in Londra con l'atto 11 luglio 1896, la con
venzione del 27 stesso mese, convertita poi in legge con
quella 22 luglio 1897, con la quale convenzione l'Anglo siciliana si obbligò di pagare e l'Amministrazione dello
Stato accettò di ricevere a titolo di abbonamento di ogni tassa diretta o indiretta, erariale o comunale, dovuta se
condo le leggi del Regno per il suo riconoscimento e
per l'esercizio del suo commercio in Italia, tanto per ciò che riguarda il capitale all' uopo impiegato, quanto
per ciò che si riferisce alla produzione, all'acquisto e
alla vendita dello zolfo, e per tutta la durata della So
cietà, la somma unica e complessiva di lire una per ton
nellata, da riscuotersi dalla Dogana all' uscita dalla Si
cilia, sia per l'estero, sia per le altre provincie del Re
gno, salve l'imposta e sovrimposta sui terreni e le
tasse di registro sui trasferimenti delle zolfare e sulle
cessioni anche temporanee del diritto di estrazione.
Questa tassa di abbonamento fu con l'art. 2 della ci
tata legge 22 luglio 1897 estesa anche agli zolfi appar tenenti ad altre società e a privati in Sicilia. La legge 15 luglio 1906, poi, all'art. 24, comprese nella tassa
stessa anche le tasse di registro sui trasferimenti delle
zolfare e sulle cessioni anche temporanee del diritto di
escavazione, e con tale modificazione converti in legge il
regio decreto 28 gennaio stesso anno, che applicò la stessa
tassa di abbonamento anche agli zolfi delle altre miniere
esistenti in Italia, in modo da stabilire un trattamento
unico per tutto il Regno. Con la disposizione contenuta nel successivo art. 25
di questa legge volle il legislatore pure favorire la co
stituzione di nuove società che avessero per oggetto l'eser
cizio di miniere, le industrie od operazioni commerciali
nelle quali lo zolfo fosse elemento principale, esentando
queste società da qualsiasi tassa che non fosse quella di
abbonamento di cui nel precedente articolo.
Ma da quanto si è venuto esponendo circa la genesi e la ragione della legge appare evidente che questa esen
zione non fu soggettiva, come privilegio concesso alle
nuove società che si costituissero per esercitare miniere
di zolfo, industrie e operazioni commerciali in cui lo
zolfo sia elemento principale, per qualsiasi operazione
compiuta da queste società, bensì per quelle operazioni che rientrassero nell'oggetto delle società medesime, es
sendo sempre l'esenzione dalle tasse determinata dalla
ragione, che informa tutte le disposizioni della legge spe
ciale, di promuovere l'incremento della industria zolfi
fera col farvi affluire i capitali, e la costituzione di so
cietà è un mezzo adeguato a tale scopo.
Onde, nè per l'art. 2 L. 22 luglio 1897, nè per l'art.
24 L. 15 luglio 1906, nè per il successivo art. 25 della
legge medesima, la esenzione può riferirsi all' imposta di
ricchezza mobile che colpisce il reddito di un capitale sottratto all' industria zolfifera esercitata dalla Società
Sikelia^e versato da questa ai proprietari delle miniere
per i lo® fini particolari estranei all'esercizio delle mi
niere stesse, sia a titolo di fitto anticipato, sia a titolo
di mutuo ad interesse, non potendosi ad ogni modo
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75 PARTE PRIMA
confondere e trattare alla stessa stregua i due atti, l'uno
di gabella e l'altro di anticipo sul fitto, per quanto
quest'ultimo fosse collegato al contratto di gabella che
vi diede occasione, per avere i proprietari consentito la
gabella a condizione che fosse loro versata la somma di
lire 68 000 da rimborsarsi alla Società in una ai pattuiti interessi entro un termine mediante cessione della parte di zolfo che fosge per spettare ai proprittari sui futuri,
prodotti delle miniere o mediante pagamento in denaro
che i proprietari ste3si si riservarono di fare in ogni momento.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 27 giugno 1914; Pres. Capotorti, Est. f ag
gella, P. M. De Notaristefani (conci, conf.) ; Pe
tricca (Avv. Massei) c. Ricci (Avv. Mautorelli).
Possesso — Belnttfriuiosc — Pro»» dello spoglio —
Facoltà del pretore — Notorietà d«l fatto — fspe
slonl e Indagini dirette — Testimoni (Cod. civ., art. 696; cod. proc. civ., art. 278).
Nel giudizio di reintegrazione il pretore può constatare
il fatto dello spoglio con ispezione e indagine diretta,
raccogliendo sul luogo gli elementi di prova, anche
per mezzo di testimoni, senza formale ammissione di
mezzi istruttori e senza che le parti li richiedano. (1)
La Corte, ecc. — Considera sul primo motivo del
ricorso che, per l'art. 696 cod. civ., la reintegrazione nel
possesso può essere ordinata dal pretore anche in base
(1) La ragione fondamentale del decidere è dalla sentenza
riposta nell'espressione dell'art. 696 cod. civ., il quale vuole si ordini la reintegrazione «sulla semplice notorietà del fatto».
A questa ragione altra se ne aggiunge, ma che solo calza nel caso deciso, ed è l'argomentazione dall'art. 278 cod. proc. civile. Senza occuparmi di questo punto, non avente che un carattere accidentale, mi propongo di stabilire il significato della locuzione « semplice notorietà del fatto », che si legge nel l'art. 696 cod. civile.
La parola notorietà, in relazione alla prova, ha parecchi si
gnificati, che è necessario determinare per non incorrere, in
terpretando tale parola nelle varie disposizioni di legge, in
gravi equivoci. a) Ora la legge vuole che un fatto sia non solo provato
ver», ma anche sia provato notorio, per attribuirgli determinati effetti. In tali casi la notorietà è requisito addietto alla verità
per la produzione di fini determinati.
Così, quando l'art. 269 n. 3 cod. civ. esclude e rimuove da
gli uffici tutelari le pèrsone di « notoria cattiva condotta"-», vuole due requisiti : 1°) la cattiva condotta ; 2°) la notorietà della cat tiva condotta.
Ma la notorietà — come requisito addietto e necessario della verità — consiste sempre in una notizia pubblica, o quasi, circa il fatto.
Cosi ancora, quando l'art. 13 capov. cod. comm. dichiara
presumersi il consenso del marito a che la moglie sia commer ciante se l'esercizio del commercio sia pubblico e «notorio», la legge esige la prova di un fatto (l'esercizio del commercio) e la notorietà di codesto fatto, sempre intesa nel senso suin dicato. (1)
b) Ora la legge parla di notorietà intendendo significare verità provata : è in questo senso che leggi estere e scrittori,
'
anche nostrani, dicono che il notorio non esige prova. Per evi tare equivoci preferisco, in questi casi, con Pietro Ellero, Tratt. [ crimin., p. 97, parlare di evidenza.
c) Ora la <prova per notorietà» significa l'intrinseco e '
non l'estrinseco della prova. J
(1) Nello stesso senso le parole notorio, notoriamente si leggono negli 1 art. 150 cod. civ. (V. Prudente, in Filangieri, 1908, 772) ; art. 1748 n. 2 cod. oiv., 688 cod. comm., (V. Tendi, in Dir. comm. 1906, 521).
alla «semplice notorietà del fatto violento», premessa soltanto la citazione dell'altra parte. Ciò importa che il
pretore possa raccogliere direttamente gli elementi di
Quando l'art. 1445 cod. oiv. consente alla moglie e ai suoi eredi, nel caso di scioglimento della comunione, di ripetere il valore delle cose mobili spettanti ad essa ed escluse dalla comunione, ina che non si trovassero più in natura al tempo della dimissione, e di «provare, anche per notorietà», il valore delle dette cose, la legge non significa che la prova possa, estrinsecamente, darsi senza le foi'me ordinarie, ma solo ìndica che la prova può consistere nella opinione personale dei valu tanti e non nella precisa determinazione obbiettiva.
d) Infine la prova • per semplice notorietà del fatto » di cui all'art. 696 cod. civ. comprende, secondo me, così uno spe ciale estrinseco come uno speciale intrinseco della prova. Sic gnifica cioè :
1° Che il giudice può raccogliere — sciolto dalle forme con suete — la prova (estrinseco) ;
2° Che il giudice può valutare le prove con tale larghezza da appagarsi della notorietà in luogo della verità (intrìnseco).
Quest' ultima proposizione non allude ad un particolare esclusivo del giudizio di reintregrazione, poiché è consuetu dine giudiziaria che nelle materie urgenti (come in quelle dif ficili o di tenui conseguenze) può il giudice appagarsi di prove leviores. Così accade per la prova degli estremi del sequestro conservativo e di quelli occorrenti all'esercizio del diritto di separazione del patrimonio del defunto da quello dell'erede (art. 2059 e 2060 ult. comma, cod. civ.) ; così per la prova del bisogno in chi chiede gli alimenti (cfr. mio Trattato delle prove, I, 3a ediz., nn. 355 e segg.)
La dimostrazione dell'assunto enunciato circa il senso della locuzione « semplice notorietà del fatto • nell'art. 696 cod. ciy. si fonda sopratutto su ragioni storiche.
Che il semplice notorio significhi apprezzamento larghissimo, quasi prelibatorio e arbitrario, sostituito alla obbiettiva con statazione del vero, è dimostrato da ciò : che tale concetto è proprio del diritto canonico e che dal diritto canonico lo tras sero, per applicarlo all'azione di spoglio, gli statuti savoini, poi le regie Costituzioni del 1770, e da esse il codice civile albertino (art. 447) e quindi il nostro art. 696 cod. civ. (Cfr. Nani, Statuti di Amedeo VI, in Memorie della R*. Acc. scienze Torino, serie II, tomo XXXIV, p. 30; Eoffini, L'actio spolii, p. 447 e seg.). Né su ciò mi risultano dissensi in dottrina e in giurisprudenza.
Che il giudice possa prescindere, nel raccogliere le prove, dalle ordinarie forme di procedura è anche assunto pacifica mente ammesso.
Ma due punti sono discussi e meritano di essere chiariti. Il primo concerne l'ammissibilità, nel processo di reinte
grazione, della iniziativa probatoria del giudice, anche in tema di prove testimoniali. Io penso che il giudice non possa, se condo le nostre leggi, ordinare d'ufficio la prova testimoniale (cfr. mio Trattato cit., IV, 2" ediz. n. 183) e non so scostarmi da questa opinione neppure per i giudizi di reintegrazione.
Il secondo punto concerne la possibilità di raccogliere prove senza la garanzia del contraddittorio; il che esclude anche il diritto alla controprova. Vi ha chi crede non essenziale questa garanzia (cfr. Cass. Torino 6 agosto 1900, 11 giugno 1878, 23 di cembre 1891: Foro it., Rep., voce Possesso, 1900, n, 48; 1878, nn. 74, 75; 1892, n. 45), ma l'opinione contraria è la sola legale (vedi conf. Cesakeo Consolo, Azioni possess., 1902, n. 552 e seg.; Ricci, Dir. civ., V, n. Ili; Vitali, in Legge, 1903, 302 e seg., n. 10 e seg. ; Mortasa, Commentario. IV, n. 16, p. 33; Scialoja, Comm. al cod. proc. civ. sardo, I, 2, p. 679, n. MCXIX; Cass. Roma 10 maggio 1907, foro it., 1907, I, 673, con riferimento dei precedenti di dottrina e giurisprudenza, e 2 luglio 1890, id., 1890, I, 857; Cass. Torino 16 marzo 1907, id., Kep. 1907, voce cit., n. 48).
Solo legale giudico questa ultima opinione perchè, se il co dice italiano, a differenza di quello albertino, esige la citazione, vuole, all'evidenza, il contraddittorio, non solo perchè il giudi zio sia costituito, ma anche per l'istruzione: una citazione senza contraddittorio nella istruzione sarebbe un assurdo logico, uno scherno processuale.
Aggiungo che la legge proclama di diritto la prova testi moniale contraria (art. 229 cod. proc. civ.), e questo principio, legato il contraddittorio ; sarebbe, contro legge, negato.
Prof. Carlo Lessona. Prof. Carlo Lessona,
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