Udienza 11 giugno 1931; Pres. Camassa, Est. Cuocolo; Congedo c. FrancoSource: Il Foro Italiano, Vol. 56, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1931), pp. 1373/1374-1375/1376Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23133868 .
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1373 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 1374
I
tuire argomento contro l'applicabilità di questo istituto
nella materia in esame ; che la legge sull'emigrazione, se
alla negativa si fosse inspirata, non avrebbe certo omesso
di escludere espressamente, insieme alla limitazione con
venzionale della responsabilità anche quella legale deri
vante dallo art. 491; che pertanto quando il fatto ingiu
rioso è imputabile non personalmente al proprietario della
nave, ma al capitano ed all'equipaggio, l'abbandono deve
essere ammesso anche qui, a nulla importando che il di
ritto violato sia derivato da un contratto di trasporto con
chiuso direttamente col proprietario della nave.
Ma questa tesi, come non trovò già favore presso lo
Ispettorato d'Emigrazione del Porto di Genova (vedi sen
tenza 21 gennaio 1929), cosi neppure può essere accolta
dal Tribunale.
11 particolare sistema legislativo, costituito dalle di
sposizioni del t. u. del 1919, e del relativo regolamento,
che non è qui il caso di dettagliatamente richiamare,
nonché la ragione dell'adozione di un tale sistema, ren
dono infatti lecito affermare che la difformità di dizione
tra i due articoli della legge speciale e del codice risponde
ad una giustificata difformità di criteri e che la suindicata
prima parte dell'art. 22 non costituisce una norma super
flua, come avverrebbe accettando la conclusione cui arriva
la convenuta ; ma implica un netto suo distacco dalla nor
madell'art. 491, ripugnante, per quanto attiene all'abban
dono, all'indole della materia ed alla natura eccezionale
della legge speciale. L'articolo 18 capov. 5° di questa stabilisce che la ri
chiesta della patente implica accettazione di tutti gli ob
blighi derivanti al vettore dalle disposizioni vigenti in ma
teria d'emigrazione, tra cui c'è quella dell'art. 22 e ciò
importa che la legge sull'emigrazione vuole che di fronte
all'emigrante rimangano sempre immedesimate in una sola
persona, quella del committente e l'altra del commesso,
vi sia sempre il vettore, il quale con la cauzione prestata
risponde di tutte le obbligazioni che ha verso l'emigrante,
tra cui principalissima quella di far sì che il trasporto av
venga senza danno.
L'unicità della funzione e l'unicità della persona che
ne è investita con la persona che l'esercita giustificano da
questo lato, come giustamente è stato osservato, che si parli
di un'obbligazione diretta personale del vettore, la quale ha
le sue origini nell'accettazione contrattuale di un partico
lare sistema legislativo in contrasto con la norma del co
dice. Si vorrebbe trovare l'errore di siffatta affermazione
nel rilievo che il vettore, chiesta ed ottenuta la patente
obbedisce ad un complesso di precetti stabiliti dallo Stato
nella sua qualità di potere imperante e non di parte con
traente. Ciò è vero, ma il divenire vettrice di emigranti
fu un fatto volontario della Navigazione Generale Italiana,
nel mentre gli obblighi da essa cosi assunti hanno acqui
stato nella loro esplicazione un altro sostrato contrat
tuale, essendo diventati parte integrante dell'accordo col
l'emigrante, funzionando come clausole al medesimo ap
poste. Nè cosi si arriva ad una obbligazione personale di ga
ranzia obbiettiva ? L'oppone la convenuta, ricordando il
principio fondamentale del nostro diritto che non esiste
di regola responsabilità senza colpa e che la responsabi
lità oggettiva, l'assunzione di garanzia oggettiva è isti
tuto per noi eccezionale, ammissibile solo in quanto risulti
da particolari espresse disposizioni di legge. Basta però
accennare che il vetlore di emigranti risponde in quanto
vi sia un comportamento doloso o colposo suo o delle per
sone da lui preposte all'esecuzione del contratto. Che poi
questo sia effettivamente considerato come un opus in
divisibile, del quale il vettore interamente risponde, sta
anche tra l'altro a dimostrarlo l'ex 94 reg. 10 luglio 1901,
n. 375, opportunamente dagli attori citato, il quale dispone: « I vettori di emigranti ed i capitani sono responsabili di
ogni infrazione che venisse constatata in ordine ai requi
siti di navigabilità, velocità, ordinamento interno e corredo
prescritti dalla legge e dal regolamento. Nessuna atte
nuante alla loro responsabilità può derivare dal fatto delle
visite delle ispezioni ordinarie e straordinarie alle quali
l'autorità governativa assoggetta i piroscafi >.
Dopo ciò è da escludersi che nel momento del mag
gior bisogno l'unica figura giuridica del vettore d'emi
granti voluta dal legislatore in favore di una classe povera
per darle giustizia sicura, possa sdoppiarsi con la conse
guenza di un differente trattamento a seconda che l'e
migrante si trovi di fronte un vettore proprietario di
nave od un vettore noleggiatore, di un'impossibilità o
quasi di un congruo indennizzo nella ipotesi di una
nave non recuperabile dagli abissi del mare, di esporre
in ogni caso l'emigrante a gravi difficoltà dipendenti dalle
operazioni di ricupero della nave, di riscossione dei noli, del reparto.
Di un ultimo argomento è qui il caso di far cenno.
La convenuta, rilevando che la legge del 1919 in nessun
punto dice espressamente inapplicabile l'art. 491 ravvisa
in ciò un elemento di grande importanza a suo favore, non solo in base al ditterio « ubi voluit dixit » ; ma an
che pel fatto che essendo le controversie sull'abbandono
anteriori alla legge del 1919 se il legislatore avesse con
essa voluto stabilire la inapplicabilità dell'art. 491 l'avrebbe
detto, come intervenne a risolvere con esplicite dichiara
zioni tante altre questioni agitantesi sui precedenti testi
di legge. L'argomento però si ritorce a carico della Navigazione
Generale Italiana perchè è facile osservare che la quasi totalità della dottrina ed unanime giurisprudenza inter
pretativa delle Commissioni arbitrali, avvalorata dall'au
torità delle Sezioni Unite della Cassazione (vedi sentenza
12 luglio 1907 in causa Navigazione Generale Italiana c.
Tiepolo, Foro it., 1907, I, 1115), aveva risolto sempre in
senso contrario alla tesi della convenuta la questione del
l'applicabilità dell'abbandono agli emigranti. In tale stato
di cose, pare allora più esatto il rilievo che il legisla tore dolendo prevedere la prevalenza anche in avvenire
di una interpretazione cosi diffusa, sarebbe intervenuto
con la posteriore legge se avesse ritenuto l'interpretazione
stessa non conforme a quella da lui voluta. Il non averlo
egli fatto è dunque un'altra delle tante ragioni a favore
dell'esclusione in questa materia dell'abbandono. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI LECCE.
Udienza 11 giugno 1931 ; Pres. Camassa, Est. Cuocolo;
Congedo c. Franco.
Ijfivoro (glurisd. e proced.) — CJompeienza per ma
teria — Colonia o mezzadria — Inesistenza <11
contratti» collettivo — Inammissibilità (R. D. 26
febbraio 1928 n. 471, art. 1).
Le controversie relative ai contratti di mezzadria, pur
sorgendo da rapporti assoggettabili a contratto collet•
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1375 PARTE PRIMA 1376
tivo di lavoro, non sono di competenza della Magi
stratura del lavoro quando non esiste contratto col
lettivo. (1)
La Corte, ecc. (Omissis) — La Corte osserva che la
competenza a giudicare sulla proposta contestazione spetti alla magistratura ordinaria. Non già pel motivo che i con
tratti di mezzadria e colonia debbano essere considerati
come contratti sui generis, e cioè che partecipino della
società, dell'associazione in partecipazione e della loca
zione di opere, onde essi non dovrebbero riferirsi ai con
tratti collettivi di lavoro di cui nella legge 3 aprile 1926.
Invece è a ritenere che essi, per la loro natura, rientrino
nella categoria di contratti sottoposti alla Magistratura del
lavoro, sempre quando si verifichi la condizione voluta
dall'art. 1 regio decreto 26 febbraio 1928 n. 471, che de
manda alla predetta Magistratura le controversie indivi
duali, derivanti da rapporti che sono soggetti a contratti
collettivi di lavoro. Ma è da intendere che non debba trat
tarsi di rapporti assoggettabili a contratto collettivo, men
tre è necessario che quest'ultimo esista effettivamente in
atto a disciplinare giuridicamente i rapporti dai quali la
controversia individuale può derivare. E che la norma
particolare di competenza non rifletta anche rapporti sem
plicemente suscettibili di regolamento collettivo si rileva
dalla dizione a (operata dal legislatore e dal contesto della
norma giuridica, per cui si ritengono equipollenti ai con
tratti collettivi altre norme che abbiano valore o effetti
di contratti medesimi a termini della legge 3 aprile 1926
n. 563 e del regio decreto 1° luglio 1926 n. 1130. Altro
(1) La Corte d'appello di Lecce, con questa sentenza, si uniforma ai giudicati della Suprema Corte di cui ricordiamo da ultimo quello 24 aprile 1931 (retro, col. 920) e gli altri ivi ri chiamati in nota, che affermarono doversi intendere in senso reale e concreto e non potenziale l'espressione « soggetti a contratti collettivi di lavoro • dell'art. 1 regio decreto 26 feb braio 1928. Più incerta è la giurisprudenza delle altri Corti: chè mentre la Corte d'appello di Trieste, 20 giugno 1930 (id., Rep. 1930, voce cit., n. 145), ed in un primo tempo quella di Ca
tania, 20 luglio 1929 (id., Rep. 1929, voce cit., n. 100), si pro nunciarono per la interpretazione restrittiva, quest'ultima Corte, con posteriore sentenza 14 marzo 1930 (id., Rep. 1930, voce cit., n. 146) sostenne l'interpretazione estensiva, già seguita dalla Corte d'appello di Bologna, 4 e 29 novembre 1929 (id., Rep. 1930, voce cit., n. 142 e Rep. 1929, voce cit., n. 101)
La questione è molto dibattuta anche nella dottrina. Da un lato : Jaeger, Le controversie individuali del lavoro, Cedam, Pa
dova, 1929, p. 23 e 24 ; Oavai.lo, Le sezioni Lavoro e la competenza ■ ratione materiae • in Dir. del lavoro, 1929, p. 385 ; Guidi, in Dir. del lavoro, 1929, II, p. 208 in nota alla sentenza del pretore di
Bagheria, 18 maggio 1929 (vedi massima in Foro it., Rep. 1929, voce cit. n. 105) e Paola, nella stessa rivista 1929, II, p. 424, affermarono tutti che alla parola « soggetti » debba attribuirsi un valore potenziale, non attuale, nel senso che tutte le contro versie derivanti da rapporti che possono essere regolati da con tratto collettivo, sono di competenza della Magistratura del la voro ; dall'altro: Pergolesi, Diritto processuale del lavoro, Roma, 1929, p. 230 ; Benaglia, Il rapporto soggetto a contratto collettivo di lavoro in Riv. Diritto Agrario, 1929, p. 383 e Coniglio, Compe tenza delle sezioni di lavoro (Tribunali e Pretori) nelle controversie individuali del lavoro, in Riv. di diritto processuale civile, 1930, II, p. 128, hanno sostenuto la interpretazione più rigorosa del de creto citato, escludendo che la controversia nascente da un
rapporto non disciplinato effettivamente da un contratto col lettivo sia di competenza della Magistratura del lavoro.
Con particolare riferimento alla mezzadria, vedi : la sen tenza del Pretore di Fara Sabina 21 luglio 1930 (Foro it., Rep. 1930, voce cit. n. 156) in senso conforme alla sentenza anno tata : in senso contrario il Pretore di Fidenza 4 febbraio 1930
(id., Rep. 1930, voce cit., n. 173); per la dottrina lo scritto ci tato del Benaglia.
argomento a conferma del principio innanzi esposto si de
sume dal testo della legge su citata 3 aprile 1926.
Or nella specie non esistendo un contratto collettivo
di lavoro in atto, esula la competenza dell'organo giuri
sdizionale del lavoro, e devono trovare invece piena ap
plicazione le norme della competenza civile ordinaria.
( Omissis) Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE DI BENEVENTO.
Udienza 28 novembre 1930 ; Pres. ed est. Vaccariello ;
Fallimento Rutigliano c. Società Ledoga.
Fallimento — Concordato — Opposizione — Omessa
citazione del fallito — Presenza di esso nel giu
dizio di omologazione — Inammissibilità dt-U'op
posizione — Perentorietà del termini (Cod. Comm., art. 836 ; L. 10 luglio 1930 n. 995, sui fallimenti, art. 17).
Fallimento — Concordato — Approvazione — Hlol
ti'plicità di differimenti — Irrilevanza per la va
lidità del concordato (Cod. comm., art. 835).
E' inammissibile l'opposizione al concordato fallimen tare se in essa non sia stato citato il fallito e ciò
anche se questi si trovi presente in giudizio al mo
mento della spedizione della causa di omologa zione. (1)
Omessa la citazione del fallito nell'atto di opposizione, non può il tribunale consentire una riapertura di
termini, che sono perentori, per provvedere alla ci
tazione stessa. (2) La molteplicità di differimenti ad ulteriori adunanze
per l'approvazione di un concordato fallimentare non inficia la validità del concordato stesso. (3)
(1-3) L'omologazione del concordato giudiziale nella nnova
legge 10 luglio 1930 n. 995.
La sentenza che annoto è interessante per le varie que stioni attinenti alla nuova legge sui fallimenti.
Il Tribunale, fra l'altro, ha ritenuto : 1° E' inammissibile un'opposizione al concordato, se non
si è citato il fallito, purse questi sia stato presente nella causa di omologazione (art. 836 cod. civ. e art. 17 1° cap., legge 10
luglio 1930). 2° Non si può ordinare la integrazione del giudizio con
la citazione al fallito (art. 17 della legge 10 luglio 1930, 2°
capoverso;. 3° Non nuoce alla validità del concordato il fatto che, per
giungersi alla conclusione, siano occorsi diversi rinvii.
I. — 11 primo punto va esaminato in rapporto al codice di
commercio che dalla nuova legge si differenzia, e in confronto di quanto è proceduralmente immutato.
Pel 2° cap. dell'art. 836 cod. comm., l'atto di opposizione a concordato dev'essere intimato al curatore ed al fallito con citazione a udienza fissa davanti al tribunale. Tale disposi
zione, non potestativa mk imperativa, è richiamata dal primo ca
poverso dell'art. 17 nuova legge : vecchie e nuove disposizioni sono eguali. Diiferenziano per quanto riguarda il giudizio di
omologazione. Pel codice di commercio infatti (Bonklli, Del fallimento,
II, n. 757): « proceduralmente il giudizio di omologazione è un
giudizio distinto dal giudizio di opposizione. La omologazione vien provocata con istanza in forma di ricorso, e si svolge con le norme della volontaria giurisdizione : l'opposizione viene
spiegata con citazione, e dà-luogo a giudizio in contraddittorio, vi sia o non istanza d'omologazione ».
Per la nuova legge, invece, (art. 17) « accertata l'approva
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