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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 11 luglio 1910; Pres. Cosenza, Est....

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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 11 luglio 1910; Pres. Cosenza, Est. Catastini, P. M. Cipollone (concl. conf.); Comune di Venezia c. Cadin

Udienza 11 luglio 1910; Pres. Cosenza, Est. Catastini, P. M. Cipollone (concl. conf.); Comune diVenezia c. CadinSource: Il Foro Italiano, Vol. 35, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1910), pp. 947/948-949/950Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23113027 .

Accessed: 28/06/2014 07:33

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947 PARTE PRIMA 94»

CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 11 luglio 1910; Pres. Cosenza, Est. Catastini,

P. M. Cipollone (conci, conf.); Comune di Venezia c.

Cadin.

Usciere — Contravvenzioni si regolamenti comunali —

Procedimento — Spese da anticiparsi dal Comnni

Limiti (L. 26 gennaio 1865, sul riparto delle pene

pecuniarie, art. 2, 6, 8; Tariffa penale 23 dicembre

1865, art. 134, 136, 172, 228).

I Comuni non sono tenuti ad anticipare agli ufficiali giu

diziari i diritti relativi ai procedimenti per contrav

venzioni ai regolamenti comunali, sebbene le penalità

riguardanti tali contravvenzioni siano di spettanza dei

Comuni stessi. (1)

La Corte, ecc. — Torna per la seconda volta in questa

sede la causa promossa dall'ufficiale giudiziario Giovanni

Cadin contro il Comune di Venezia al fine di ottenere

l'anticipazione dei diritti per aver notificato atti giudi ziari in procedimenti a carico di contravventori ai rego

lamenti di quel Comune. Col primo ricorso proposto dal

Comune medesimo il Supremo Collegio dovette esaminare

la questione generica, se emolumenti dovessero essere cor

risposti dall'Amministrazione comunale agli ufficiali giu diziari prima ancora del recupero ottenutone dai con

dannati, e decise negativamente con sentenza del 22 marzo

1909, annullando quella in senso contrario proferita dalla

Corte veneta, che aveva confermato il primo giudizio del

Tribunale locale favorevole al Cadin.

Rinviata la causa alla Corte d'appello di Firenze,

questa, con la denunziata sentenza, ha accolto l'appello del Comune, uniformandosi alla norma juris del Supremo

Collegio in quanto a quei diritti che hanno esclusiva

mente il carattere di spese di giustizia penale e che ri

guardano atti eseguiti dagli ufficiali giudiziari a richiesta dell'autorità giudiziaria; ma ha ritenuto obbligato il Co

mune ad anticipare loro i diritti per notificazioni di

sentenze e di precetti eseguiti a istanza dell'Amministra

zione municipale e diretti a fare entrare nella sua cassa

le somme dovute per pene pecuniarie, considerandoli come

atti per la riscossione forzata di proventi patrimoniali. Il Comune ha nuovamente ricorso, domandando l'an

nullamento anche di questa sentenza per errata interpre tazione degli art. 2, 6 e 8 L. 26 gennaio 1865 n. 2134

ed insieme per violazione dei principi di diritto conte

nuti negli art. 4, 136, 2° capov., 207, 208 e 228 della

tariffa penale. La sentenza, sulla nuova questione non proposta nel

l'esame del primo ricorso, riferendosi alle disposizioni della detta legge del 1865 e della tariffa penale, secondo

cui le pene pecuniarie e le oblazioni per contravvenzioni

ai regolamenti comunali sono devolute a profitto del ri

spettivo Comune, al quale spetta di procurarne la riscos

sione, fonda la sua ragione di decidere su questa unica

considerazione :

« Per queste riscossioni il Comune è obbligato a pa

gare l'ufficiale giudiziario, come vi sarebbe tenuto per

qualsiasi altro suo credito patrimoniale. La legge non ac

corda ai Comuni lo stesso privilegio che è dato allo Stato

(1) Cfr. l'altra sentenza della Cassazione di Firenze, fra le stesse parti, 1° aprile 1909 (Foro it., 1909, I, 1069), ricordata an che nel testo di quella che pubblichiamo, con i richiami alla

giurisprudenza precedente.

per la riscossione delle pene pecuniarie, e quindi esse non

possono pretendere per il loro esclusivo interesse patrimo niale l'opera gratuita degli ufficiali giudiziari ».

La Corte così è caduta in una petizione di principio sotto tre diversi aspetti, perchè dà come assiomaticamente

certe tre cose che avrebbe dovuto dimostrare, cioè: che

si tratti nella specie di un titolo di credito patrimoniale che la riscossione di tali pene pecuniarie ed oblazioni

non interessi lo Stato ; che invece interessi esclusiva

mente il Comune. Ora, per poco che la Corte avesse av

vertito la necessità logica di stabilire queste tre pre

messe, si sarebbe subito accorta della distinzione sostan

ziale da doversi tener presente fra il titolo, per cui i

debitori sono obbligati a pagare, e la destinazione final»

delle somme effettivamente incassate; fra l'interesse prin

cipale che serve d'impulso e di misura dell'azione legale

spiegata con gli atti eseguiti dagli ufficiali giudiziari, ed un qualsiasi cointeresse secondario nél buon esito di tali

mezzi coattivi ; fra la qualità pertanto spiegata dal Co

mune in rappresentanza dello Stato principalmente in

teressato e la sua qualità accessoria e concorrente di "pro

curator in rem suam, quando richiede l'ufficiale giudi ziario per la notifica di tali sentenze e precetti.

E la legge stessa che si presta testualmente a tali

distinzioni. Essa, nel determinare la sfera del diritto e

dell'azione del Comune, ha cura di usare locuzioni di un

significato così specifico ed univoco, da evitare quella con

fusione, in cui è caduto il magistrato di merito, fra il

quid juris della pena ed il quid faeti della somma do

vuta o pagata a quel titolo, perchè ha con precisione di

chiarato (art. 2, capoverso, della legge 26 gennaio 1865) che « apparterrà ai municipi il prodotto delle pene pe cuniarie e delle correlative oblazioni o transazioni per

contravvenzioni ai regolamenti comunali ». Il che importa che le pene pecuniarie e le oblazioni non rientrano nel

patrimonio giuridico del Comune finché rimangono un

quid juris sancito dalla legge e inflitto dal giudice; sol

tanto è suo l'utile che ne sia ricavato, il danaro coatti

vamente o volontariamente pagato a quel titolo, che è

appunto il prodotto del diritto di punire e dell'azione

giudiziaria. Anche le contravvenzioni ai regolamenti municipali

sono reati, la cui coercizione non è d'interesse locale,, ma generale dello Stato; e quando anche, in una ipotesi

insussistente, fossero perseguibili a querela di parte, l'azione per farli punire sarebbe sempre essenzialmente

pubblica (art. 2 cod. pen.), nè si potrebbe giammai con

fonderla con l'azione civile, che eventualmente può spet tare al Comune per la tutela o la reintegrazione di ben

altri diritti, sia patrimoniali, sia d'altro genere (art. 1,

3 ecc. cod. pen.). Però ognuno sa che quelli sono reati perseguibili

d' ufficio. Ora, se il diritto di punire è un diritto sovrano

dello Stato, e se l'azione penale è pubblica e si esercita

dai funzionari del pubblico ministero o dai pretori, tutti

gli atti, che valgono a realizzare quel diritto e a condurre

alla mèta quell'azione, debbono definirsi, quali sono, atti

di giustizia penale, eseguiti in nome e nell' interesse dello

Stato.

È un errore considerare fuori dell'orbita giurisdizio nale penale gli atti susseguenti al giudizio, quasi che

il diritto primitivo fosse soddisfatto e l'azione penale

compiuta con la mera condanna : per reintegrare l'ordine

giuridico turbato dalla mala azione del colpevole, qua

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<949 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 950

lunque sia, è necessario che egli effettivamente soffra il

corrispettivo male di passione ; e quando questo si debba

tradurre in una diminuzione di utilità economiche me

diante il pagamento di una somma in contanti, l'azione

diretta ad esigere tale pagamento partecipa dell'essenza

« dei caratteri oggettivi e soggettivi di quella spettante allo Stato per la dichiarazione della colpevolezza e per la determinazione della pena. Sia chiunque l'incaricato

di fare eseguire la condanna, l'esecuzione non cessa mai

di essere una funzione del P. M., senza distinzione di

reati e di pene (art. 144 della legge d'ordinamento giu

diziario); a lui incombe la vigilanza e l'eventuale inter

vento perchè nessun condannato penalmente sfugga al

l'osservanza della legge e del giudicato ; ed a lui devesi

in ogni caso far capo, perchè i condannati a pene pec u

niarie, insolventi, si non habent in re, luant in corpora.

{art. 594 cod. proc. pen.). Anche la tariffa penale an

novera le spese di esecuzione di sentenze tra le spese di

giustizia penale (art. 1, n. 10); ma poiché tali spese

sono quelle di fatto occorse per l'esecuzione, restano i

diritti di usciere indistintamente compresi fra le spese

di cui la legge non ammette l'anticipazione (ivi, n. 5 e

art. 3), ma che sono ripetibili soltanto dai condannati,

dai civilmente responsabili e dai querelanti desistenti

(art. 4). Dunque gli ufficiali giudiziari, legittimamente richiesti

di notificare sentenze e precetti in materia di contrav

venzioni municipali, agiscono sempre nell'interesse dello

Stato e per i fini della giustizia penale: nè alla loro fun

zione fa cambiare ragione e finalità la circostanza acci

dentale che in quei casi lo Stato affida l'esercizio della

sua azione al Comune, comecché direttamente, sebbene in

seconda linea, interessato all'osservanza delle proprie di

sposizioni e all' utilizzazione delle ammende pagate dai

trasgressori. Se è vero che per regola generale gli ordini

per le notificazioni di simili atti sono impartiti dagli

uffici giudiziari e cioè dai cancellieri (art. 205 e segg.

ivi), è altrettanto vero però che lo Stato non si vale

delle sole cancellerie giudiziarie per rendere effettive le

pene pecuniarie. Anzi, in rapporto alla riscossione delle

multe e ammende inflitte dai giudici penali gli stessi

cancellieri non funzionano come ufficiali giudiziari, ma

sono espressamente pareggiati dalla legge agli agenti

finanziari (ivi, art. 205) ed esercitano tali incombenze

con limitazioni, che è inutile indicare, poste nell'art. 7

L. 29 giugno 1882, nel cui ultimo capoverso fu perfino

data facoltà al Governo di concedere in appalto il recu

peramento delle pene pecuniarie ad appositi pubblicani.

Non occorre aggiungere che in certe speciali materie

vi provvedono le rispettive Amministrazioni.

Quanto alle ammende e oblazioni relative ai regola

menti provinciali e municipali, la citata legge del 1865

detta norme esecutive in termini, anche qui, di una per

spicua precisione ; poiché, mentre per le pene e oblazioni

il cui provento è incamerato dall'Erario, è adoprata nel

l'art. 5 l'espressione generica la riscossione e affidata agli

agenti delle Finanze, invece l'art. 6 specificamente di

chiara : « Ai tesorieri provinciali e comunali è commessa

la riscossione delle pene pecuniarie, ammende ed obla

zioni nell'interesse dei Comuni e delle Provincie, nei

termini dell'art. 2 », dimostrandosi con quella duplice di

zione che per gli agenti finanziari gli atti necessari ad

ottenere il pagamento di quei proventi erariali rientrano

nella sfera delle loro attribuzioni normali, e che le Ammi

Distrazioni comunali e provinciali, invece, fanno eseguire

questi atti per sommissione, ex lege dello Stato, pur fa

cendolo quali proeuratores in rem suam.

Tutto ciò non soltanto esclude qualsiasi ragionevole distinzione fra atti e spese di giustizia penale ed atti e

diritti d' usciere per esecuzione forzata civile, ma, tenendo

conto dell'essenza e dell'oggetto dell'azione esecutiva pe

nale, aggiunge altre e più evidenti ragioni a quelle già svolte da questo Supremo Collegio nella precedente de

cisione per negare all'ufficiale giudiziario il diritto a farsi

anticipare dal Comune qualsiasi emolumento per atti ese

guiti in procedimenti, siano in corso o definiti, contro i

trasgressori ai regolamenti municipali : fermo stante il

diritto di lui a ripetere dal Comune la soddisfazione di

ciò che quell'Amministrazione abbia effettivamente ri

scosso, congiuntamente con le ammende, anche per diritti

di notificazione delle relative sentenze e precetti. Non è

poi ufficio di questa Corte distinguere e precisare quali siano i diritti di usciere ripetibili per il tramite delle cancellerie e quali quelli di cui incombe al Comune, ri

chiedente degli atti, di procurarne l'esazione, e quali le

spese vive (p. es. di trasferta) pagabili subito, cosi dallo

Stato, come dal Comune. Dovendosi cassare la sentenza

per i motivi sopra esposti, è inutile prendere in esame

le considerazioni e disposizioni sugli altri punti in essa

decisi, come pure ogni diversa argomentazione svolta nel

ricorso.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 18 marzo 1910 ; Pres. Desenzani, Est. Milano

D'aragona; Cerucchi e De Ciechi (Avv. Testora,

Yalabrega) c. Cormani (Avv. Puricelli, Perrone).

Infortuni — Omessa asslenrazione — Aziono contro

l'Imprenditore — Prescrizione ordinarla (L. 31 gen

naio 1904, sugli infortuni del lavoro, art. 17, 31).

L'azione dell' infortunato contro 1' imprenditore per omessa

assicurazione non soggiace alla prescrizione eccezio

nale di un anno stabilita per le azioni dirette al con

seguimento dell'indennità d' infortunio, ma alla pre

scrizione ordinaria di dieci anni. (1)

La Corte, ecc. (Omissis) — Osserva che 1' unica que

stione su cui si soffermò la Corte di Milano si fu quella

relativa alla prescrizione, se questa cioè, preveduta dal

l'art. 15 della legge sugli infortuni del 1898 e dall'art.

17 testo unico 31 gennaio 1904, sia applicabile alle azioni

per danni derivanti dalla mancata assicurazione degli

operai da parte dell'imprenditore. La denunciata pro

nuncia lia creduto di accogliere e seguire l'interpreta

zione estensiva, nel senso che la prescrizione annale, in

quell'articolo contemplata, debba valere indistintamente

per tutte le azioni tendenti al conseguimento delle in

dennità stabilite dalla legge speciale, quella compresa

(1) Giurisprudenza controversa. Cfr. da ultimo in senso con

trario App. Eoma 18 febbraio 1910 (retro, col. 671) e App. Ge

nova 14 giugno 1909 (Foro it., 1909, I, 1400) con i richiami in

nota ; e in senso conforme, oltre ad una sentenza della mede

sima Cassazione di Torino 19 febbraio 1910 (Temi lombarda, 1910, col. 827), App. Genova 5 aprile 1907 (Foro it., 1907, I, 903) con

altra nota di richiami alla giurisprudenza precedente ed agli scrittori in materia, ai quali deve aggiungersi, in senso con

trario alla sentenza che pubblichamo, Oocito, Commento alla

legge sugli infortuni, n. 875.

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