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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 13 luglio 1908; Pres. Basile P., Est. De...

Date post: 08-Jan-2017
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Udienza 13 luglio 1908; Pres. Basile P., Est. De Santi, P. M. Mortara (concl. conf.); Onofri (Avv. Fani, Nevi) c. Rota (Avv. De Prosperis, Poli) Source: Il Foro Italiano, Vol. 33, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE (1908), pp. 1043/1044-1045/1046 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23111915 . Accessed: 18/06/2014 19:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.31 on Wed, 18 Jun 2014 19:51:30 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Udienza 13 luglio 1908; Pres. Basile P., Est. De Santi, P. M. Mortara (concl. conf.); Onofri (Avv.Fani, Nevi) c. Rota (Avv. De Prosperis, Poli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 33, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1908), pp. 1043/1044-1045/1046Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23111915 .

Accessed: 18/06/2014 19:51

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1043 PARTE PRIMA 1044

sto una serie di argomenti, coi quali, analizzandosi tutte

le proposizioni della sentenza della Corte, si cerca pro

vare di contenersi in essa tali erronee affermazioni, che

basti porle in confronto cogli atti e documenti prodotti,

e con quanto era stato dedotto ed accertato in giudizio,

por vedere come senza un preordinato disegno di dare

ad ogni costo causa vinta all' una più che all'altra parte la profferita decisione non poteva essere renduta.

Che una domanda di autorizzazione a proporre l'azione

civile contro magistrati, la quale sia fondata sopra simili

deduzioni, non può che essere rigettata ; imperocché per

istituire la detta azione occorre che i funzionari del

l'autorità giudiziaria, contro cui è diretta, si siano resi

imputabili di dolo, frode e concussione, come è dichia

rato nell'art. 783 cod. proc. civile.

Che nell'art. 786 viene prescritto al ricorrente d'in

dicare i fatti e i mezzi di prova. Che i fatti da indicarsi, quando trattasi di sentenza

arguita di dolo e di frode, sono evidentemente quelli nei

quali il dolo o la frode si sono concretate, e non già i

soli fatti della causa posti in relazione col modo onde sono

stati apprezzati e giudicati. Che quanto ai mezzi di prova, il pretendere che pos

sano risultare dal contenuto stesso della sentenza che af

fermasi di essere affetta da dolo, condurrebbe alla conse

guenza di potersi ritenere imputabili di dolo, di frode e con

cussione tutti i magistrati che avessero profferito una deci

sione errata, sol che l'errore potesse agevolmente eccepirsi.

Che dell'erroneità di una decisione, e delle violazioni

della legge che in essa si riscontrino, potrassi pure te

ner conto quando col dedursi i fatti estrinseci di dolo e

di frode fosse dato di rinvenire una correlazione tra il

provvedimento o la sentenza ed i mezzi illeciti che pres

so il magistrato siansi adoperati per ottenerli, ovvero

quando si possa stabilire con prove desunte da rapporti

estranei alla funzione del magistrato che egli nell'adem

pimento di queste funzioni abbia obbedito a colpevoli in

fluenze, da cui siasi lasciato determinare per pronunziare e provvedere nel modo come ha fatto.

Che del resto, se anche per poco si volesse attendere

a quello che il Finocchi è venuto deducendo nel suo ri

corso, risulterebbe manifesta la fallacia del suo assunto

all'effetto dell'azione civile contro i magistrati che hanno

profferito la sentenza a lui contraria; imperocché egli

non parla che di snaturamento di fatti, di violazioni di giu

dicato, di malgoverno delle prove, di prematura decisione

e di altre simili cose che sogliono costituire la materia

comune dei gravami ordinari, tra cui havvi anche quello della rivocazione.

Che, infine, per potere dimostrare secondo il proprio

parere la pretesa enormezza della sentenza della Corte

di Aquila, che dovrebbe esser segno del dolo e della frode

dei decidenti, il Finocchi ha dovuto fare una lunga e

minuziosa disamina di tutti i fatti della causa e di ogni

singola affermazione della sentenza ; sicché per venire

alla conclusione a cui mira il ricorrente dovrebbe la Corte

di cassazione rifar essa il giudizio e dichiarare che tut

t'altro avrebbe dovuto essere la sentenza, come se, ove

pure cotesta dichiarazione potesse essere fatta, ne dovesse

derivare la conseguenza di avere i magistrati di Aquila

giudicato la causa con dolo e con frode.

Che per le esposte considerazioni, e per quelle con

tenute nella requisitoria del P. M., che la Corte ritiene,

la domanda del Finocchi deve essere rigettata.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 18 luglio 1908; Pres. Basile P., Est. De San

ti, P. M. Mortara (conci.'conf.) ; Onofri (Avv. Fa

ni, Nevi) c. Rota (Avv. De Prosperis, Poli).

KesponsabilitA civile — Dolo — Danni Indiretti —

111* arci men to — Sequestro (Cod. civ., art. 1229, 1152).

L'art. 1229 cod. civ., che nel caso di doloso inadempi

meito contrattuale limita l'obbligo del risarcimento ai

soli danni che ne sono conseguenza diretta ed imme

diata, è inapplicabile in tema di responsabilità extra

contrattuale, per cui sono dovuti anche i danni deri

vati indirettamente da dolo dell'agente (nella specie :

per aver fatto un sequestro senza essere creditore). (1)

La Corte, ecc. — Osserva che il ricorso sia perfetta

mente fondato. E per fermo, se la Corte di Perugia aves

se detto soltanto che tra le posizioni di fatto, che escluse

dalla prova orale richiesta dall'Onofri, ed il sequestro

aseguito dal Rota a carico di costui non corresse il lega

me che passa tra la causa e l'effetto, non sarebbe stata

punto censurabile;'giacché è certo in diritto che in tema

di dolo (di cui deve rispondere nella specie il Rota, in

forza del giudicato 22 gennaio 1906, per avere operato

un sequestro pur sapendo di non esser creditore), come in

tema di colpa, contrattuale o non contrattuale, non si può

essere tenuto per ciò che non è conseguenza del proprio

fatto. Avrebbe poi importato mero apprezzamento, non

soggetto a riforme in sede di cassazione, il vedere quali

delle posizioni articolate per la prova rientrassero tra le

accennate conseguenze e quali non vi si potessero com

prendere. Ma la Corte di Perugia in tanto non riscontrò il nesso

di causalità in alcune delle ridette posizioni, in quanto

ritenne che ai danni dovuti per dolo fuori la materia

contrattuale fosse applicabile l'art. 1229 cod. civ., che in

aaso d'inadempimento contrattuale anche derivante da

dolo non vuole estesi i danni se non a ciò che sia una

conseguenza immediata e diretta dall'inadempimento; ed

in così dire cadde in manifesto errore.

Egli è vero che nessuna norma si trovi espressamente

dettata dagli art. 1151 e seg. cod. civ. per determinare il

danno prodotto col delitto o quasi delitto ; ma è vero al

tresì che nella materia contrattuale (cui per unanime con

senso della scuola si riferiscono gli art. 1228 e 1229) la

diminuzione di responsabilità, oltreché sia fondata su

motivi speciali, costituisce un'eccezione al principio fis

sato dall'altro art. 1227, che danno risarcibile sia ogni

perdita sofferta ed ogni lucro venuto meno, sì e come

è dichiarato nello stesso art. 1227.

Ora, quando l'art. 1151 prescrive che qualunque fatto

dell'uomo, che arreca danno ad altri, obblighi quello per

colpa del quale è avvenuto a risarcire il danno, eviden

ti Questa massima prevale nella giurisprudenza delle no

stre Oorti Supreme. Cfr. Cass. Firenze 18 febbraio e 17 giugno 1892 (Foro it., 1892, I, 432, con nota di richiami, e Rep. 1892, voce Responsabilità civ., n. 81), avvertendo però che la stessa

Corte ha deciso in senso contrario con la posteriore sentenza

27 marzo 1899 (id., Rep. 1899, stessa voce, n. 110) ; Cass. Paler

mo 26 luglio 1904 (id., Rep. 1904, predetta voce, n 176) ; Cass.

Torino 31 dicembre 1903, 9 maggio 1899, ecc. (ibid., nn. 177, 178,

e Rep. 1899 n. 109 della stessa voce) ; Cass. Napoli 3 ottobre

1896 (id., Rep. 1896, voce predetta, n. 141). Consulta per altre

decisioni i nostri Repertori annuali, alla citata voce Rcspon sabilita civile.

Per la dottrina cfr. Chironi, Colpa extra-contrattuale, vol. II, n. 404, e gli autori da lui citati.

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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE

temente non poue limitazione alcuna; esso vuole che sia

risarcito il danno. Nè alcuna limitazione si legge nel

seguente art. 1152, dove si stabilisce che ognuno sia re

sponsabile del danno, che ha cagionato non solo col fatto

proprio (ossia colla prava intenzione di nuocere ad altri, in che sta il delitto), ma anche per propria negligenza od imprudenza (in che sta la colpa o quasi-delitto). Ep

però, dovendo esser rifatto quello che la legge intende

per danno, secondo la definizione del mentovato art 1227, cioè il dannurn emergens ed il lucrum cessans, è arbitra

ria la distinzione tra conseguenze dirette ed indirette del

delitto o quasi-delitto, e per giunta essa induce in fre

quentissimi errori intorno ai veri danni risarcibili. La

regola è dunque che debba essere rifatto il danno, che

senza il delitto o quasi-delitto non sarebbe avvenuto : re

gola che vuol essere intera senza disconoscere la differenza

che passa tra il dolo, la colpa e la essenza della colpa

medesima, che è un fatto di commissione o di omissione, non accompagnato da rea intenzione e rapportato all'or

dinaria diligenza del buon padre di famiglia. Codesto rap

porto impone che nel caso di colpa, sia contrattuale, sit

aquiliana, non si possa rispondere che dei soli danni pre veduti o prevedibili da un uomo che abbia usato la di ! i

genza e prudenza del buon padre di famiglia ideale, e

che si sia trovato in identiche condizioni di colui al qual<

s'imputa la colpa. Ma invece nell'ipotesi del dolo vige la massima: malitiis non est indulgendum. Siano i danni

d privati direttamente dal delitto, siano conseguiti da que sto in via indiretta, l'autore del delitto non può sot

trarsi all'obbligo di risarcirli. Egli ha offeso il principio di diritto naturale del neminem laedere, senza che il dan

neggiato abbia potuto tutelare i propri interessi, come

gli sarebbe stato possibile nel caso di un contratto ; e

quindi non può invocare disposizioni d'ordine eccezionale.

A lui incombe un completo indennizzamento, purché rien

tri tra le conseguenze del fatto lesivo che volle compiere.

Questo principio è di tanta evidenza, che per poter

giustificare la distinzione tra conseguenze immediate e

dirette e quel che indirettamente proviene da fatto ille

cito, si è dovuto distinguere la causa determinante dalla

causa occasionale, ed i danni che fisicamente o logica mente possono dirsi indiretti e mediati, da quelli che

giuridicamente devono reputarsi diretti ed immediati. Pe rò simiglianti distinzioni, se possibili nella dottrina, non hanno pregio laddove si tratti di determinare i danni

dovuti a norma dell'art. 1152 cod. civ. vigente. In una materia senza dubbio non di facile intuizio

ne, il criterio indefettibile è che il danno debba essere

conseguenza del delitto e del quasi-delitto, vale a dire che senza di questo fatto illecito esso non abbia potuto avverarsi. Donde dipende per necessità logica che a tron

care il vincolo di causa ed effetto tra il fatto illecito ed il

danno lamentato, possa soltanto riuscire un successivo fatto illecito, che venga contrapposto quale vera causa

più prossima, e quindi determinante, del medesimo dan

no, e non pure il successivo fatto lecito del danneggiato. Era pertanto questo il compito che avrebbe dovuto

proporsi la Corte di merito; ed, in relazione all'anzidetto

compito, avrebbe dovuto indagare se i fatti articolati dal

l'Onofri per essere abilitato a provarli anche con testi

moni, fossero, ovver no, influenti alla decisione della cau

si, vale a dire se accennassero a danni che l'Onofri non

avrebbe potuto risentire quando il sequestro del Rota

non avesse avuto luogo. Essendo invece la Corte partita da principi erronei,

i motivi del ricorso, che ciò sostengono, devono essere

accolti, e deve essere cassata la sentenza denanziata.

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 9 marzo 1908; Pres. Basile P., Eat. Persico,

P. M. Coppola (conci, conf.) ; De Rosa (Avv. Car

letti) c. Cesarmi (Avv. Pericoli).

tuffetto cambiarlo — Firma In bianco — Circolazione

del titolo — Riempimento — Prescrizione — Oc

correnza (Cod. comm., art. '251, 919, n. 2).

ha cambiale in bianco circola validamente mediante la

consegna del titolo. (1) La prescrizione dell'azione cambiaria decorre dalla sca

denza che viene apposta sul biancosegno dal possessore che lo riempie. (2)

È perciò irrilevante la prova che la cambiale in bianco

sia stata consegnata a persona diversa dal possessore e in epoca anteriore a quella apparente dal titolo.

La Corte, ecc. — Attesoché il ricorrente De Rosa

fondi la censura di violazione degli art. 44 e 55 cod.

comm., nonché di mancata motivazione e di omessa pro

nuncia, sulla considerazione che la sentenza del Tribu

nale non avrebbe esaminato la questione che formava il

nodo della contestazione attuale, quella, cioè, circa gli effetti della prova della data delle cambiali diversa da

quella apparente dalle stesse, in rapporto alla prescri zione ; e denunci, poi, la sentenza stessa di violazione

degli art. 256 e 258 del detto codice per aver ritenuto

valida la consegna brevi manu delle cambiali in bianco, mentre per le due summentovate disposizioni di legge il passaggio della cambiale non si opera che mediante

girata, scritta sulla cambiale medesima.

Ma quando si ponga mente alle norme che, per con

corde dottrina e giurisprudenza, regolano l'istituto della

cambiale in bianco, facile cosa è il dimostrare che le de

dotte censure non hanno base giuridica. Infatti occorre anzitutto ricordare come nel silenzio

del legislatore circa il suddetto istituto siasi costante

mente ritenuto, tanto dalla dottrina, quanto dalla giuri

sprudenza, non essere stato dal legislatore inibito l'uso

della cambiale in bianco: e ciò si argomenta dal riflesso

che la legge commerciale non prescrive al traente o al

l'emittente, che intendono formare una cambiale, l'obbligo di apporre la firma loro nel foglio a ciò destinato dopo che il foglio stesso sia regolarmente riempito con l'in

dicazione dei requisiti che valgono a costituire la cam

biale; ma consente che queste indicazioni vengano scritte

tanto prima, quanto dopo la sottoscrizione del traente o

dell'emittente; non impone, quindi, alcuna regola di pre cedenza nella scrittura dei vari requisiti costitutivi della

cambiale.

Se però la legge non inibisce l'uso della cambiale in

bianco, non ne consegue che questa, finché rimane tale, debba ritenersi come produttiva degli eifetti giuridici che produce la vera e propria eambiale ; poiché fino a

(1) In senso conforme, da ultimo, Cass. Torino 2 dicembre 1907 (retro, col. 487, con nota di richiami).

(2) In senso conforme, da ultimo, Cass. Napoli 16 novem bre 1907 (retro, col. 56G, con nota di richiami).

Sulle due questioni risolute dalla presente sentenza con fronta puse la recente opera del Brunetti, La cambiale in bianco, p. 205 e 283.

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