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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 14 dicembre 1914; Pres. Giordani, Est....

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Udienza 14 dicembre 1914; Pres. Giordani, Est. Nola; X. c. Consiglio di disciplina dei procuratori di Napoli Source: Il Foro Italiano, Vol. 40, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE (1915), pp. 743/744-749/750 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23117149 . Accessed: 28/06/2014 07:33 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.0.146.150 on Sat, 28 Jun 2014 07:33:52 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 14 dicembre 1914; Pres. Giordani, Est. Nola; X. c. Consiglio di disciplina dei procuratori di Napoli

Udienza 14 dicembre 1914; Pres. Giordani, Est. Nola; X. c. Consiglio di disciplina deiprocuratori di NapoliSource: Il Foro Italiano, Vol. 40, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1915), pp. 743/744-749/750Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23117149 .

Accessed: 28/06/2014 07:33

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PARTE PRIMA

e la proprietà rimasta al rivendicante non è parola o

cenno nella legge, nè al magistrato, a cui incombe di

applicarla, è lecito aggiungere ad essa condizioni o re

strizioni di sorta. Si obbietta che la necessità della con

tiguità è nello scopo della legge (relazione Pisanelli) di

impedire la formazione di frastagli di proprietà poco adatti alla coltivazione e che rendono spesso necessa

rie gravose servitù di passaggio; ma è ovvio osservare

che, se il legislatore ebbe in vista anche tale vantag

gio, il più delle volte raggiungibile col solo fatto della

restituzione del frastaglio alla proprietà dalla quale era

stato staccato, il diritto di retrocessione fu sancito an

che per il riflesso, pure indicato nella detta relazione, che « siccome il sacrificio che si impone ai privati di

abbandonare forzatamente la loro proprietà è solo giusti ficato dalla esecuzione dell'opera pubblica, così, se i fondi

per essa acquistati non ricevettero tale destinazione,

giustizia e ragione esigono che sia fatta facoltà ai pro

prietari di riprenderseli ». L'Amministrazione appellante vorrebbe aggiungere una condizione, quella che il «so

pravanzo sia contiguo tuttora al fondo rimasto al pro

prietario», condizione che, come fu dimostrato, non

esiste nella legge e che non può quindi essere tenuta

in conto. E poiché gli eredi Paganini sono tuttora pro

prietari del fondo rimasto al loro autore dopo che ne fu

staccata quella parte che doveva servire all'esecuzione

dell'opera di pubblica utilità, ed è ora fuori di questione che il Paganini Domenico aveva fatto nei modi e ter

mini di legge la domanda per retrocessione del sopra vanzo in parola, è a ritenere che all'Amministrazione

della guerra incombesse di addivenire alla retrovendita, salvo decadenze non verificatesi, come è pacifico in causa, e che alienando invece il terreno ad altri, abbia violato

un obbligo dalla legge imposto a favore dell'espropriato, e nella specie del Paganini, e per esso defunto, dei suoi

eredi, con loro danno manifesto : onde una correlativa re

sponsabilità civile di essa Amministrazione verso costoro.

E all'uopo i Paganini sostengono, come fu già accen

nato, e ne formano oggetto di appello incidente, che la

proprietà dello stabile mai fu perduta dal loro autore a

seguito dell'avvenuta espropriazione, ma che rimase tut

tavia a lui, sebbene allo stato potenziale, in quanto la

espropriazione per pubblica utilità ha luogo sotto con

dizione risolutiva (causa data, causa non secuta), talché

debba essere loro restituito il terreno sopravanzato, ed

essi possono far valere tale diritto nei confronti di chiun

que, e così anche dei terzi acquisitori Berti e Corrani, senza che occorra trascrizione di titolo ; non in forza di

una ret#ovendita, ma del semplice verificarsi della con

dizione risolutiva, la proprietà del relitto ritornando sen

z'altro allo espropriato. Non è esatta la tesi degli eredi Paganini. Il diritto

di retrocessione non opera come una condizione risolu

tiva tacita inerente alla espropriazione. La teoria della

esistenza di una condizione risolutiva, accolta dal Pe

scatore, fu combattuta dalla pressoché unanime dottrina

e, ritiene la Corte, con argomenti inoppugnabili. Con

traddicono infatti ad essa i precedenti storici legislativi e la lettera della legge (art. 61), la quale, anziché usare

espressioni accennanti alla risoluzione della cessione, come

si verifica nella legge francese del 1841, parla di beni

che sono in condizione di essere rivenduti, dei proprie

tari che intendono riacquistare la proprietà, di deca

denza dalla preferenza che la legge accorda agli espro

priati e agli aventi ragione da essi; vi contrasta il ri

flesso che per disposto esplicito della legge (art. 60) il

prezzo dei fondi da retrocedersi deve essere o stabilito

amichevolmente dopo la domanda fra espropriante ed

espropriato, o, in difetto fissato giudizialmente dall'au

torità giudiziaria a seguito di perizia; che la legge, an

ziché parlare di risoluzione di contratto di fronte al

l'espropriato, impone all'espropriante uri'obbligo generico di rivendere il fondo con preferenza per l'antico proprie tario e suoi aventi ragione; vi si oppone il fatto che al

tri può essere l'avente diritto alla retrocessione, alte

rato può essere il fondo nelle sue parti, differente il

prezzo da quello primitivo. Onde fuori di dubbio riesce

che in conseguenza della espropriazione per pubblica

utilità si verifica un mutamento di proprietà definitivo,

e che la retrocessione, di cui è fatto obbligo allo espro

priante, è una vera e propria rivendita, indipendente dal

rapporto primitivo e alla quale corrisponde il riacquisto

per parte dell'espropriato.

Che se è a ritenere sia dato all'espropriato e all'avente

ragione da esso di esercitare in base al diritto di retro

cessione un'azione non di pura e semplice preferenza

contro l'espropriante, ma avente anche carattere di rea

lità, in quanto trattasi di un diritto sulla cosa e che su

di essa si esercita, pur tuttavia di fronte ai Berti e

Corrani. che aquistarono regolarmente dall'Amministra

zione della guerra il sopravanzo e trascrissero gli atti

relativi, e di fronte al disposto generale dell'art. 1932

n. 1 cod. civ., non può essere esercitata utilmente nè dal

Paganini, nè dalla appellante qualsiasi azione di riven

dicazione; talché non presentasi accoglibile l'istanza onde

si dichiari tenuta l'Amministrazione a ricuperare la zona

di terreno e a passarla agli attori Paganini dietro pa

gamento del prezzo. Nè può dirsi dimostrato che i Berti

e Corrani fossero acquisitori di mala fede. Essi pote

vano sapere che esisteva una domanda di retrocessione

da parte del Paganini, ma non già doveva essere noto

a loro l'esito che avesse avuto, e il fatto che la vendita

veniva compiuta da parte di una pubblica amministra

zione poteva indurre in essi la persuasione della lega

lità della vendita stessa; nel che conferma il riflesso

che, come è incontestato e risulta dai documenti di causa,

spesero somme non indifferenti nella costruzione di sta

bili sul terreno acquistato.

Consegue da tutto ciò che l'Amministrazione, la

quale, inoltrata nei modi e termini di legge dal Paga

nini la domanda di retrocessione, anziché addivenire ad

essa, vendette il fondo a terzi, debba rispondere in modo

equivalente del fatto illegale da lei compiuto, coll'emenda

dei danni che dal fatto medesimo siano a detti attori de

rivati. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

TORTE D'APPELLO DI NAPOLI. Udienza 14 dicembre 1914 ; Pres. Giordani, Est. Nola ;

X. c. Consiglio di disciplina dei procuratori di Napoli.

Avvocato • procuri»tore — Albo — Revisione — Ter

mini — Cancellazione di Iscritti — Professione di

ragioniere — Incompatibility eon quella di procu

ratore (L. 8 giugno 1874, sugli avvocati e procura

tori, art. 38, 43 ; Rag. relativo 26 luglio 1874, art.

12, 58).

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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE

Li revisione annuale dell'albo dei procuratori può essere

validamente fatta anehe oltre il mese di gennaio. In tale revisione può procedersi a cancellazione di procu

ratori dall'albo per ragioni di incompatibilità, anche

se preesistenti alla iscrizione, quando non siano state

tenute presenti nel provvedere alla iscrizione stessa, e

ciò sebbene questa sia slata effettuata in base a sentenza

della Corte d'appello. (1) La professione di ragioniere e incompatibile con quella

di procuratore e lo era anche anteriormente alla legge

15 luglio 1906.

La incompatibilità sorge dal solo fatto della iscrizione

nell'albo dei ragionieri, sebbene l'iscritto non eserciti

in fatto la professione.

La Corte, ecc. — Osserva che X, ricevitore del regi

stro a ripoio, in esecuzione di provvedimento di questa Corte del 3 agosto 1891 fu iscritto nell'albo dei periti contabili giudiziari del distretto.

Iu virtù poi di sentenza di questa Corte del 28 ago sto 1893 (non esibita), l'X fu con deliberazione 11 marzo

1895 dal Consiglio di disciplina dei procuratori iscritto

nell'albo dei procuratori.

Infine, dopo la entrata in vigore della legge 15 luglio

1906, che disciplina l'esercizio della professione di ra

gioniere, l'X chiese al locale Tribunale di essere iscritto

nell'albo dei ragionieri formato a seguito della nuova

legge. Il Tribunale, con provvedimento 29 maggio 1907,

rigettò l'istanza, ritenendo incompleta la documentazione,

ma, su reclamo dell'X. questa Corte, con provvedimento 29 maggio 1907, considerato che X aveva documentato

di aver esercitato per oltre dieci anni abitualmente le

funzioni di ragioniere, ordinò la sua iscrizione nell'albo

dei ragionieri della Provincia.

Senonchè, nel corrente anno, il Consiglio di disci

plina dei procuratori, dovendo provvedere alla revisione

e rinnovazione dell'albo per apportarvi le variazioni e

aggiunte a termini dell'art. 38 della legge 8 giugno 1874,

invitò X a dichiarare se intendeva persistere a rimanere

nell'albo dei ragionieri, nel quale caso si sarebbe trovato

in condizioni di incompatibilità a norma dell'art. 43 di

detta legge, che fa divieto di esercitare l'ufficio di pro curatore contemporaneamente ad altra professione. E con

deliberazione 20 luglio 1914 il Consiglio ordinò la can

cellazione di X, dichiarando però nel contempo sospesa la esecuzione della propria deliberazione per quindici gior

(L) Per il caso analogo, relativo alla facoltà del Consiglio di disciplina di riesaminare i titoli di iscrizione quando un pro curatore chiede di essere trasferito da uno ad altro collegio, cfr. in senso negativo Cass. Napoli 29 ottobre 1912 (Foro it., 1913, I, 88) con i numerosi richiami in nota, e in senso affermativo la stessa Corte d'appello di Napoli 27 gennaio 1913 (ibid., col.

515, con altra nota), nonché App. Milano 18 giugno detto anno

(id., Rep. 1913, voce Avvocato e proc., n. 35). Sulla estensione poi dei poteri dei Consigli di disciplina e

dell'ordine nell'eseguire le revisioni annuali degli albi, vedi in senso difforme alla sentenza qui riferita App. Trani 8 aprile 1910 (Foro it., 1910 I, 1173, con nota), e posteriormente App. Genova 24 agosto 1911 (id., Eep. 1912, voce Avvocato e proc., n. 9).

Infine, per la questione a cui la sentenza accenna per ana

logia, riguardante la facoltà di valutazione dei titoli di iscri zione nella revisione annuale delle liste elettorali, cfr. da ul timo Cass. Roma 21 novembre 1908 (Foro it,, 1908, I, 379) con i relativi richiami, e per la giurisprudenza posteriore la stessa Cass. Roma 12 dicembre 1909 (id., Rep. 1909, voce Elezioni, n. 62) e App. Trani 17 giugno 1910 (id., Rep. 1910, voce cit., n. 70).

dì, affinchè X avesse potuto dimostrare di aver fatto can

cellare il proprio nome dall'albo dei ragionieri. Avendo

X, con ricorso a questa Corte in data 30 luglio, impu

gnato tale deliberazione, il Consiglio di disciplina, con

altra del 23 settembre, reiterò l'ordine della di lui ra

diazione dall'albo. Anche questa seconda deliberazione

X ha impugnato innanzi alla Corte. Addì 7 dicembre il

ricorrente in camera di consiglio ha insistito per l'acco

glimento dei gravami, pel cui rigetto ha conchiuso il P. M.

Osserva che, in linea preliminare, X impugna la le

galità e ritualità del procedimento, adducendo che il Con

siglio di disciplina non ha punto il diritto di revisione straordinaria e difforme dall'art. 38 L. 8 giugno 1874

sulle professioni di avvocato e procuratore, mentre può solo procedere disciplinarmente contro quei procuratori che nel possesso di stato siansi resi colpevoli di alcuna

delle infrazioni punibili secondo gli art. 47 e seguenti della legge stessa.

Osserva che, a termini dell'art. 38 della legge pro fessionale 8 giugno 1874, ir lavoro di revisione e ap

provazione dell'albo dei procuratori è fatto al principio di ciascun anno, e, giusta gli art. 12 e 58 del relativo

regolamento 26 luglio 1874, nel mese di gennaio. Senon

chè codesta prefissione di «jpoca non può ritenersi peren

toria, sia perchè la perentorietà non è stabilita dalla legge, sia perchè, per ragioni facilmenti intuibili, il lavoro di

revisione e approvazione dell'albo può subire dei ri

tardi, che, sino a prova contraria, debbono ritenersi fon

dati su giustificati motivi; donde la legittimità della pro roga del termine dalla legge indicato al lavoro di revi

sione. Devesi perciò riconoscere mancante di fondamento

l'addebito di illegalità e di irritualità dei provvedimenti impugnati, in quanto fondato sull'esercizio da parte del

Consiglio del diritto di revisione al di fuori del termine

dalla legge prescritto. Osserva nel merito che X, con un primo ordine di

considerazioni, sostanzialmente adduce che essendo egli nel possesso e nell'esercizio della professione di contabile

o ragioniere riconosciutagli fin dal 1891, dato che fosse

sussistita la voluta incompatibilità fra tale professione di ragioniere e l'ufficio di procuratore, la medesima

avrebbe dovuto essere rilevata di ufficio nel 1893, dal

P. M., da questa Corte con l'anzidetta sentenza 28 ago sto 1893 e dal Consiglio di disciplina nel 1895, quando

procedette alla iscrizione ; per la qual cosa non si poteva dal Consiglio medesimo rilevarla dopo vent'anni, in diinno

di chi in virtù di giudicati si trova nel legittimo pos sesso di entrambe le professioni.

Osserva che in materia di diritto all'esercizio di pub blici uffici il giudicato che ne riconosca il possesso in

un subbietto ha sempre una efficacia più limitata di quella del giudicato che si forma nelle contestazioni civili e

patrimoniali. In queste, in relazione all'obbietto contro

verso, il giudicato copre il dedotto e il non dedotto, ùl

discusso e il non discusso. Nelle questioni invece con

cernenti il diritto a pubblici uffici, il cui esercizio è sot

toposto al possesso di titoli determinati, nonché al di

vieto del cumulo con altri uffici o professioni, il giudi cato formatosi sul possesso del titolo non copre le even

tuali ragioni di incompatibilità preesistenti le quali non

caddero in contestazione. A parte, invero, la diversità

concettuale e reale fra titolo e incompatibilità, la più

limitata efficenza dei giudicati ricognitivi dei titoli che dànno diritto all'esercizio del pubblico ufficio è una con

Il Foro Italiano — Anno XL — Parte 2-48.

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PARTE PRIMA

seguenza del volere legislativo ohe l'esercizio dei pubblici uffici non sia concesso, e, se concesso, non sia mantenuto

a coloro a cui favore non concorre la esistenza di uno

stato di fatto in tutto conforme a quello dalla legge pre

visto, intenzione fatta palese dalla facoltà di revisione

annua degli albi e delle liste.

La revisione, infatti, stabilita per l'albo dei procura tori e degli avvocati dalla legge professionale del 1874, dalla legge 16 giugno 1892 per la lista degli eleggibili all'ufficio di conciliatore, dalla legge elettorale politica e

amministrativa e da quella sulle Camere di commercio per le liste degli elettori, deve funzionare non solo per le

nuove iscrizioni e per cancellazioni dei morti, assenti e

rinunzianti, ma benanche riguardo a coloro che risul

tino incompatibili per cause preesistenti mai contemplate o sopravvenute.

Infatti il principio della permanenza delle liste, ora

mai legislativamente riconosciuto nell'art. 23 della vigente

legge comunale e provinciale, non permette che in sede

di annua revisione siano riesaminati i titoli in base ai

quali avvenne la iscrizione nelle liste, a meno che un

giudicato non ne abbia consunto l'efficacia, ma non è di

ostacolo alla cancellazione di coloro riguardo ai quali, da atto o documento non prima unito agli atti delle Com

missioni, risulti una legale ragione di incapacità ad es

sere mantenuto nella lista. E sempre nell'analoga mate

ria dei'diritti politici e amministrativi, la incompatibi

lità, se preesistente all'elezione, costituisce motivo di ine

leggibilità; se acclarata e messa in evidenza dopo, induce

decadenza, al pubblico ufficio elettivo. Ora, questi prin

cipi non possono non trovare applicazione nella interpre

tazione dell'art. 43 della legge professionale 26 giugno

1874, la quale per motivi e considerazioni di interesse

pubblico e sociale vieta che l'esercizio dell'ufficio di pro curatore sia cumulato con quello di altra professione ;

ond'è che se la sussistenza del motivo di incompatibilità è

causa di non iscrizione nell'albo dei procuratori se con

templata al momento in cui questa venne concessa, e se

sorta dopo l'iscrizione integra un motivo legittimo di can

cellazione, per la ricorrenza della medesima ragione della

legge e in coerenza delle cose superiormente dette, è uopo

riconoscere che la incompatibilità preesistente alla iscri

zione, ma non contemplata dal giudicato che dichiarò la

sussistenza del titolo per la iscrizione, po3sa essere in

ogni tempo rilevata qual causa legittima di cancellazione, ove chi si trovi di esservi incorso non la faccia venir

meno. A parte, invero, ogni considerazione di stretto di

ritto, non sarebbe nè giusto nè equo che il provvedi mento di cancellazione dovesse inesorabilmente colpire

quegli a cui riguardo la ragiou di incompatibilità sorse

posteriormente alla iscrizione e non raggiungere colui

che nello stato di fatto, che non gli avrebbe dato diritto

alla iscrizione, si trovava precedentemente al giorno in

cui questa ottenne.

E dal tin qui detto consegue che, non avendo il ri

corrente provato che la ragione di incompatibilità deri

vante dall'esercizio della professione di ragioniere fu di

scussa o altrimenti tenuta presente dalla sentenza di

questa Corte (non esibita), che nel 1893 riconobbe il suo

diritto alla iscrizione nell'albo dei procuratori, anzi ri

manendo un tale estremo escluso dalla sua deduzione

che la incompatibilità avrebbe dovuto essere e non fu

rilevata di ufficio, la sentenza medesima non possa es

sere invocata come ostativa all'esercizio da parte del Con

giglio di disciplina del diritto di cancellazione per incom

patibilità ; imperocché tale diritto, salvo l'ostacolo della

cosa giudicata fino a quando la ragione d'incompatibilità non sia venuta meno, può essere sempre esercitato dal

Consiglio esplicando la sua ordinaria attività ammini

strativa di annua revisione.

Osserva poi che non maggiormente fondato è l'altro

assunto del ricorrente, cioè che l'esercizio della ragio neria sia diventato una professione solo in virtù della

legge 15 luglio 1906, onde la incompatibilità sarebbe

sorta in epoca posteriore all'acquisto da parte sua, in virtù

dei provvedimenti e della sentenza summentovati, del di

ritto all'esercizio delle funzioni di contabile e dell'uffi

cio di procuratore. Codesto assunto, prescindendo da ogni altra contraria

ragione di diritto, è resistito dall'ovvio riflesso che an

che anteriormente alla legge 15 luglio 1906 l'esercizio

della ragioneria costituiva una professione. La citata

legge, infatti, non fece che dettar norme per l'eser

ciaio professionale, costituì la classe in collegio, ne

sancì taluni diritti e taluni doveri, ma non creò la pro fessione di ragioniere, la quale poteva essere esercitata,

ed era esercitata, da tutti coloro che avevano conse

guito il relativo diploma, oppure si trovavano nel pos sesso di equipollenti legali, così e come proprio a riguardo dell'X fu riconosciuto dal provvedimento di questa Corte

del 24 luglio 1907. E ohe l'esercizio professionale, poi, sia da parte dei diplomati, sia da parte dei possessori di equipollenti legali, integrasse un' incompatibilità al con

temporaneo esercizio dell'ufficio di procuratore, è cosa

di cui non si può dubitare, giacché l'art. 43 L. 8 giu

gno 1874 stabilisce in termini generici la incompatibilità con ogni altra professione, senza limitarla a quelle sols

professioni pel cui esercizio la legge prefigge l'apparte nenza ad un collegio; mentre, volendo riguardo agli im

pieghi limitare il divieto del cumulo agli impieghi pub blici, lo disse espressamente.

Cade così l'assunto che la incompatibilità sarebbe

stata determinata dalla legge 15 luglio 1906. E la falla

cia della premessa rende inattendibili le illazioni che,

partendo da essa, fa il ricorrente per dimostrare che la

legge nuova, da cui sarebbe scaturita una norma giuridica che avrebbe fatto sorgere una incompatibilità fra l'eser

cizio della professione di ragioniere e l'ufficio di procu ratore da lui fin allora legalmente posseduti, non possa,

pel rispetto dovuto ai diritti quesiti, essere applicata a

fatti compiuti sotto la legge anteriore, né scuotere l'ef

ficacia dei giudicati sotto quella legge formatisi.

Osserva infine che nemmeno giova al ricorrente ad

durre che la qualifica di ragioniere costituisca per lui

titulus sine re, perchè da diversi anni egli dedica tutta

la sua attività all'esercizio della professione legale, non

avendo più ricevuto dall'autorità giudiziaria incarichi in

dipendenza della sua qualità di ragioniere e non essen

dosi altrimenti occupato di affari di ragioneria, mentre

invece la incompatibilità deriva dal divieto di cumulo

di un duplice esercizio professionale.

Invero, in contrario non possono non farsi prevalere le ragioni messe innanzi nella impugnata deliberazione

del Consiglio di disciplina del 23 settembre 1914. Con

siderò quel Consesso che l'iscrizione nell'albo dei ragio nieri fa presupporre l'esercizio e che, nel caso, codesto

presupposto resta rafforzato dal comportamento di X, il

quale, invitato a farsi cancellare dall'albo dei ragionieri,

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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 750

vi si è negato, dimostrando cosi ohe egli tiene non solo

al titolo, ma anche all'esercizio della professione. E que

ste ragioni per la loro evidenza non possono non essere

adottate dalla Corte.

Osserva che in coerenza delle cose fin qui discorse

le impugnate decisioni debbono restar confermate.

Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI TORINO. Udienza 5 settembre 1914; Pres. Martinelli P.,

Solaro ; Ric. Campra.

Sottro — Atto pubblico — Dleblaraalone di rinuncia

al testimoni — Olehlaraglone fatta alla fine del

1 atto — OtntravvcDilond alla legge notarile — Pro

cedimento disciplinare (L. 16 febbraio 1913, sul no

tariato, art. 47, 48, 138).

Non contravviene alla legge notarile, e quindi non può

essere sottoposto a procedimento disciplinare, il notaro

che, invece di far risultare sul principio dell'atto l'ac

cordo delle parti di rinunciare all'assistenza dei testi

moni, ne fa risultare in fine, prima della menzione

della lettura dell'atto stesso. (1)

Li Corte, eoe. (Omissis) — Attesoché nel verbale del

<8 maggio 1914 d'ispezione, operata dal presidente del

Consiglio notarile di Mondovì e dal conservatore del

l'archivio degli atti notarili del biennio 1912-1913 del

notaro Felice Campra alla residenza di Murazzano, si

constatava che in dieci atti con le date del 4 al 29

del mese di luglio 1913 il notaro aveva fatto la menzione

dell'accordo delle parti per la rinuncia all'assistenza dei

testi alla fine, anziché in principio dell'atto, precedendo

però tale menzione quella della lettura dell'atto.

(1) — I. L'art. 47 della recente legge sul notariato 10 febbraio

1913, n. 89, stabilisce il principio generale che l'atto notarile

•debba essere ricevuto dal notaro in presenza delle parti e di

due testimoni. La nuova regola nulla muta sostanzialmente al

l'antico e risaputo precetto dell'art. 40 del t. u. 25 maggio 1879

n. 4900. Ma, come sotto 1' impero dell'abolito ordinamento vi

erano casi, previsti o dalla stessa legge o da particolari dispo

sizioni, in cui dei testimoni poteva farsi a meno; cosilo stesso

art. 47, ora vigente, contempla ipotesi nelle quali l'intervento

■ dei testimoni non è reputato necessario. Tali sono quelle in

dicate ai nn. 1, 2, 3, 4 e 5 dell'art. 1° e che si riducono ad atti

di volontaria giurisdizione, sia di competenza propria del no

taro, sia a lui commessi dall'autorità giudiziaria: i certificati

di vita dei pensionati e assegnatari dello Stato ; le autentica

.zioni delle firme apposte ai titoli all'ordine e generalmente a

tutti i titoli commerciali trasferibili mediante girata, come sui

certificati del debito pubblico. (1) La recente legge è andata ancora più avanti. Infatti con

l'art. 48 fu stabilito che per tutti gli atti fra vivi, tranne quelli

-aventi carattere di liberalità, come le donazioni, o ai quali libe

ralità possono essere connesse, come i contratti di matrimonio,

la parte o le parti abbiano facoltà di rinunziarvi sotto tre con

dizioni: a) quando sappiano leggere e scrivere; b) vi sia l'ac

cordo per la rinunzia ; c) non creda il notaro di richiederli a

tutela propria. A giustificazione della regola adottata, il Guardasigilli Fani,

nella relazione al Senato del 13 dicembre 1910, diceva che la

formalità dei testimoni aveva il suo fondamento nella garanzia

(1) L'art. 155 della legge del 1879 non richiedeva l'assistenza dei testi

moni nelle autenticazioni di firme apposte alle fedi di credito e polizze di

banco nelle provincie napoletane e siciliane, e l'assistenza era anche super

flua nelle divisioni giudiziarie per l'art. 888 cod. proc. civ. (ora lett. C del

-li. 4 dell'art. 1); nei tramutamenti di rendita intestata per la legge sul de

bito pubblico ; nei certificati di vita ai termini dell'art. 402 del regolamento -i maggio 1885, n. 3074 (ora n. 5 dell'art. 1). Conf. Michelozzi C., Il notariato

*italiano, 5a ediz., 1900, p. 187.

Era perciò chiamato il Garapra avanti il Tribunale

di Moadovi a rispondere di contravvenzione agli art. 47

e 138 della legge notarile vigente 16 febbraio 1913,

n. 89, contravvenzione dichiarata insussistente dal Tri

bunale colia sentenza del 4 scorso luglio ; donde il primo

sia delle parti che del notaro; sicché, quando le parti sono in

grado di comprendere quanto si stipuli e hanno fiducia nel

notaro, come questi in loro, la formalità stessa diventa del

tutto superflua. (2) Nulla aggiungevano di particolare la relazione dell'Ufficio

centrale (Astengo) del 13 dicembre dello stesso anno (3;; quella dell'on. Finocchiaro-Aprile, successo al Fani nell' ufficio di Guar

dasigilli (4), alla Camera dei deputati e l'ultima della Commis

sione parlamentare del 30 maggio 1912. (5) Invece ampia fu la discussione in Senato, dove il senatore

Polacco, ripetendo quanto già aveva esposto al li. Istituto ve

neto di scienze, lettere ed arti, sostenne la soppressione dei

testimoni anche nelle donazioni e nei contratti di matrimonio, e la loro riduzione nei testamenti. (6)

Ma il Ministro non accettò la sua proposta (7), poiché, a suo

avviso, ciò avrebbe importato una modificazione alle norme del

codice civile. Il motivo addotto, però, se poteva valere per i

testamenti e per quegli atti che trovano nei codice il proprio

ordinamento, non ne aveva alcuno per le donazioni (art. 1056)

e per i patti nuziali (art. 1382). Infatti nei loro rispetti il codice

si limita a richiedere ad essentiam l'atto pubblico, le cui for

malità poi sono fissate dalla legge notarile e non dal codice.

La causa della conservazione dei testimoni è da ritrovarsi

piuttosto nel pericolo della captazione e, se è vero tuttavia

che, quando intervengono il notaro e i testimoni, questa ha già

compiuto di regola la sua opera, come insegna il Polacco, non

è dubbio d'altra parte che la presenza di più persone può of

frire modo di sventarla (8), se non sempre, almeno qualche volta.

E questa sola ragione basterebbe a difendere la norma

adottata. La legislazione italiana nell'abbandono di formalità inutili,

rileva anche il Polacco (9), fu preceduta dall'austriaca e dalla

francese. L'ordinamento notarile austriaco del 25 luglio 1871 [i?. G. Bl.,

n. 75] (10; dispone in modo generale che l'intervento dei due

testimoni o di un altro notaro sia necessario in quattro casi :

a) quando si tratti di contratto ereditario o di una dispo

sizione di ultima volontà;

b) quando una delle parti non sappia scrivere (11) ;

c) non conosca la lingua in cui l'atto è ricevuto (12);

d) sia cieca (13), sorda o muta. (14)

(2) Senato, doc. 11. 397, Leg. XXIII, Sess. la. Nel progetto Gallo del

27 novembre 1906 (Senato, doc. n. 387) i testimoni erano mantenuti e solo

si ammettevano a tale ufficio i praticanti e amanuensi del notaro.

(3) Senato, doc. n. 397 A.

(4) Camera, doc. 1163, Leg. XXIII, Sess. la.

5) Camera, doc. n. 1163 A. Ne fu estensore l'on. Camera.

(6) Senato, Discussioni, tornata del 9 maggio 1912. Per la memoria del

Folacco, L'assistenza di testimoni negli atti notarili, vedi A Iti del 11. Istituto

veneto, vol. LXX, parte 2a, p. 403-415, e Riv. di dir. civile, IV, 1912, p. 69-79.

Contro la proposta del Polacco parlò anche il senatore Bensa.

(7) Senato, Discuss., tornata del 10 maggio. (8) Le critiche dell'illustre professore dell'Ateneo pavese a noi sembra

che tocchino più le qualità personali dei testimoni, da lui chiamate comparse,

che l'istituto in sè stesso. Anche il Degni (Commento alla legge sul nota

riato e sugli archivi notarili, Ito ina, 1913, p. 114) ripete in fondo quel che il

Ministro aveva esposto. (9) Op. cit., in Riv. di dir. civ., IV, 1912, p. 74.

(10) Gesetz, betreffend die JEinfuhrung einer neuen Notariatsordnung. Si

confronti anche Fbiedhann E., Die Gerichtsorganisatìon und das Justizper

sonale, in Fkiedmann, Sandig und "Wach, Das oesterr. Reeht, Wien-Berlin,

1905, vol. Ili, p. 193 e segg. In Austria i notori, oltre a conferire agli atti

pubblica fede, possono, giusta la legge 21 maggio 1855 (R. G. 111., n. 99),

assumere le funzioni di commissari giudiziari, nel quale caso lo Stato è re

sponsabile per gli atti da loro compiuti giusta i principi consacrati dalla legge

12 luglio 1872 (R. G. Bl:, n. 112). Possono anche essere incaricati di presen

tare ricorsi stragiudiziali presso tutte le Autorità.

(11) La legge parìa solo di parte che non sappia scrivere, perchè si pre

suppone che il saper scrivere importi di saper leggere.

(12) Non è da dimenticare che l'Austria è paese di diverse nazionalità.

Si confr. il § 62, dove si regolano gli atti redatti in lingua non abituale nel

luogo dove il notaro esercita il proprio ufficio.

(13) Pei' i ciechi vedi il § 59.

(14) Per i sordi, i muti e i sordo-muti vedi i §§ 60 e 61.

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