Udienza 17 decembre 1883; Pres. ed Est. Corsi —Bertocci (Avv. Michelozzi) c. Regiocommissariato per la liquidazione dell' asse ecclesiastico (Avv. Orsini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 9, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1884), pp. 37/38-43/44Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23090555 .
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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE
se ciò non è da ammettersi per gl'immittenti di ge
neri di consumo, con maggior ragione non é da am
mettersi per la temporanea immissione non soggetta a dazio, e maggiormente per la sfarinazione dei ce
reali; su di che, dalle possibili frodi potrà 1' appal tatore garentirsi con le dichiarazioni fatte ai suoi
agenti all'introduzione dei generi; mercé la vigi
lanza ed il controllo degli agenti medesimi; e degli
istrurnenti per la pesa esistenti nel molino ed ap
partenenti al mugnaio ed al.Governo, ed uniforman
dosi, pei carichi voluminosi, all'articolo 12 delle i
struzioni ministeriali del 2 ottobre 1870 per non ves
sare gli avventori.
Altro motivo di appello, comune al municipio ed
allo appaltatore daziario, riguarda il 2. o capo dulia
sentenza relativo ai danni ed interessi. Osservato in
proposito, che la responsabilità del risarcimento dei
danni-interessi se è riconosciuta dall'art. 1151 c. c
per un fatto colposo di colui contro del quale si do
manda, non può nella specie di questa causa rite
nersi, non potendo riconoscersi colpa, anche lieve, in chi ha supposto conforme alla legge un regola mento a lui restituito approvato dalla deputazione
provinciale, e la cui trasmissione al Ministero non
era posta a suo debito, e ciò per la responsabilità del municipio; molto meno poi può ritenersi respon sabile l'appaltatore, non ostante il suo interesse di
concorrente a paralizzare la industria del Maione, essendo egli chiamato dal capitolato di appalto alla
osservanza del regolamento municipale, della cui il
legalità non dovea farsi giudice; d'altra parte il
Maione non indica gli elementi del danno sofferto:
e se questo, come pare, consiste nell'allontanamento
degli avventori dal suo molino, immense difficoltà di
liquidazione insorgerebbero per determinare il nu
mero degli avventori e le qualità dei generi che vi
avrebbero portato a molire, tanto più che trattasi d*
un molino di nuovo impiantato e tuttavia mancante
di accorsatura. Si ha dippiù che la denuncia dell'a
pertura del nuovo molino è della fine di novembre
1882, ed un provvedimento immediato sullo invito
fatto al municipio per modificarsi un regolamento fatto molto tempo prima che il molino sorgesse, non
era opera di pochi giorni, né facile, trattandosi di
un corpo morale sottoposto ad altra autorità. In
conseguenza per questa parte va accolto l'appello.
CORTE D'APPELLO DI PERUGIA, Udienza 17 decembre 1883; Pres. ed Est. Corsi —
Bertocci (Avv. Michblozzi) c. Regio commissariato
per la liquidazione dell' asse ecclesiastico (Avv
Orsini).
Monaco — Pensione — Corporazioni di Roma —
Professione di voti — Sacerdote delia congre gazione — Vailombrosiaua di S. Benedetto (L. 19 giugno 1873, art. 12, 13).
Per avere diritto alla pensione concessa dall'arti colo 12 della Legge 19 giugno 1873, i religiosi delle corporazioni soppresse in Roma devono, oltre
le altre condizioni prescritte dal successivo arti colo 13, provare innanzi tutto d' aver fatto pro fessione di voti secondo le regole del loro istituto
prima della presentazione dtlla stessa legge in
Parlamento.
Quindi un sacerdote che pretenda appartenere alla
congregazione Vallombrosiana di S. Benedetto non può valersi delle regole di altre congregazio ni religiose regolari e secolari, ma deve esclusi
vamente riferirsi a quelle della congregazione cui volle aggregarsi per dimostrare la sua qua lità di religioso professo agli effetti della legge suddetta.
Ad acquistare il carattere di religioso professo vai
lombrosiano non bastano la qualità di oblato, la
vestizione dell' abito e meno ancora la professio ne tacila, richiedendosi per le costituzioni dell'or'
dine stesso la professione espressa dei voti sem
plici e solenni.
La Corte, ecc. — Considerando cho la legge 19 giu
gno 1873, dopo d' avere all'articolo 12 fissata la mi
sura delle pensioni dovute ai religiosi ed alle reli
giose delle corporazioni soppresse nella città di Roma, col successivo art. 13 dispone, che « avranno diritto « alle dette pensioni i religiosi e le religiose delle « corporazioni che prima della presentazione di que « sta legge in Parlamento abbiano fatto professione « di voti secondo le regole del loro istituto, e che, de « nunziati come appartenenti alla casa nelle schede
« compilate per la legge del 20 giugno 1871, n. 297, < si trovino alla pubblicazione della presente legge « o conviventi nella casa stessa ò assenti da essaper « regolare permesso dei loro superiori », e all' arti
colo 15 del relativo regolamento si legge che, « nel
« termine stesso di tre mesi i religiosi e le religiose « dovranno produrre per conseguire la pensione:
« 1. l'atto di professione; < 2. l'atto di ordinazione in sacris per i religiosi
e sacerdoti ».
Ond' è manifesto che tre essenziali condizioni si ri
chiedono ad ottenere la stabilita pensione, e cioè:
1. la professione di voti fatta secondo le regole del proprio istituto prima della presentazione della
legge in Parlamento;
2. l'iscrizione del religioso come appartenente alla casa soppressa nella scheda compilata per la leg
ge 20 giugno 1871 sul censimento; 3. la sua convivenza nella casa stessa o l'assen
za con regolare permesso del suo superiore al mo
mento della pubblicazione della legge. Considerando che, verificatesi nel caso del Bertocci
la seconda e terza delle suindicate condizioni, tutta la
indagine si .compendia nella prima, e cioè nel ricer
care se egli abbia effettivamente fatto professions di voli secondo le regole del suo istituto prima della
presentazione della legge in Farlamento, lo che av
venne per opera del ministro di grazia e giustizia e
dei culti De-Falco nella tornata del 20 novembre 1872.
Che, per espressa disposizione della suddetta legge, rimanendo il Bertocci vincolato alle regole dell' isti
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PARTE PRIMA
tuto della congregaz. Vallombrosiana cui volle aggre
garsi, non può egli valersi di quelle di altre congre
gazioni religiose regolari e secolari per dimostrare
la necessaria qualità di religioso professo, essendo
manifestamente contrario alla ragione canonica e
civile che un solo e medesimo individuo voglia ap
partenere alla personalità giuridica di un ente, e ad
un tempo mutuare da istituti distinti le prerogative
che meglio abbiano a corrispondere ai propri interessi.
Che in una materia in cui può facilmente confon
dersi T ascetismo religioso chiuso nell'imperscrutabile
santuario della umana coscienza colle aspirazioni rese
palesi per forme estrinseche, era ben naturale che'
il legislatore italiano abbandonasse il primo al re
gime della teologia e delle ecclesiastiche discipline,
limitando alle seconde i suoi provvedimenti, affinchè
i principii di equità e di giustizia che lo avevano
guidato nel concedere il ristoro della pensione non
rimanessero guasti e sfruttati dalla frode. La quale
era a prevedersi farebbe le sue prove tosto che nel
conflitto fra gì' istituti civili ed i religiosi dovessero
questi subire la trasformazione imposta dalle mutate
condizioni economiche e politiche della moderna società.
Che quindi lo esame nella presente causa vuol' es
sere esclusivamente circoscritto alle regole onde si
opera l'incorporazione della persona tìsica nell' or
dine religioso dei monaci di Vallombro.sa. Se il suc
citato articolo 13 col più largo ed insieme più pre
ciso suo dettato di « professione di voti secondo le
regole del proprio istituto » ha risparmiato ai reli
giosi di Roma le questioni alle quali porgeva facile
occasione il testo dell' articolo 3 della precedente
legge 7 luglio 1866, che richiedeva « la professione
di voti solenni e perpetui », lungi dal perm.ttere, ha
invece reso impossibile di confondere un istituto col
1' altro, e più ancora di obbligare 1' uno ad accet
tare le regole dell' altro. Egli è dunque manifesto
che il Bertocci per ottenere la pensione doveva pro
vare di aver fatto professione di voti secondo le co
stituzioni della congregazione di Vallombrosa ed e
sibire il relativo atto.
Considerando che, giusta le suddette costituzioni
informate alla regola di S. Benedetto e meglio chia
rite pòi decreto 1. gennaio 1658 del sommo ponte
fice Alessandro VII, la congregazione monastica di
cui è parola riconosceva tre distinti ordini religiosi,
e cioè i sacerdoti, I coristi, ed i conversi; ai quali
gradi ed uffici si giungeva per mezzo del noviziato.
— Vi si trovavano altresì gli oblati soliti a riceversi
nella stessa religione, e questi erano tenuti a pra
ticare l'osservanza medesima dei conversi, essendo
al pari di essi monaster iorum aliarumque regula
rium domorum servientes. Se non che cotesti oblati
vi rimanevano temporaneamente aggregati e non fa
cevano professione di vernna sorta di voti. Il novi
ziato pertanto regolato dal capitolo LX, prima parte,
delle costituzioni Vallombrosiane era la prova indi
speusabile per i coristi, per quelli cioè che avessero
potuto a suo tempo ricevere gli ordini sacri, e lo
era pure in modo separato pei laici che aspiravano
a divenire conversi: i quali prima di far l'anno della
probazione dovevano per quattro anni almeno por tare l'abito religioso, e quindi, a seguito di esame, ap
provati che fossero, emettevano professione di voti
semplici, e dopo altri tre anni di perseverante eser
cizio nella regola, quella di voti solenni. In questa forma si avevano i religiosi conversi, che però non
potevano giammai passare allo stato ed all'abito dei
coristi. Questi, dappresso accurato esame sostenuto
innanzi ai superiori dell'ordine, venivano ammessi
all'abito di probazione, purché oltre i requisiti com
provanti la loro ottima moralità « saltern decimum
« quintum annum expleverint et gramatieatibus ru
« dimentis instructi fuerint, ed ad unguem serven
« tur ea quae S. Pater Benedictus praescribti in re
« gula caput LVIII de disciplina suscipiendorum fra
< ti-um et forma sacrorum canonum Concilii Triden
« tini ». E la regola di S. Benedetto, nel succitato
capo LVIII, voleva che i novizi fossero rigorosamente
esperimentati sulla loro vocazione e sui tre sostan
ziali voti di povertà, castità ed obbedienza per tre
distinti periodi di tempo a distanza di due, di sei
e di quattro mesi, e qualora vi persistessero dove
vano fare solenne promessa d'obbedienza innanzi a
Dio con petizione scritta a nome dei santi e dell' a
bate presente ponendola colle proprie mani sull'al
tare e proferendo ad alta voce il verso « Suscipe me
«■ Domine séeundum eloquium tuum et vivam et non
« confundas ab expectatione mea », al qual verso
tutto il convento rispondeva per tre volte « Gloria
Patri ». Poscia il novizio era accolto nella congre
gazione, spogliato de' propri abiti e vestito di quelli
del monastero. Cosi incominciava l'anno di proba
zione, dopo il quale soltanto, giusta le prescrizioni
del sacro concilio di Trento, sess. XXX, l)e regul. et
mon., cap. 15, permettevasi la professione di voti
semplici, e scorsi tre anni da tale professione i co
risti potevano esser promossi agli ordini sacri ed
ammessi alla professione di voti solenni. — Queste
e non altre erano le regole onde aveva luogo la pro
fessione dei voti nella congregazione Vallombrosia
na, e solo coll'osservanza delle medesime prendeva
consistenza fra il religioso e la stessa famiglia mo
nastica quel vincolo o meglio contratto bilaterale, in
virtù del quale il primo obbligavasi a consacrare
interamente mediante i tre voti summentovati la
propria persona ed i propri beni alla religione, e
questa alla sua volta assumeva l'impegno di ali
mentarlo e proteggerlo. D'onde poi sorgeva nello
Stato succeduto al monastero soppresso l'obbligo di
corrispondere al religioso professo la monastica pen
sione. E le suaccennate regale ricevevano a' nostri
giorni l'autorevole suggello dell' enciclica « Neminem
latet...», 19 marzo 1857, del sommo pontefice Ho IX,
che a norma generale delle congregazioni religiose
regolari prescriveva che « professi post triennium a
« die quo vota simplicia emiserint computandum si
« digni reperiantur ad professionem votorum solem
« nium admittantur ».
Il libro delle professioni prodotto dalla Giunta li
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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE
quidatriee prova come fino al dicembre 1872 la fa
miglia dei monaci di Vallombrosa in S. Prassede fa
cesse costantemente col cerimoniale prescritto dalle
costituzioni della congregazione e nei determinati
tempi la duplice professione dei voti semplici e solenni.
Che non avendo il sacerdote Bertocci fatto nella
congregazione suddetta la professione dei voti se
condo le suesposte regole di cotesto istituto, non po teva ottenere la pensione che gli venne colla sen
tenza appellata attribuita.
Che vanamente egli pretende di avere acquistato la qualità di religioso professo Vallombrosiano: 1. per la sua qualità di oblato; 2. per l'abito che ne vesti;
3. per la professione tacita.
Che gli oblati soliti, come già si disse, a riceversi
fra i mouaci dì Vallombrosa, erano quelli che senza
professare i voti osservavano la regola monastica
nel convento in cui venivano ammessi vestendone
l'abito e rimanend o in libertà di deporlo per uscire
a loro posta dalla congregazione in cui bramarono
di entrare. I quali, addetti agli umili uffici della fa
miglia religiosa, erano collocati fra i conversi e rico
nosciuti per oblati non piene , a differenza dogli oblati piene, che professavano i tre roti, ed indos
savano l'abito religioso. « Distinguantur oblati piene « qui se et sua dederunt religioni prostendo tria
« vota et assumendo habitum religiosum ab oblatis
« non piene qui se obtulerunt sine votis sed per « habitus tantum assumptionem ». Non potendosi ammettere che il Bertocci nella sua qualità di sacer
dote intendesse di aggregarsi alla religiosa famiglia in S. Prassede colla troppo modesta qualità di oblato
non piene, ó forza ritenere che vi entrasse e vi fosse
ricevuto secondo la regola contenuta nel capitolo LX delle costituzioni sotto la rubrica. « Dei sacer
doti che vorranno abitare nel monastero », col sem
plice obbbligo di osservarne tutta la disciplina e salvo
a farne poi la professione. Oiid'ó che, a volere anche
por questa speciale condizione concessa al Bertocci
riconoscere a lui la qualità di oblato come gli fu
impropriamente attribuita dal procuratore Gai, a
vrebbe soltanto potuto competergli il carattere di
oblato piene, ma solo quando avesse egli fatto la
professione del triplice voto. Se non che questa
professione egli non la fece nè la poteva fare, e lo dichiarò apertamente a caso vergine il padre vi
cario, il quale, alla data del 22 settembre 1873, presen
tando, in obbedienza al precetto dell'articolo 14 del
succitato regolamento, alla {Giunta liquidatrice in uno al prospetto dei beni anche l'elenco nominativo delle persone appartenenti alla casa soppressa, dopo d'avervi iscritto senza veruna qualifica il nome del
Bertocci, il solo che non si leggesse mutato per l'in
gresso in religione, aggiungeva sul suo conto la se
guente annotazione, la quale e per l'autorità della
persona riconosciuta dalla leggo, e per l'uso cui era
destinato i'elenco medesimo, e pel tempo in cui ve niva scritta merita pienissima fede: « 11 Bertocci « non ha per legge diritto ad alcuna pensione perchè « non fu in tempo a fare la professione solenne »;
e la stessa annotazione si estendeva a due laici che
però avevano fatta là professione di voti semplici col cambiamento del nome di battesimo, ma non
l'avevano per anco emessa di voti solenni. Impe rocché, secondo fu già dimostrato, il carattere vero e proprio di religioso professo Valiombrosano non si
acquistava se non coll'emissione dei voti solenni. Ed
a ritenere che cotesta annotazione fosse giusta ed
esatta, oltre la competenza del superiore che la scri
veva, s'aggiunge altresì un fatto desunto dal libro
delle memorie del monastero, per quanto risulta dal
certificato notarile prodotto dal patrocinio del tìer
tocci, e cioè « che nella mattina dell'undici aprile « 1872 il padre abate generale in cotta e stola diede < l'abito di oblato privatamente in sacrestia al sacer « dote don Giuseppe Bertocci che da vario tempo « aveva chiesto di aggregarsi alla famiglia Vallom « brosiana ». E per vero questo atto poteva unica
mente stabilire colla sua data il punto di partenza del termine all'anno di probazione tosto che la sem
plice assunzione dell'abito senz' altra cerimonia e
senza veruna professione non doveva secondo le re
gole delle costituzioni Vallombrosiane fuor di questo avere altro valore. Ora dal 11 aprile 1872 al 20 no
vembre dello stesso anno, epoca della presentazione della legge di soppressione in Parlamento, appena erano corsi sette mesi, e perciò non potendosi più
compiere l'anno della probazione richiesta a pena di
nullità a fare la professione dei voti, era venuto
meno il tempo utile all'uopo stabilito dalla stessa
legge. Né meno significanti furono le dichiarazioni
del padre generale Gai contenute nella sua lettera
23 ottobre 1876 diretta alla Giunta liquidatrice che
gli chiedeva in proposito opportuni schiarimenti. Egli,
pur mostrando di voler favorire le pretese del Ber
tocci, non potè fare a meno di confermare la suindi
cata annotazione, e di aggiungere che gli oblati
nella congregazione Vallombrosiana non facevano
professione come non la fece il Bertocci. E tutto ciò
prova come niuna fede meritino, se pur non doves
sero per la loro forma respingersi, i certificati dei
reverendi padri Perini, Orsini e Sala, succeduti in
S. Prassede negli anni 1880 e 1881, i quali riferen
dosi alla vestizione del Bertocci nell'aprile 1872, e
poca in cui i medesimi neppure facevano parte di
quella famiglia religiosa, si permisero asserire che
egli in quel giorno aveva emesso i voti nella qua lità di oblato. Era poi facile persuadersi che la di
mora del medesimo nella casa di S. Prassede non
datasse da tempo così lungo come si voleva far cre
dere, imperocché le lettere testimoniali dell'Ordi
nario di Pistoia e del cardinal vicario di Roma, senza le quali, giusta il decreto 25 gennaio 1848'
del sommo pontefice Pio IX, nemo ad habitum
religiosum admittitur, hanno la data del li e 22
marzo 1872.
Considerando che neppure la vestizione dell'abito
religioso può favorire l'assunto del Bertocci, essendo
la medesima, secondo le costituzioni Vallombrosiane, come lo fu per lui, il primo atto della probazione.
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PARTE PRIMA 44
Che neppure può giovarsi il Bertocci della tacita
professione, mancandone i requisiti voluti dalle ca
noniche dottrine ed essendo questa esclusa affatto
dalle regole dianzi ricordate delle costituzioni Val
lombrosiane. Se non che le dispute che sul proposito
lungamente si agitarono tra i dottori, segnatamente
per la più giusta interpretazione da darsi al testo
del cap. 1° ses. 25, de Regul. del concilio Tridentino,
ornai riescono oziose dopo la declaratoria del pon
tefice Pio IX alla suaccennata sua enciclica « Ne
minem latet », nella quale leggesi che « ad valide
« emittenda vota solemnia post vota simplicia re
« quiritur professio expressa: et ideo professio ta
< cita omnino abrogata est ». Che poi nelle congre
gazioni religiose regolari come quella dei Vallom
brosiani, la professione non fosse perfetta e quindi non
spogliasse interamente dei diritti civili i profitenti
fino a che non avessero eglino emesso i voti so
lenni, lo disse lo stesso sommo pontefice nella sud
detta declaratoria: « Professi votorum simplicium
« dominium radicale uti ajunt, suorum honorum re
« tinere poterunt, sed eis omnino interdicta est eo
« rum administratio, redditorum erogatio atque usus.
« Debent profitentes ante professionem votorum sim
* plicium cedere pro tempore quo in eadem votorum
« simplicium professione permanserint administra
« tionem et usufructum et usum quibus eis placuerit,
« ac etiam suo ordini si ita pro eorum libitu exi
« stimaverit ». Considerando che per le cose fin qui
discorse è forza concludere che il sacerdote Bertócci
non fece prima della presentazione in Parlamento
della legge 19 giugno 1873 professione di voti se
condo le regole della congregazione Vallombrosiana
cui volle aggregarsi, e che quindi a lui non poteva
competere la pensione concessa colt'articolo 13 della
stessa legge.
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI ROMA.
Udienza 16 giugno 1883, Pres. Santelli fT., Est.
Nakdi-Dei — Mastai-Ferretti c. Finanze.
Pontefice — Sovranità — notazione della Santa
Seilc in virtù della legge 13 maggio 1891 —
Arretrati — Patrimonio ed eredità del Sommo
Pontefice.
La Santa Sede è giudice unico, supremo e insinda
cabile, di ciò che alla sua vita interiore ed este
riore meglio convenga.
Essa è inoltre, un ente sovrano, la cui adesione ai
provvedimenti presi dallo Stato in suo confronto
non può da questo venire imposta, ne tampoco
presunta.
Il Sommo Pontefice, benché si trovi in Italia, pur
nondimeno nella qualità sua di Capo supremo
della Cristianità, è fuori del Regno d'Italia.
La delazione annua, fissata al Sommo Pontefice
dalla legge 13 maggio 187i, non si può reputare
entrata nel patrimonio di quello senza la di lui
accettazione espressa o tacita. (1) Il Sommo Pontefice Pio IX, avendo espressamente
rifiutata la dotazione suddetta, gli arretrati della
medesima, scaduti durante la vita di lui, non si
possano reputare facenti parte della eredità sua. (2)
L'essere nella legge 13 maggio 1871 adoperata la e
spressione: è conservata alla Santa Sede la dota
zione. ecc., non vale a togliere a questa dotazione
di fronte allo Stato italiano il carattere giuri
dico di legge italiana. (3)
La Corte, ecc. — In diritto. 11 Sommo Pontefice Pio
Nono, al battesimo chiamato Giovanni Maria dei
Conti Maslai Ferretti di Sinigallia, disponeva dei
suo; averi pel tempo successivo alla sua morte me
diante diversi olografi.
(1-3) Chi non applaudirà al deciso di questa sentenza1? Il senso co
mune del mondo intiero aveva già fatta la stessa decisione, non appena si seppe della stravagante domanda degli eredi di S. S. Pio IX, in
cui tutti non ravvisarono altro che un triste effetto di più dell' auri
sacra fames. E in ragione della spontaneità e universalità di cotale
responso del senso comune, potrebbesi a prima giunta ritenere che la
dimostrazione giuridica ne fosse semplice e piana in sommo grado. Ma ciò non è in realtà, e la surriferita sentenza ne porge la prova. Definire quale sia la condizione giuridica del Sommo Pontefice in I
talia, e quale per conseguenza la natura giuridica della prestazione annua assegnatagli dalla legge delle guarentigie, non è facile in
trapresa. Può dirsi infatti che la situazione del Sommo Pontefice in
Italia sia unica, e veramente singolarissima, ignota finora e non pre veduta affatto nò dal.diritto pubblico positivo, nò da quello teorico.
Non ò sovrano, ma gode dei privilegi della sovranità; è nel territo
rio altrui, ma non è suddito; è un principe spodestato, ma chi lo ha
spodestato, pretende di vivere io pace con lui e gli offre anche una
lista civile di milioni annui. Chi è dunque egli mai? Si applica a lui
il diritto nazionale o l'internazionale, e in quali confini sia l'uno sia
l'altro? La lettera della legge non dà lume in quel labirinto; se si
ricorre allo spirito di essa, interrogandone i molivi, i dubbi e la con
fusione delle idee aumentano, perchè gli autori della legge delle gua
rentigie non hanno avuto essi stessi una chiara idea di ciò che vo
levano e facevano con essa. E per poco che, lasciando da parte i
molivi di quella legge, si ricerchino i ragionevoli intendimenti del
nuovo ordine di cose in Roma, le idee oscillano fra opposti poli, cioè fra chi nel Sommo Pontefice non vede altro che un funzionario
ecclesiastico , chi scorge in lui la personificazione della indipen denza assoluta del potere spirituale dal temporale. Dal primo punto di vista si viene a negare al Sommo Pontefice ogni esenzione
giuridica , tranne quella della immunità locale statuita dall'art.
7 della legge delie guarentigie ; dal secondo invece si viene ad ac
cordargli una completa esterritorialità. E nella prima ipotesi, la do
tazione annua del Sommo Pontefice non differisce dallo stipendio od
onorario di qualunque altro pubblico funzionario, nella seconda ipo cesi invece essa pure assume carattere pubblico e diventa intangi bile comesogni altra prerogativa delle persone esterritoriali. Già la
Corte d'appello di Roma nella celebre sentenza 9 novembre 1882 in
causa Theodoli-Martinucci (v. Foro it. 1883, 1,664) ha dato spetta colo di quella varietà ed incertezza di criteri ed opinioni, venendo ad
una conclusione, la quale, se parve logica alla Corte, non appagò di certo le persone assennate che non sono giureconsulti. Noi abbiamo
attentamente studiata quella sentenza (ib.) e dissentendone in og::i
capo, abbiamo anche esposta e giustificata- quell'opinione cho a noi
sembra migliore intorno alla condizione giuridica del Sommo Ponte
fice in Italia, secondo la legge delle guarentigie. Non istaremo perciò a ripetere qui i lunghi ragionamenti che abbiamo fatti nel detto
luogo, al quale rimandiamo lo studioso e benevolo lettore, e ci limi
teremo ad applicarne le conchiusioni alla questione decisa nella sen
tenza sopra riferita. Questa sentenza infatti , come già dicemmo
non chiarisce abbastanza i gravi punti di quistione, le scabrose pre messe suaccennate. Ma afferma rettamente che il Sommo Pontefice,
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