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Udienza 17 febbraio 1932; Pres. Faucaniè, Est. Binetti; L'assicuratrice Italiana c. Società TubiGrès e PironSource: Il Foro Italiano, Vol. 57, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1932), pp. 1179/1180-1183/1184Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23128382 .
Accessed: 25/06/2014 00:18
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1179 PARTE PRIMA 1180
dine pubblico opponibile, all'infuori dei soci, da qualunque
interessato sia esso un creditore della società o un credi
tore personale del socio.
11 fatto che il creditore personale sia ammesso a rea
lizzare il suo diritto sul patrimonio sociale domandando il
fallimento della società e partecipando ai proventi della
liquidazione in uno stato di perfetta parità coi creditori
sociali, dimostra che non esiste un patrimonio autonomo
e che la società è sfornita di individualità giuridica. La
nullità originaria per inosservanza delle forme di pubbli cità ha la essenziale caratteristica in ciò che, mentre
vieta ai soci di disconoscere gli effetti del contratto so
ciale, impedisce in ogni caso alla società di assurgere alla
dignità di persona giuridica.
Applicando questi principi al caso in esame, in per fetta aderenza ai concetti affermati dalla giurisprudenza
francese, la Corte deve concludere che la società Nizard
Fròres, costituita in Marsiglia senza atto scritto e senza
osservanza delle forme di pubblicità prescritte dalla legge
francese, non può essere considerata come un ente giuri
dico, cui spettassero i beni esistenti in Italia alla morte
di Albert Nizard. I detti beni appartenevano invece in
comunione ai soci Armand e Albert Nizard, l'ultimo dei
quali morendo lasciò ai suoi eredi, non una quota di par
tecipazione nella società di commercio, bensì una quota di beni indivisi sulla quale è stata legittimamente appli cata la tassa di successione. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI ERESCIA.
Udienza 17 febbraio 1932 ; Pres. Faucaniè, Eat. Binetti ;
L'assicuratrice Italiana c. Società Tubi Grès e Piron.
Assicurazione ^contratto di) — Assicurazione contro
la responsabilità civile — Clausola di divieto di
chiamata In garanzia dell'assicuratore — Validità.
E' valida la clausola contenuta in un contratto di as
sicurazione contro la responsabilità civile, che vieta
all' assicurato di chiamare in causa l'assicuratore
nel giudizio vertente fra lui e il danneggiato. (1)
La Corte, ecc. — Le ragioni cha a sostegno del suo
appello deduce l'Assicuratrice Italiana sono le stesse già avanzate nel giudizio di primo grado : la Tubi Grès non
ha diritto ad alcun rimborso per aver violato il patto 11
delle condizioni di polizza ; l'infortunio comunque non sa
rebbe compreso nella assicurazione.
La prima tesi adunque della Assicuratrice Italiana è
(1) La Corte Suprema ha avuto recentemente occasione di
esaminare, nella sentenza 4 dicembre 1931 (Foro it., Rep. 1931, voce Assicurazione (contratto), n. 58) il patto contenuto nelle
polizze di assicurazione contro la responsabilità civile che vieta all'assicurato di chiamare in giudizio l'assicuratore, senza per altro pronunciarci esplicitamente sulla validità di esso, limi tando l'indagine alle sue conseguenze processuali circa l'ap plicabilità o meno della competenza di cui all'art. 100 n. 1 cod.
proc. civile. Le magistrature inferiori sono divise, in prevalenza però
nel senso della validità della clausola: così Trib. Ivrea 23 feb braio e 22 aprile 1931 (Foro itEep. 1931, voce cit., nn. 51, 52) ; App. Genova 4 febbraio 1930 (id., Rep. 1930, voce cit., n. 54) ; App. Milano 30 gennaio 1924 (id., Rep. 1924, voce cit , n. 56) ; App. Milano 28 marzo 1922 (id., Rep. 1922, voce cit., n. 15); Trib. Milano 29 aprile 1922 (id., Rep. 1922, voce cit., n. 11) Contra-.
App. Milano 10 aprile 1931 (id., Rep. 1931, voce cit., n. 49) e 30 luglio 1929 (id., Rep. 1929, voce cit., n. 79).
che la Società Tubi Grès, col fatto di averla chiamata ad
intervenire nel giudizio contro di lei promosso dal Piron, ha violato il patto 11 del contratto ed ha perciò perduto il diritto al rimborso del risarcimento in forza dell'espli cito disposto dello stesso art. 11 e di quello dell'art. 16
lett. b) delle condizioni di polizza. Oppone la Tubi Grès che innanzi tutto deve esami
narsi la questione se o meno l'infortunio era compreso nella sua assicurazione giacché se tale questione dovesse
risolversi in senso ad essa favorevole, si dovrebbe rico
noscere che l'Assicuratrice Italiana, con la dichiarazione
fattale che riteneva non essere l'infortunio coperto da as
sicurazione e col non assumere in suo nome la causa inten
tatale dal Piron, si sarebbe resa inadempiente, e come tale
non potrebbe eccepirle una sua inadempienza per liberarsi
dai suoi obblighi. Il Tribunale nella sentenza appellata riconobbe tale
ragionamento fondato e disse : « Ma il divieto della chia
mata in garanzia non è opponibile dalla Società Assicura
trice che a sua volta venne meno all'obbligo di assumere
l'onere della causa implicitamente sancito dall'art. 11 della
polizza)) > Non crede la Corte di poter aderire a tali tesi : in
fatti la clausola inadimplenti non est adimplendum può invocarsi solo da chi, chiamato ad eseguire una obbliga zione contrattuale, voglia da essa liberarsi adducendo che
nulla gli si può chiedere in forza del contratto giacché l'altra parte è pure venuta meno ai suoi obblighi. Ma
nella fattispecie la Tubi Grès, nei confronti della Assicu
ratrice, è proprio essa l'attrice e la sua domanda la fonda
proprio sul contratto d'assicurazione ; essa infatti chiede
che la Assicuratrice sia dichiarata tenuta a rivalerla di
quella somma che essa sarà con sentenza obbligata a pa
gare al Piron in forza appunto del contratto stesso. Di
questo adunque si avvale : ma allora deve accettare tutte
le norme di esso e non solo alcune.
Ma sopratutto è da osservarsi che l'Assicuratrice Ita
liana con l'affermare che l'infortunio subito dal Piron non
è compreso nella polizza, non si è resa inadempiente al
contratto : essa contesta che nel caso di cui trattasi il con
tratto la vincoli, ma non lo disconosce ; onde, prima che
la questione da essa sollevata fosse stata decisa, la So
cietà Tubi Grès non poteva considerare la Assicuratrice
come inadempiente, e ritenersi perciò liberata a sua volta
dalle obbligazioni contrattuali portate dalla polizza. Del resto, ammettesi pure per provato che effettiva
mente l'infortunio subito dal Piron è da ritenersi com
preso nella assicurazione della Tubi Grès ; è certo che,
per patto di polizza, l'assicuratrice aveva non la semplice
facoltà, come essa dice, di assumere la causa dal Piron
intentata contro la Tubi Grès, ma l'obbligo. Infatti il ca
poverso primo dell'art. 10 delle condizioni di polizze dice :
« La Società assume la trattazione in sede civile delle
cause aventi per oggetto l'accertamento della responsa bilità del contraente e la liquidazione del risarcimento, so
stenendone le relative spese». E che con la parola assume
si debba intendere si stabilisca un vero e proprio obbligo
per la Società, risulta chiaramente dal modo con cui è for
mulata la prima parte dell'art. 1°. c La Società rifonde
al contraente, ecc. » ; e non si può dubitare che il rifon
dere è un obbligo per la Società.
Ma se la Società si rifiuta di assumere la causa (e la
ragione non può essere che quella ch'essa sostiene nella
fattispecie cioè che l'infortunio non è compreso nella as
sicurazione) che deve avvenire ?
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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE
L'assicurato non può che convenire la Società, Assi
curatrice davanti alla autorità giudiziaria per farla di
chiarare tenuta a risarcirle quanto dovrà pagare. Ma que
sta evenienza è proprio prevista nelle condizioni di po lizza : nell'art. IL si prevede il caso che l'assicurato sia
costretto a convenire in giudizio la Società Assicuratrice
e si dànno norme in proposito. Se queste norme sono
valide, l'assicurato dovrà pur seguirle, e subirne le con
seguenze pure stabilite nel caso di inosservanza.
La vera questione da esaminarsi si è dunqne quella di
vedere se o meno il patto contenuto nell'ultimo capoverso dell'art. 11 delle condizioni di polizza, sia o no valido.
Il Tribunale si è limitato ad affermare che esso patto « è nullo perchè il diritto di agire in giudizio nelle forme
della chiamata in garanzia, e quindi con i relativi vantaggi
processuali, non è preventivamente rinunciabile (nean che forse con clausola compromissoria) perchè di ordine
pubblico >.
La questione ha avuto nella giurisprudenza solnzioni
contrastanti : la dottrina, nei pochi casi in cui si è pro
nunciata, si è dimostrata favorevole alla tesi della vali
dità del patto. Le ragioni che sogliono addurre coloro che
sostengono la tesi della invalidità sono le seguenti : si dice
che i patti del genere sono maliziosamente architettati,
poco chiari e poco comprensibili ; che con essi si contrad
dice all'obbligazione, la si elimina preventivamente divie
tando al contraente, che ha pagato il premio, di farsi at
tore nella sede naturale della causa principale dove del
danno assicurato si discute, sede che è perciò la più in
dicata, anzi la sola dove la verità si possa mettere in luce,
quindi il patto stesso sanziona una contradictio in adiecto
che è l'antitesi della essenza del rapporto obbligatorio ;
con quel patto la Compagnia si assicura in sostanza per
la eventualità di un sinistro di cui dovesse rispondere, un pactum de non petendo in rem che annienta e risolve
il vincolo per cui il contratte era stato creato ; che la
buona fede non tollera d'applicare patti che privino l'assi
curato della tutela dei propri diritti soggettivi ; che la
disponibilità dei mezzi concessi dall'ordine giuridico a tu
tela delle proprie ragioni, non può essere coartata da al
cuna convenzione, costituendo uno dei postulati fondamen
tali del vivere civile : coartare la difesa giudiziaria signi
fica una pratica soppressione del diritto ; che le ragioni
con le quali le Compagnie sogliono giustificare l'inclu
sione nelle polizze, del patto di cui si discute, sono in
sussistenti.
Non crede la Corte che si possa aderire a queste ra
gioni. La pratica insegna che la clausola di cui si discute
è inclusa nelle polizze di molte Compagnie d'assicura
zione, e non si vede come si possa dire ch'essa è oscura,
ambigua e tale da trarre in inganno l'assicurato. Potrà
darsi che sul significato della clausola possano sorgere con
testazioni, ma ciò avviene per ogni contratto. D'altra parte nella fattispecie, chi contrasse con l'Assicuratrice Ita
liana, è stata la Società Tubi Grès, e si è autorizzati
quindi ad affermare che il rappresentante di quest'ultima,
che firmò la polizza d'assicurazione, doveva essere per
sona esperta, pratica di contrattazioni, alla quale non può
essere sfuggita nè l'importanza nè la portata delle condi
zioni di polizza. Non è poi vero che col patto in discussione si vieti
all'assicurato di far valere i suoi diritti davanti all'auto
rità giudiziaria : esso non è affatto un pactum de non
petendo • con esso si vuole solo che la Compagnia, in caso
di contestazioni fra di essa e l'assicurato, non venga chia
mata in giudizio in quella causa che il danneggiato ha
intentato contro l'assicurato, il che vuol dire, senza che
possa sorgere in proposito il più lontano dubbio, che l'as
sicurato ben può chiamare in giudizio la Compagnia, ma
non nella causa vertente fra lui e il danneggiato. La vera questione da risolvere è dunque questa : se
le parti possano o meno derogare a quella competenza che
è stabilita dall'art. 100 cod. proc. civ. ; « L'Autorità giu
diziaria, davanti cui pende la causa principale, è compe tente a conoscere, eccettuato il caso di incompetenza per materia e valore.. . dell'azione in garanzia».
Ridotta la questione della presente causa in tali ter
mini, nella dottrina più autorevole si trovano larghi sus
sidi per risolverla.
Innanzi tutto è certo che non vi è alcuna disposizione di
legge che imponga che l'azione in garanzia debba essere ne
cessariamente promossa quando pende la causa principale. Può darsi che lo sia a causa principale ultimata, può anche
darsi che concorrano circostanze tali che giustifichino
l'esperimento di essa, prima ancora che venga iniziata la
causa principale stessa. Ma anche quando il garantito vo
glia esperire l'azione contro il garante, essendo pendente la causa principale, è per lui una facoltà, non un obbligo, il seguire la norma di competenza di cui all'art. 100 cod.
proc. civ. e cioè egli può chiamare il garante nella causa
principale, ma può anche chiamarlo davanti al giudice com
petente territorialmente. E anche l'esercizio di quella fa
coltà è dalla legge espressamente limitata : infatti la com
petenza di cui all'art. 100 cod. proc. civ. non può mai
derogare alla competenza per materia e valore (art. 100
cod. proc. civ.); la domanda in garanzia non sospende il
corso della causa principale se non è proposta e notificata
nei modi prescritti (art. 197 cod. proc. civ.). Quindi, o
per volontà del garante o per espressa disposizione di
legge, può ben avvenire che la domanda in garanzia sia
proposta o debba essere proposta davanti a giudice di
verso da quello innanzi al quale pende la causa princi
pale o quanto meno davanti allo stesso giudice, ma non
nello stesso processo. Da tutto ciò emerge la conseguenza che la competenza di cui all'art. 100 cod. proc. civ. non
è di ordine assoluto, ma declinabile, e che quindi le parti
possono specificatamente pattuire di rimettere ad arbitri
le questioni che fra loro insorgessero relativamente alla
garanzia, ed anche rinunciare alla competenza speciale di
cui all'art. 100, cosi come è avvenuto nella fattispecie. Il dire che la competenza di cui all'art. 100 cod. proc.
civ., è inderogabile, perchè determinata da una ragione d'ordine pubblico, per evitare cioè il pericolo di contrad
ditorietà nei giudicati, non sembra sia esatto, giacché,
come sopra si disse, il garante non ha l'obbligo di seguire la competenza speciale, ed in certi casi non può del tutto
ad essa ricorrere. La norma di cui all'art. 100 non può
quindi essere stata inspirata che da ragioni di utilità, di
convenienza per le parti, alle quali queste possono ri
nunciare.
Il ricercare infine se le ragioni che hanno determinato
le Compagnie ad includere nelle condizioni di polizza la
clausola in discussione, ricorrano nelle singole fattispecie,
sarebbe inutile. Viene insegnato dalla dottrina che le ra
gioni impulsive o finali di un patto, esauriscano la loro fun
zione con la stipulazione di esso e diventano indifferenti in
rapporto alla loro esecuzione. Esse possono certamente es
sere utilizzate quando il patto sia incerto, per la sua in
terpretazione, ma quando il patto è chiaro e preciso, non
potendosi più trattare di una questione di interpretazione,
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PARTE PRIMA 1184
ma trattandosi esclusivamente di una questione di esecu
zione, !a ricerca dei motivi di venta indifferente.
Comunque i motivi fondamentali di tale patto, dagli studiosi delle svariate polizze di assicurazione clie lo con
tengono, vengono indicati nel modo seguente: l'assicurato, essendo solo in giudizio, e sapendo che vi sarà lina sen
tenza che lo condannerà in proprio al risarcimento dei
danni, e che per ottenere il rimborso della Società Assicu
ratrice dovrà contro di essa intentare altro giudizio, è
tratto a difendersi contro le pretese del danneggiato con
tutti i mezzi che sono a sua disposizione e con maggiore
energia ; d'altra parte il danneggiato, vedendosi come
contraddittore il privato, non essendo a conoscenza che
egli è coperto da assicurazione, e che quindi chi dovrà ri
fondergli definitivamente il danno è una Compagnia assicu
ratrice, può essere tratto a contenere le sue pretese in
limiti più moderati. E in proposito può osservarsi come
la Società Tubi Grès, pur non formulando domande pre cise, nella sua comparsa presentata avanti al Tribunale
di Bergamo, sostenne che parecchie delle ragioni di danno
avanzate dal Piron e per cui egli aveva dedotto appositi
capitoli di prova, non erano seriamente sostenibili. La sen
tenza appellata ammise invece tutti i capitoli di prova dedotti dal Piron, senza però prendere in esame le cri
tiche che nei riguardi di essa aveva fatto la Tubi Grès :
malgrado ciò questa ha accettato pienamente la sentenza
del Tribunale.
Per tutte queste considerazioni ritiene la Corte che la
Società Tubi Grès, chiamando iu garanzia l'Assicuratrice
Italiana nella stessa causa che contro di lei era stata in
tentata dal Piron, abbia contravvenuto al patto 11 delle
condizioni di polizza, ed abbia quindi perduto il diritto al
rimborso. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI ROMA. (Sezione speciale usi civici).
Udienza 12 febbraio 1932; Pres. Carroccio P., Est.
Ruggiero, P. M. Arena (conci, conf.) ; Boncompagni Ludovisi (Avv. Scklba) c. Ederli ed altri (Avv. Sen
sini, Sartori, Zocconi).
Diritti promiscui — Commissario regionale — Com
petenza — Connessione di eausa (L. 16 giugno 1927 n. 1766, art. 34; R. decreto 3 agosto 1891
a. 510, art. 18).
I Commissari regionali degli usi civici hanno assunto
le funzioni attribuite alle Giunte di arbitri, isti
tuite con L. 24 giugno 1888 n. 5489, ma nell'am
bito delle attribuzioni loro affidate dalla legge 16 giu
gno 1927 n. 1766. (1) II Commissario regionale degli usi civici non è compe
tente a conoscere di questioni aventi per oggetto rap
porti diversi da quelli di uso zivico, ancorché siano
connesse alla causa principale soggetta alla sua giu risdizione. (2)
(1-2) Sulla prima questione non ci risultano precedenti editi. Per quanto riguarda il secondo punto la Corte d'appello si uniforma alla pronuncia della Suprema Corte 16 gennaio 1929
(Foro it., Bep. 1929, voce Diritti promiscui, n. 154); nello stesso senso vedi anche Commiss, usi civici di Soma 4 giugno 1930
(id., Hep. 1930, voce cit., n. 41). La sentenza appellata è riassunta in Foro it., Eep. 1931,
voce Diritti promiscui, n. 115.
La Corte, ecc. (Omissis) — Osserva nel inerito, che
la sentenza impugnata non può non meritare integrale
conferma.
La competenza dei Commissari regionali, istituiti con
regio decreto 22 maggio 1924 n. 751 sul riordinamento
degli usi civici del Regno, e mantenuti con la legge di
conversione del 16 giugno 1927 n. 1766, è inderogabil
mente tracciata dagli art. 1 e 29 di quest'ultima legge, nel senso che essa si eserciti, in via amministrativa, per
l'accertamento, la valutazione e la liquidazione generale
degli usi civici e di qualsiasi altro diritto di promiscuo
godimento delle terre spettanti agli abitanti di un Co
mune, di una frazione di Comune, nonché per la siste
mazione delle terre provenienti da tale liquidazione e delle
altre possedute dai Comuni, università ed altre associa
zioni agrarie, ed in giurisdizionale, per la decisione di
tutte le controversie inerenti alla revindica delle terre
ed alla esistenza, natura ed estensione dei diritti sud
detti, e per la risoluzione di tutte le questioni cui dia
luogo lo svolgimento delle operazioni loro affidate.
Le quali evidentemente, siccome si evince dalla cen
nata disposizione, e da tutta l'economia della legge, sono
caratterizzate da un pubblico interesse entro l'ambito di
diritti qualificati usi civici, comechè spettanti ai cittadini di una collettività, uti singuli et jure soli, pel vincolo
che passa fra essi e la terra su cui gli usi si esercitano,
in conseguenza ed in ricordo, dell'antica, comune occu
pazione. Non vi ha posto, quindi, per tale competenza lad
dove, come in concreto, si disputi di un diritto su terre
private di particolari e spettante ad un privato, diritto
che la Corte si astiene dal definire, per non pregiudicare
il giudizio dell'organo competente, e del quale indubbia
mente il Principe di Piombino può disporre, comechè at
tinente al suo patrimonio, a norma delle comuni leggi ci
vili, e senza che mai il godimento in suo favore possa
sospendersi pel fatto, a differenza degli usi civici, della
sua qualità di cittadino non residente nella località con
troversa.
Nè tale competenza può dirsi sussistente pel fatto che
essa sia sanzionata, a credere della difesa appellante, dal
l'art. 34 della legge del 1927 sul riordinamento degli usi
civici nel Regno, in relazione all'art. 18 del regio decreto
3 agosto 1891 n. 510, che approva il testo unico per la
abolizione delle servitù civiche nelle ex provincie pontificie. E vero che tale ultimo articolo dispone « sono ugual
mente abolite le servitù di cui è parola nell'art. 1° (di
pascolo, di semina, di legnatico, di fida ecc.), che eser
citano i particolari e specialmente gli ex baroni sopra
terreni comunali o particolari con l'obbligo di pagare la
indennità dovuta agli utenti, ed il procedimento di af
francazione avrà luogo secondo la presente legge » ; è
anche vero che l'art. 34 suddetto, della vigente legge,
prescrive, fra l'altro, che i Commissari regionali assumano
le funzioni attribuite alle Giunte d'arbitri istituite con le
leggi raccolte nel testo unico approvato col regio decreto
3 agosto 1891 n. 510; ma occorre ben'anche por mente, a negare che tuttora possa avere valore la disposizione
dell'art. 18 della legge del 1891, che il cennato art. 34
non ometteva di chiarire, nel suo primo capoverso, che
-i Commissari, «nelle provincie cui dette leggi si riferi
scono. assumeranno ed eserciteranno tutte le attribuzioni
loro affidate con la presente legge del 1927 ».
Dunque i regi Commissari si sono anche sostituiti
alle cessate Giunte d'arbitri; ma per l'esercizio di tutte
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