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Udienza 18 gennaio 1900; Pres. Nunziante P. P., Est. Niutta; Mazzola (Avv. Conte) c. VillanoSource: Il Foro Italiano, Vol. 25, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1900), pp. 407/408-409/410Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23095341 .
Accessed: 28/06/2014 13:02
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407 PARTE PRIMA 408
dine poi al Brindisi, o egli era un estraneo al giu dizio innanzi al Tribunale come afferma la sen
tenza denunziata, e allora non potevano i primi
giudici dare provvedimenti in ordi,.e a chi era
estraneo al giudizio, nè favorevole nè contrario; ed
essendo tale dovea il giudice di appello quel prov
vedimento come contrario alla legge rivocare; o
il Brindisi avea ingerenza e rapporti nel giudizio
come difensore, e allora essendosi dato un provve
dimento Del suo favore e che feriva gì' interessi
altrui, bene il Ferraro ne produsse gravame anche
nei suoi rapporti, perocché avrebbe potuto il Brin
disi farsi scudo di una sentenza a lui favorevole
come passata in cosa giudicata per lui, non es
sendo stato chiamato nel giudizio di appello.
Attesoché resta a vedersi se la distrazione delle
spese consentita dalla legge a favore del procura
tore, che dichiari averle anticipate, possa aver luogo
anche a favore dell'avvocato.
Fu ritenuto che sì, argomentando a minore ad
majus, vai dire che se la legge accorda la distra
zione al procuratore, molto più la si deve consen
tire all'avvocato, nel quale maggiore debba essere
la fiducia, e che è propriamente il vero dominus
litis. Siffatto argomento però rafforza la tesi con
traria anziché quella dell'affermati va. La missione
dell'avvocato nella causa è alta e nobile, è solo quel
la della difesa, non è egli il chiamato a brigarsi
delle spese della procedura.
Se non che non è quistione de jure condendo,
ma de jure condito; fosse o non opportuno accor
dare la distrazione anche all'avvocato, bisogna esa
minare se la legge glie la accordi.
Ebbene si oppone all'affermativa la parola della
legge. Perchè competa il beneficio occorre che il
procuratore dichiari di avere le spese anticipate;
ebbene l'avvocato non può fare queste dichiara
zioni. Ed a riempire il vuoto si è creduto usare
di un circolo, cioè il procuratore chieda l'attribu
zione a favore dell'avvocato affermando averle que
sti anticipate. Che cosa sarà questa dichiarazione
del procuratore, sarà forse una testimonianza non
attaccabile ? e con quale diritto viene per farla,
forse procuratorio nomine? e dove questa facoltà
e donde questo diritto ? A quali inconseguenze giu
ridiche conduce un erroneo principio! L'attribu
zione che il procuratore può chiedere per sè non
potrebbe trasferirla ad altri, sarebbe una cessione
senza le forme e le prescrizioni di legge per le ces
sioni.
E la ragion logica legale ancor essa vuole che
il privilegio sia limitato al procuratore e non esteso
all'avvocato, imperocché il procuratore legale è il
mandatario del litigante ed è il vero dominus li
tis, e che ove avesse erogato le spese del giudizio
può ripeterle actione contraria mandati, e questa
azione egli esercita quando fa dichiarazione di aver
le anticipate e ne domanda direttamente l'attribu
zione, laddove l'avvocato, sia pure che avesse egli
fatte le spese, non compie con ciò un atto del suo
ministero, non adempie ad un mandato ricevuto, raa tutto al più potrà avere una ragion creditoria
per prestito; opperò non può domandare la distra
zione delle spese per una sua ragion creditoria, con
quel procedimento dell'art. 374.
Attesoché invano si ricorrerebbe alla giurispru denza di questo Supremo Collegio per una sentenza
del 1882, imperocché ciò non toglie che possa la
tesi esaminarsi ai lumi della scienza e cribrarsi al
crogiuolo della logica, non dovendo il Collegio sen
tenziare per esempio di giudicati, ma al lume della
scienza ed a seconda dei precetti di legge. Per tali motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI. Udienza 18 gennaio 1900; Pres. Nunziante P. P.,
Est. Niutta ; Mazzola (Avv. Conte) c. Villano.
Enfiteusi — Creditore — Presso «l'affrancazione — Canoni arretrati — Ijandemio — Spese di
devoluzione (Cod. civ., art. 1565; disp. trans, cod.
civ., art. 30).
Il creditore dell' enfiteuta, che si avvale della fa coltà concessagli dall'art. 1565 capov. cod. civ.
di chiedere l'affrancazione del fondo enfiteuti
co, deve pagare al concedente non solo il capi tale del canone, ma i canoni arretrati, il lau
demio, se dovuto, e le spese del giudizio di de
voluzione. (!)
La Corte, ecc. — Osserva che il Mazzola coi tre
motivi del ricorso impugna la denunziata sentenza
per avere violato gli art. 1564, 1565, 1958, 1260
cod. civ. e l'art. 30 legge transitoria, giudicando che
le annualità scadute del canone, il laudemio e le
spese della devoluzione costituiscono pel direttario
dei semplici diritti personali di credito, cui non sia
tenuto l'utilista o il creditore di costui che per evitare la devoluzione intende redimere il canone,
giusta l'art. 1565 cod. citato. È pertanto evidente
come ben fondate sono le censure del ricorrente;
dappoiché il Tribunale; ammettendo che le ragioni del domino diretto sul fondo enfiteutico si ridu
cessero ad un semplice diritto di credito, sconobbe
del tutto i veri caratteri del contratto di enfiteu
si, la quale, anche sotto l'impero della nuova le
gislazione, importa un frazionamento del diritto di
dominio sul fondo enfiteutico tra il domino diretto
e il domino utile; di maniera che il domino di
retto non conserva sul fondo enfiteutico un mero
diritto di credito, come avviene nei contratti di
costituzione di rendita fondiaria, ma bensì un vero
diritto domenicale, essendo il dominio diretto qua
lificato dalla legge come immobile, suscettivo d'ipo
teca e operativo della devoluzione del dominio
utile in pro del concedente in caso dì mancato pa
(1) V. in senso conforme Dn Pirbo, DtlVenfiteusi, n.
48 e n. 67, specialmente a pag. 312.
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409 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 410
gamento dei canoni; il che non si verifica punto
nella rendita costituita, in cui si trasferisce nel
cessionario il pieno dominio dell'immobile. Ep
peró il canone, che rappresenta il dominio diret
to, dà luogo ad una azione reale, non ad una sem
plice azione personale di credito, e quindi non può
confondersi, ma è ben distinto dai diritti dell'uti
lista; ond'è ohe il direttario pei suoi diritti ai ca
noni non ha bisogno di alcuna iscrizione, ma per
virtù, non di privilegio, bensì di prelevamento^ul
valore delle migliorìe, sperimenta le sue ragioni
contro l'enfiteuta a preferenza dei creditori ipo
tecari di costui. Il frazionamento dei due domini
sussiste fino a che non si faccia luogo alla conso
lidazione dell'utile e del diretto dominio, sia a fa
vore di domino diretto mediante il diritto di de
voluzione ob canones non solutos, sia a favore
del domino utile per l'esercizio del diritto di af
franco. È chiaro però che se l'utilista, ad evitare
la devoluzione, intende esercitare il diritto di af
franco e quindi consolidare in sè l'intero dominio
del fondo enfiteutico, facendo estinguere nello stes
so qualsiasi diritto del direttario, abbia egli l'ob
bligo nell'atto stesso dell'affranco di soddisfare il
domino diretto non soltanto del capitale corri
spondente a! canone, ma altresì di tutti i corri
spettivi del diretto dominio, e quindi dei canoni
arretrati, del laudemio, se dovuto, e delle spese della devoluzione. Errò perciò manifestamente il
Tribunale quando, ritenendo che sui canoni e sugli accessori del diretto dominio non potesse il diret
tario sperimentare se non un diritto personale di
credito, giudicò che 1'utilista, e per lui il creditore
dell'utilista che esercita l'affranco, dovesse soddisfa
re il domino diretto soltanto del capitale del canone, e che pei canoni scaduti e per tutti gli altri ac
cessori del dominio diretto avesse il direttario a
sperimentare un diritto di credito contro l'utili
sta in separata sede, se lo affranco sia esercitato
dal creditore dell'utilista. A tal modo la sentenza
appellata non solo sconobbe la natura ed ogni
principio direttivo del contratto di enfiteusi, ma
dimenticò che il creditore dell'utilista, il quale
per evitare la devoluzione si fa a sperimentare l'affranco spettante all'utilista, è collocato dalla
legge al posto dell'enfiteuta di cui esercita le ra
gioni, e quindi, come non può avere obblighi più
onerosi, neppure può vantare diritti più estesi
dello stesso enfiteuta, esimendosi dall'offrire come
corrispettivo dell'affranco tutto ciò che dovrebbe
corrispondersi dallo stesso enfiteuta al domino di
retto. Laonde è chiaro che il ricorso del Mazzola
non può non essere accolto.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 12 febbraio 1900; Pres. Tommasi, Est. Mas
sari, P. M. Giordani (conci, conf.) ; Vinanti
(Avv. D'Olivo) c. Dostenich (Avv. Salsa), De Poli
e Ferraro (Avv. Pagani-Ossa).
Fallimento — Beni della moglie del fallito —
I*restinzione Uncinila — Riunione alla massa — Provvedimento del tribunale — Contrad
dittorio — Opposizione (Cod. conini,, art. 782). (fallimento — Vendita dei beni del fallito —
Creditore ipotecarlo — Bando — UfotiUca
iione (Cod. comm., art. 800; cod. proc. ci v., art. 831).
Fallimento — Beni della moglie riuniti alla
massa — Iscrizioni Ipotecarle posteriori alla
dichiarazione del fallimento del marito — In
validità (Cod. comm., art. 710).
Perche, il tribunale, in base alla presunzione sta
bilita dall' art. 782 cod. comm., pronunzi la
riunione alla massa del fallimento dei beni
acquistati in costanza di matrimonio dalla
moglie del fallito non occorre che questa sia
citata per un giudizio in contraddittorio, ma
basta che abbia notizia della deliberazione del
tribunale, affine di essere in grado di impugnarla e di dimostrare la proprietà dei beni avulsi. (1)
Per la vendita dei beni del fallito, o che sono pre stinti del fallito, come per quelli di proprietà dei minori, non è richiesta la notificazione del
bando ai creditori iscritti.
Per il disposto dell'art. 710 cod. comm. sono nulle
e inefficaci le iscrizioni ipotecarie prese dopo la
dichiarazione di fallimento del marito sopra i
beni della moglie riuniti alla massa in virtù
della presunzione stabilita dall' art. 782 dello
stesso codice. (2)
(1-2) Alla Cassazione si presentava la tesi più sem
plice di una questione larga e complicata. Poteva quindi risolverla nell'àmbito ristretto della specie; e cosi lo devolmente ha fatto, tenendo ferma la egregia sentenza della Corte veneta, che si pubblica più innanzi a col. 435.
I beni che la moglie di un fallito acquista durante il matrimonio, e ohe non abbiano la provenienza indi cata negli art. 780 e 781 cod. comm., si presumono di
proprietà del marito e per ciò sono riuniti alla massa del fallimento. Cosi l'art. 782. Si tratta però di una pre sunzione legale relativa; sicché la moglie è ammessa a darò la prova contraria, a provare cioè che essa ha com
prato i beni oon denari propri, non pervenuti a lei dal marito.
Da qual momento opera la presunzione? Secondo la Corte Suprema, dalla dichiarazione del fallimento del marito. Con la dichiarazione di fallimento del marito — cosi infetti motiva — i beni della moglie sono irre vocabilmente riuniti alla massa attiva del fallimento. Sicché, nella specie esaminata, avendo la moglie accor dato l'ipoteca dopo la dichiarazione del fallimento del marito, la sua apparente proprietà avea ceduto il posto alla presunzione legalo che i beni erano invece del ma
rito; e la presanzione si era convertita in certezza dac ché la moglie non avea neanche tentato distruggerla con la prova contraria.
Il Foro Italiano — Anno XXV — Parte 1-28.
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