Udienza 18 ottobre 1929; Pres. Fabani, Est. Andreis: Sindacato Foedus (Avv. Fabbri) c.Terrenghi (Avv. Lanzillo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 55, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1930), pp. 115/116-117/118Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23131028 .
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PARTE PIUMA
nei alla famiglia del prof. Giulio Canella non è se que sti non sia o sia ancora in vita, ma se l'ex ricoverato
del manicomio di Collegno sia veramente o non sia il
prof. Giulio Canella. Ed essendo positivo che la persona,
qualifìcantesi per il prof. Giulio Canella nella procura
rilasciata all'avv. Conconi per fare la dichiarazione di
nascita, è precisamente l'ex ricoverato del manicomio di
Collegno col numero di matricola 44170, ed essendo no
tizia di dominio pubblico che con sentenza 22 ottobre 1928
il tribunale di Torino dichiarò che quel ricoverato è Ma
rio Bruneri fu Carlo, sembra esuberantemente dimostrata
la giustificabilità del dubbio sulla identità personale del
dichiarante da parte dell'ufficiale dello stato civile, e la
piena legittimità del suo rifiuto a ricevere la dichiarazione
di nascita. Nè giova eccepire che sulla identità perso nale del mandante prof. Giulio Canella, accertata nella
procura a rogito Previtali sulla fede di due testimoni, non
era lecito all'ufficiale di stato civile di sollevare obbie
zioni di fronte ad un atto pubblico pien provante sino a
querela di falso.
Trincerarsi dietro l'atto notarile (efficacemente osserva
il P. M., e meglio non si potrebbe), significa voler sup
plire con uno accertamento formale alla dimostrazione, che non potevasi dare, di una sicura realtà ; e senza di
scutere la loro possibile buona fede, la soggettiva per suasione di quei testimoni non può certo prevalere di
fronte alla cennata sentenza del tribunale di Torino che,
pur non essendo definitiva per la fattane appellazione,
costituisce il responso più solenne che attualmente si ab
bia nella questione, ed assai più attendibile di qualsivo
glia opinione diversa, inevitabilmente superficiale o pas
sionale, da chiunque provenga. Ritenuto che, di fronte alla indiscutibile legittimità
del rifiuto opposto dall'ufficiale dello stato civile nei giorni 21 e 24 novembre p. p. a ricevere la dichiarazione di
nascita dall'avv. Conconi, qual mandatario di colui che
nel rilasciare la procura aveva dichiarato essere il prof. Giulio Canella, evidentemente non si possa autorizzare
costui a fare, nè direttamente nè a mezzo del suo pro
curatore speciale, come fu chiesto al tribunale ed ancora
si chiede in via principale in questa sede, una novella
tardiva dichiarazione di nascita. Tale domanda è da re
spingere, e cosi avrebbe dovuto giudicare il tribunale, anziché dichiarare la propria incompetenza, prestando al
riguardo, ma pur senza loro utilità, facile terreno alla
censura dei ricorrenti. Il tribunale ritenne che il legit
timo dubbio dell'ufficiale dello stato civile intorno alla
identità personale del dichiarante aveva fatto sorgere una
contestazione di stato, concernente e comprendente sia
la persona del dichiarante, sia quella della neonata, e che
non si poteva risolvere se non in base ad un rituale giu dizio ed in contraddittorio delle parti ; ma non si avvide
che non era chiamato a risolvere una questione di stato,
quale l'ufficiale dello stato civile non aveva certo inteso, nè aveva veste di proporre, ma semplicemente di deci
dere, se, indipendentemente dal fatto che il dichiarante
per procura fosse realmente o non fosse il prof. Giulio
Canella, esistesse o meno per l'ufficiale dello stato civile
ragionevole motivo di dubitare intorno alla sua identità
personale, e per conseguenza legittimo od illegittimo fosse
stato l'opposto rifiuto di ricevere da lui la dichiarazione
di nascita.
Ritenuto quanto alla subordinata domanda novella
mente proposta in questa sede dai ricorrenti, che la me
desima, ove pure non ostasse, nella specie, il divieto del
l'art. 490 cod. proc. civ., è da respingere per due mo
tivi : il primo ed esauriente per sè stesso fa capo alle
considerazioni dianzi esposte ; una volta affermata l'esi
stenza di giusti motivi a dubitare della identità perso nale di colui che si qualificò e si qualifica per il prot. Giulio Canella, nè a lui nè al mandatario suo può rico
noscersi facoltà di iniziativa per ciò che concerne la re
gistrazione della nascita della bambina partorita da Giu
lia Canella ; il secondo è che non sarebbe comunque pos sibile « di ordinare all'ufficiale dello stato civile di dare
atto dell'avvenuta nascita >. Con ciò il giudice si sosti
tuirebbe al dichiarante, laddove l'ufficio suo non può es
sere che di autorizzare l'ufficiale dello stato civile a ri
cevere, da chi abbia facoltà di farla, una tardiva dichia
razione di nascita, e solamente, quando ne sia richiesto
da chi abbia diritto di farlo, secondo la designazione di
che all'art. 373 cod. civ. o dal P. M. ; ciò che non av
viene nel caso in esame.
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI MILANO.
Udienza 18 ottobre 1929 ; Pres. Fabani, Est. Andreis :
Sindacato Foedus (Avv. Fabbri) c. Terrenghi (Avv.
Lanzillo).
I ri fori il ni sul lavoro — Qualità di operaio — Lavoro
nella propria abitazione — Diritto all'assicurazio
ne — Inammissibilità (L. 81 gennaio 1904 n. 51, art. 2).
Non va considerato operaio agli effetti della legge sugli
infortuni chi lavora nella propria abitazione, anche
se in modo permanente ed alle dipendenze di un da
tore di lavoro. (1)
La Corte, ecc. — L'art. 2 della legge sugli infortuni
considera come operaio « chiunque sia occupato nel la
voro fuori della propria abitazione in modo permanente o avventizio con remunerazione fissa o a cottimo »: quin
di, se è occupato a lavorare nella propria abitazione, an
che in modo permanente ed alle dipendenze di un da
tore di lavoro, non potrà esaere considerato come operaio
agli effetti della legge. La parola del legislatore A troppo chiara e precisa, perchè sia suscettibile di diversa inter
pretazione. Torse potrà essere in seguito tenuta presente anche l'opportunità di tutelare gli operai che lavorano in
casa propria alle dipendenze d'industriali sia con rimu
nerazione fìssa che a cottimo, ma allo stato della legisla zione sarebbe aggiungere alla legge voler considerare tali
operai come coperti da assicurazione. Ed i motivi sono
ovvii : il lavoro domestico non può essere in alcun modo
sorvegliato dal datore di lavoro, sia per quanto riguarda il modo con cui è eseguito (ore diurne, notturne, supero del periodo normale ecc.) sia per i mezzi con cui viene
eseguito (strumenti rudimentali, macchine senza opportuni
(1) Non ci risultano precedenti editi sulla questione. Vedi
per qualche riguardo, App. Milano 11 giugno 1912 {Foro it., Hep. 1912, voce Infortuni sul lavoro, n. 68).
Per la dottrina a cui è fatto cenno anche nella sentenza che riferiamo, si consultino nello stesso senso, Oocito, Com
mento, ed. II, n. 54; Agnelli, Commento, n. 52; Bortolotto, Commento, p. 59; Rameri, p. 30; in senso difforme il Pateri, Oli infortuni sul lavoro, Bocca, 1910, pur ricordato nella sentenza surriferita.
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117 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 118
ripari, ecc.). Inoltre sarebbe spesso facile all'operaio che ab
bia subito un infortunio far ritenere che avvenne durante
il tempo in cui lavorava per l'industriale, mentre invece
accadde quando lavorava per conto proprio (non può es
sergli impedito) o in un momento di riposo. La generica del sinistro sarebbe di difficilissimo appuramento. Nè si
dica che vengono coperti di assicurazione gli operai in
caricati a lavorare fuori dello stabilimento, specie pei la
vori murari, ed anche in case private, poiché essi pos sono in tal caso sempre venire sorvegliati dal datore di
lavoro, che fornirà loro anche i mezzi ed il materiale di
lavoro. E noto poi che gli istituti assicurativi richiedono in
genere per i lavori all'aperto e fuori dello stabilimento
che sia loro notificato il luogo e la durata dei vari la
vori.
Nella discussione alla Camera del primo progetto di
legge (1896) il relatore on. Chimirri ebbe a dichiarare
esplicitamente che anche quando l'operaio abiti sopra la
officina ed ivi compia lavoro per l'industriale per mag
gior comodo ed utile proprio non gli poteva spettare nes
sun diritto alla protezione della legge. La giurisprudenza, per quanto consta, non ha avuto
occasione di prendere in esame simile fattispecie : però la dottrina è quasi concorde nel ritenere carattere fon
damentale per la tutela dell'operaio che egli sia occupato a lavorare fuori della propria abitazione (Agnelli) e che
il lavoro sia effetti]ta presso l'industria o l'impresa che
lo fornisce (Oocito, Eamella). Unica voce discorde il Pa
teri, che ritiene che la frase « fuori della propria abi
tazione » sia stata dettata nel senso di operaio che lavori
per conto di altri, non per conto proprio, anche se la
vori nella sua abitazione. Ma con ciò si è dovuto aggiun
gere alla legge, ciò che non è lecito, specie quando si
tratti di norme di eccezione.
Nè il tatto che il Calzaturificio abbia assicurato fra
gli altri suoi operai anche il Terrenghi, modifica Io stato
di diritto della Foedus, come vorrebbe sostenere il pa trocinatore dell'appellante, poiché il Sindacato Infortuni
ha assicurato gli operai dell'imprenditore in quanto lavo
rassero nell'opificio e non anche fuori, come risulta dalla
proposta di assicurazione al Sindacato in atti.
Nè può ammettersi l'affermazione della sentenza ap
pellata che l'abitazione del Terrenghi possa considerarsi
come una appartenenza, un annesso allo stabilimento Sa
rebbe come disconoscere le ragioni e gli scopi del lavoro
domestico.
Per questi motivi ecc.
CORTE D'APPELLO DI ANCONA.
Udienza 5 agosto 1929 ; Pres. D'Ancona, Est. Scioc
chetti ; Consiglio provinciale Economia d'Ancona c.
Cassa di risparmio Anconitana.
Consiglia provinciale dell'economia — Tassa consi
gliare — Esazione delle imposte — Appalto rela
tivo — Carattere commerciale (Cod. comm., arti
colo 3 ; L. 20 marzo 1910 n. 121, sulle Camere di
commercio, art 44 ; L. 18 aprile 1926 n. 731, isti
tuz. Cons. prov. economia, art. 18, 20).
L'appalto dell' esazione delle imposte dirette ha carattere
di impi'esa commerciale ; e Vesattore pertanto, è sog
getto alla tassa consigliare. (1)
La Corte, ecc. — Il Tribunale di Ancona trattò la
questione dal solo punto di vista della natura dell'atti
vità degli esattori, dichiarando che essi non sono com
mercianti nè esplicano sotto nessun aspetto atti di com
mercio, cosicché, essendo tale attività il fondamento della
tassa consigliare, la Cassa di Risparmio di Ancona non
vi è soggetta per la funzione che ha associato alla sua
azienda ordinaria.
La conseguenza cui arrivarono i primi giudici è errata, ma la questione sulla commercialità dell'atto fu ben po
sta, come la sola che in sostanza interessa risolvere in
questa causa, perchè il fatto che l'imposta consigliare si
applica sui redditi netti dell'imposta di ricchezza mobile
di categoria B e C, può avere indubbiamente il suo peso, dato che gli esattori sono iscritti nella categoria B, nel
novero dei contribuenti che esplicano una attività com
merciale, ma non è decisiva al fine della presente con
troversia, rimanendo pur sempre a vedere se i lucri del
loro lavoro provengano da un'attività che per l'intima sua
essenza si possa qualificare commerciale.
Il Tribunale per escludere che l'esattore eserciti una
attività commerciale ha considerato che questi non ritrae
un guadagno da una speculazione che fa col proprio da
naro o col danaro altrui, ma dalla prestazione di un'ope ra allo Stato, che gli corrisponde un corrispettivo sotto
forma di aggio, che, fatte le debite limitazioni, equivale a un vero e proprio stipendio.
L'erroneità di questo concetto si rileva da sè ; se il
corrispettivo fosse da equipararsi a stipendio, dovrebbe
essere se non fisso e invariabile almeno una remunera
zione certa, mentre è risaputo come molte volte le esat
torie sono passive, il che è una riprova che il guadagno non è risultato del proprio lavoro, ma del lavoro asso
ciato al capitale che subisce le sue oscillazioni e i suoi
rischi. Se dunque il guadagno che l'esattore ritrae è il
risultato dell'alea a cui sottopone i suoi capitali, che im
pegna per far fronte al riscosso per il non riscosso che
è la caratteristica delle esattorie, deve convenirsi che
egli, a guisa di un commerciante, specula sul suo capi tale. Ed è necessario anche che disponga di un capitale rilevante per il grande movimento di denaro che l'eser
cizio dell'esattoria importa, ad un interesse che non è
sempre remunerativo potendo avvenire che egli non riesca
di farsi pagare dal contribuente e debba contentarsi del
solo rimborso dell'imposta da lui versata allo Stato.
E' indubitato che l'operazione, che esegue lo Stato, di riscuotere i contributi non rientra nella sfera degli atti
di commercio perchè compie nel contemplato rapporto una
funzione di interesse pubblico, ma quando questo servi
zio è demandato per contratto d'appalto ad un privato, ne deriva, in chi l'assume, l'intenzione di trarre un gua
dagno a tutto suo vantaggio dall'appalto, e la sua azione
rientra nell'orbita di una speculazione commerciale. Egli
adempie ad una funzione intermediaria rispetto allo Stato
e al contribuente, anticipando le rate di tributo da lui
non versate, e così facendo esegue anche un'operazione di credito con la visione di un lucro futuro.
(1) Vedi in senso contrario, in applicazione delie antece denti tasse camerali, Cass. Roma 31 luglio 1901 (Foro it., 1901, I, 1354) con nota di richiami; e da ultimo, Trib. Palermo 30
aprile 1924 (id., Rep. 1925, voce Camera di comm., n. 7). Sulla natura dell'appalto di esazione, vedi inoltre, sempre
in senso contrario, in quanto cioè non si riconosce a questo carattere commerciale, App. Roma 31 ottobre 1918 (Foro it., 1919, I, 528) ed ivi i richiami in nota.
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