Udienza 19 aprile 1895; Pres. Gagliardi P., Est. Lagorio; Bongi c. SanguinetiSource: Il Foro Italiano, Vol. 20, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1895), pp. 893/894-895/896Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23099934 .
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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE
futuri, nè ohe i beni divenuti comuni dal momento
dell'acquisto per la stipulata, società degli utili non
sieno tenuti agli obblighi del marito.
I debiti futuri di cui parla il precitato articolo
sono quelli dipendenti dai beni che non cadono nella
comunione. Cotesti beni sono quelli che possono
pervenire ai coniugi per successione o per donazio
ne. Quindi i debiti futuri di cui parla il precitato
articolo sono esclusivamente quelli dipendenti da
eredità o da donazioni fatte in favore dei coniugi, non già quelli che si contraggono dal marito du
rante la società o per causali non dipendenti nè da
successione, nè da clonazioni sopravvenute, nè da
proprietà e obbligazioni anteriori al matrimonio, com'è chiarito dalla precisa locuzione dall'art. 1435
cod. civ. it. Cosicché riesce sempre più raffermato
che la comunione è tenuta ai debiti del marito an
corché nascenti da delitto.
E la soluzione affermativa si rende della mag
giore evidenza ove si ponga mente che a base della
sentenza della Corte di assise che condanna 1' An
dretta alla pena afflittiva della reclusione ed al ri
storo dei danni verso il municipio danneggiato co
stituitosi parte civile in giudizio, l'azione del mu
nicipio stesso contro l'Andrettà per rivalsa di danni
mette capo appunto a delitto commesso dal ma
rito, cioè dall'Andretta, per lo scopo d'arricchire, di ritrarre maggiori lucri dall'esercizio del suo ne
gozio nel traffico delle farine. Onde l'obbligo del
pagamento di questo dare sui beni della comunione
s'intuisce, è intrinseco al fatto, insito alla natura
delle frodi che egli già da tempo commetteva colle
truffe del dazio a danno del municipio. L'Andrettà mediante falso e maneggi dolosi atti
ad ingannare, sin dall'ottobre 1889 e per quasi tre
anni consecutivi riusciva a introdurre le farine in
città libere di dazio; inquantochè mediante bollette
che si foggiavano di transito di farine, che però non partivano, ma che restavano in città, riusciva
a farsi rimborsare le somme depositate a titolo di
dazio per quelle farine alla loro introduzione, rica
vando così un lucro indebito a danno dell'ammini
strazione del municipio.
Si immagini per poco che per far fronte alle
tariffe daziarie avesse dovuto contrarre dei debiti, certamente queste obbligazioni avrebbero gravato la comunione.
A che si riduce dunque la condanna riportata dall'Andretta per quanto riflette, non già la pena, bensì la condanna civile, se non a risarcire un de
bito inerente all'esercizio del negozio di farine di
cui egli faceva traffico, che interessava perciò la
comunione ?
L'indebito arricchimento presupposto nella sen
tenza da quelle truffe per la comunione è indiffe
rente al municipio, comunque sia vero che non tutti
gli acquisti si riscontrino anteriori all'ottobre 1889.
Questa indagine potrà valere quando che sia pei coniugi fra loro per la rivalsa, non per il terzo
creditore, cui pure è indifferente vedere se fos
sero o meno dipendenti dai lucri di quelle truffe le
somme depositate dall'Andretta presso la Ditta fra
telli Costa, che la Goeta assume essere anteriori al
l'epoca suddetta delle frodi, senza per altro avva
lorare l'assunto con esibizione di documenti e con
ti correnti che non fece. Tutto ciò non aggiunge e non toglie punto, nel campo giuridico, all'obbligo
positivo del pagamento del debito di cui trattasi
sui beni della comunione. I lucri e le perdite so
no comuni ai coniugi durante la comunione.
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI GENOVA, Udienza 19 aprile 1895; Pres. Gagliardi P., Est.
Lagorio; Bongi c. Sanguineti.
Prova testimoniale — Fissazione del glorilo <11
esame — Ordinali/» — IVotittcazione — Ter
mine —- Decadenza (Cod. proc. civ., art. 233).
Nel termine di dieci giorni prescritto dall'art. '233
cod. proc. civ. non si computa ne il giorno della
notificazione dell' ordinanza di fissazione, ne quel lo in cui deve cominciare l'esame. (I)
Le parti decadono dal diritto di fare la prova se non rimanga più tempo utile per la noti
ficazione nel termine fissato per la prova.
La Corte, ecc. — Attesoché fra i diversi motivi
dal Sanguineti fatti valere contro il VSongi per dirlo
decaduto dal diritto di far seguire la prova testi
moniale che era stata ammessa, v'ha pur quello tratto dall' inosservanza di quanto, sotto pena di
nullità, è prescritto dall'art. 233 del codice di rito, vai dire, che tra la notificazione dell'ordinanza del
pretore che stabiliva il giorno dell'esame e quello a tale scopo fissato non sieno intercorsi e non in
tercorrano i dieci giorni liberi e franchi dal detto
articolo richiesti. 1 primi giudici, ai quali la que stione fu presentata, la risolvettero nel senso pro
pugnato dal Sanguineti, e perciò dichiararono la de
cadenza del Bongi dal diritto di far seguire la de
dotta prova testimoniale; nè la Corte trova errata
in diritto questa soluzione, alla quale conduce la di
sposizione del succitato art. 233, combinato coll'art.
43 del codice di rito.
Non è questa la prima volta che una siffatta
questione vien sollevata, e la stessa fu risoluta nel
senso che liberi e franchi, sotto pena di nullità, debbono essere i dieci giorni dei quali parla l'art.
233 cod. proc. civ. E per verità, la lettera stessa
della legge porta a siffatta conclusione.
Anzitutto l'articolo ora citato non dice soltanto
(i) V. da ultimo la conforme sentenza della Cassazio ne di Napoli 27 aprile 1889 (Foro it., 1889, I, 1310) e la rela -
ti va nota, ove trovasi riassunta la dottrina e la giuri sprudenza che prevalentemente opinano in questo senso.
Per la giurisprudenza posteriore, sempre in senso con
forme, veggansi i nostri Repertori annuali voce Prova testimoniale.
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895 PARTE PRIMA 896
ohe fra il giorno della notificazione dell'ordinanza
e quello stabilito per l'esame devono correre dieci
giorni, ma usa la parola almeno, diretta a dimo
strare che se un termine maggiore può intercorrere
fra quei due punti estremi, esso non può essere mi
nore dei dieci giorni come sopra stabiliti. Ma v'ha di più: l'art. 43 dello stesso codice di rito pone
per regola assoluta che nel computo dei termini
misurati a giorni o a periodi maggiori non si com
prende il giorno della notificazione. Tale essendo
il letterale disposto della legge, del medesimo fa
cendosi l'applicazione al caso concreto, togliendo
dal termine fra il 10 ed il 20 febbraio 1894 il dì
primo, cioè, quello della notificazione dell'ordinan
za, e quello ultimo, cioè, il giorno in cui l'esame
avrebbe dovuto aver luogo, chiaro si appalesa co
me a nove, anziché a dieci giorni, sia ridotto il ter
mine portato dall'art. 233 del codice di rito. Si
obbietta dal Bongi che 1' art. 43 sovra citato non è applicabile alla fattispecie, in quanto che la re
lativa disposizione regoli il computo di quei ter
mini, i quali sono messi in moto, ai quali dà vita ed inizio il fatto della parte ; ora colla notificazio
ne dell' ordinanza non si dà vita nè moto a ter
mine alcuno, e per contro è dal giorno fissato per
l'esame che nasce il termine in cui deve eseguirsi la notificazione; e poiché chi dà vita e moto al
termine dei dieci giorni è il giorno dell'esame, si
soggiunge, è necessario riconoscere che, secondo lo
spirito della legge e la mente del legislatore, giorno della notificazione, pel caso dell'art. 233, è quello
fissato per lo esame, e quello in cui dee farsi e si
fa la notificazione è quello della scadenza del ter
mine. La fallacia, per non dire l'inattendibilità,
di un siffatto ragionamento, chiara si appalesa, solo
che si ponga mente alla lettera della sovra citata
disposizione di legge. Nel mentre non si vede ra
gione plausibile perchè nel computare i dieci gior ni di cui nell'art. 233 si debba incominciare dal
giorno fissato per l'esame, e, retroandando, salire
al dì della notificazione dell'ordinanza a vece di
partire da questo e scendere a quello stabilito per
l'esame; nel mentre torna inutile una distinzione
sul computo dei termini ai quali dà vita il fatto della parte, come sarebbe la notificazione d'una sen
tenza per ciò che riflette la decorrenza del termi
ne, vuoi per interporre appello, vuoi per far se
guire una prova testimoniale che sia stata ammes
sa; ogni discussione al riguardo vien tolta di mezzo
di fronte all'art. 43 succitato, che, trovando suo
posto nelle disposizioni generali, non fa la distin
zione dal Bongi vagheggiata, ma esclude, in termini
assoluti, dal computo relativo il giorno della no
tificazione, e di fronte al disposto dell'art. 233, il
quale esige, sotto pena di nullità, che fra il giorno della notificazione (fatto della parte) dell'ordinanza
e quello stabilito per l'esame (fatto del giudice) cor
rano dieci giorni almeno. Alla ingegnosa e stu
diata argomentazione del Bongi resiste la precisa
e letterale disposizione, pella quale la notifica
zione dell'ordinanza dev'essere fatta almeno dieci
giorni prima di quello stabilito per l'esame.
Si obbietta dal Bongi, che ad ogni modo, la nullità
di cui all'art. 233 non porterebbe, quale legittima
conseguenza, la decadenza dal diritto di far seguire la prova ; opperò, ritenendosi fondato in diritto ad
essere rimesso nella istessa condizione in cui si tro
vava nel dì 20 febbraio 1894, si fa a sostenere che
dev'essergli concesso di far seguire quell'esame al
quale in detto giorno avrebbe potuto addivenire, e
poiché una proroga del termine probatorio è necessa
ria, questa proroga (in d'ora egli chiede. Ma anche
qui vani tornano gli sforzi d'argomentazione del Bon
gi. Astrazion fatta da ciò che costituisce pel Sangui neti altra ragione od altro motivo di decadenza a
carico del Bongi, cioè dalla sua non comparizione nel 20 febbraio 1894 nanti il pretore del 1° man
damento di Roma, non comparizione che si evince
dal contesto del relativo verbale, che di lui tace
affatto, che nulla riproduce di quegli argomenti che
si fossero da lui addotti per combattere le istanze
del Sanguineti, sì che il rimetterlo in quella con
dizione in cui trovavasi nel giorno suindicato sa
rebbe lo stesso che rimetterlo nella condizione di
colui che all'udienza stabilita non comparisce, non
dà segno di vita, non propone istanza qualsiasi; astrazion fatta, ripetesi, da tale considerazione,
chiaro si appalesa come, non potendosi sanare la
opposta nullità, non avendosi altro termine utile
per addivenire ad una nuova notificazione di detta
ordinanza, si debba dichiarar decaduto dall'eserci
zio d'un diritto colui che non si attenne alle di
sposizioni di legge, alle quali l'esercizio di quel di
ritto era vincolato.
Né con diritto si fa ricorso al disposto dell'art.
249 del codice di rito, e per analogia se ne invoca
l'applicazione al caso in esame; quell'articolo regola
fattispecie ben diversa dall'attuale, nella quale il
fatto produttivo della nullità proviene da una delle
parti in giudizio, è un fatto cui essa stessa dà luo
go, mentre nel caso dell'articolo ora invocato la
nullità deriva da tutt'altri, da alcuno degli ufficiali
pubblici in esso contemplati, al fatto dei quali sono
assolutamente estranee le parti contendenti, le qua
li, senza un'aperta e manifesta ingiustizia, non pos
sono essere tenute a sopportare le conseguenze di
una nullità alla quale in modo alcuno non hanno
dato causa. L'art. 232 punisce la colpa o la ne
gligenza della parte, ed a lei ne lascia inesorabili
le conseguenze; l'art. 249 punisce la colpa o la ne
gligenza dell'ufficiale pubblico, ed alle conseguenze
relative vuol giustamente sottratta la parte, che,
altrimenti giudicando, di quella colpa o negligenza
sarebbe vittima innocente. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
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