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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 19 febbraio 1885; Pres. Vigliani, P. P.,...

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Udienza 19 febbraio 1885; Pres. Vigliani, P. P., Est. Martucci, P. M. Sacchini; Codibò (Avv. De Witt) c. Sestini ed altri (Avv. Bucciolini. Brunetti e Brenzini) Source: Il Foro Italiano, Vol. 10, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE (1885), pp. 405/406-409/410 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23091478 . Accessed: 28/06/2014 10:55 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.93 on Sat, 28 Jun 2014 10:55:37 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Udienza 19 febbraio 1885; Pres. Vigliani, P. P., Est. Martucci, P. M. Sacchini; Codibò (Avv. DeWitt) c. Sestini ed altri (Avv. Bucciolini. Brunetti e Brenzini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 10, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1885), pp. 405/406-409/410Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23091478 .

Accessed: 28/06/2014 10:55

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405 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 406

perate dal notaio, se non convertendo il suo uffizio in i

curia giudiziaria, ed intralciandone la funzione in

danno delle stesse parti interessate. Ma la mancanza

assoluta di autentica, cui dovrebbe soffermarsi il

conservatore, non è da confondere con la nullità che

le parti abbiano interesse di rilevare. Il quale inte

resse, nonché in antitesi col dritto, viene ad esserne

validamente sostenuto; dappoiché non v'ha alcuno

che non ravvisi nel creditore posteriore il dritto di

impugnare nei modi di legge i gradi che lo prece

dono. Né giova rifuggire ai temperamenti ammessi

dall'art. 1998, se non confondendo cose essenzialmente

distinte; dappoiché le inesattezze nelle condizioni ac

cessorie della iscrizione non hanno nulla di comune

con la nullità assoluta per difetto di consenso al

l'atto costitutivo, si come la incertezza è affatto di

stinta dalla inesistenza. Il perché vuoisi necessaria

mente concludere aver la sentenza violato la legge

quando, pure dicendo nulla l'autentica, ha dichiarato

efficace la iscrizione.

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE.

Uòienza 19 febbraio 1885; Pres. Vigliani. P. P., Est.

Martucci, P. M. Sacchini; Codibò (Avv. Db Witt)

c. Sestini ed altri (Avv. Bucciolini. Brunetti e

Brenzini).

Successione - Separazione del patrimonio del de

l'unto da quello dell'erede - Locazione nltrano

veunale - Vendita di bestiame (Cod. CÌV. art.

2055, 2056, 2061, 2062, 1597).

Verede non può con alcun atto d'indole disposi

tiva recare pregiudizio ai diritti dei creditori

ereditari che chiesero la separazione dei beni del

defunto da quelli dell'erede.

Quindi di fronte ai creditori del defunto è inef

ficace l'affitto oltrenovennale dei beni ereditari

concesso dall'erede.

Parimente è inefficace il cangiamento in massa,

fatto dall' erede, dei bestiami che il suo autore

aveva destinalo alla coltura dei fondi.

La Corte, ecc. — In diritto: Attesoché per un ret

to giudizio intorno alle censure mosse dal ricor

rente Codibò alla sentenza denunciata coi motivi

«econdo, tèrzo, quarto, quinto e sesto, giovi ben de

terminare il concetto legislativo riguardante la se

parazione del patrimonio del defunto da quello del

l'erede, e tenere presenti i principi fondamentali che

la governano. — Quale scopo si proponesse il legi

slatore con tale istituto è fatto palese dall'art. 2055

del cod. civ., ove si legge che; « la separazione ha

per oggetto il soddisfacimento, col patrimonio del

defunto, dei creditori di lui e dei legatari che l'han

no domandata, preferibilmente ai creditori dell'ere

de ». Ma non bastava indicarne lo scopo, quando

non si fossero prescritte norme sicure per raggiun

gerlo e garantirlo, quando non si fossero dettate di

sposizioni, per le quali, stante la condizione giurid.del

l'erede rispetto ai beni ereditari, questi sia fatto im

potente a renderlo illusorio. A ciò si provvide più spe

cialmente con gli art. 2061, 2062 del suddetto codice,

ordinando con questo che le ipoteche iscritte sugli

immobili dell'eredità a favore dei creditori dell'ere

de, e le alienazioni anche trascritte degli immobili

stessi non pregiudicano in alcun modo ai diritti

dei creditori del defunto, e prescrivendo coll'altro

che riguardo ai mobili già alienati dall' erede, il

diritto alla separazione comprende il prezzo non

ancora pagato. Aggiungi, che ad evitare qualsiasi

possibile confusione fra i creditori del defunto e

quelli dell'erede, venne stabilito nell'art.2056 del citato

codice, che se i creditori dell'eredità per avventura

accettassero l'erede per debitore, non avrebbero più

diritto alla separazione. Dalle quali disposizioni facilmente si deduce non

solo che il benefìcio della separazione é diretto a

fornire ai creditori una garanzia sul patrimonio del

defunto per ottenere il pagamento del loro avere

con assoluta prelazione sui creditori dell'erede, ma

che questo, col procedere ad atti aventi carattere

dispositivo, ossia d'indole eccedente l'ordinaria am

ministrazione, e lesivi della entità o valore del pa

trimonio del defunto, non pregiudica in alcun modo

ai diritti dei creditori del defunto, di fronte ai quali

tali atti si hanno come non avvenuti.

Nè utilmente si opporrebbe che l'art. 2062 si rife

risca soltanto alle ipoteche iscritte sugi' immobili

dell'eredità in favore dei creditori dell'erede ed alle

alienazioni degli immobili stessi, non già a tutti gli

atti che rivestono carattere dispositivo; imperocché

spontanea si presenta la risposta, che sotto il nome

generico e latissimo di alienazione si comprendono

legalmente tutti quegli atti che in qualunque modo

vengono a diminuire il patrimonio; lo che vale quanto

distrarne ossia alienarne una parte (Leg. 28 ff, de

verborum significatione).

Stabilito, pertanto, che l'erede non possa arrecare

pregiudizio ai diritti dei creditori ereditari separa

tisti con alcun atto di indole dispositiva, torna inu

tile indagare se l'affìtto oltrenovennale della tenuta

di Trebbio, stipulato fra zio e nipote Codibò, costi

stituisca un diritto reale, una specie di dominio

utile, e quindi un'alienazione per parte del locatore.

Quando anche si abbracci l'opinione sostenuta dal

ricorrente, che l'accennato principio non regga di

fronte alla nostra legislazione, non per questo sa

rebbe men giusta la sentenza, ognorachè a quella

prima ragione, che la persuase a dichiarare nullo

l'affitto in disputa rimpetto ai creditori, aggiungeva

l'altra, distinta ed indipendente, che ove pure l'af

fitto a lungo tempo costituisse una semplice obbli

gazione personale nel locatore, sarebbe del pari

nullo; giacché l'erede, sebbene proprietario della co

sa ereditaria, non può assumere rispetto ad essa ob

bligazioni, che, eccedendo la semplice amministra

zione, pregiudichino i diritti dei separatisti. Ora, se

non può contestarsi che la locazione a lungo tempo

è un atto dispositivo ed eccedente l'amministrazio

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407 PARTE PRIMA 408

ne, come lo dimostra chiaramente l'obbligo della

trascrizione imposto dall'art. 1932 n. 5 del cod. civ.,

la Sentenza sta salda malgrado le censure circa il

dritto reale, di cui sopra si tenne parola. —A nulla

approda l'eccezione desunta dagli art. 1597 del cod.

civ., e 687 del cod. di proc., pei quali i terzi sono

obbligati di rispettare l'affitto avente della certa e

regolarmente trascritto. Oltre che i riferiti articoli

contemplano i rapporti fra l'affittuario e il compra

tore, non quelli dell'affittuario con i creditori, stan

no invece a dimostrare che gli affitti hanno efficacia

soltanto quando siano anteriori alla vendita; caso

affatto opposto alla specie, in cui la locazione venne

stipulata dopo iscritto il benefizio della separazione. E qui occorre osservare come sia vano lo insistere

che fa il ricorso sul diritto di seguito, affermando

che l'art. 2062 del cod. civ. non conferisce ai credi

tori separatisti il diritto di impugnare gli atti di spositivi dell'erede, ma quello soltanto di porre al

l'asta, presso chiunque si trovino, i beni colpiti dal

vincolo della separazione. Ma non si avvede, <> mo

stra di non avvedersi il ricorrente, che appunto il

diritto di seguito importa per naturale sua virtù

quello di impugnare e respingere qualunque atto con

cui dall'erede si venga a diminuire l'entità o il va

lore della cosa sulla quale si esercita; e cosi, nella

specie attuale, i creditori separatisti dell'eredità Co

dibò-Bini, nell'intervenire al giudizio per la vendita

all'asta di una tenuta ereditaria ond'essere soddi

sfatti dei loro crediti, con tutta ragione chiedono che

sia esclusa dal bando venale la condizione che il

compratore debba rispettare la locazione ultranoven

nale concessa dall'erede, siccome quella che nuoce

rebbe al loro diritto di seguito, diminuendo il prezzo della tenuta posta in vendita. In una parola: i se

paratisti hanno il diritto di esigere che la tenuta sia

posta all'incanto nello stato in cui il defunto l'ha la

sciata all'apertura della successione.

Ma la sentenza si affida ancora ad un terzo argo mento per dichiarare la nullità relativa dell'affitto

oltrenovennale, al riflesso, cioè, che come la loca

zione a lungo tempo non può pregiudicare il credi

tore ipotecario che accese la sua iscrizione anterior

mente alla trascrizione dell'affitto, così, a più forte

ragione, il creditore tutelato dal beneficio della se

parazione iscritto regolarmente, non può essere vinto

da chi alleghi diritti creati dall'erede sui beni ere

ditari con la personale obbligazione.

Questo terzo motivo, indipendente dagli altri, ba

sterebbe a giustificare la sentenza; non potendosi di

sconoscere la forza dell'argomento tratto dalla pa

rità di ragione che corre nei rapporti del creditore

ereditario verso il debitore, e del separatista verso

l'erede. E che siffatta parità di ragione sia inconte

stabile, si rileva apertamente dalla lettera dell'art.

2065 del cod. civ., ove è scritto che: « tutte le di

sposizioni relative alle ipoteche sono applicabili al

vincolo derivante dalla separazione dei patrimoni

regolarmente iscritto sopra gl'immobili dell'eredità ».

Attesoché neppure sussistono le accuse rivolte a

quella parte della sentenza, in cui si dice nulla la

vendita del bestiame addetto alla fattoria del Treb

bio per destinazione di Leopoldo Codibò-Bini, autore

di don Paolo Codibò, che lo vendette al nipote

Oreste quando era già iscritto il beneficio della se

parazione.

Dal ricorrente si sostiene: che la immobilizzazione

degli animali, addetti alla coltura per destinazione

del proprietario, è stabilita dalla legge soltanto nel

l'interesse e a favore del proprietario stesso e della

agricoltura, non dei terzi che non possono valersene;

che l'ipoteca iscritta sull'immobile non si estende ai

bestiami, i quali non sono accessioni ma semplici

accessori del fondo; e che, ad ogni modo, la immo

bilizzazione del bestiame venne a cessare col ces

sare della destinazione per la vendita fattane dal

proprietario. Niuna di queste proposizioni ha giuridico fonda

mento. Invero, é erroneo che la immobilizzazione per

destinazione sia stabilita nel solo ed esclusivo inte

resse del proprietario e dell'agricoltura. L'art. 413

del cod. civ. dispone puramente e semplicemente: che sono beni immobili per destinazione le cose che

il proprietario del fondo vi ha poste per il servizio

e la coltivazione del medesimo, e che tali sono gli

animali addetti alla coltura; esso non limita in alcun

modo gli effetti di tale destinazione; onde ricorre la

massima che ove la legge non distingue, non deb

bonsi introdurre distinzioni di sorta. Libero il pro

prietario di destinare animali alla coltura dei fondi;

una volta però compiuto questo fatto, esso spiegala sua efficacia per ministero di legge; e siccome questa

non accenna un effetto limitato, devesi escludere ogni

limitazione.

Non è poi vero che, iscritta l'ipoteca sopra uno

stabile, non ne restino colpite tutte le cose che ne

formano parte, e fra queste gli animali che piacque al proprietario destinarvi per la coltura. Qui si fa

luogo alla regola che l'accessorio segue il principale;

ed in base appunto a questo principio l'art. 1966

del cod. civ. prescrive: che l'ipoteca si estende a

tutti i miglioramenti ed anche alle costruzioni ed

altre accessioni dell'immobile ipotecato. Che se l'in

dicato articolo parla di accessioni, non vuoisi inten

dere la parola nel senso delle sole accessioni mate

riali che si uniscono e confondono coll'immobile, sib

bene nel significato di accessori, ossia di tutte le

cose che accedano al fondo, e che l'art. 1967 dichiara

appunto capaci d'ipoteca, siccome ebbe a ritenere la

dottrina e la giurisprudenza.

Finalmente non presenta alcuna importanza giu

ridica il fatto che Don Paolo Codibò cangiasse desti

nazione al bestiame, col venderlo. Messo in sodo, per

le considerazioni sopra sviluppate, che l'erede non

possa procedere ad atti dispositivi in pregiudizio dei

creditori che iscrissero il beneficio della separazione, è manifesto che la diversa e nuova destinazione data

al bestiame non potè avere alcuna influenza a danno

dei separatisti, togliendo una parte della loro ga

ranzia. Non trattavasi di qualche capo di bestiame

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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE

reso inutile, o che per buona amministrazione do

vesse esser tolto dal fondo; trattavasi invece di tutto

il bestiame della fattoria, e quindi un atto senza

dubbio eccedente la semplice amministrazione e le

sivo dei diritti dei creditori separatisti, per modo

che non sfuggiva alla sanzione stabilita dall'art. 2062

del cod. civ.

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 30 marzo 1885; Pres. Eula P. P., Est. Pe

rocché); Senni (Avv. Quattrofhati) c. Ferrari

Amorotti (Avv. Casthlboloqnesi).

Possesso — Servitù discontinue — Passaggio —

Violenza contro la cosa — Reintegrazione in

possesso (Cod. civ., art. 695).

Anche nelle servitù discontinue, in ispecie in quella di passaggio, si ammette la reintegrazione in

possesso.

Per l'esercizio dell'azione stessa non si richiede

che la violenza sia diretta alla persona del pos

sessore. Basta farsi ragione da sè contro la vo

lontà anche solo presunta del possessore, e qua

lunque sia il possesso. (1) Una volta acquistato il possesso, lo si conserva an

che solo animo: sicché quando per la natura e

qualità della cosa, a cui si applica, esso non si

possa esplicare con atti esteriori che ad inter

valli più o meno lunghi, nel corso di questi è a

ritenersi conservato.

La Corte, ecc. — Omissis : Il tribuuale di Parma

nella parte dell' impugnata sentenza, in cui prese in

esame l'azione di reintegrazione su proposta del cav.

Senni, mentre ha evitato quell' errore di diritto da

cui è stato determinato 1' annullamento della sen

tenza pronunziata dal trib. civ. di Modena, e che

consisteva nell' aver subordinato la giuridica am

missibilità dell' azione medesima all' esistenza nel

r attore Senni di un vero e proprio diritto di pos

sedere, che per altro aveva in fatto ritenuto escluso,

ha attribuito all' art. 695 del cod. civ. una portata

che non è la vera, ed é cosi incorso, però sotto un

diverso aspetto, nella violazione di quella stessa di

spesizione che era allora stata falsamente interpre

tata ed applicata.

E per vero ; in ordine agli estremi legali dell' a

zione in reintegrazione dal Senni proposta, il tribu

nale scrive dapprima che devesi escludere il carat

tere dello spoglio, contemplato dall'art. 695 del cod.

civ., nell' operato dei Ferrari-Amorotti, consistente

nel taglio dello stradello su cui il Senni asseriva di

avere per lo addietro esercitato il passaggio ; per

ciocché. anziché alla persona del Senni, era diretto

alla cosa ; e venendo poscia a ragionare di propo

sito in tesi generale dei caratteri dell'azione stessa,

come pure degli aggiunti di fatto nel cui concorso

era stato dal Senni invocato quel rimedio, che rico

nosce accordato dalla legge come una misura di pub

blico interesse, osserva in sostanza : — essersi in

addietro a lungo disputato se 1' azione in reintegra

potesse sperimentarsi da chi ne poneva a subbietto

una servitù discontinua, e specialmente una servitù

di passaggio, ed i responsi della dottrina e della

giurisprudenza essere stati per lo più negativi, per

chè una deiezione propriamente intesa non fosse im

maginabile in questo sorta di giudizi; — doversi

però tenere una via di mezzo, che nè sempre accor

di, né sempre dinieghi il rimedio della reintegrazio

ne, sul riflesso che, come la detenzione materiale

della cosa si immedesima per modo colla persona

del detentore, che la spogliazione (dejectio) riesca ad

una violonza contro il detentore stesso, violenza che

appunto si reprime reintegrando immediatamente il

detentore nello stato materiale di prima, cosi in te

ma di servitù di passaggio la quasi detenzione si ha

quando chi la esercita versi in un godimento di fatto,

in un' attuale e materiale occupazione del suolo su

cui transita, ed incontri un impedimento effettivo,

violento e personale a questo suo godimento, non

potenziale, ma attuale, per il che al quasi detento

re, che si trovi inopinatamente respinto dal proprie

tario nell'atto che sta usando del passaggio, il pre

sidio tutelare della reintegrazione non debbe fallir

gli ; e non potendosi ammettere nella quasi deten

zione la mera potenzialità, mentre si richiede 1' at

tualità del sue esercizio, conseguirne che il Senni, il

quale all' epoca del taglio dello stradello trovavasi

fuori di questo, e non ne aveva perciò in atto la

quasi detenzione, invano faceva ricorso al rimedio

interdettuale, essendo la potenzialità del possesso

abile ad essere tutelata nei casi di possesso in ido

neo subbietto di protezione nel quasi possesso dei

diritti incorporali, nè potendo aversi come fatto di

spoglio il taglio trasversale dell'psse stradale.

Ora, sia che si guardi ai termini in cui è conce

pito il rimentovato art. 695, sia che si badi alla ra

(1) La sentenza cassata del Tribunale di Parma, si legge nella Ri vista legale parmense e modenese 1883, n. 104 e ne! Monitore dei tribunali di Milano 1883, 1076. Nella detta Rivista del 1883, n. 6 si trova anche un lungo articolo, intitolato Sull'azione in reintegra zione nelle servitù discontinue e non apparenti e specialmente nelle servitù di passaggio, dell' avvocato Castelbolognesi, che so stiene li tesi contraria a quella seguita dalia Cassazione di Torino.

Che la servitù di passaggio poi dia luogo alla reintegrazione in

possesso fu più volte giudicato dalla stessa Cassazione di Torino e

da altre Corti del Regno come si può vedere dalla nota, riassun

tiva della dottrina e della giurisprudenza, apposta dall'esimio cons. Banti alla conforme sentenza della Cassazione di Firenze 28 luglio 1881 (Foro it., 1881, I, 723). Alle molte sentenze ivi in vario senso

richiamate dobbiamo aggiungere le seguenti, tutte conformi a quella che ora pubblichiamo: Cassazione di Torino, 20 maggio 1881, An»

tona-Traversi c. Cazzani (Foro \t., Rep. 1881, voce Possesso, n. 110,

111), 4 aprile 1882, Castiglioni c. Moroni, 7 maggio 1883, Senni c.

Ferrai, e 1 detto, Angelinetta c. Parola (Foro it., Rep. 1882, n. 95

e 1883, n. 81, 82 della voce Possesso) e Cassazione Napoli, 27 feb

braio 1882, Bruzzino c. Andreossi (id. id. 1883, detta voce, n. 9*>). Si vegga pure un articolo delPavv. Del Vecchio Se l'azione di

reintegra è ammissibile per le servitù prediali, articolo inserito

nella Gazzetta del procuratore, XVI, 309.

Crediamo infine conveniente di rammentare, per quanto faccia al

caso, la sentenza 28 novembre 1884, della Cassazione di Napoli (Foro

it., 1885, I, 139).

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