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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 2 luglio 1889; Pres. Cappa., Est....

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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 2 luglio 1889; Pres. Cappa., Est. Massazza; Credito lombardo (Avv. Rossi e Casanova) c. Brioschi, De Marchi e altri amministratori

Udienza 2 luglio 1889; Pres. Cappa., Est. Massazza; Credito lombardo (Avv. Rossi e Casanova) c.Brioschi, De Marchi e altri amministratori della Fabbrica lombarda di prodotti chimici (Avv.Dina, Gatta, Molinari e Majno)Source: Il Foro Italiano, Vol. 14, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1889), pp. 923/924-929/930Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23094703 .

Accessed: 18/06/2014 04:17

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923 PARTE PRIMA 924

Un altro obbietto viene dal Buffa dedotto sempre

dal principio che l'art. 152 sia in suo senso applica

bile solo durante la vita della società; sciolta questa,

egli nota, è il caso di conchiudere che in bocca dei

convenuti l'eccezione di carenza d'azione nel Buffa ha

tutto l'aspetto di un'eccezione de iure tertii; impe

rocché essa spettava alla società, era preordinata a

proteggerla, e il suo ufficio sarebbe tramutato com

pletamente facendola servire a difesa personale degli

individui colpiti dall'azione in responsabilità. Ma è chiaro che non è lecito parlare di eccezione

de iure tertii quando il debitore oppone al creditore

che egli non ha una simile qualità, imperocché il pa

gamento deve essere fatto a chi vi ha legittimamente

diritto, ed è altrimenti invalido (art. 1241 cod. civ.).

Or dunque i citati dal Buffa erano nel loro pieno

diritto opponendogli che l'azione da lui esercitata non

gli spettava, ma apparteneva invece alla Banca di

Torino.

E poiché oggi si sa, per le dichiarazioni di quest'ul

tima, che precisamente essa si ritiene di quell'azione

investita, il contegno dei convenuti viene ad essere,

se pur ne era bisogno, ancor meglio giustificato.

Proseguendo oltre, rimarca il Buffa, che qualunque

persona abbia, a causa di fatto illecito, risentito dan

no, o quando più persone abbiano da un fatto unico

ricevuto un pregiudizio estimabile, ciascheduna ha

per ragione propria diritto all'indennizzo; che gli

amministratori di una società 11011 possono sostenere

che l'indennizzo da essi dovuto agli azionisti debba

servire come un'attività sociale per pagare i credi

tori della società rimasti essi pure danneggiati dalle

stesse colpe che offesero gli azionisti; che il danno

che gli amministratori di società anonima possono

arrecare colposamente nell'esercizio delle loro fun

zioni può colpire i soli azionisti od estendersi anche

ai creditori; e quando quest'ultimo caso avvenga,

come è appunto avvenuto nel caso concreto, azionisti

e creditori debbono essere risarciti.

Tutto ciò è perfettamente vero, e scaturisce anche

dal disposto della legge positiva, dicendosi nell'art.

147 cod. comm. attuale, come già nell'art. 139 cod.

precedente, che gli amministratori sono responsabili verso i soci e verso i terzi ; ma non porta alle conse

guenze pretese dal Buffa.

Gli amministratori di una società imputabili di

dolo o di colpa nell'esercizio delle loro funzioni hanno

recato un danno alla società di cui sono mandatari,

ed è questo il danno che essi devono risarcire. Gli

azionisti ed i creditori ponno aver diritto a tale ri

sarcimento solo in rappresentanza della società, e

per la parte che ad essi spetta in proporzione del

rispettivo interesse.

Or dunque è proprio e null'altro che un'attività

sociale l'indennizzo da prestarsi dagli amministrato

ri. Esso andrà a profitto dei soli azionisti, se questi soli furono danneggiati, purché nel patrimonio sociale

rimanga tanto che basti per pagare i creditori; pro fitterà anche a costoro nel caso contrario. Ed ecco

che ciascuno avrà ciò che veramente gli spetta senza

che avvenga l'inconveniente preteso dal Buffa,, e che

sarebbe veramente, com'egli nota « un'iniqua assur

dità», che cioè «la somma di denaro che si dovrebbe

impiegare per l'indennizzo dei soci, debba adibirsi

nell'indennizzo dei creditori; e così uno dei due rami

danneggiati rimanga a bocca asciutta per risparmiare all'autore di due rami di risarcirli tutt'e due ».

L'inconveniente ora accennato potrebbesi nel caso

concreto verificare quando si avesse a fare buon viso

all'azione del Buffa, così com'è stata proposta, impe rocché egli chiede la piena integrpzione del capitale

sociale, per la parte proporzionale alle azioni da lui

possedute, nessun riguardo avendo al danno subito

dai creditori, che fu pure grandissimo. Ora è chiaro che quand'anche all'esercizio dell'azio

ne del Buffa non fosse stata di ostacolo la conven

zione del concordato 11 marzo 1885, egli avrebbe

dovuto constatare quale precisamente sia stato l'im

porto del tianno che, secondo lui, sarebbe stato arre

cato alla Fabbrica lombarda dagli amministratori, revisori e sindaci di essa, e dimostrare così che, se

il danno non fosse avvenuto, i creditori sarebbero

stati integralmente pagati, e sarebbe rimasto a di

sposizione degli azionisti un capitale sufficiente al

rimborso delle loro azioni ed alla distribuzione fra

essi del fondo di riserva.

Ma egli non ha fatto ciò, ed ha preferito invece

lasciar del tutto ili disparte e Società e creditori, locchè non è punto ammissibile. (Omissis)

Tutti i convenuti appellati dovranno senz'altro

mandarsi assolti, non già dalla osservanza del giudi

ciò, come chiederebbe il De-Marchi, ma dalle domande

del Buffa, giusta quanto domandarono li Brioschi.

Andreossi, Biffi e Terruggia e gli altri ad essi asso

ciatisi. L'assoluzione dall'osservanza del giudizio suppone

che un'azione possa competere, ma che sia stata irri

tualmente spiegata, e sia dato nuovamente intentarla

in altro più regolare procedimento; ma ciò non si

verifica a riguardo del Buffa, il quale intentò un'azione

che assolutamente non gli competeva. Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI MILANO. Udienza 2 luglio 1889; Pres. Cappa., Est. Massazza;

Credito lombardo (Avv. Rossi e Casanova) c. Brio

schi, De Marchi e altri amministratori della Fabbri

ca lombarda di prodotti chimici (Avv. Dina, Gat

ta, Molinari e Majno).

Societil anonima — l&espoiisabilitft degli ammini

stratori verso i terzi — Sverdita del capitale —

Omessa convocazione della assemblea — Com

pratori «li azioni dopo l'avvenuta perdita (Cod.

comm., art. 146, 147; cod. civ., art. 1151).

Ai sensi dell'art. 147 cod. comm., trattandosi di

azione di responsabilità contro gli amministratori

per inosservanza dei doveri ad essi imposti dal

l'art, 146, sona terzi soltanto coloro che erano in

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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE

rapporti contrattuali diretti con la società al mo

mento della inosservanza suddetta. (1)

Esclusa l'applicazione dell'art. 147, non si può ri

correre alla azione ex delieto vel quasi, se non per

fatti dolosi o colposi indipendenti dalle obbliga zioni imposte agli amministratori dal menzionato

art. 147. (2) Gli amministratori che trascurarono di convocare

l'assemblea per denunziarle la diminuzione oltre

il terzo del capitale sociale, non possono essere ri

tenuti responsabili delle perdite subite da coloro

che comprarono azioni dopo l'avvenuta diminu

zione del capitale. (3)

La Corte, ecc. — Le società anonime sono ammini

strate da uno o più mandatari temporanei (art. 121

cod. comm., art. 129 cod. cessato). Questi non con

traggono, a causa dell'amministrazione loro, respon sabilità personale per gli affari sociali; sono però

soggetti: 1° alla responsabilità dell'esercizio del man

dato; 2° a quella che deriva dalle obbligazioni che la

legge loro impone (art. 122 e 130 codici eitati). Duplice è quindi la loro veste; sono mandatari

della società e ad un tempo magistrati sociali, al che

corrisponde, come si disse, verificandosi certe deter

minate circostanze, una duplice loro responsabilità. Fra gli obblighi, che la legge loro impone, havvi

quello di cui all'art. 146 cod. comm. 1882, il quale

prescrive che, quando gli amministratori riconoscono

che il capitale sociale è diminuito di un terzo, debbono

convocare i soci per interrogarli se intendano di rein

tegrare il capitale stesso o di limitarlo alla somma ri

manente o di sciogliere la società. « Grave e delicato

dovere, è detto nella relazione Mancini; non essendo

conforme ad una buona amministrazione attendere

l'ultima catastrofe per arrivare ai rimedi, che, adot

tati in tempo utile, possono ancora condurre ad una via di salvezza o scemare la gravità dei danni ».

Detta disposizione, che con qualche modificazione

trova riscontro nell'art. 142 del cessato codice, fu in

trodotta non solo a vantaggio dei soci, ma ben an

che dei terzi; che ad essi pure importa il conoscere a

quanto ammonta il capitale sociale. Il legislatore fu

infatti sollecito di ciò portare a loro notizia col pre

scrivere: che l'atto costitutivo o lo statuto dovesse

indicare l'ammontare del capitale versato; che di detti

atti (art. 91) se ne dovesse eseguire la trascrizione

ed affissione nelle forme di cui all'art. 90 ; che i me

desimi dovessero pubblicarsi per esteso nel Bollettino

ufficiale delle società per azioni (art. 95); e per estrat

to (colle indicazioni richieste nell'art. 89, e quindi anche col cenno del capitale sottoscritto e versato),

nel Giornale degli annunzi giudiziari (art. 94); che il

capitale medesimo, secondo la somma effettivamente

versata e quale risultava esistente dall'ultimo bilan

cio approvato, dovesse pure indicarsi in ogni contrat

to scritto, stipulato nell'interesse della società, ed

in ogni atto, lettera, pubblicazione od annunzio (art.

104); che, infine (art. 96), gli atti per la riduzione,

l'aumento o la reintegrazione del capitale (e quindi

anche nell'ipotesi di cui all'art. 146) dovessero essere

trascritti, affissi e pubblicati secondo le disposizioni dei citati art. 91, 94 e 95; affissioni e pubblicazioni

manifestamente richieste a garanzia speciale dei terzi, non soltanto dei soci, che ben potrebbero altrimenti

conoscere le deliberazioni prese. Ciò premesso, se dalla violazione di quell'obbligo,

di cui al precitato art. 146, il socio od il terzo ne

venga a risentire danno, niun dubbio della responsa bilità degli amministratori a risarcirlo quando pure non fossero in piena mala fede ; è ciò una conseguenza, salvo quanto si dirà in seguito, del dovere loro impo sto dalla legge, esplicitamente sancito dall'art. 147 n.

5 suddetto codice, articolo questo pur applicabile alle

società già esistenti all'attuazione del codice stesso, e

ciò per l'art. 4 n. 1 delle relative disposizioni transi

torie.

Posti questi principi è a conoscere se trovano ap

plicazione nel caso concreto.

Dicono i liquidatori del Credito lombardo: che non

è controverso che gli amministratori della Fabbrica

lombarda non abbiano ottemperato alle prescrizioni contenute nell'art. 146, non essendosi essi curati di

convocare l'assemblea per gli effetti di detto arti

colo, nè quando il capitale sociale si trovò diminuito

di un terzo, nè quando era già consumato per intero; che al Credito lombardo una tal colposa omissione

era stata causa di grave danno dovendosi ascrivere

all'errore creato dalla medesima circa lo stato della

società l'acquisto di azioni di un'azienda già comple tamente rovinata; che quindi ad esso Credito, come

terzo, in base alle riferite disposizioni di legge, in una

agli art. 1151 e segg. cod. civ., competeva l'azione di

risarcimento di danno contro gli amministratori. A tali argomenti si oppone anzitutto dai convenuti :

non sussistere che il detto Credito lombardo riguardo al fatto posto a base della sua azione sia e possa con

siderarsi un terzo nei sensi dell'art. 147 cod. comm.; che terzi, essi soggiungono, nel senso del citato arti

colo, sono soltanto i creditori della società: presa la

parola creditori nel significato più lato, e cioè in quel 1 lo di tutti coloro che avendo contratto o avuto rap

(1-3) Questa sentenza completa la teoria della responsabi lità degli amministratori delle società anonime, svolta nel la precedente decisione. La sentenza del 18 giugno (retro col. 911) esaminò la quistione nei rapporti con gli azionisti: questa del 2 luglio nei rapporti con i terzi. La motivazione di questo secondo giudicato ó meno esauriente dell'altra, ma la sentenza è giusta e pienamente conforme ai principi formu lati nel codice attuale.

Per la più chiara intelligenza della decisione riprodu ciamo dal Monitore dei tribunali di Milano in sunto il fatto della causa.

Dichiaratosi il fallimento della Fabbrica lombarda dei prodotti chimici, ed omologatosi il concordato con sentenza 4 agosto 1885 (confermata in appello il 29 dicembre d. a.),i liquidatori del Credito lombardo citarono gli amministra tori della fallita, ed esponendo d'avere poco prima del fal limento acquistato numero 1043 azioni di detta Fabbrica al medio prezzo di L. 224, nella certezza che il capitale (mentre era interamente consumato) non fosse diminuito oltre il ter zo, per non essersi a cura degli amministratori convocati gli azionisti secondo l'art. 146 cod. comm., domandavano la con danna degli amministratori al pagamento della sjnima sbor sata cogli interessi.

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927 PARTE PRIMA 928

porti colla società stessa avrebbero azioni da far

valere contro la medesima.

Gli attori a loro volta sostengono che quel voca

bolo terzi venne adoperato nel suo proprio significato

di qualunque persona estranea, che non essendo so

cio, può essere danneggiata dall'inosservanza dello

statuto sociale e della legge; ed in ciò troverebbero

forse appoggio nel senso letterale di quella parola, se

non fosse del pari inoppugnabile il principio che alle

parole non può darsi il giusto significato se non si

penetra il concetto di colui che scrisse : Scire leges non est earum verba tenere.

In base a detta massima, a parte il riflesso se lo

stesso individuo possa considerarsi come terzo per

quell'identico fatto che come nella fattispecie gli at

tribuisce la opposta qualità di socio ; a ben conoscere

il senso vero e proprio dell'accennato vocabolo terzi

adoperato nell'art. 147 in relazione al precedente art.

146, devesi dunque ricercare la ragione della legge, ossia il motivo per cui detta ultima disposizione ab

biasi pure ad estendere, come sopra fu detto, a per sone che non sieno soci.

Al riguardo si è di già accennato, come al terzo im

porta pure il conoscere a quanto ammonti il capitale sociale. E di vero, un individuo che contratta con

una società, in ispecie anonima, ove i soci non sono

tenuti che fino a concorrenza dell'ammontare della

loro quota, rappresentata dall'azione, è opportuno

sappia come e in quali limiti il possa fare, e ciò ad

evitare le frodi, di cui potrebbe altrimenti esser vit

tima. Si è appunto per raggiungere questo scopo, che ebbero ad ordinarsi le trascrizioni, le inserzioni, le pubblicazioni di cui si è tenuto parola; una specie

quindi di pubblicità permanente, intesa, come è detto

nella relazione Mancini sull'altro art. 104, ad evitare

ai terzi ogni sorpresa, col porre ad essi costantemen

te innanzi agli occhi l'indicazione della speciale na

tura dell'ente collettivo, con cui entrano in relazione

d'affari. Se questa è dunque la ragione della legge, se ne

deve necessariamente dedurre che si volle con essa

favorire, non qualunque persona estranea, chè non vi

sarebbe stato motivo per estendere sì oltre la sua

protezione ; ma quella soltanto, che facendo a fidanza

colla regolarità e lealtà dell'azienda sociale, pur non

essendo socio, entri (come è detto nella relazione suc

citata) in rapporti colla società ; concetto questo che

è pur ribadito in altro brano della relazione medesima

sull'art. 246, ove, accennandosi all' idea di non appli

care quel disposto alle società cooperative, ed addu

cendosene il motivo, si soggiunge : « In quelle società

le oscillazioni del capitale appartengono al corso or

dinario delle cose, che dev'essere preveduto dai con

traenti » ; espressione quest'ultima che vieppiù ad

dimostra a quali persone volle riferirsi la legge colla

parola terzi, che in essa si adopera. In tal senso si è pur pronunciata la suprema Corte

di cassazione in Torino, colla sentenza 19 agosto 1880.

Si stabilì con quel giudicato la massima: essere terzo

a sensi degli art. 164, 165 cessato cod. comm. soltanto

chi ha contrattato colla società; non potersi perciò invocare le disposizioni di detti articoli stabilite a fa

vore dei terzi, da chi abbia contrattato con un socio, non come rappresentante la società, ma come agente nel proprio nome e per conto suo particolare. — Gio

va qui riprodurre un brano dei considerandi di questa sentenza : « Non può considerarsi come terzo, ivi è

detto, un qualunque, che per avventura abbia un in

teresse dipendente dall'esistenza o non della società;

perocché non devesi mai dimenticare che se non vi

ha azione senza interesse, però non ogni interesse co

stituisce un diritto o ingenera un'azione; ma quello

soltanto che è riconosciuto o fatto materia di vincoli

giuridici, o per consenso delle parti o per virtù di

legge, ecc. ».

Considerazioni che pur si attagliano alla fattispe

cie; che se ivi accennasi agli art. 164, 165 cessato cod.

comm., che trovano qualche riscontro negli art. 98

e seg. cod. comm. attuale, ed in ispecie negli art. 99

e 103, ove si fa esplicita menzione di terzi, non vi

sarebbe però ragione per dare a questo vocabolo un

diverso significato nell'applicazione dei succitati art.

146 e 147; dacché in entrambi i casi si volle ognora

garantire quella stessa persona che si trova in certe

determinate condizioni di fronte all'ente sociale.

Pei suesposti riflessi e per mancanza nella fattispe

cie di ogni rapporto tra la Fabbrica prodotti chimici

e il Credito lombardo, non havvi dubbio si abbia a

respingere l'istanza proposta dagli attori in base al

citato art. 147.

Nè potrebbesi obbiettare, che nel concreto pur hav

vi un vincolo giuridico sorto fra quei due istituti col

l'acquisto delle azioni. E di vero, quei rapporti, se

"Sorsero, avrebbero tratto alla qualità di socio; il per

chè, se il cessionario Credito lombardo, utendo iuri

bus del suo cedente, voleva esperire l'azione di danno

per l'inadempimento di quanto è prescritto nel più

volte citato art. 146, avrebbe dovuto far valere detta

azione, qualora non fosse in ipotesi pregiudicata dalle

stipulazioni del concordato, colle modalità prescritte

dall'art. 152 cod. comm. e non colla veste propria di

terzo, qualità che, ripetesi, punto non gli competeva.

Non applicabile quindi l'art. 147, è a conoscere se

possa reggere l'azione di danno in base agli art. 1151

e seg. cod. civ.

I rapporti che sorgono dal contratto di società, pur

regolati da speciali disposizioni legislative, non po

trebbero spiegare loro effetto che fra le parti con

traenti, (art. 1130 cod. civ.).

Non è che a garanzia dell' interesse pubblico che la

legge, in certe determinate condizioni, ebbe a sancire

la diretta responsabilità degli amministratori verso i

terzi. Non verificandosi però le condizioni stesse,

come non si verificano, come sopra si disse, nel con

creto, e non potendosi perciò dire leso alcun diritto

di quei terzi per l'inosservanza della legge, dacché

diritto ad essi non competeva, deve rivivere la re

gola generale, che ha valore nel precitato art. 1130

cod. civ.; nè potrebbesi perciò ricorrere agli art. 1151

e seg. stesso codice, se non nell' ipotesi di un fatto

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929 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 930

generico doloso o colposo, che, indipendentemente

dalle accennate obbligazioni (che imposte dalla leg

ge, hanno pur sempre base nel contratto), avesse

per avventura recato danno ad altri; come, ad esem

pio, se si fossero usati artifizi per far entrare in so

cietà chi altrimenti non ne avrebbe fatto parte o per

farne uscire chi altrimenti non se ne sarebbe allon

tanato. Ora, siccome nella fattispecie manchereb

bero, come già si osservò, le condizioni volute dalla

legge per far luogo all'eccezionale disposizione di

cui all'art. 147 citato cod. comm., dacché il Credito

lombardo non potevasi considerare come terzo, nel

significato legale di quella parola, ne aveva perciò nessun diritto nè veste qualsiasi per pretendere dagli

amministratori, prima dell'acquisto delle azioni, la

osservanza dell'art. 146 cod. sudd.; e siccome vermi

altro fatto doloso o colposo venne addotto a carico

degli amministratori medesimi, da autorizzare in loro

confronto l'applicabilità delle altre disposizioni di cui

ai succitati art. 1151 e seg. cod. civ.; così, mancando

ogni estremo alla proposta azione, l'assolutoria dei

convenuti ne è la legittima conseguenza. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI ROMA. Udienza 28 giugno 1889; Pres. Pagano-Guarnascjiiel

li P. P., Est. Canna; Comune di Oliena c. Carloni.

Sequestro giudiziario — liite vertente — Ilecreto

inaudita altera parte (Cod CÌV., art. 1875; cod.proc.

civ., art. 921).

Il sequestro giudiziario, non può accordarsi, spe

cialmente in pendenza di giudizio di merito, su

semplice ricorso dell' interessato, inaudita altera

parte. (1)

La Corte ecc. — (Omissis) Attesochèil ricorso per

ottenere il decreto di sequestro 20 settembre 1881 fu

presentato al presidente del tribunale civile di Nuoro

nel giorno antecedente, e così nel giorno stesso in

cui era stata intimata al Cartoni la citazione intro

duttiva del giudizio di merito (19 settembre 1881).

(1) Lunga e difficile è la controversia che s'agita riguardo alla procedura da tenersi nel sequestro giudiziario accordato dagli art. 921 cod. proc. civ. e 1875 cod. civ. La ragione massima di questa controversia e delle difficoltà che la cir condano credo stia nel concetto erroneo da cui ordinaria mente si parte, parlando in genere di sequestro giudiziario, e non distinguendo le due forme che esso presenta. La semplice lettura dei due articoli surriferiti, per il modo come sono redatti infonde tosto la convinzione che essi ri flettono due casi essenzialmente differenti: perocché l'art. 1875 dice: Oltre i casi del codice di procedura ecc ; e l'art. 921 comincia: Oltre i casi dell'art. 1875 ecc., dal che s'infe risce una netta distinzione fra loro.

Ma ben più che la forma è il contenuto di questi articoli che ne rivela la sostanziale differenza. L'art. 1875 cod. civ., oltre il caso di liberazione del debitore, che non c' interessa, accorda il sequestro giudiziario sui mobili ed immobili de' quali sia controversa la proprietà o il possesso. L'art. 921 cod. proc. civ, invece accorda il sequestro a chi abbia interesse sopra una cosa, per il caso in cui questa possa essere sottratta, alte rata o deteriorata. — Il primo, dunque, tende a mantenere l'integrità ed identità della cosa controversa, a porre i con tendenti in condizioni eguali fra loro ; il secondo, invece, ha per iscopo di scongiurare il pericolo imminente che la cosa venga sottratta o diminuita; l'uno ha per causa la controver sia: ^sequestrum rei litigiosae» ; l'altro ha la sua ragione d'essere nel rischio imminente, «sequestrum rei servandae causa*. — E ciò fu già sapientemente dimostrato da numerosi ed egregi scrit tori: primo I'Ondei, Monit. dei trib. 1867. p. 933, quindi, stre nuamente, il G-ianzana, Foro it1878, I. 111, e Sequestro giu diziario, ediz. 3a , cap, VII, §. 35 e segg; poi Pugliese, Riv. giur. Trani 1882, p. 389; Borsari, Comm. al cod. proc. civ., Ap pend. XXVI ; Ravenali, Riv. Giur. Bologna, 1835, pag. 113: Mat" tirolo, Diritto giudiz., 3a ediz., V., §. 904 e seg.

E alla dottrina fa eco su questo punto una lunga serie di giudicati nei quali si dimostra la necessità e la convenienza di una tal distinzione (Cass. Firenze 6-10 luglio 1876, Foro it., 1877, I, 157; App. Roma 12 gennaio 1873, Legge 1878. I. 251; 22 aprile 1884, Foro it., Rep. 1834, voce Sequestro, n. 75, 76; App. Napoli 28 maggio 1875, id., 1887, I, 1084; App. Brescia 18 dicembre 1867, Giurispr. it., 1867, 772 ; App. Torino 26 feb braio 1875. Giurispr. Torino. 1875. p. 344; Cass. Napoli 1 de cembre 1883, Foro it. Rep. 1884, voce Sequestro, n. 64, 65 e re centissimamente la Corte d'appello di Venezia 4 aprile 1889 Temiven. 1889, 249). «Siccome il codice civile, dice la Corte di Roma nella prima delle suaccennate sentenze, parla del giudizio di rivendicazione dell'immobile, non si può rite nere che il codice di procedura civile parli di egual caso del giudizio di rivendicazione; perchè, essendo ambedue i codici contemporanei, sarebbe assurdo il dire che quello che vi è disposto in uno siasi nuovamente disposto nell'altro. A questa ragione intrinseca fanno plauso i termini dello stesso codice di procedura. In questi non si parla di chi vuol ri vendicare una cosa, ma bensì di chi ha interesse ad una cosa, vale a dire, della parte interessata, la quale è ben di versa dall'altra Il disposto dunque del codice civile, che parla del proprietario che rivendica, non si deve confondere col disposto del codice di procedura, che non parla nè di pro prietario, nè di rivendicazione, ma soltanto di chi ha inte resse sulla cosa e sulla rivendicazione della medesima».

E la Corte d'appello di Venezia nella citata sentenza os serva: «Secondo lo spirito del primo degli accennati ar ticoli (l'art. 1875 cod. oiv.), il sequestro giudiziario può chie dersi da una delle parti, quando, in pendenza di un giudizio sulla proprietà o possesso di una cosa certa, mobile od im mobile, o di rivendicazione della medesima, si scorge il

pericolo di lasciare la cosa controversa in mano di chi tro visi al possesso della medesima. Secondo l'art. 921 invece, il sequestro è accordato nel caso che, indipendentemente da una lite attuale, taluno abbia interesse a conservare per propria garanzia l'esistenza e l'integrità di una cosa mobile od immobile, che, posseduta attualmente da altri, si trova esposta al pericolo d'alterazione, sottrazione o deteriora mento ».

Posta così in chiaro la necessità e la giustezza di una ta le distinzione, ci sarà più facile risolvere la controversia sulla procedura da usarsi per ottenere il sequestro giudi ziario. Nel caso dell'art. 1875 cod. oiv. non si può discono scere che la maggioranza della giurisprudenza e della dot trina ritiene insufficiente il solo decreto presidenziale a ot tenere il sequestro, ed anch'io aocedo a questa opinione, sebbene riconosca che possano proporsi molte forti obie zioni in contrario.

Ma la controversia è invece molto viva per il oaso del l'art. 921, del quale singolarmente mi propongo occuparmi. L'art. 921 cod. proc. civ. dice che l'autorità giudiziaria può ordinare il sequestro sulla domanda della parte interessata. Il codice quindi non determina in quest'articolo in modo

preciso la procedura da tenersi in questa specie di sequestro giudiziario; epperò non si può desumerla che per argomen tazione. Ora l'induzione più facile, più naturale e più lo

gica che si presenta tosto alla mente, è che si applichino, in quanto si possa, a tale sequestro giudiziario le norme che nel titolo stesso la legge prescrive per il sequestro con

servativo; vale a dire che si possa ottenere per semplice ricorso e senza bisogno di citare l'altra parte, secondo che

dispone l'art. 925. Questa argomentazione mi sembra validamente giustifi

cata dal contesto e dalla dicitura della legge, dalla natura e dallo scopo di questo sequestro.

Il codice ha riunito sotto uno stesso titolo, che è rXI°, il

sequestro e la denuncia di nuova opera e di danno temuto, il che, come giustamente osserva il Gargiulo (Comm. al co dice di procedura civile, art. 921) ci deve bene avvertire come il legislatore abbia voluto raccogliere nel titolo stesso i casi che richiedono per l1 indole loro un pronto e necessario prov vedimento. Nel 1° Capo poi di questo titolo la legge parla del sequestro • e mi sembra quindi logico e giusto che tutte

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