Udienza 21 giugno 1930; Pres. Agosti, Est. Beretta; Cotonificio veneziano (Avv. Carnelutti,Sanvilei) c. Comune di Pordenone (Avv. Pisenti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 55, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1930), pp. 1067/1068-1071/1072Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23131315 .
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1067 PARTE PRIMA 1068
La Corte ecc., (Omissis) — Resta a considerare Ja
questione delle migliorie, nel che si condensa l'attuale di
battito.
L'appellata Salerno nega di dover tale rimborso, per chè non è contemplato dall'art. 1528 cod. civ. che stabi
lisce quello che il riscattante deve pagare al compratore, e sostiene doversi distinguere in proposito le migliorie in
genere dalle migliorie le quali hanno radice nelle ripa razioni del fondo, essendo soltanto di queste ultime im
posto il rimborso. E la Corte trova che la distinzione è
esatta ed è fondata e nella lettera e nello spirito della
legge. Nella lettera, in quanto l'articolo citato menziona le
spese per riparazioni necessarie e per quelle che hanno
aumentato il valore del fondo, intendendo unicamente le
riparazioni necessarie e le riparazioni soltanto utili. Ora,
riparazione non è sinonimo di miglioria, ma ha un si
gnificato più ristretto. Le riparazioni che accrescano il
valore del fondo sono indubbiamente migliorie, ma non
tutte le migliorie, cioè quelle spese utili, quae meliorem
rem faciunt, rientrano nel concetto di riparazione, che
significa più precisamente ridurre in pristino ciò che
era guasto.
Nello spirito della legge, perchè l'obbligo di pagare, come condizione del riscatto, tutte le migliorie che il com
pratore avesse creduto di fare in pendenza del riscatto
stesso, turberebbe l'equilibrio che deve rendere possibile l'esercizio del riscatto. Invero, il venditore il quale è co
stretto dalla necessità a privarsi della sua cosa e, nella
speranza di poterla riottenere, pattuisce il riscatto, cal
colando di potere provvedere ai mezzi necessari prima dello spirare del termine fatale, verrebbe spesso deluso
nella sua legittima aspettativa se per un impensato mi
glioramento del fondo, forse procurato artificiosamente dal
compratore per rendere più difficoltoso il riscatto, egli si trovasse privo della somma occorrente.
Non è il caso ora di vedere se e quale altra azione
competa al compratore che abbia eseguito miglioramenti, senza referenza alle riparazioni della cosa acquistata; certo
si è che non gli spetta il diritto di esserne rimborsato nel
l'atto del riscatto. E questo basta al fine della presente controversia. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE DI UDINE.
Udienza 21 giugno 1930 ; Pres. Agosti, Est. Beretta ; Cotonificio veneziano (Avv. Carnelotti, Sanvilei) c. Comune di Pordenone (Avv. Pisenti).
Tassa sulle industrie — Società per azioni, Istituti
di credito, C'asse di risparmio — llilaneio di com
petenza passivo — Diritto a rimborso — Termine
(R. D.-legge 18 novembre 1923 n. 2538, art. 3 ; R.
D.-legge 20 settembre 1926 n. 1643, art. 7).
Le società per azioni, gli istituti di credito e le Casse di
risparmio hanno diritto al rimborso dell1 imposta co
munale sulle industrie, commerci, arti e professioni
pagata per un'annata, il cui bilancio di competenza sia resultato passivo. (1)
(1) Conforme Cass. Regno 18 marzo 1929 (Foro it., 1929, I, B77).
Il termine di tre mesi per chiedere tale rimborso non
decorre che dal giorno, in cui sia stato ottenuto il
rimborso della corrispondente imposta di ricchezza
mobile. (2)
Il Tribunale, ecc. (Omissis) — La pregiudiziale ecce
zione, impone preliminarmente la decisione del'a fonda
mentale questione di merito riguardante l'applicabilità o
meno alla imposta sulle industrie e commerci, arti e pro
fessioni, istituita a favore dei Ctmuni e delle Provincie
dall'art. 3 del regio decreto-legge 18 novembre 1923 nu
mero 25*38, del beneficio dello sgravio accordato dall'ar
ticolo ? capov. 1° del regio decreto-legge 20 settembre
1926 n. 1643. Vi ha infatti, tra le parti, profondo dissidio
sulla connata ques'ione di merito in dipendenza alla di
versa considerazione della natura e del carattere delle due
imposte, sostenendosi dall'attore che quella sulle indu
strie, sui commerci, ecc. altro non sia che una sostitu
zione alla sovraimposta di ricchezza mobile a favore delle
Provincie e dei Comuni che il regio decreto-legge 18 no
vembre 1923, ha definitivamente abolito unitamente a
quella di esercizio e rivendita, e sostenendo altresì che
essa sia indissolubilmente collegata ed in intima dipen denza con l'imposta erariale di ricchezza mobile ; mentre
il convenuto obbietta che le due imposte sono del tutto
autonome ed indipendenti e che per ciò non si può esten
dere all'altra il beneficio dello sgravio stabilito per quella di ricchezza mobile nei casi sopra menzionati. (Omissis)
Nel merito il Collegio osserva che se, in vero, il di
ritto di sgravio disposto dall'art. 7, suindicato, ha espli cito riferimento soltanto alla imposta di ricchezza mobile
erroneo è dedurre da ciò che lo stesso diritto non vada
esteso alla imposta comunale e provinciale sulle industrie,
commerci, arti e professioni istituita col regio decreto
18 novembre 1923. Non è discutibile che la disposizione di legge suindicata costituisca una norma d'eccezione sta
bilita a favore degli Enti dalla stessa contemplati e me
diatamente a favore delle industrie e del commercio, ma
non è nemmeno lecito dubitare che l'imposta sulle indu
strie, commerci ecc. tragga la sua origine da quella di
ricchezza mobile e sia con essa in rapporto di stretta di
pendenza e subordinazione, sì da doversi considerare quale un'accessorio della medesima. Ciò, infatti, non solo si
evince dal complesso di norme che disciplinano la detta
imposta nuova, ma altresì ed in modo perspicuo, dalle
dichiarazioni del legislatore, e cioè dalla relazione con
la quale il Ministro proponente ebbe ad accompagnare il
regio decreto 18 novembre 1923. Si legge, in tale rela
zione, che l'imposta comunale sulle industrie, commerci, arti e professioni, veniva proposta in sostituzione all'abo
lita sovrimposta alla ricchezza mobile quale tributo più
organico e di stretta connessione con questa e commisu
rato sul reddito industriale e commerciale soggetto alla
imposta stessa.
Il testo del decreto stabilisce : che, essendo abolita
con effetto totale dal 1° gennaio 1925 la sovrimposta sui
redditi di ricchezza mobile, viene istituita a favore dei
Comuni, con effetto dalla data anzidetta, una imposta a
carico di chiunque eserciti un'industria, un commercio, un'arte ed una professione da cui tragga un reddito
non inferiore a lire 2000 (art. 3) ; che tale imposta va
applicata sul reddito netto accertato agli effetti dell'im
posta di ricchezza mobile con aliquota massima del 2% °
(2) Non resultano precedenti editi.
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1069 (i)URÌSPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 1070
dell' 1.60°/0 a seconda che trattasi di reddito della cate
goria B o C (art. 4) ; che a favore della Provincia è stato
accordato il diritto di applicare un'addizionale all'imposta
comunale sulle industrie, i commerci, le arti e le profes sioni sino al limite dell' 1 °/0 o del 0,80°/0 sugli stessi red
diti delle categorie B e C suindicati (art. 7) ; che trattan dosi di esercizio i cui redditi in virtù di legge speciale
siano esenti dall'imposta di ricchezza, mobile, la valuta
zione del reddito soggetto all'imposta sulle industrie è
fatta dal Comune.
Dal testo chiaro della legge pertanto, anzitutto, si
evince che condizione sine qua non dell'applicazione della
imposta sulle industrie, commerci, ecc. è la sussistenza
effettiva di un reddito superiore alle lire 2000, ed in se
condo luogo che la imposta di ricchezza mobile e quella
sulle industrie e commerci, se non sono fra di loro per
fettamente identiche, come pure si è da taluno sostenuto,
sono certo grandemente rassomiglianti, in quanto l'una e
l'altra gravano sul reddito effettivamente esistente, e sono
inoltre in rapporto di dipendenza e di subordinazione :
a) perchè l'accertamento e l'applicazione della seconda
presuppongono in linea generale, e cioè salvo eccezionale
esenzione stabilita dalla legge speciale, la esistenza della
prima, della quale evidentemente costituisce un'addizio
nale, ai redditi delle categorie B e C, tale e quale era la
sovrimposta comunale e provinciale che abolita dall' ar
ticolo 2, viene sostanzialmente riapplicata dall'art. 4 del
decreto in parola con diversa aliquota e con facoltà di ap
plicazione anche ai redditi eccezionalmente esenti dalla
imposta di ricchezza mobile ; 5) perchè l'imposta sulle in
dustrie, commerci, ecc. è concessa a favore dei Comuni
e delle Provincie soltanto relativamente ai redditi che sono
soggetti all'imposta di ricchezza mobile (redditi delle ca
tegorie B e C), mentre quelli esenti da quest'ultima non
vanno soggetti nemmeno a quella (art. 3 t. u. 24 agosto
1877 n. 4021) ; c) perchè, infine, l'imposta sulle industrie,
commerci, ecc. avendo come base il reddito netto accer
tato agli effetti dell'imposta di ricchezza mobile, subisce
tutte le variazioni di questa. L'indicato rapporto fra le due imposte è ulteriormente
precisato non solo dalle istruzioni ministeriali, ma altresì
dai decreti che susseguirono quello del 18 novembre 1923
e dai regolamenti di applicazione emanati dai Comuni.
La nuova imposta viene, infatti, sempre caratterizzata
come una vera e propria addizionale alla ricchezza mobile.
Anche la dottrina e la giurisprudenza in argomento con
cordano nell'escludere la natura di imposta autonoma a
quella sulle industrie e commercio istituita col suddetto
regio decreto.
Ciò posto, non si può, senza flagrante grave violazione
delle norme di interpretazione delle leggi non ritenere ap
plicabile, alla imposta sulle industrie e commerci, la di
sposizione di cui all'art. 7 capov. I del regio decreto-legge
20 settembre 1926 circa lo sgravio competente alle So
cietà anonime ed agli altri enti ivi contemplati quando sia
dimostrata la insussistenza del reddito preveduto al mo
mento della tassazione.
Se infatti la ratio della menzionata disposizione di legge,
come non può esser dubbio, è quella di favorire le industrie
ed i commerci, assicurando la corrispondenza fra l'imposta
di ricchezza mobile ed il reddito effettivamente realizzato
dalle Società anonime e dagli altri enti assimilati, non vi
ha chi non veda come, data la loro origine, la rassomi
glianza e la connessione fra la detta imposta e quella sulle
industria e commerci, corra identità di ragion logica e
giuridica per applicare a questa il trattamento di favore
che per quello risulta espressamente stabilito.
Ammesso, quindi, il rimborso della ricchezza mobile
nel caso in cui il reddito preventivamente e presuntiva mente accertato siasi, a posteriori, dimostrato insussi
stente, assurdo ed ingiusto apparisce negare, nel caso
stesso, il rimborso della imposta sulle industrie e commerci
che alla prima è intimamente collegata. Come ben si scorge, trattasi non già di fare applica
zione analogica di una disposizione eccezionale di legge, ma di stabilire la vera portata ed estensione della dispo sizione stessa, onde farla pervenire a quei limiti che per essa il legislatore volle fissare, dappoiché la volontà del
legislatore va rispettata in toto anche nelle norme ecce
zionali. E noto che all'interpretazione estensiva e com
prensiva occorre ricorrere allorquando per l'identità della
ratio che comprenda diversi casi, non si può, senza grave
ingiustizia, trattare diversamente da quello contemplato
dalla parola della legge, il caso che *
espressamente non
vi fu compreso, giacche ubi eadem est leg is ratio ibi eadem
esse debet iuris dispositio. E pertanto, il riferimento espli cito alla imposta di ricchezza mobile fattó dalla intestazione
e dal tenore dell'art. 7 del regio decreto-legge 20 settembre
1926 non può e non deve escludere l'implicito riferimento
anche alla imposta comunale e provinciale che con quella
è in rapporto di subordinazione ed accessorietà. Nè la
circostanza che il soggetto che percepisce l'imposta di
ricchezza mobile è lo Stato, mentre quelli che percepi scono l'imposta sulle industrie e commerci sono i Comuni
e le Provincie, può indurre ad una diversa interpretazione
della legge ; nè rilevanza giuridica ai fini interpretativi
può avere il tatto che gli Enti anzidetti si possono a di
stanza di tempo, e quando in bilancio non hanno fondi,
trovare costretti a sborsare somme relativamente ingenti,
volta che essi indebitamente le percepiscono in base ad
una presunzione che si è poi dimostrata erronea. Tanto
meno può ritenersi decisivo a favore della pretesa auto
nomia dell'imposta locale, il disposto letterale dell'art. 6
del decreto istitutivo, giacché la locuzione : « l'obbligo
dell'imposta sorge col sorgere dell'industria ecc. » non
può intendersi nel senso che per la imposizione del tri
buto basti il solo fatto della esistenza delle entità econo
miche predette, indipendentemente dall'imposizione della
ricchezza mobile, anche a voler prescindere da quanto
sopra si è osservato, per la semplice ragione che laddove
non fosse più accertato il reddito agli efletti della ricchezza
mobile, mancherebbe agli enti locali la base di accerta
mento per la quasi totalità dei redditi, essendo ad essi
fatto divieto di ricorrere ad altri criteri di valutazione,
salvo per quei rari casi in cui quella base manchi essendo
da legge speciale disposta l'esenzione della imposta di
ricchezza mobile. I Comuni infatti, come la legge fa chia
ramente intendere e come lo stesso Ministro proponente
e creatore di tale legge ebbe a dichiarare, nelle istruzioni
regolamentari, non hanno facoltà di sostituirsi all'azione
delle agenzie delle imposte nell'accertamento del reddito
di quegli esercizi che ritenessero sfuggire alla imposta di
ricchezza mobile e nemmeno facoltà di infirmare la con
gruità dei redditi iscritti al ruolo. Ciò irrefutabilmente
contrasta con la ipotesi dell'autonomia della imposta sulle
industrie, e prova che col sorgere della industria il diritto
dei Comuni, e conseguentemente anche della Provincia,
alla tassazione, sorge se ed in quanto sia stato già accer
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1071 PARTE PRIMA 1072
tato un reddito agli effetti dell'imposta di ricchezza mo
bile non inferiore a lire 2000 ; diversamente manca la base
della tassazione.
Risolta, adunque, la questione di merito nel senso che
spetta alle società anonime il diritto di sgravio della imposta sulle industrie, nei casi di mancanza di reddito contemplati dall'art. 7 del regio decreto-legge 20 settembre 1926, riesce
chiaro che il rimborso di tale imposta è in diretta corre
lazione e dipendenza col rimborso della imposta di ric
chezza mobile, si da costi mire quell'ultimo rimborso il
presupposto processuale per l'esercizio dell'azione diretta
al rimborso di quella. Deriva da ciò che laddove non sia
stata dimostrata la mancanza del reddito tassabile agli ef
fetti dell'imposta di ricchezza mobile, non può essere eser
citato il diritto allo sgravio dell'imposta sulle industrie ;
ed ulteriormente deriva la conseguenza che il termine di
decadenza di cui al suindicato art. 7, 1° capov., quand'anche
applicabile nei riguardi dell'imposta sulle industrie, non
può incominciare a decorrere se non dalla data in cui sia
stato ottenuto il rimborso della ricchezza mobile. E poi ché nel caso in esame l'attore ha promosso la presente azione prima che fossero decorsi i tre mesi dal giorno del
rimborso dell'imposta erariale, la decadenza dedotta dal
convenuto non sussiste e questo deve essere dichiarato
tenuto a rimborsare la somma indebitamente percetta a
titolo di imposta sulle industrie, con il conseguente onere
degli interessi moratori e delle spese di questo giudizio. Per questi motivi, ecc.
Rivista di empiuta Ovile i [unciale Testamento — Olografo — (ietterà missiva — Sotto
scrizione col solo nome di hattrsimo — Validità — Estremi (Cod. civ., art. 775,804).
Il testamento olografo sottoscritto col solo nome di
battesimo, può esser valido se l'atto sia redatto sotto
forma di lettera diretta a persona con la quale il testatore
era solito corrispondere firmando in tal modo, ma è nullo
se redatto in forma normale di scheda testamentaria. (1)
(Corte d'Appello di Milano; udienza 9 maggio 1930; Pres. Della Sala Spada, Est. Stola ; Stobbia Forneron
(Avv.. Dragoni) c. Stobbia (Avv. Frattini, Perego, Redenti.)
(1) Vedi da ultimo, in argomento per il caso di testamenti sottoscritto con il solo grado di parentela, Trib. Roma 13 giu gno 1930 (Foro it., 1930, I, 890) ed i precedenti ivi citati in nota relativi a varie forme di sottoscrizione mancante del cognome.
Nella sentenza che riassumiamo la Corte osserva : «In questa sede si discute ancora fra le parti sulla validità
del testamento che viene impugnato dai fratelli Stobbia dott. Ar
naldo, Francesco e Giuseppe, perchè sottoscritto col solo nome di battesimo del testatore e perchè incompleto nel suo testo.
« Il Tribunale ha esattamente ritenuto in conformità alla pre ponderante dottrina e giurisprudenza che il testamento firmato col solo nome senza il patronimico sia nullo. Essendo requisito essenziale del testamento la sottoscrizione, questa deve risul tare dall'apposizione del nome e cognome, estremi necessari questi ed appena sufficienti per identificare, secondo il suo stato civile, la persona del testatore, o quanto meno la sottoscrizione deve risultare da equipollenti grafici che contengano almeno in
parte, sebbene in forma abbreviata, questi due requisiti della firma
« Può convenirsi anche con una meno rigorosa giurispru denza che sia valido il testamento anche quando sia firmato co! solo nome, se l'atto sia redatto in forma di lettera diretta a persona colla quale il testatore è solito corrispondere firmando confidenzialmente in tal modo. Ma nella specie non ricorre sif
l''allinicnto — Concordalo — Sentenza <11 omologa
zione emessa in Camera di consigli» — Inappel
labilità (Cod. comm., art. 836, 913).
E inappellabile la sentenza che omologa il concordato
pronunziata in Camera di consiglio per mancanza di op
posizioni (1).
(Corte d'Appello di Catanzaro ; udienza 23 maggio 1930 ; Pres. Cedraro, Est. Lo Bartolo ; Crispino c. Morano).
fatta ipotesi, poiché trattasi di una vera e propria scheda te stamentaria redatta dallo Stobbia in forma solenne, sebbene
olografa, e non in forma di lettera ai suoi parenti. « La prova di cui al capitolo 4° dedotta dall'appellante in
questa sede per dimostrare che il testatore era solito nella sua
corrispondenza firmare semplicemente « Remigio » non è per ciò sufficiente».
(1) Per la contraria opinione seguita dalla Suprema Corte, vedi, Cass. -Regno 15 luglio 1929 (Foro it., 1930, I, 84) con nota di richiami; e inoltre, Cass. Regno 23 gennaio 1928 e 16 aprile 1928 (id., Rep. 1928, voce Fallimento, n. 572, 573) ; nonché, da
ultimo, Cass. Regno 7 marzo 1930 n. 742 (Mass. Foro it., 1930, 153). La motivazione della sentenza che riassumiamo è la se
guente : « E controversp, tanto in dottrina che in giurisprudenza,
se sia appellabile o meno la sentenza con cui il tribunale omo
loga un concordato fallimentare, in Camera di consiglio, per mancanza di opposizione.
«Infatti, la tesi dell'ammissibilità dell'appello si fonda sul di
sposto dell'art. 913 cod. comm., in cui si egge che tutte le sen tenze del tribunale, in materia di fallimento, sono provviso riamente esecutive e che non sono soggette ad opposizione nè ad appello, ad eccezione di diversi casi, tra i quali è compreso appunto quello della sentenza omologativa del concordato, pre veduta dall'art. 836; e quindi si osserva che, non facendosi distin zione dalla legge fra le sentenze pronunziate in Camera di con
siglio e quelle che provvedono in contraddittorio anche sulle op posizioni al concordato, l'interprete non possa sostituirsi al
legislatore, per fare delle distinzioni, e che perciò le sentenze indicate nel citato, art. 836 siano, in ogni caso, appellabili.
« Però la Corte osserva che, secondo la dottrina e la giu risprudenza prevalenti, sia preferibile la opinione di coloro i
quali ritengono che il creditore dissidente non possa appellare avverso una sentenza di omologazione emessa in Camera di
consiglio. «Infatti, nell'art. 836, 3» capov. cod. comm., è disposto che,
se il termine stabilito dalla legge per fare opposizione al con cordato sia trascorso senza farsi opposizione alcuna, il tribu nale pronunzia sulla domandata omologazione del concordato. Nel successivo capoverso dello stesso articolo è poi disposto che, in caso diverso, il tribunale pronuncia sulle opposizioni e sulla omologazione con una sola sentenza. Quindi, parlandosi di sentenza per il caso di opposizione e non essendo stato detto se il provvedimento, con cui viene omologato il concordato nel l'altro caso della mancanza di opposizioni, sia una vera e pro pria sentenza (tanto più che, in quest'ultimo caso, manca il con
traddittorio), è logico ritenere che il legislatore, parlando nel l'art. 913 di sentenze omologative del concordato opponibili od
appellabili, abbia voluto riferirsi a quelle pronunziate in con
traddittorio, in seguito alle opposizioni dei creditori dissen zienti.
«Vero è, d'altra parte, che, nell'art. .941 è disposto che, to stochè la sentenza di omologazione del concordato non sia più soggetta ad opposizione o appello, cessa lo stato di fallimento, e quindi si sostiene che tali sentenze siano appellabili quando abbiano provveduto in seguito alle opposizioni e che siano op ponibili nel caso in cui non sia stata opposizione al concor dato. Però si può osservare in contrario che le sentenze, emesse in seguito alle opposirioni, siano appellabili quando non vi siano stati contumaci e che siano opponibili nel caso inverso e quando concorrano le condizioni volute dalla legge per l'opposizione a sentenza contumaciale. Ora, essendo stabilito nell'art. 836 1° cap. che i creditori dissenzienti e non intervenuti possono fare opposizione al concordato entro otto giorni dalla chiusura del processo verbale o dalla scadenza del termine concesso dal giudice delegato, si può ritenere che, trattandosi di un termine perentorio, nel caso di mancanza di opposizioni, i creditori dissenzienti non possano più impugnare il provvedimento con cui sia stato omologato il concordato ».
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