Udienza 21 ottobre 1909; Pres. Giorcelli, Est. De Caroli; P. M. Gonella (concl. conf.); Ferrato(Avv. Calissano, Tovegni) c. Ferrato (Avv. Mollard, Bona)Source: Il Foro Italiano, Vol. 35, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1910), pp. 379/380-381/382Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23112891 .
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379 PARTE PRIMA 380
si scorge che esso è dominato dal concetto che quando
un edifizio rovina, esiste 1' imperfezione del medesimo, e
dovendo il proprietario vigilare sulle cose sue, sorge da
ciò una presunzione di colpa nel proprietario stesso ; e se
così è, non può questa Corte approvare la sentenza im
pugnata, che ritenne dovere il danneggiato dare esso la
prova, sul riflesso palesemente erroneo che nella gene
ralità dei casi la rovina è effetto di forza maggiore non
imputabile.
Invero, quest'articolo, conforme ai dettati del diritto
romano nella L. Dig., de regulis iuris ed al codice
Napoleone, come appare dai lavori preparatori del mede
simo, coll'accennare alle due ipotesi in esso contemplate
non impose già al danneggiato il carico di dare la prova
della loro esistenza.
E evidente infatti esistere una presunzione di re
sponsabilità a carico del proprietario, perchè il danno de
riva dalla cosa soggetta al suo potere, e questa presun zione si rafforza dal considerare che il proprietario sol
tanto poteva e doveva conoscere le condizioni della cosa,
e se questa non era in buono stato, esso ne doveva co
noscere i difetti e ripararli, e, se noi fece, è in colpa.
Se l'edificio rovina è insita nel fatto della rovina l'im
perfezione di esso, e ciò, essendo, ne consegue che spet
terà al proprietario il carico di escludere tale presunzione.
Questo articolo applica a sua volta, come l'art. 1154,
il principio per cui si risponde ex eausa proprietalis del
danno arrecato dalle cose proprie di cui uno si serve per
il godimento che ne trae, e quello per cui si deve ri
spondere per la negligenza ed imprudenza attorno alle
cose proprie; e ciò essendo, se potrà il proprietario liberarsi
dalla responsabilità provando la forza maggiore e il fatto
altrui, ciò non presumendosi, se non ne dà la prova, sta
la presunzione a suo carico.
Ciò deve dirsi tanto più se si considera, a parte an
che la difficoltà somma in pratica pel danneggiato di dare
esso la prova dei difetti della cosa altrui, difficoltà che
la legge non poteva non avere presente, che se così non
fosse, la disposizione dall'art. 1155 sarebbe stata inutile,
perchè già stanno a favore del danneggiato gli art. 1151,
1153 cod. civ. pel caso in cui provi la colpa di colui che
gli arrecò il danno, e non si può ammettere che la legge detti disposizioni inutili; ed essendo l'art. 1155 scritto
in seguito al 1154, in cui si salici la responsabilità as
soluta ex eausa proprietatis per il danno dato dagli ani
mali, con esso si dettò palesemente una norma informata
allo stesso concetto, solo ammettendosi la prova contraria, che nell'art. 1154 non è ammessa.
Nè reggono in contrario le argomentazioni svolte per la Società Fiat nel controricorso.
Sia pure che la responsabilità pel proprietario dell'edi
fizio rovinato stabilita nell'art. 1155 sia collegata al caso
delle due ipotesi in esso contemplate, ma in tale articolo
non è disposto in modo espresso che la prova del verificarsi
di questi eventi incomba al danneggiato ; ed a fronte
delle considerazioni che precedono, della presunzione cioè
di responsabilità a carico del proprietario dell'edificio che
rovina insita in re ipsa, del concetto informatore del
l'articolo che impone la responsabilità al proprietario per il servizio che gli reca la cosa, e del principio che la
forza maggiore non si presume, sta sempre che la prova non può essere a carico del danneggiato.
Sia pure che diverso sia il dettato dell'art. 1154 che
stabilisce la respoSsabilità assoluta del proprietario del
l'animale e quello dell'art. 1155 che la limita alle due
ipotesi in esso previste ; ma questa limitazione, come si
è dimostrato, ha solo per effetto di permettere al pro
prietario una prova contraria, che gli sarebbe negata dal
l'articolo precedente. Nè sta che non regga l'argomento che la controricor
rente stessa riconosce essere il maggiore contrario al suo
assunto, quello cioè che se questo sussiste, se cioè la
prova incombesse al danneggiato, la disposizione dell'art.
1155 sarebbe inutile perchè il danneggiato ha già a suo
favore il disposto degli art. 1151, 1153, coll'osservare che
per questo occorre sempre la prova della colpa, e per l'art.
1155, dimostratosi dal danneggiato il vizio di costruzione
od il difetto di riparazioni, al medesimo non incombe
altra prova, perchè se il danneggiato deve esso provare
queste circostanze, esso deve dare quella prova che gli art. 1151, 1153 pongono a suo carico e l'art. 1155 non
avrebbe effetto utile pel medesimo.
Nè sta neppure che sia vana divagazione il dire che
se l'edifìzio rovina la colpa sia in re ipsa, mentre ciò è
intuitivo, e la legge dovette necessariamente averlo pre
sente, e se sussiste che il giudice deve applicare la legge
qual' è,- quando la lettera della legge lascia dubbio è
dovere del giudice nell'applicarla avere presente il con
cetto che la informa, deve esso applicarla secondo lo spi
rito, e ciò nel caso in esame il Tribunale nella sentenza
impugnata dimenticò.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 21 ottobre 1909 ; Pres. Giorcelli, Est. De Ca
roli; P. M. Gonella (conci, conf.); Ferrato (Avv. Ca
lissano, Tovegni) c. Ferrato (Avv. Mollard, Bona).
Appello — Costituitone del procuratore dell'appellante — Comportatone ali ndienza dopo la spedizione della
eansa — Ora di tolleranza per la dichiarazione di
contumacia — Rigetto dell'appello senza esame (Cod.
proc. civ., art. 489; L. 31 agosto 1901, sul procedim.
sommario, art. 4 ; Reg. gen. giudiziario, art. 230).
E legalmente pronunziato, su' domanda dell'appellato, il
rigetto dell'appello senza esame, se il procuratore del
l'1 appellante, anteriormente sostituitosi, siasi presen tato all'udienza di discussione dopo che la causa era
giù stata assegnata a sentenza, seì>bene prima del de
eorrimento dell'ora di tolleranza voluta dall'art. 230
del regolamento generale giudiziario per la dichiara
zione di contumacia. (1)
La Corte, ecc. — Osserva che dalla sentenza appel
lata e dai documenti in atti è incontestabilmente dimo
strato, e d'altronde dagli attuali ricorrenti non si conte
fi) Vedi in proposito la sentenza delia Cassazione di Eoma li dicembre 1909, inserita a col. 89 di questo stesso volume, avvertendo la differenza fra i due casi, poiché mentre in quello deciso dalla Cassazione di Torino con la presente sentenza l'ap pellante non poteva ritenersi contumace, non ostante la non
comparizione del procuratore all'udienza, per essersi questi già anteriormente costituito iscrivendo anche la causa a ruolo, nel caso deciso dalla Cassazione di Roma, per quanto rilevasi dai motivi della citata decisione, non vi era stata ancora costitu zione del procuratore dell'appellante, presentatosi all'udienza di discussione dopo la sua chiusura, ma prima del decorso del l'ora di tolleranza, ed era mancata anche l'espressa dichiara zione di contumacia.
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381 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 382
sta, che essi, resisi appellanti dalla sentenza del pretore di Alba 3 luglio 1907, costituirono nanti il Tribunale
della stessa il loro procuratore, che inscrisse la causa a
ruolo, ma che poi non comparve all'udienza fissata, nella
quale, dopo che la causa fu chiamata in discussione, fu asse
gnata a sentenza sull'istanza del procuratore dell'appel
lato, il quale chiese fosse l'interposto appello respinto senza esame.
Deducono i ricorrenti che l'udienza fu fissata nell'atto
d'appello per le ore nove, che durò fino alle ore undici
e mezza, e che il loro procuratore, comparso alle ore nove
e minuti cinquantacinque, saputo che la sua causa era
stata assegnata a sentenza, depositò a mani del cancel
liere gli atti del primo giudizio ed una conclusionale,
con la quale chiedeva respingersi l'eccezione di deserzione
dell'appello senza esame, rimettendo le parti nanti al Col
legio per la discussione del merito, e chiedeva in subordine
riaprirsi il contraddittorio, rimettendo le parti dinanzi al
tribunale per la discussione dell'incidente e del merito.
Questa conclusionale il giorno stesso fu notificata al pro curatore dell'appellato.
Che come principale argomento del loro ricorso so
stengono i coniugi Ferrato abbia la denunciata sentenza
violato l'art. 230 Reg. gen. giudiz., che dispone non po tersi dichiarare la contumacia d'una delle parti se non
trascorsa un'ora dall'apertura dell'udienza, termine che
non era trascorso quando il loro procuratore si presentò all'udienza. Ma a ragione il Tribunale d'Alba ritenne non
applicabile al caso l'invocata disposizione di legge, poi ché a mente dell'art. 381 cod. proc. civ. è contumace
1' attore che non ha costituito procuratore nanti al Col
legio a norma dell'art. 158 stesso codice, costituzione che
nel caso avvenne, come pure è indiscutibile che il pro
curatore degli appellanti fece iscrivere la causa a ruolo.
Non trattandosi quindi di contumacia, ma di non com
parizione all'udienza fissata, di abbandono cioè della causa, la legge stabilisce contro tale negligenza la penalità della
deserzione d'appello.
Che l'art. 4 della legge sul procedimento sommario,
col disporre dovere i procuratori costituiti comparire nel
l'ora stabilita per l'udienza, esclude evidentemente per i
non comparsi l'ora di tolleranza concessa ai contumaci; la legge commina ai procuratori una pena pecuniaria se
nella prima parte dell'udienza, quando il solo presidente
dà i provvedimenti a lui demandati e quelli consentiti
dalle parti, essi non sono presenti. Quando poi la causa, as
segnata a trattazione, è discussa o spedita, se il procuratore
dell'appellante non è presente, sulla richiesta del procu
ratore dell'appellato l'autorità giudiziaria rigetta l'appello
senza esame.
Che in questi estremi di fatto e di diritto si trova
vano le parti nel caso concreto ; il procuratore degli ap
pellanti non comparve all'ora dell'udienza e nemmeno
quando fu chiamata per la discussione la causa Ferrato
c. Ferrato ; per cui il procuratore dell'appellato acquisi il
diritto, a mente dei richiamati art. 489 cod. di rito e 51
del regolamento sulla riforma del procedimento somma
rio, di veder respinto il proposto appello senza esame, e
se ne valse, facendo all'uopo regolare domanda.
Nè il Tribunale poteva respingerla, perchè l'udienza
della causa predetta, come insegna la dottrina ed una co
stante giurisprudenza, era finita, per modo che qualsiasi
atto di procedura non era più ammessibile, ma si rendeva
necessario che per ordine del presidente venisse dispo
sto il richiamo della causa stessa. Gli appellanti non si
curarono di ottenere questo provvedimento, ma iniziarono
lina procedura, che non è quella consentita dalla legge e
della quale il Tribunale non poteva necessariamente te
ner conto.
D'onde esulano non .solo le pretese violazioni dei ri
chiamati articoli, dei quali invece il Tribunale fece esatta
applicazione. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI PALERMO, Udienza 30 dicembre 1909; Pres. Landoi.fi, Est. Mondio,
P. M. Raimondi (conci, contr.); Vetro c. Sindacato
siciliano di mutua assicurazione.
Infortuni — Indennità — Concanse della Inabilita —
malattie preesistenti — Valutrzlone della Indennità
(L. 31 gennaio 1904, sugli infortuni del lavoro, art. 7 ;
Reg. relativo 13 marzo 1904, art. 95).
V indennità per infortunio sul lavoro, spezialmente in
caso di invalidità permanente assoluta, deve essere
commisurata a tutte le conseguenze derivatene, ancorché
rese più gravi per le particolari condizioni fisiche o
patologiche nelle quali II infortunato già si trovava. (1)
La Corte, ecc. — Osserva che ben fondato deve rite
nersi il secondo mezzo, col quale, sebbene si sollevi una
questione ben grave, molto dibattuta in dottrina e giu
risprudenza, tuttavia, ove ben si consideri la legge im
perante e specialmente lo spirito della stessa, non può
essere dubbia la risoluzione favorevole al ricorrente.
Con l'indicato mezzo, invero, si sostiene che la Corte
d'appello ebbe a violare la legge nel decidere di doversi,
pel concorso di preesistente concausa, ridurre la inden
nità spettante al Vetro per il sofferto infortunio che lo
rese affatto inabile e per sempre al lavoro. E sorge quindi
la questione : se nella valutazione della indennità dovuta
per infortunio sul lavoro, nel caso d'invalidità assoluta
e permanente, sia da tenersi conto di accertate preesi
stenti concause.
(1) Questione molto controversa in giurisprudenza. Si con
sultino in senso contrario le decisioni della Cassazione di To
rino 20 agosto e 31 dicembre 1902 (Foro it., 1903, I, 95 e 767) con i richiami alla giurisprudenza precedente e alla dottrina.
Per la giurisprudenza posteriore si veggano in conformità
della sentenza che pubblichiamo : Trib. Genova 16 febbraio 1902
(Foro it., Rep. 1903, voce Infortuni sul lavoro, n. 103) ; Trib. Ur bino 15 aprile 1904, App. Palermo 13 agosto stesso anno (iti., Eep.
1904, voce cit., nn. 93, 94); App. Palermo 7 e 11 ottobre, e Trib.
Poma 23 giugno 1905, App. Firenze 5 dicembre 1904 (id., Eep.
1905, voce cit., nn. 177, 178, 318, 190); App. Milano 1 marzo
1906 (id., Eep. 1906, voce cit., n. 280); App. Genova 27 luglio e Cass. Torino 14 febbraio 1907 (id., Eep. 1907, voce cit., nn. 344, 266); App. Genova 15 luglio, App. Catania 27 novem bre e App. Bologna 18 maggio 1908 (id., Epp. 1908, voce cit., nn. 175, 177, 178).
Nella dotti-ina, oltre gli autori citati nella nota surricor
data, cfr. Carnelutti, in Rivista di dir. comm., 1904, II, 417;
1905, II, 566) e con qualche limitazione Oocito, Commento alla
legge sugli infortuni del lavoro, n. 116. In senso contrario si consultino : App. Lucca 15 maggio
1903 (Foro it., Eep. 1903, voce Infortùni sul lavoro, n. 104); App. Genova 21 marzo 1904 (id., Eep. 1904, voce cit., n. 150); App. Torino 25 marzo 1904 (ibid., n. 92) ; App. Perugia 21 aprile 1906
(id., Eep. 1906, voce cit., n. 347); App. Palermo 16 dicembre
1906, 22 e 25 aprile, 12 luglio 1907 (id., Eep. 1907, voce cit., nn. 283, 343, 345, 346) ; Trib. Girgenti 23 aprile e App. Palermo 16 dicembre 1907 (id., Eep. 1908, voce cit., nn. 197, 271).
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