Udienza 22 dicembre 1938; Pres. ed est. Cangini, P. M. Lenzi; P. (Avv. Ardito, Sabbatini) c. H.(Avv. Calamandrei, Fascetti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 64, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1939), pp. 777/778-781/782Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23138053 .
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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE
giuridica in genere, non sono organi di essa, ma sono veri
rappresentanti, costituenti la cosiddetta rappresentanza or
ganica, e quindi sono ad essa applicabili i principi! della
rappresentanza. Or bene, non può disconoscersi : che gli efletti di que
sta trovino un limite naturale nel suo stesso scopo ; che il mandatario debba perseguire gli interessi del mandante e che se, invece, agisce contro l'interesse di questi e nel
proprio, si svii dalla linea concettuale della finalità del
mandato, incorra nell'abuso del mandato stesso e, conse
guentemente, distrugga la relazione contrattuale esistente fra lui ed il mandante.
In altri termini, la sua attività, quale mandatario, ri mane paralizzata per essere venuto a mancare il presup posto e l'essenza del mandato. Ed è vano far ricorso alla
teoria ohe riconosce la validità del contratto con se stesso, o dell'auto-contratto, secondo la terminologia tedesca.
Questo contratto, ammesso da buona parte della dot
trina, rappresenta una mera costruzione teorica, ed anzi un'astrazione giuridico-filosofica, cui il Supremo Collegio non ha fatto buon viso, specialmente con la sua recente
giurisprudenza, considerandolo quale uno sterile tentativo.
E, invero, ognuno sente ed intuisce la impossibilità lo
gica e giuridica che possa scaturire il consenso (duorum vel plurium in idem placitum consensus) da due distinte dichiarazioni di volontà provenienti da una unica persona, da prima contrastanti e poi convergenti ; e che il rappre sentante agendo a nome e per conto del rappresentato, diventi, contemporaneamente, soggetto attivo e passivo dei diritti e delle obbligazioni scaturienti dal contratto da lui soltanto stipulato.
Di norma in ogni contratto si contengono due, o più, interessi contrastanti, che raggiungono in esso un punto di accordo, realizzando il consensus contrahentium.
Il contrasto di interesse fra i contraenti è dunque in
sito in ogni contratto.
Nei pochi casi in cui vuol ravvisarsi avere il diritto po sitivo accolta la cennata teoria, l'auto-contratto è soltanto
apparente, poiché la manifestazione della volontà del man
dante non promana sostanzialmente dal rappresentante, ma dal mandato stesso, ovvero è in altro modo deducibile.
Così dall'art. 386 cod. comm. che ordinariamente si
cita per sostenere la cittadinanza, per così dire, dell'auto
contratto nella nostra legislazione, si ricava che il prezzo della vendita è determinato dalla borsa o dal mercato.
Il consenso sul prezzo, elemento essenziale del contratto di vendita, risulta già dalla commissione e quindi dalla di
retta* volontà del mandante.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, devesi per tanto ritenere che l'auto-contratto, inteso per quel nego zio giuridico che una persona compie, assumendo riguardo a uno dei contraenti la rappresentanza altrui, ed agendo in nome proprio quale altro contraente, sia affetto da in
validità, che lo rende annullabile.
Agli stessi criteri si è inspirato il progetto di riforma del diritto delle obbligazioni, disponendo nell'art. 36 che
nessuno può, salvo disposizioni contrarie della legge e le
norme relative al commercio, contrattare con se stesso in
nome di un suo rappresentato, nè per proprio conto, nè
per conto di altri, senza autorizzazione, o ratifica del rap
presentato. E la Suprema Corte con ripetuti insegnamenti ha af
fermato la annullabilità dell'auto-contratto sulla considera
zione che la possibilità che l'interesse del rappresentato
rimanga soverchiato da quello del rappresentante vizia sen
z'altro il rapporto di rappresentanza. Inoltre, nel caso di specie, nell'art. 150 cod. comm. il
legislatore ha risolto negativamente la questione della va
lidità del contratto con se stesso, imponendo agli ammi
nistratori interessati di astenersi.
Si è obiettato dagli appellanti che, per sussistere la
invalidità del contratto concluso in violazione del men
zionato articolo, occorre che il conflitto di interessi sia
dannoso.
Per verità, il citato art. 150 non richiede l'elemento
del danno, ma fa menzione di « perdite » e solo per sta
bilire la sanzione a carico degli amministratori, olle, infor mati del conflitto, abbiano preso parte alle deliberazioni che non siano poi approvate dai sindaci.
fn base, quindi, ai suesposti principi! ed alla lettera dell'art. 150, ove si fa menzione semplicemente di «inte resse contrario », il contratto conclusosi nella situazione di conflitto prevista nell'articolo stesso, è sempre annul
labile, con la precisazione che ove esuli il danno manche rebbe l'interesse ad agire e, quindi, a domandare l'annul
lamento. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
TRIBDNALE EI PISA.
Udienza 22 dicembre 1938 ; Pres. ed est. Cangini, P. M. Lenzi ; P. (Avv. Ardito, Sabbatini) c. h. (Avv. Ca
lamandrei, Fascetti).
Matrimonio — Trascrizione del matrimonio religioso —
Atto di matrimonio — Incompiutezza delle genera lità degli sposi — Validità della trascrizione (L. 27
maggio 1929 n. 847, sul matrimonio, art. 9, 10). Matrimonio — Atto del matrimonio religioso da cui
non risulta il consenso degli sposi — Nullità della
trascrizione (L. 27 maggio 1929 n. 847, sul matrimo
nio, art. 5, 8, 16).
L'incompiutezza delle generalità degli sposi contenute in
un atto di matrimonio religioso può dar luogo soltanto
a sospensione della trascrizione ; ma ove la trascrizione
sia avvenuta, col completamento delle generalità da parte
dell'ufficiale dello stato civile, essa non può, sol per quella
incompiutezza, venire annullata. (1) Non può trascriversi agli effetti civili un atto di matri
monio religioso che non enunci esplicitamente la presta zione del consenso da parte degli sposi ; e ove ciono
nostante l'atto di matrimonio venga trascritto, la tra
scrizione è nulla. (2)
Il Tribunale, ecc. — Fatto. Il Tribunale osserva che
verso la mezzanotte dell'11 luglio 1931 il sacerdote Pa
dre B. univa in matrimonio, secondo il rito cattolico, la
signorina E. H. e il dott. A. P. Le nozze avvenivano nella chiesa Francescana di Marina di Pisa, luogo ove la
sposa, sembra, possedeva una villa. Il sacerdote era stato
delegato dall'Ordinario di Pisa, col consenso dell'Ordinario
di Firenze, città ove la sposa aveva la sua residenza. La
scelta della chiesa che non era quella parrocchiale, la de
legazione a P. B. che non era il parroco, l'ora tarda co
stituirebbero fatti spiegabili col desiderio dello sposo e
degli sposi di consacrare il loro vincolo in una chiesa
Francescana a Marina di Pisa, di indossare abiti da sera :
motivi futili, ma tuttavia non risibili perchè non è lecito sorridere sui sentimenti più intimi e neppure sulle loro
più tenui sfumature. Padre B. unì in matrimonio gli sposi e trasmise il do
(1-2) Non risultano precedenti specifici ; ma vedi, in senso
piuttosto contrario, App. Milano 23 giugno 1933 in Foro it., 1933, I, 1810 con nota. In quel caso fu ordinata la trascrizione di un matrimonio religioso, celebrato urgente mortis periculo a senso dei can. 1043-1044 cod. jur. can., sulla semplice dichiarazione del sacerdote di avervi assistito, mancando l'atto di celebrazione in duplice originale con le indicazioni prescritte dagli artt. 8 e 9
della legge. La seconda massima è conforme alla tesi sostenuta in dot
trina dal Grisostomi-Marini, Il diritto matrimoniale, Roma, 1929, pag. 107 e dal Ravà A., Il matrimonio secondo il nuovo ordinamento italiano, Padova, 1929, pag. 59, e Lezioni di diritto civile sul matrimonio, 3a ed., Padova, 1935, pagg. 343 e 346. —
Sono invece implicitamente contrari coloro che, dando la preva lenza alla prima parte dell'art. 34 del Concordato, tendono a ri tenere che ogni matrimonio canonicamente valido debba produrre gli efletti civili a mezzo della trascrizione. Così, per tutti, il
Vassalli, Lesioni di diritto matrimoniale, I, Padova, 1932, nn. 59-69.
It Foro Italiano — Anno LXIV — Parle I-52
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PARTE PRIMA
cumento (lo si deve chiamare così e non atto di matri
monio, per non pregiudicare il merito della lite) all'uffi
ciale di stato civile di Pisa il quale lo trascrisse il 16 lu
glio 1931 nei registri di atti di matrimonio, completandolo con dati che nel documento suaccennato non erano ricor
dati (così il nome della madre dello sposo, il nome della
madre della sposa, i luoghi di nascita degli sposi, la loro
professione). Il documento stesso venne anche inviato al
Parroco di Marina, il quale però non lo trovò regolare. (Omissis)
Con citazione 28 marzo 1938 il dottor A. P. conte
stava alla signora H. che la trascrizione del documento
attestante la celebrazione del matrimonio era nulla.
(Omissis) Diritto. L'attore deduce tre motivi a fondamento
delle sue istanze: 1° Il sacerdote celebrante era incompetente perchè
delegato da un Ordinario che non era quello nella cui dio
cesi aveva residenza la sposa. 2° Il documento non indicava le complete generalità
degli sposi e le pubblicazioni avvenute ; inoltre esso era
stato trasmesso all'ufficiale di stato civile dal sacerdote de
legato e non dal parroco o dallo Ordinario.
3° Il documento non è un atto di matrimonio per chè non enuncia la prestazione del consenso da parte de
gli sposi ; è un semplice certificato che non poteva essere
trascritto. (Omissis) L'accennata questione sulla competenza del sacerdote
celebrante può essere ritenuta superata dalle stesse de
duzioni delle parti. I documenti dimostrano che il Padre
B. era stato regolarmente delegato dall'Ordinario Dioce
sano di Pisa precisamente per il matrimonio P.-H. ; e che
l'Ordinario Diocesano di Firenze, luogo ove era domici
liata la sposa, aveva consentito alla celebrazione del ma
trimonio «in una chiesa di Marina di Pisa».
Maggiore regolarità non potrebbe essere osservata se
condo il codice di diritto canonico e secondo il concordato.
L'attore rileva ancora che il documento trascritto era monco perchè non indicava le fatte pubblicazioni, nè le
complete generalità degli sposi, nè il ricevimento del certi ficato di avvenute pubblicazioni, certificato che doveva
essere trasmesso al sacerdote dall'ufficiale di stato civile a norma dell'art. 7 della legge più volte citata : osserva inoltre l'attore che l'ufficiale di stato civile non poteva completare il documento scrivendo nella trascrizione i dati che mancavano nel documento stesso e che l'atto di ma
trimonio avrebbe dovuto essere trasmesso dal parroco o dall'Ordinario e non dal sacerdote delegato.
Il Collegio osserva che il modo di trasmissione dello atto di matrimonio non ha alcuna sanzione di nullità. In vece di seguire la via più lunga, che è quella normale, e cioè dal sacerdote delegato al parroco e da questi all'uffi ciale di stato civile, il documento pervenne direttamente all'ufficio di stato civile dal sacerdote delegato ; e non si riesce a vedere perchè l'ufficiale di stato civile avrebbe dovuto sospendere la trascrizione se non avesse avuto ra
gioni di dubbio sull'identità del sacerdote che inviava il
documento, tanto meno potrebbe parlarsi, per tale troppo sottile argomento, di nullità dell'avvenuta trascrizione.
Invece è vero che l'ufficiale di stato civile avrebbe dovuto sospendere la trascrizione perchè l'atto non con teneva tutte le indicazioni richieste dall'art. 9 della legge ; inutile il richiamo al certificato di avvenute pubblicazioni perchè la mancanza di queste non legittima neppure il ri tardo nella trascrizione (art. 12 della legge). L'ufficiale di stato civile doveva dunque sospendere la trascrizione e rinviare l'atto «per la sua regolarizzazione» (art. 10 p. p. della legge). Ma, avendo egli invece completato con dati a sua conoscenza l'atto, ed avendolo trascritto, quale sarà la conseguenza ? Non certo la nullità della trascri zione. Si tratta di nullità relative che, normalmente, dànno
luogo alla sospensione della trascrizione fino a regolarizza zione dell'atto e che non portano come conseguenza la nullità della trascrizione stessa ; così come i motivi sem
plicemente impedienti e non dirimenti non producono la nullità del matrimonio civile.
Occorre distinguere fra sospensione e impossibilità di
trascrizione, la prima non induce nullità e dà luogo sol
tanto a penalità a carico dell'ufficiale di stato civile (art. 20
capov. legge e 124 cod. civ.) ; la seconda induce nullità
della trascrizione poiché se questa doveva essere non già
sospesa per rettificazione dell'atto, ma rifiutata ad esempio
per uno dei motivi indicati dall'art. 12 della legge, non si
può parlare d'irregolarità sanate per l'avvenuta trascrizione
e si deve ritenere questa come nulla. Adunque le deficienze
notate dall'attore non possono produrre il grave effetto al
quale egli vuol giungere : la nullità della trascrizione.
Resta così da considerare il più grave, e dopo le os
servazioni fatte, quello che può ritenersi l'unico motivo
sul quale si adagia l'azione di nullità ; la mancata enun
ciazione del consenso prestato dagli sposi. Prima di scendere all'indagine di tale non lieve pro
blema, occorre una breve premessa. Lo Stato, con la legge per l'applicazione del concor
dato, non ha riconosciuto senz'altro effetti civili al matri
monio religioso : l'art. 5 dispone che tal matrimonio « pro duce," dal giorno della celebrazione, gli stessi effetti del
matrimonio civile, quando sia trascritto nei registri dello
stato civile secondo le disposizioni degli artt. 9 e segg. ».
Lo Stato dunque, a differenza di quanto è avvenuto in al
tri paesi, non ha assunto il matrimonio religioso come un
matrimonio civile ; lo Stato si è riservata una indagine esteriore ed anche una intrinseca delibazione che sono di
sciplinate dagli artt. 9, 10, 13 e 14 della legge. È la tra
scrizione che imprime effetti civili al matrimonio religioso e non è questo che di per sè stesso produce effetti civili.
Da ciò deriva il sindacato che, alla stregua della legge, lo
Stato si riserva sugli atti di matrimonio trasmessi all'uf
ficiale di stato civile.
Si comprende che nè ufficiale di stato civile nè tri
bunale civile potranno indagare nel merito e cioè sulla
validità del vincolo. Ed è per questo che il Collegio opina, in risposta ad un argomento dedotto dall'attore, che debba
essere trascritto anche un matrimonio sottoposto a condi
zione sospensiva lecita (canone 1092 nn. 3 e 4) ; e ciò per
quella recezione del diritto matrimoniale canonico nel di
ritto civile italiano, per i matrimoni religiosi postconcor datari fra i cattolici, che il Collegio reputa essere avvenuta
con la legge del 1929. Ma lo Stato si è riservato il di
ritto di vagliare l'atto di matrimonio, di rifiutarne la tra
scrizione per determinati motivi e di dichiarare, per i mo
tivi stessi, la nullità della trascrizione avvenuta. In secondo luogo, e sempre in via preliminare, il Col
legio osserva che, sia tassativa od esemplificativa l'indica zione dei casi esposta nell'art. 12 della legge, non vi è
dubbio che non ricorre nessuno dei casi stessi ; nè l'uno dei coniugi era legato da altro matrimonio valido agli effetti civili, nè gli sposi erano già uniti in matrimonio valido agli effetti civili, nè l'uno degli sposi era interdetto
per infermità di mente. Sarebbe però esagerata la dedu
zione secondo la quale, escluse le ipotesi previste dallo art. 12 della legge, dovesse del pari ritenersi esclusa la
possibilità di un annullamento della trascrizione. L'art. 12,
presupponendo l'esistenza di un atto di matrimonio, ri serva allo Stato il diritto di rifiutare la trascrizione in
quei tre determinati casi ; non dice affatto, e non poteva dirlo, che sia valida la trascrizione di qualsiasi altro do
cumento definito atto di matrimonio, anche se manchi dei
suoi requisiti essenziali, quali la diversità del sesso, l'età non inferiore ai 16 anni per l'uomo e 14 per la donna
(art. 1 della legge), il consenso. Un atto che unisce in matrimonio due maschi o due femmine, o due impuberi o due dissenzienti non sarebbe un atto di matrimonio e non
potrebbe essere trascritto. Nel caso in esame si tratta di accertare se la man
cata enunciazione del reciproco consenso degli sposi tolga all'atto il carattere di atto di matrimonio per classifi carlo nella categoria degli attestati e dei certificati, se
perciò l'ufficiale dello stato civile si trovava in presenza di un atto di matrimonio o pure di un qualsiasi docu mento che non poteva essere trascritto nei registri degli atti dello stato civile.
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781 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 782
Se vi è un atto nel quale il consenso assume valore
preminente su tutti gli altri elementi, questo è il matri
monio. Tanto importa il consenso nel matrimonio che per il codice civile esso è un actus legitimus al quale non
possono essere apposte condizioni, termini o modi (art. 95
cod. civ.) ; e il diritto canonico ammette soltanto la con
dizione sospensiva lecita (canone 1092 già ricordato). « Ma
trimonium facit partium consensus » (canone 1081). « Sponsi matrimonialem consensum exprimant verbis ; nec aequipol lentia signa adhibere ipsis licet, si loqui possinl » (canone 1088, vedi anche canone 1090 e 1091). Adunque il diritto
civile e il diritto canonico concordano nel ritenere il con
senso come l'elemento essenziale, anzi assorbente del ma
trimonio.
Ciò posto, non sembra che un atto di matrimonio possa così definirsi se il consenso non è chiaramente enunciato.
L'ufficiale di stato civile o il sacerdote compiono un ac
certamento costitutivo di un vincolo ; non si vede come
l'atto possa essere ritenuto costitutivo se l'accertamento
non è esplicitamente enunciato. Crede adunque il Collegio che l'enunciazione esplicita del consenso sia necessaria af
finchè l'atto possa valere come atto di matrimonio.
In tale opinione induce anche un principio di logica
giuridica che non può essere limitato ai soli atti del pro cesso civile. L'art. 56 cod. proc. civ., dopo aver ammo
nito che non può essere pronunciata la nullità di un atto, se 'a nullità non sia dichiarata dalla legge, così prosegue nel primo capoverso : « possono tuttavia annullarsi gli atti
che manchino degli elementi che ne costituiscono la es
senza». Ora, come il consenso costituisce l'essenza del ma
trimonio, l'enunciazione del consenso costituisce l'essenza
dell'atto di matrimonio. E poiché l'enunciazione manca, l'atto in esame manca di un elemento essenziale e quindi non è un atto di matrimonio ; conseguentemente il docu
mento non avrebbe dovuto essere trascritto poiché è am
messa la trascrizione degli atti di matrimonio e non di
scritti più o meno equipollenti ; e perciò, in conclusione, la trascrizione è nulla.
Ma si obbietta : il sacerdote dichiarò nell'atto di avere
unito in matrimonio gli sposi « secondo il rito di S. Ro
mana Chiesa » ; e poiché la Chiesa esige il consenso, vi è
nell'atto la enunciazione del consenso degli sposi. L'argo mento è più seducente che convincente. Il rito di S. Ro
mana Chiesa prescrive che il sacerdote riceva il consenso
degli sposi (vedi istruzioni della Suprema Corte dei Sacra
menti. Città del Vaticano 1929 allegato III mod. I pag. 26
n. 11 pag. 28 n. 8, pag. 7) ; l'enunciazione del consenso,
per quanto già è stato osservato, deve essere esplicita, al
meno per la trascrizione dell'atto ; per la stessa ragione non
si può accertare l'effettiva prestazione del consenso né in
duttivamente, attraverso la dichiarazione del sacerdote
che afferma di avere unito gli sposi in matrimonio, né per altre vie. E tali ragioni valgono per respingere anche l'altra
obiezione secondo la quale la prestazione del consenso si
troverebbe nella sottoscrizione degli sposi : anche qui siamo
nell'implicito e non nell'esplicito, né ora si discute se un
consenso, valido o no, vi sia stato ; si discute soltanto se il documento trascritto aveva oppur no il valore di un
atto di matrimonio. Il Tribunale ha aderito ad una tesi che può apparire
rigorosa, ma che è l'unica che al Collegio sembra confor
me alla legge. Le ragioni morali, già apprezzate dal Tri
bunale ecclesiastico, non possono essere prese in conside
razione quando si deve valutare estrinsecamente la vali
dità di un atto.
Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE DI GENOVA.
Udienza 21 dicembre 1938 ; Pres. Casagli, Est. Arras ;
Gregorio e. Società Ansaldo.
Guerra (disciplina (li) — Stabilimento di produzioni di
guerra — Licenziamento di dipendente autorizzato
dall'autorità militare — Controversie relative —
Competenza del giudice del lavoro (L. 14 dicembre 1931 n. 1699, sulla disciplina di guerra, art. 9, 30, 31).
Il magistrato del lavoro è competente a giudicare sulle con troversie relative al provvedimento di licenziamento in
tronco di un dipendente da un'azienda dichiarata sta
bilimento di produzione per la guerra emesso dall'azienda medesima e successivamente autorizzato dalla competente autorità militare. (1)
La Corte, ecc. — Necessita sia presa in esame l'ecce
zione di incompetenza che influisce sulle maggiori, se non su tutte le pretese svolte dall'attore.
Sono circostanze pacifiche in causa : che gli stabilimenti Ansaldo sono stati da lungo dichiarati ausiliari, quindi mobilitati civilmente, di conseguenza sono diventati mobi
litati civili tutti gli appartenenti e dipendenti in modo
permanente o temporaneo degli stabilimenti stessi, e perciò anche il Gregorio, fino a che è durato il suo rapporto di
lavoro; che la lettera 5 febbraio 1938 di licenziamento in
tronco del Gregorio per assenza ingiustificata dal lavoro è
stata contemporaneamente comunicata dall'Ansaldo alla
Delegazione interprovinciale del Commissario Generale per le fabbricazioni di guerra che in data 8 febbraio 1938 ha
testualmente risposto : « Con riferimento alla lettera di co
desta ditta del 5 febbraio 1938 presi gli ordini da S. E.
il Commissario Generale per le fabbricazioni di guerra si
autorizza licenziare il capo officina Gregorio Carlo per i
motivi specificati nella sopra citata lettera». Di questi dati
la convenuta si vale per giustificare la sua eccezione pre liminare, sostenendo che per effetto della dichiarazione della
ausiliarità degli stabilimenti e conseguente loro sottoposi zione alla sorveglianza dell'autorità militare, ogni potere
disciplinare sul personale dipendente si è trasmesso all'auto
rità militare, la quale solo perciò è diventata competente ad applicare sia le condizioni disciplinari previste dai re
golamenti di lavoro, sia le prescrizioni consentite dal re
golamento di disciplina militare, onde anche nei casi in cui il datore di lavoro interessato per suoi scopi privatistici al regolare andamento dell'azienda e nelle migliori condi
zioni di potere controllare l'opera dei propri dipendenti e
quindi meglio rilevare le infrazioni commesse, avesse pro ceduto all'applicazione delle comuni sanzioni disciplinari, tali sanzioni diventano effettive, acquistano cioè validità
ed efficacia solo in quanto l'autorità militare autorizzan
dole od approvandole, le ha fatte proprie ; dimodoché pure in questi casi i provvedimenti disciplinari debbono consi
derarsi implicitamente voluti dall'autorità militare, mentre
il datore di lavoro deve ritenersi a tale fine un delegato di detta autorità.
Perciò costituendo i provvedimenti disciplinari atti della
pubblica autorità, essi non sono suscettibili di sindacato da parte dell'autorità giudiziaria.
Nella specie, il provvedimento disciplinare, licenziamento
in tronco del Gregorio per assenza ingiustificata, era stato
come tale autorizzato dal Commissario Generale per le fab
bricazioni di guerra, quindi non poteva essere dal Tribu
nale discusso ; discutere tale licenziamento voleva infatti
significare discutere e sindacare il provvedimento dell'auto
rità militare che con l'autorizzazione avesse fatto proprio il licenziamento in tronco ; e ciò non poteva essere al Tri
bunale consentito.
Se non che ritiene il Collegio che la costruzione e 'le
argomentazioni pur così acutamente svolte dalla difesa
della convenuta, non trovino adeguata giustificazione nelle
disposizioni di legge in materia.
A tale fine è opportuno anzitutto richiamare i testi di
legge che trovano applicazione nella dedotta materia. •
(1) In senso contrario vedi, da ultimo, Pret. Torino 12 aprile 1938 (retro, col. 218) con nota di richiami alla giurisprudenza precedente pure in senso contrario, tra cui la sentenza Pret. Fi nale Ligure 18 marzo 1937 (id., 1938, I, 145) con nota sostan zialmente adesiva di E. Donetti.
Nel senso della sentenza sopra riportata cfr. invece La Torre, da ultimo in Mag. giur. lav., 1938, 514.
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