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Udienza 22 luglio 1878, Pres. Mirabelli P. P., Est. Niutta —Bronco c. MaterazzoSource: Il Foro Italiano, Vol. 3, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1878), pp. 915/916-917/918Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23085957 .
Accessed: 18/06/2014 17:03
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915 PARTE PRIMA 916
CORTE DI CASSAZIONE DI NAPOLI. Udienza 22 luglio 1878, Pres. Mirabelli P. P.,
Niutta — Bronco c. Materazzo.
Ordinanza — Pretore — Testimoni — Termine (Co dice proc. civ., art. 43).
Negli effetti delle ordinanze del pretore per la udi
zione dei testimoni si deve escludere dal termine
di legge soltanto il giorno a quo, comprendendovi
quello ad quem.
La Corte di cassazione osserva: Clie per decidere
con ponderazione se nella notifica dell'ordinanza per la
udizione de'testimoni si dee soltanto escludere il dies a
quo e comprendere quello ad quem, ovvero escludere
l'uno e l'altro, lasciando liberi i dieci giorni, si rende
opportuno, anzi necessario, di svolgere principalmente l'elemento giuridico razionale a preferenza dell' ele
mento storico che fu soggetto a non pochi cambiamenti
secondo i tempi e le diverse legislazioni che vigevano in Italia prima della desiderata codificazione;
Che, trattandosi di attribuire alla controversia in
esame quel concetto giuridico razionale che si mani
festa pur troppo dai casi analoghi ed affini, si rende
indispensabile riportare il preciso tenore della legge, così espresso:
« L'ordinanza è notificata al procuratore dell'altra
parte almeno dieci giorni prima di quello stabilito per
l'esame, sotto pena di nullità » (art. 233 Cod. proc. civ.) Ed in prima non può rimanere inosservato che la
legge stessa' ha stabilito in modo di regola che nel
computo de' termini misurati a giorni non si comprende il giorno della notificazione (art. 43 Cod. proc. civ.), e
nella specie, trattandosi di computo di giorni, sarebbe
grave errore se sotto la frase giorno della notifica zione si volesse escludere, non solo il giorno della
notificazione dell'ordinanza, ma eziandio quello della
comparizione.
Che le abolite leggi di procedura civile del 1819, ove
nell' art. 1109 si prescrive che il giorno della notifica
zione e quello della scadenza non si dovessero com
putare ne'termini stabiliti per comparire, tanto la
scuola che il foro portarono il loro completo suffragio su di questa controversia nel preciso senso del cen
nato art. 43 di sopra enunciato, il quale, derogando all'articolo 1109 dell'antica procedura, ha voluto co
stantemente e senza eccezione che il solo giorno della
notificazione non fosse compreso nel termine.
E di vero, trattandosi di sapere come debbasi com
putare un termine, il magistrato non può avere altra
guida che la legge stessa, specialmente quando questa
palesa ad evidenza e senza ambiguità l'intenzione e
la volontà del legislatore. Or se col ripetuto art. 43 va stabilito in modo inva
riabile che nel computo de'termini misurati a giorni non si comprende il giorno della notificazione, dee
comprendervisi necessariamente quello della compari
zione, per la nota massima di diritto exclusio unius
est alterius inclusio. Questo principio generale, pur
troppo collegato col principio razionale sulla materia
controvertita, dev' essere rispettato ed eseguito, tranne
il caso in cui la legge espressamente derogasse, chè,
secondo un canone fondamentale del gius romano, ge neri per speciem derogatur.
E poiché l'art. 233 parla di un termine misurato a
giorni, e nulla dice sul modo di computarlo, esso ri
cade sotto l'impero del prefato articolo 43 che esclude
il dies a quo, comprendendovi l'altro ad quém. Né la locuzione, almeno dieci giorni prima, usata
dalla legge, può recare cangiamento veruno alla con
troversia, ove si ponga mente, che anche nell' articolo
148 trovasi scritto che il termine a comparire innanzi
ai Tribunali e Corti di appello dev'essere almeno di
giorni dieci, eppure non si è mai sostenuto di doversi
escludere in tal caso il dies ad quem. Che per altro, meglio indagando la mens legis, non
si potrebbe trovare adequata ragione per rendere ec
cezione il disposto del più volte menzionato art. 233.
E per fermo, questo termine di dieci giorni da esso
indicato non può ad altro servire che per dar tempo al procuratore di avvertire il cliente ad approntare le
sue prove. Ed all'opposto il termine stabilito dall'ar
ticolo 148 è diretto ad uno scopo più interessante, cioè
a procurarsi un difensore, ed a preparare le difese,
le prove ed i documenti per respingere e resistere
all' azione.
Che, premesso questo razionale concetto, si scorge a
primo intuito, che la legge sarebbe più larga di tempo nel caso dell'art. 233 ove le parti sono state già av
vertite dalla sentenza che ordinava l'udizione de'te
stimoni, ed accorderebbe poi un tempo minore nel caso
della difesa, eh' è sacra, e che per lo svolgimento delle
proprie ragioni e per la scelta del difensore si ri
chiede un termine senza dubbio maggiore; la legge non ammette contraddizioni, e nella sua retta appli cazione ai singoli casi non dee sfuggire l'aureo pre cetto di Celso : « Scire leges non est verba earum te
nere, vel vim et potestatem » (leg. 17 ff. de legis). Quindi chiaro promana che i difetti di espressione,
e tutte le altre difficoltà che si oppongono a bene in
tenderla ed a bene applicarla, debbono sciogliersi nel
senso più conforme alla mente del legislatore ed ai
principi razionali che l'informano, tenendo presente non un solo articolo di essa, ma tutte le disposizioni
correlative, avvicinandole a vicenda, e non limitare il
senso a quel che potrebbe sembrar differente dalla sua
intenzione, verbum ex legibus sic accipiendum est, tam ex legum sententia quam ex verbis (leg. 6 ff., de
verb, significations). Che colla esatta applicazione delle additate teoriche
può senza dubbio ritenersi che in fatto di termini giu diziari stabiliti dal legislatore, gli art. 148 e 233 Codice
proc. civ. prendono norma nella loro applicazione dal
l'art. 43 della stessa legge, che rischiara qualsivoglia difficoltà.
Ed in ultimo, e sia anche ad esuberanza, che in fatto
di notifica dee ritenersi indubitato che il fine del le
gislatore, nell' accordare il termino di dieci giorni per
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917 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 918
la comparizione dietro la notifica dell'ordinanza del
pretore, di cui parla il rammentato art. 233, non abbia
altro scopo che render noto all'altra parte che nel
termine menzionato avrà luogo l'udizione de'testimoni; or si ha in fatto che la notificazione ebbe luogo 17
giorni prima della comparizione, per essere la stessa
avvenuta nel 23 dicembre, alla parte, nel domicilio
eletto in casa dell' avvocato che regolava tutta la
procedura, quindi indubitata la notizia al procuratore che da lui dipendeva e che seguitò a rappresentarla, anche nel giorno designato per la comparizione. Ma
per soprabbondanza la fece anche notificare al proprio
procuratore, nel dì 30 dello stesso mese, per compa rire nel giorno 8 gennaio stabilito per l'esame.
Quindi l'avviso fu sempre in tempo utile, cioè nel
termine dalla legge prefisso, e la sentenza che ritenne
la legalità merita plauso e non censura.
Che le altre doglianze relative ad altre persone che
si voleano mettere in causa neppure hanno fonda
mento giuridico, sì perchè la Corte non stimò neces
sario il loro intervento, ed anche perchè chiamandole
in appello venivano private del primo grado di giu risdizione.
Per tali motivi la Corte rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 25 luglio 1878, Pres. ed Est. Bandi ff. di P.,
P. M. Trecci Avv. Gen. (Conci, conf.) — Raggio (Av vocato Brunetti) c. Guastini (Avv. De Witt).
Associazione in partecipazione — Socio d'industria — ConiproprietsV del capitale (Cod. comm., art. 177
e seguenti). Sequestro — Pericolo — Itolo e frode (Cod. proc.
civ., art. 924).
Neil'associazione in partecipazione il socio d'indu
stria acquista la proprietà del capitale sommini
strato dal socio capitalista, il quale diviene per con
seguenza creditore di lui. (1) Sebbene nel giudizio di merito non siasi mai sollevata
la questione relativa alla natura di una società,
può la Corte suprema darle la sua vera definizione, senza decidere una questione nuova.
Per ottenere il sequestro, di che all' art. 924 del Co
dice di proc. civ., non è necessario che il pericolo di perdere le garanzie del credito derivi da dolo
o da frode del debitore. (2)
La Corte, ecc. — Considerando che nel dì 16 agosto 1876
Francesco Raggio e Ferdinando Guastini si associarono
per la lavorazione di carbone, scorza e legname; il
Raggio promise di sovvenire il Guastini di danaro e
gli consegnò L. 20,400 ; questi si obbligò di dirigere le lavorazioni, e di render conto al termine di ciascuna
campagna;
(1-2) Notevole è questo giudicato del supremo Collegio di Firenze, col quale si sono richiamati i principi che regolano le associazioni in partecipazione e il sequestro assicurativo, dei quali la Corte di Firenze aveva fatto mal governo con la sua sentenza del 21 marzo 1878 (Gior nale dei tribunali, anno "VII, n. 89) stata annullata dalla Corte su prema, che ne ha rilevato, con magistrale esattezza, i non pochi er rori. Noi richiamiamo su questa decisione tutta l'attenzione dei lettori del Foro, e aggiungiamo alcune poche osservazioni dottrinali a svi luppo dei principi ritenuti dalla Corte.
La sentenza denunziata aveva affermato, come dottrina generale,
che il capitale conferito dal socio capitalista diviene proprietà sociale, e che quindi egli non è creditore verso il socio a cui somministrò il
capitale. La Corte suprema ha giustamente censurato questo motivo della Corte di merito. Infatti nell'associazione in partecipazione quel principio non procede, ed invece il socio partecipante non ha alcuna
proprietà sulle cose cadenti nell'associazione, ancorché da lui som
ministrate, ed è creditore del capitale somministrato verso colui che lo ammette alla partecipazione.
Questo è chiaro per l'art. 179 Cod. comm., che nega ai partecipanti la proprietà delle cose cadenti nell'associazione, e per il successivo art. 180 che, in caso di fallimento di chi si associò il partecipante, ammette questo al passivo come un semplice creditore chirografario per i fondi che ha dato, in quanto eccedono la quota di perdita che sta a suo carico. E la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nello stabilire che, nelle associazioni in partecipazione, i partecipanti sono creditori del gerente per le somme da essi versate, e che in esse non esiste alcun fondo o capitale sociale, Delvincourt, Inst. de dr.
comm., pag. 44, nota 2; Alauzet, Dr. Comm., torn. 1, § 248; De
langle, Soc. comm., § 600; Troplong, Contrai de Soc., §§ 500 e 510; Bedarride, Soc. comm., torn. II, § 433; Albertazzi, Diritto comm., § 314; Galluppi, Diritto commerciale, torn. I, § 225; Cassazione di
Francia, 2 giugno 1834 (Journal du Pal., tom. 26, col. 583), e 19 marzo 1838 (Racc. cit., tom. 30-31 alla data); Cassazione di Milano, 20 maggio 1865, Rei. Adami (Giur. comm. it. del Caveri, torn. V, part. I, col. 35) ; Corte di appello di Brescia 29 marzo 1867, Est. Biagi {Ann. it., vol. I, parte II, col. 518).
E non si poteva dubitare che l'associazione costituita nella specie fosse un'associazione in partecipazione, ognorachè aveva ritenuto la sentenza che la società non era stata pubblicata, che non vi era un nome o ragione sociale, e che non vi era un fondo sociale. Infatti la dottrina e la giurisprudenza hanno sempre ritenuto che siano caratteri distintivi di quell'associazione la mancanza di pubblicazione, la man canza di un nome o ragione sociale, la mancanza di un fondo sociale, Troplong, Op. cit., § 499; Bedarride, Op. cit., torn. II, § 431; Bor
sari, Cod. comm., § 607, lett. d; Cassaz. di Francia, cit. decis. 2 giu gno 1834; Corte di Brescia, decis. cit.
Ne finalmente, ad eliminare il concetto della partecipazione, valeva la designazione di un'epoca per la durata dell'associazione, e il fatto che sono contemplate nell'atto sociale più operazioni successive; poi ché, secondo la più vera dottrina, ciò non repugna punto all' associa zione in partecipazione: Troplong, Op. cit., § 496; Borsari, Op. cit., § 610 e 611.
Non meno giuste poi sono le censure fatte dalla Corte suprema a
quella parte della sentenza riguardante il sequestro, poiché è chiaro che i giudici del merito avevano dato all'art. 924 del Codice di proc. civ. una interpetrazione così restrittiva, da render quasi inutile il prov vido rimedio conceduto dalla legge ai creditori col sequestro conser vativo.
"Vogliamo notare per ultimo come il ricorso, prescindendo anco dalle violazioni di legge di cui ha tenuto conto la Corte suprema, avesse dedotto la falsa applicazione dell'art. 924 sotto un altro aspetto. In fatti la sentenza avea ritenuto che il Raggio avea diritto di ottenere dal Guastini il rendiconto della gestione sociale, ma aveva negato al
Raggio il diritto di procedere ad un sequestro nella pendenza di quel rendiconto. Ora sosteneva il ricorso che deesi considerare come cre
ditore, e quindi aver facoltà di procedere ad un sequestro assicura
tivo, colui che ha diritto ad un rendimento di conti. Ed in appoggio di questo assunto citava la concorde giurisprudenza antica e moderna.
Costantino, ad Stat. Urb., tom. 1, annot. 19, n. 25; Fontanella, Decis. Sen. Cathalauniae, tom. 1, dee. 235; Rota Rom., cor. Molines, tom. 3, decis. 791, n. 7, e cor. Hevvault, nelle Nuperrimae, tom. 1, decis. 8, n. 4 e 17; Corte di appello di Genova 24 aprile 1863 (Bettini, XV, 2, 328) ; Corte di appello di Napoli, 29 gennaio 1873 {Ann. it., VII, 2, 263); Cassaz. di Torino, 25 febbraio 1875 {Detti, IX, 1, 1,285), e 21 marzo 1878
(Giorn. dei trib., voi. 7, n. 104). {Avv. F. Ferrucci). (Avv. F. Ferrucci).
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