+ All Categories
Home > Documents > PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 24 febbraio 1930; Pres. Custoza, Est....

PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 24 febbraio 1930; Pres. Custoza, Est....

Date post: 30-Jan-2017
Category:
Upload: nguyentruc
View: 217 times
Download: 5 times
Share this document with a friend
4
Udienza 24 febbraio 1930; Pres. Custoza, Est. Sotgiu; Comune di Bologna (Avv. Rubbi) c. Monteventi (Avv. Masetti Foschi) e Vacchi (Avv. Schiavi) Source: Il Foro Italiano, Vol. 55, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE (1930), pp. 457/458-461/462 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23131140 . Accessed: 28/06/2014 07:52 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.66 on Sat, 28 Jun 2014 07:52:51 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript

Udienza 24 febbraio 1930; Pres. Custoza, Est. Sotgiu; Comune di Bologna (Avv. Rubbi) c.Monteventi (Avv. Masetti Foschi) e Vacchi (Avv. Schiavi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 55, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1930), pp. 457/458-461/462Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23131140 .

Accessed: 28/06/2014 07:52

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 91.220.202.66 on Sat, 28 Jun 2014 07:52:51 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

457 GIURISPRUDENZA. CIVILE E COMMERCIALE: 468

principio che è di carattere generale ed applicabile quindi anche in mancanza di espressa disposizione che imponga la precedenza di cui sopra. Non giova quindi il rilevare, come in una recente decisione di una magistratura è stato

rilevato, che nell'art. 23 del decreto 18 novembre 1923

non trovasi ripetuta la disposizione di che al citato art. 13

del regolamento sulla tassa di esercizio; chè anzi, l'af

finità fra le materie regolate dalle due disposizioni e la

immediata successione verificatasi fra i due tributi, indu

cono proprio nell'opposto avviso. Ed anche il Supremo

Collegio, a Sezioni Unite, dopo avere, con sentenza

25 giugno 1928 (Foro it., 1929, I, 974) osservato che,

oltre alle norme contenute nella legge 20 marzo 1865, si potevano per analogia richiamare, a conferma del prin

cipio suddetto, quelle dettate dalle numerose leggi che,

dopo il 1865, avevano contribuito a formare il sistema del

contenzioso amministrativo, considerava che, « se fosse

stato necessario chiedere la conferma del principio mede

simo a legge disciplinante materia analoga, sarebbe ba

stato richiamare l'art. 53 della legge sull'imposta di ric

chezza mobile e l'art. 13 del regolamento 23 marzo 1902

sulla tassa di esercizio e rivendita, che lasciò precisamente il campo al decreto 18 novembre 1923 per l'imposta sul

l'industria ».

Del resto, nel regolamento del Comune di Firenze

(non in quello della Provincia) per l'applicazione di detta

imposta, evvi l'art. 27 che precisamente dispone che con

tro le decisioni della Giunta prov. amm. non è ammesso

altro ricorso che quello all'autorità giudiziaria ; il che in

dica chiaramente che la competenza di questa sorge sol

tanto dopo esaurito il procedimento amministrativo ; dopo

cioè che ogni grado del procedimento stesso sia stato

dalla controversia percorso. Per tutto ciò la Corte non esita ad affermare l'asso

luta inderogabilità del principio più volte ricordato, sem

prechè, s'intende, non esistano norme particolari che se

ne allontanino, consentendo che l'esame della controver

sia da parte del giudice speciale sia più o meno completo.

Trattasi in questi casi, che non mancano, di disposizioni aventi carattere d'eccezione, che non possono influire

sull'applicazione del principio generale di cui sopra. Nè infine occorre indugiarsi a confutare l'erroneo con

cetto degli appellanti, secondo i quali, a rendere ammis

sibile il ricorso al magistrato, sarebbe sufficiente la for

mazione del giudicato sulla pronunzia di prima istanza

della Commissione comunale. Niun dubbio infatti che tale

pronunzia, in difetto di gravame, divenga definitiva ed

irrevocabile ; ma ciò nonostante il procedimento non po trà considerarsi esaurito, mentre la legge vuole che tutti

i gradi siano percorsi, poiché in ognuno di questi è pos sibile che la sperata definizione della controversia si ve

rifichi, rendendo così inutile il ricorso all'autorità giudi

ziaria. Ed è proprio superfluo il rilevare che, in caso di

pronunzia contraria al contribuente, l'obbligo di portare

la controversia dinanzi al giudice di secondo grado, non

può incombere che al contribuente medesimo ; il quale

quindi, in difetto, non potrà imputare che a sè stesso il

mancato esaurimento della procedura più volte ricordata.

I Corsini, adunque, avrebbero anche dovuto ricorrere

alla Giunta prov. amm., prima di proporre la causa di

nanzi al tribunale.

2° Tracciato così quale avrebbe dovuto essere la loro

condotta, resta a vedere come invece si comportarono,

traendo infine le conclusioni del caso. (Omissis)

Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA.

Udienza 24 febbraio 1930; Pres. Custoza, Est. Sotgiu ;

Comune di Bologna (Avv. Rubbi) c. Monteventi (Avv. Masetti FoscHi)(e Vaoohi (Avv. Schiavi).

Oiudizio (rapporto] — Assoluzione di imputato in

sede penale Insufficienza di prove del fatto dan

noso Elementi costitutivi del fatto — Azione

civile per risarcimento dei danni — In ammissibi

lità (Ood. proc. pen., art. 12).

Il « fatto * di cui all'art. 12 cod. proc. pen. si riferi

sce non al solo fatto materiale causa dell' evento dan

noso, ma comprende anche l'elemento intenzionale

del reato; ossia la colpevolezza. (1) Assolto pertanto, Vimputato in sede penale per insuffi

cienza di prove del fatto dannoso è improponibile il

giudizio civile per risarcimento di danni basato sulla

presunta colpa dell1 autore del fatto. (2)

La Corte, ecc. — Gli appellanti eccepivano a loro di

fesa che la prova dedotta dal Montalenti non era ammis

sibile e l'azione da lui promossa non era proponibile, &

termini dell'art. 12 cod. proc. pen., perchè il giudice pe

nale aveva assolto il convenuto Vacchi per insufficienza

di prove del fatto, che gli era stato imputato. Il Tribunale ha ritenuto che l'art. 12 non sia appli

cabile alla specie, perchè l'assoluzione penale non sareb

be, a suo avviso, avvenuta per insufficienza di prove, che

il fatto sussista o che l'imputato Yacchi lo abbia com

messo o vi abbia concorso. Per « fatto », egli dice, s'in

tende l'evento oggettivo nella sua materialità : nella spe

cie il cozzo v'olento tra la vettura tramviaria guidata dal

Vecchi e la moto-carrozzella guidata dal Monteventi ;

non già gli elementi di imprudenza, imperizia, negligenza,

che costituirebbero la colpa. Ed il Yacchi, soggiunge, è stato assolto perchè il giu

dice penale ha dubitato non già dell'esistenza del fatto

materiale : sibbene « della ricorrenza degli elementi sog

gettivi che sarebbero stati idonei a concretare la sua col

pa penale ».

Il Comune di Bologna ed il Vacchi si gravano di tale

pronunzia dicendo che per « fatto » s'intende il fatto del

l'uomo ; nella specie in fatto concreto e specifico, impu

tato, di avere messo la vettura tramviaria in moto men

tre il Monteventi stava per attraversare il binario ; e l'as

soluzione è avvenuta per insufficienza di prove di tale

fatto, che permette di escludere (sic) la partecipazione del Vacchi al fatto costituente la base dell'imputazione.

Osserva la Corte che l'appello è fondato e deve es

sere accolto.

Il Tribunale ha male interpretato ed applicato l'art. 12

citato. Mettendo il medesimo in relazione con gli art. 45

cod. pen., 274, 444, 446, 451 cod. proc. pen. si vede

chiaramente che si intende per « fatto » il fatto materiale

nei termini della imputazione, in guisa da comprendere,

non solo l'evento lesivo (l'urto che ha prodotto le lesioni)

ma anche l'azione che fu causa dell'evento, ossia l'aver

messo la vettura tramviaria in moto mentre il Monte

venti stava attraversando il binario. E' per vero insegna

mento pacifico della dottrina più autorevole che « fatto »

(1-2) Vedi nello stesso senso, Cass. Regno 7 luglio 1927 (Foro

il., Rep. 1927, voce Oiudizio (rapporto) n. 54) sentenza ricordata

anche nel testo di quella che annotiamo.

Il Foro Italiano — Anno LV — Pari» /-30

This content downloaded from 91.220.202.66 on Sat, 28 Jun 2014 07:52:51 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

459 PARTE PRIMA 460

esprime tutto il complesso dell'attività criminosa e del

l'evento lesivo ; comprende gli elementi materiali sogget

tivi ed oggettivi del delitto : l'atto di portar via, come

l'essere l'oggetto pertinenza altrui (furto) ; l'atto di col

pire, come l'esito del ferimento (lesione) ; l'atto di ap

piccare il fuoco, come l'incendio sviluppatosi (appiccato

incendio)». Conforme l'insegnamento della giurisprudenza : « il

fatto di cui l'art. 12... dice il Supremo Collegio, deve es

sere considerato nel suo complesso, in tutti gli [elementi costitutivi ; esclusi questi elementi si intende escluso il

fatto nella intera consistenza e per tutte le conseguenze

giuridiche» (sentenza 7 luglio 1927 (Foro it , Rep. 1927, voce Giudizio (rapporto) n. 54).

Il divieto di azione civile è limitato dall'art. 12 al caso

che il giudice penale abbia, in seguito a giudizio, dichia

rato che il fatto non sussiste, e che l'imputato non lo ha

commesso o non vi ha concorso ; ovvero abbù dichiarato

che non sono sufficienti le prove che il fatto sussista o

che l'imputato lo abbia commesso o vi abbia concorso.

Il divieto non sussiste quando il giudice penale abbia

escluso il reato « per mancanza di elementi intenzionali, in guisa che non resti negata l'esistenza di un fatto pro duttivo di responsabilità civile », come dice la Relazione

Ministeriale.

Il Tribunale, ritenendo che « fatto » esprima soltanto

l'evento lesivo, l'urto che ha prodotto le lesioni ; ha ma

nifestamente confuso l'azione, causa dell'evento, con l'ele

mento intenzionale del reato, ossia la colpevolezza ; il

fatto di aver messo la vettura in moto mentre il Monte

venti attraversava il binario, con la colpa, che, in base

a.questo fatto, si sarebbe potuto affermare esistente ; os

sia con la « imprudenza », come si esprime l'imputa zione.

L'errore del Tribunale è evidente. L'azione, la messa

in moto della vettura, è l'elemento di fatto ; la colpa o

l'imprudenza è stata la volontà, e consiste nel non aver

preveduto, per difetto di volontà, che l'azione avrebbe

prodotto l'evento dannoso.

La colpa presuppone l'azione; ma questa non s'iden

tifica con essa. Può essere che l'azione sia e che manchi

la colpa, come nella ipotesi che non fosse prevedibile che

quel tale fatto, in cui si concreta l'azione, avrebbe pro dotto evento lesivo.

Nella specie è indubitabile che il Yacchi non è stato

assolto per insufficienza di prove dell'elemento intenzio

nale, ossia nella sua colpevolezza ; bensì per insufficienza

di prove della sussistenza della azione (e quindi del fatto)

ossia, di avere, mettendo in moto la vettura mentre il

Monteventi attraversava il binario, investito la sua mo

tocicletta.

Ciò si ricava esattamente dalla motivazione, giacché il dispositivo non dice, come dovrebbe, su che cosa le

prove siano risultate insufficienti.

Il giudice rilevò che, mentre secondo il Monteventi il

fatto sarebbe avvenuto nei termini dell'imputazione, come

sopra espressi, secondo il Vacchi, quando il Monteventi

si era trovato in mezzo ai binari, il medesimo, per non

andare a cozzare contro la sua vettura, aveva deviato ra

pidamente a sinistra, andando ad urtare contro la vettura

tramviaria che veniva in senso opposto. E dopo aver rias

sunte le deposizioni in vario senso dei testi Casali, Min

gardi e Battilani, disse che il Yacchi doveva essere as

solto per insufficenza di prove. All'uopo considerò che « anche ad ammettere per vero ciò che ha riferito il Ca

sali, e cioè che era stata precisamente la sua vettura (del

Vacchi) ad urtare il Monteventi, non si ha alcun ele

mento per poter affermare con costui che egli l'abbia im

prudentemente messa in moto a brevissima distanza dal

veicolo che gli intersecava la via, rendendo così inevita

bile l'urto : anzi la deposizione del teste Hingardi, che

vide fermo il tram a notevole distanza, sta contro quella tesi ».

Dice in altri termini la sentenza penale : La versione

del Monteventi, di essere stato urtato dalla vettura del

Vacchi, sarebbe appoggiata dalla testimonianza del Casali; ma è contradetta da quella del Mingardi : « anzi... la de

posizione del teste Mingardi sta contro quella tesi ». Per

conseguenza è dubbio se risponda al vero quella versione

o quella del Vacchi, secondo il quale l'urto del Monte

venti sarebbe invece avvenuto con la vettura tramviaria

che veniva in senso opposto. « Ma anche a ritenere per vero ciò che dice il Ca

sali (il ragionamento è sulla ipotesi che sia vero), non

sarebbe provato che all'urto abbia dato causa il Vacchi, col

mettere la vettura in moto, a brevissima distanza dal

veicolo che gli intersicava la via < imprudentemente». Col quale avverbio si è inteso dire che il fatto, se

fosse vero, avrebbe costituito imprudenza. La sentenza continua dicendo che, escluso o non suf

ficientemente provato che il Vacchi, mettendo in moto

la vettura mentre il Monteventi attraversava il binario, avesse cagionato l'urto ; nessun altro fatto che potesse costituire imprudenza si poteva a lui attribuire : » nè al

tra forma di imprudenza, o imperizia puossi rimproverare al Vacchi, essendo risultato che egli procedeva a velo

cità moderata, arrestando la vettura quasi istantanea

mente ; nè violazione di regolamento ini quanto che per l'art. 12 del regio decreto 31 dicembre 1928 n. 3043, era precisamente il Monteventi che avrebbe dovuto al

l'incrocio moderare la velocità e dare la precedenza al

tram che veniva dalla sua destra ».

Indubbiamente dunque l'assoluzione si fonda su la in

sufficienza di prove, non della colpevolezza, ma del latto;

dell'urto, cioè da parte della vettura guidata dal Vacchi, e dalla messa in moto della medesima mentre il Monte

venti stava attraversando il binario.

Il rilievo finale della sentenza, sulla inosservanza del

regolamento da parte del Monteventi, esprime poi in

relazione all'ipotesi che il fatto anzidetto potesse ritenersi

provato, esprime, ripetesi, il dubbio che autore di esso

dovesse ritenersi il Vacchi, e non lo stesso Monteventi.

Certamente se soltanto il fatto obbiettivo, ossia l'even

to dannoso è provato ; e non è provato il fatto subiet

tivo, ossia l'attività criminosa, non si può parlare di col

pa ; ma non se ne può parlare perchè la colpa, come si è

visto, non può esistere senza il fatto ; ossia perchè il fatto

non è provato ; non già per non essere provata la colpa. E pacifico l'insegnamento su tal punto della giurispru

denza, anche di questa Corte ; ed in applicazione di tale

principio la medesima ha sempre ritenuto che, sotto spe cie di ricercare un'azione civile non si può riproporre lo

esame di una circostanza del fatto, o della partecipazione ad esso dell'imputato quale autore, o coadiuvatore, già esclusa o dichiarata non sufficientemente provata dal giu dice penale. L'azione civile è ammissibile solo quando il

fatto « come svoltosi » secondo il giudice penale, non con

creta un'ipotesi penalmente perseguitabile (Cass. Regno 26 febbraio 1927, Corte Cass., 1927, 882 e Foro it.,

Rep. 1927, voce Giudizio (rapp.) n. 48 ; 7 luglio 1927,

This content downloaded from 91.220.202.66 on Sat, 28 Jun 2014 07:52:51 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

461 GUUKISPKUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 462

Corte Cass., 1928, 470 e Foro it., Rep. 1927, voce Giu

dizio (rapp.) n. 51; 16 aprile 1928, Corte Cass., 1928, 1055 e Foro it., Rep. 1928, voce Giudizio (rapp.) n. 103 ; in Corte Cass., 1927, 882 ; 1928, 470, 1055 ; 17 aprile 1928e7 gennaio 1929, in Foro It., 1928,1, 489 ; 1929, 205;

App. Bologna 25 giugno 1928, est. Galassi, in Temi Emi

liana, 1928, 404 e Foro it., Rep. 1928, voce Giudizio

(rapp.) n. 78. La sentenza penale, divenuta cosa giudicata, ha per

tanto preclusa la proponibilità dell'azione per danni in

sede civile ; e quindi anche la prova deve essere respin ta ; tanto più che essa nella parte sostanziale (capitoli 2°

e 3°) cade sugli stessi fatti che il giudice penale ha di

chiarato non sufficientemente provati nel giudizio penale. Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE DI NAPOLI.

Udienza 28 giugno 1929; Pres. Mdtarelli, Est. Bar

resi; Garzia c. Paolone.

Esecuzione immobiliare — Sentenza di aggiudica zione — Carattere di vera sentenza — Azioni di

nullità contrattuale — Inammissibilità (Cod. pi'OC.

civ., art. 682, 685, 686).

La sentenza di aggiudicazione di beni immobili nel pro cedimento di esecuzione forzata ha carattere di vera

e propria sentenza per tutti gli effetti processuali. (1) Essa perciò non può impugnarsi con le azioni di nul

lità ammesse per i contratti, ma soltanto con i gra vami consentiti dalla legge. (2)

(1 2) La sentenza di aggiudicazione.

I. — Con la decisione su riferita il Tribunale di Napoli, pronunciando in grado di appello si riattacca alla costante e sana giurisprudenza affermatasi costantemente dal 1906 ad oggi. La questione sembrava non dovesse più proporsi per unifor mità dei giudicati dei nostri Tribunali e delle nostre Corti e sarebbe inutile questo studio se una sentenza riportata in mas sima nel Bep. del Foro italiano, 1927 (voce Esecuzione immobiliare, n. 61) non facesse pensare ad un diverso avviso della Corte

Suprema. La questione va posta in questi termini : può l'ultimo atto

della esecuzione immobiliare ritenei'si sentenza a tutti gli ef fetti processuali ? E poiché contro di essa non è ammesso gra vame (art. 672 cod. proc. civ.) è possibile impugnarla con azione di nullità V

II. — Una vecchia corrente, molto tempo fa, si schierava nettamente per la negativa, e, ritenendo la sentenza di aggiu dicazione un vero e proprio contratto ne traeva la conseguenza che potesse impugnarsi con l'azione di nullità: era (in fondo) la stessa corrente per la quale la Corte di appello di Venezia il 2 settembre 1880 {Gazzetta legale, 1880, p. 295 e Foro it., Hep. 1880, voce Esecuzione mob., n. 56) decideva: «Il provvedimento col

quale il Pretore in seguito a pignoramento presso terzi asse

gna in pagamento crediti del debitore, non è una sentenza, ma è solo un documento ossia la prova scritta del contratto di cessione del.credito del debitore al creditore pignorante*. E diciamo la stessa corrente perchè si rifa agli stessi eccessi for malistici : chè nel dispositivo non si vedeva una vera e propria condanna, che in questo giudizio il magistrato sostituiva la

propria volontà a quella del debitore espropriato del credito, che perciò contro questo provvedimento poteva proporsi una azione di nullità e di rescissione come se si trattasse di im

pugnare qualsiasi altro contratto di cessione.

Oggi nessuno pensa più che la sentenza che definisce il

pignoramento presso terzi non sia una vera sentenza (Cfr. Cass. Roma 4 dicembre 1916, Foro it., 1917, I, 928; Moktaka, vol. V,

Il Tribunale, ecc. (Omissis) — Passando all'esame

del merito, il Collegio osserva che l'appellata Paolone so

stiene la tesi che il provvedimento di aggiudicazione non

§ 190, 192 ; Mattirolo, vol. V, 913 e dottrina e giurisprudenza ivi citata) e, almeno per la sentenza che assegna il credito pi gnorato presso terzo, non si fa pit questione.

La vecchia corrente che citavamo fa capo a Mattirolo, Cesàreo Consolo, Ricci, Garoiulo, Borsari, ecc. Questi scrit tori però, senza addurre ragioni e solo rilevando che la sen tenza di aggiudicazione non decide alcuna controversia, dichia ravano che detta sentenza « è lo stesso contratto di vendita

passato innanzi alla giustizia • (Gtaroiulo, Proc. Civ., vol. IV, p. 414) ovvero «Contiene il contratto stesso di vendita (Mat tirolo, voi. VI, n. 304); da ciò deduceva che un'azione prin cipale di nullità avverso questa sentenza potesse esperirsi in alcuni casi e tra gli altri : « se siasi proceduto al deliberamento senza le previe pubblicazioni in giorno non annunziato o di verso da quello stabilito nel bando, ovvero se deliberatario siasi reso una persona incapace » (Cesareo Consolo, Espropria zione contro i debitori, vol. Ili, p. 663, n. 70; ( ì A hi; n: LO, Proc.

Civ., vol. 1Y, p. 465; Mattirolo, § 472) anzi rifacendosi alla sentenza 2 settembre 1870 della Corte di Lucca (Annali, IV.

2, 513) che affermava non potersi opporre l'incapacità delle per sone presentatesi per offrire all'incanto nell'udienza a ciò fis sata ; e potersi invece, in seguito, la validità dell'aggiudica zione attaccare in giudizio separato, tutti gli scrittori conclu devano affermando la possibilità di chiedere l'annullamento della sentenza di aggiudicazione.

III. — Contro questa teorica insorse il Mortara : egli ri

tenne la sentenza di aggiudicazione una vera e propria sen

tenza, dimostrò che, nella redazione di essa, l'art. 685 dovesse conciliarsi coll'art. 360 e rilevò, quanto al contenuto, « che a

torto, sulle tracce della dottrina francese, si va affermando da molti che la sentenza di aggiudicazione non è che l'accerta

mento solenne di un rapporto convenzionale ... La volontà del

promittente non incontra il beneplacito di un accettante, ma

l'approvazione del magistrato», concluse: « fcii può dire chela sentenza rappresenta un contratto in quanto il magistrato con

sente la vendita in luogo e vece del debitore, ma con eguale similitudine si può dire che la sentenza di condanna rappre senta un contratto in quanto il migistrato consente e ricono

sce l'obbligazione in luogo e vece del debitore», e infine notò

molto opportunamente che « le disposizioni sulla vendita dei

beni dei minori, pur richiamando espressamente una numerosa

serie di articoli relativi alla espropriazione in quanto siano ap

plicabili, non richiamano l'art. 685 perchè la vendita è volon

taria . . . vale a dire si tratta di un rapporto giuridico da per fezionarci mediante l'incontro della volontà di due soggetti

privati senza che occorra sostituire ad una di esse il verbo im

perativo della potestà pubblica». Lo stesso Mortara, poco più innanzi (n. 275), aveva già con

tro battuta quella che ai sostenitori della contraria teoria sem

brava un punto insormontabile : poiché, circa l'incapacità delle

persone concorrenti all'incanto, scriveva: «E contro l'offerta

che l'eccezione di nullità deve essere proposta e, se non è pro

posta o il tribunale non l'applica di ufficio, come parmi abbia

la facoltà, l'eccezione si estingue non potendo esser proposta col rimedio dell'appellazione nè con alcuno degli altri mezzi

di impugnazione contro le sentenze-. Coerentemente in fine, pur ammettendo il rimedio della

revocazione e dell'opposizione di terzo — del che ne faceva un

altro argomento per affermare la sua tesi — nettamente respin

geva l'opinione di coloro che contro tali sentenze ammettevano

le azioni di nullità e terminava : « Per qualche maggiore ga renzia che si ritenga necessaria alla regolarità e all'intrinseca

legalità dell'atto estremo e più grave del giudizio di espropria

zione, potranno elevarsi dubbi in diritto costituendo circa la

convenienza della sua normale inappellabilità, ma non è lecito

architettare un mezzo di impugnazione, non conosciuto nè di

chiarato dalla legge, repugnante alla genesi di essa ed alle sue

precise disposizioni, il quale poi presume (ed è peggio) alterata

sostanzialmente l'indole e l'efficacia giuridica dell'atto in qui stione •.

La stessa tesi del Mortara pur con validi argomenti fu

sostenuta dal Montani, l'oro it., 1907, 285, dal Biamonh e Ca

sati in Riv. dir. civ., 1909, 195 ; 1914, 689 e dal G-. Rocco, Della

espropriazione forzata, n. 310,

This content downloaded from 91.220.202.66 on Sat, 28 Jun 2014 07:52:51 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended