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Udienza 24 febbraio 1930; Pres. Custoza, Est. Sotgiu; Comune di Bologna (Avv. Rubbi) c.Monteventi (Avv. Masetti Foschi) e Vacchi (Avv. Schiavi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 55, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1930), pp. 457/458-461/462Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23131140 .
Accessed: 28/06/2014 07:52
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457 GIURISPRUDENZA. CIVILE E COMMERCIALE: 468
principio che è di carattere generale ed applicabile quindi anche in mancanza di espressa disposizione che imponga la precedenza di cui sopra. Non giova quindi il rilevare, come in una recente decisione di una magistratura è stato
rilevato, che nell'art. 23 del decreto 18 novembre 1923
non trovasi ripetuta la disposizione di che al citato art. 13
del regolamento sulla tassa di esercizio; chè anzi, l'af
finità fra le materie regolate dalle due disposizioni e la
immediata successione verificatasi fra i due tributi, indu
cono proprio nell'opposto avviso. Ed anche il Supremo
Collegio, a Sezioni Unite, dopo avere, con sentenza
25 giugno 1928 (Foro it., 1929, I, 974) osservato che,
oltre alle norme contenute nella legge 20 marzo 1865, si potevano per analogia richiamare, a conferma del prin
cipio suddetto, quelle dettate dalle numerose leggi che,
dopo il 1865, avevano contribuito a formare il sistema del
contenzioso amministrativo, considerava che, « se fosse
stato necessario chiedere la conferma del principio mede
simo a legge disciplinante materia analoga, sarebbe ba
stato richiamare l'art. 53 della legge sull'imposta di ric
chezza mobile e l'art. 13 del regolamento 23 marzo 1902
sulla tassa di esercizio e rivendita, che lasciò precisamente il campo al decreto 18 novembre 1923 per l'imposta sul
l'industria ».
Del resto, nel regolamento del Comune di Firenze
(non in quello della Provincia) per l'applicazione di detta
imposta, evvi l'art. 27 che precisamente dispone che con
tro le decisioni della Giunta prov. amm. non è ammesso
altro ricorso che quello all'autorità giudiziaria ; il che in
dica chiaramente che la competenza di questa sorge sol
tanto dopo esaurito il procedimento amministrativo ; dopo
cioè che ogni grado del procedimento stesso sia stato
dalla controversia percorso. Per tutto ciò la Corte non esita ad affermare l'asso
luta inderogabilità del principio più volte ricordato, sem
prechè, s'intende, non esistano norme particolari che se
ne allontanino, consentendo che l'esame della controver
sia da parte del giudice speciale sia più o meno completo.
Trattasi in questi casi, che non mancano, di disposizioni aventi carattere d'eccezione, che non possono influire
sull'applicazione del principio generale di cui sopra. Nè infine occorre indugiarsi a confutare l'erroneo con
cetto degli appellanti, secondo i quali, a rendere ammis
sibile il ricorso al magistrato, sarebbe sufficiente la for
mazione del giudicato sulla pronunzia di prima istanza
della Commissione comunale. Niun dubbio infatti che tale
pronunzia, in difetto di gravame, divenga definitiva ed
irrevocabile ; ma ciò nonostante il procedimento non po trà considerarsi esaurito, mentre la legge vuole che tutti
i gradi siano percorsi, poiché in ognuno di questi è pos sibile che la sperata definizione della controversia si ve
rifichi, rendendo così inutile il ricorso all'autorità giudi
ziaria. Ed è proprio superfluo il rilevare che, in caso di
pronunzia contraria al contribuente, l'obbligo di portare
la controversia dinanzi al giudice di secondo grado, non
può incombere che al contribuente medesimo ; il quale
quindi, in difetto, non potrà imputare che a sè stesso il
mancato esaurimento della procedura più volte ricordata.
I Corsini, adunque, avrebbero anche dovuto ricorrere
alla Giunta prov. amm., prima di proporre la causa di
nanzi al tribunale.
2° Tracciato così quale avrebbe dovuto essere la loro
condotta, resta a vedere come invece si comportarono,
traendo infine le conclusioni del caso. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA.
Udienza 24 febbraio 1930; Pres. Custoza, Est. Sotgiu ;
Comune di Bologna (Avv. Rubbi) c. Monteventi (Avv. Masetti FoscHi)(e Vaoohi (Avv. Schiavi).
Oiudizio (rapporto] — Assoluzione di imputato in
sede penale Insufficienza di prove del fatto dan
noso Elementi costitutivi del fatto — Azione
civile per risarcimento dei danni — In ammissibi
lità (Ood. proc. pen., art. 12).
Il « fatto * di cui all'art. 12 cod. proc. pen. si riferi
sce non al solo fatto materiale causa dell' evento dan
noso, ma comprende anche l'elemento intenzionale
del reato; ossia la colpevolezza. (1) Assolto pertanto, Vimputato in sede penale per insuffi
cienza di prove del fatto dannoso è improponibile il
giudizio civile per risarcimento di danni basato sulla
presunta colpa dell1 autore del fatto. (2)
La Corte, ecc. — Gli appellanti eccepivano a loro di
fesa che la prova dedotta dal Montalenti non era ammis
sibile e l'azione da lui promossa non era proponibile, &
termini dell'art. 12 cod. proc. pen., perchè il giudice pe
nale aveva assolto il convenuto Vacchi per insufficienza
di prove del fatto, che gli era stato imputato. Il Tribunale ha ritenuto che l'art. 12 non sia appli
cabile alla specie, perchè l'assoluzione penale non sareb
be, a suo avviso, avvenuta per insufficienza di prove, che
il fatto sussista o che l'imputato Yacchi lo abbia com
messo o vi abbia concorso. Per « fatto », egli dice, s'in
tende l'evento oggettivo nella sua materialità : nella spe
cie il cozzo v'olento tra la vettura tramviaria guidata dal
Vecchi e la moto-carrozzella guidata dal Monteventi ;
non già gli elementi di imprudenza, imperizia, negligenza,
che costituirebbero la colpa. Ed il Yacchi, soggiunge, è stato assolto perchè il giu
dice penale ha dubitato non già dell'esistenza del fatto
materiale : sibbene « della ricorrenza degli elementi sog
gettivi che sarebbero stati idonei a concretare la sua col
pa penale ».
Il Comune di Bologna ed il Vacchi si gravano di tale
pronunzia dicendo che per « fatto » s'intende il fatto del
l'uomo ; nella specie in fatto concreto e specifico, impu
tato, di avere messo la vettura tramviaria in moto men
tre il Monteventi stava per attraversare il binario ; e l'as
soluzione è avvenuta per insufficienza di prove di tale
fatto, che permette di escludere (sic) la partecipazione del Vacchi al fatto costituente la base dell'imputazione.
Osserva la Corte che l'appello è fondato e deve es
sere accolto.
Il Tribunale ha male interpretato ed applicato l'art. 12
citato. Mettendo il medesimo in relazione con gli art. 45
cod. pen., 274, 444, 446, 451 cod. proc. pen. si vede
chiaramente che si intende per « fatto » il fatto materiale
nei termini della imputazione, in guisa da comprendere,
non solo l'evento lesivo (l'urto che ha prodotto le lesioni)
ma anche l'azione che fu causa dell'evento, ossia l'aver
messo la vettura tramviaria in moto mentre il Monte
venti stava attraversando il binario. E' per vero insegna
mento pacifico della dottrina più autorevole che « fatto »
(1-2) Vedi nello stesso senso, Cass. Regno 7 luglio 1927 (Foro
il., Rep. 1927, voce Oiudizio (rapporto) n. 54) sentenza ricordata
anche nel testo di quella che annotiamo.
Il Foro Italiano — Anno LV — Pari» /-30
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459 PARTE PRIMA 460
esprime tutto il complesso dell'attività criminosa e del
l'evento lesivo ; comprende gli elementi materiali sogget
tivi ed oggettivi del delitto : l'atto di portar via, come
l'essere l'oggetto pertinenza altrui (furto) ; l'atto di col
pire, come l'esito del ferimento (lesione) ; l'atto di ap
piccare il fuoco, come l'incendio sviluppatosi (appiccato
incendio)». Conforme l'insegnamento della giurisprudenza : « il
fatto di cui l'art. 12... dice il Supremo Collegio, deve es
sere considerato nel suo complesso, in tutti gli [elementi costitutivi ; esclusi questi elementi si intende escluso il
fatto nella intera consistenza e per tutte le conseguenze
giuridiche» (sentenza 7 luglio 1927 (Foro it , Rep. 1927, voce Giudizio (rapporto) n. 54).
Il divieto di azione civile è limitato dall'art. 12 al caso
che il giudice penale abbia, in seguito a giudizio, dichia
rato che il fatto non sussiste, e che l'imputato non lo ha
commesso o non vi ha concorso ; ovvero abbù dichiarato
che non sono sufficienti le prove che il fatto sussista o
che l'imputato lo abbia commesso o vi abbia concorso.
Il divieto non sussiste quando il giudice penale abbia
escluso il reato « per mancanza di elementi intenzionali, in guisa che non resti negata l'esistenza di un fatto pro duttivo di responsabilità civile », come dice la Relazione
Ministeriale.
Il Tribunale, ritenendo che « fatto » esprima soltanto
l'evento lesivo, l'urto che ha prodotto le lesioni ; ha ma
nifestamente confuso l'azione, causa dell'evento, con l'ele
mento intenzionale del reato, ossia la colpevolezza ; il
fatto di aver messo la vettura in moto mentre il Monte
venti attraversava il binario, con la colpa, che, in base
a.questo fatto, si sarebbe potuto affermare esistente ; os
sia con la « imprudenza », come si esprime l'imputa zione.
L'errore del Tribunale è evidente. L'azione, la messa
in moto della vettura, è l'elemento di fatto ; la colpa o
l'imprudenza è stata la volontà, e consiste nel non aver
preveduto, per difetto di volontà, che l'azione avrebbe
prodotto l'evento dannoso.
La colpa presuppone l'azione; ma questa non s'iden
tifica con essa. Può essere che l'azione sia e che manchi
la colpa, come nella ipotesi che non fosse prevedibile che
quel tale fatto, in cui si concreta l'azione, avrebbe pro dotto evento lesivo.
Nella specie è indubitabile che il Yacchi non è stato
assolto per insufficienza di prove dell'elemento intenzio
nale, ossia nella sua colpevolezza ; bensì per insufficienza
di prove della sussistenza della azione (e quindi del fatto)
ossia, di avere, mettendo in moto la vettura mentre il
Monteventi attraversava il binario, investito la sua mo
tocicletta.
Ciò si ricava esattamente dalla motivazione, giacché il dispositivo non dice, come dovrebbe, su che cosa le
prove siano risultate insufficienti.
Il giudice rilevò che, mentre secondo il Monteventi il
fatto sarebbe avvenuto nei termini dell'imputazione, come
sopra espressi, secondo il Vacchi, quando il Monteventi
si era trovato in mezzo ai binari, il medesimo, per non
andare a cozzare contro la sua vettura, aveva deviato ra
pidamente a sinistra, andando ad urtare contro la vettura
tramviaria che veniva in senso opposto. E dopo aver rias
sunte le deposizioni in vario senso dei testi Casali, Min
gardi e Battilani, disse che il Yacchi doveva essere as
solto per insufficenza di prove. All'uopo considerò che « anche ad ammettere per vero ciò che ha riferito il Ca
sali, e cioè che era stata precisamente la sua vettura (del
Vacchi) ad urtare il Monteventi, non si ha alcun ele
mento per poter affermare con costui che egli l'abbia im
prudentemente messa in moto a brevissima distanza dal
veicolo che gli intersecava la via, rendendo così inevita
bile l'urto : anzi la deposizione del teste Hingardi, che
vide fermo il tram a notevole distanza, sta contro quella tesi ».
Dice in altri termini la sentenza penale : La versione
del Monteventi, di essere stato urtato dalla vettura del
Vacchi, sarebbe appoggiata dalla testimonianza del Casali; ma è contradetta da quella del Mingardi : « anzi... la de
posizione del teste Mingardi sta contro quella tesi ». Per
conseguenza è dubbio se risponda al vero quella versione
o quella del Vacchi, secondo il quale l'urto del Monte
venti sarebbe invece avvenuto con la vettura tramviaria
che veniva in senso opposto. « Ma anche a ritenere per vero ciò che dice il Ca
sali (il ragionamento è sulla ipotesi che sia vero), non
sarebbe provato che all'urto abbia dato causa il Vacchi, col
mettere la vettura in moto, a brevissima distanza dal
veicolo che gli intersicava la via < imprudentemente». Col quale avverbio si è inteso dire che il fatto, se
fosse vero, avrebbe costituito imprudenza. La sentenza continua dicendo che, escluso o non suf
ficientemente provato che il Vacchi, mettendo in moto
la vettura mentre il Monteventi attraversava il binario, avesse cagionato l'urto ; nessun altro fatto che potesse costituire imprudenza si poteva a lui attribuire : » nè al
tra forma di imprudenza, o imperizia puossi rimproverare al Vacchi, essendo risultato che egli procedeva a velo
cità moderata, arrestando la vettura quasi istantanea
mente ; nè violazione di regolamento ini quanto che per l'art. 12 del regio decreto 31 dicembre 1928 n. 3043, era precisamente il Monteventi che avrebbe dovuto al
l'incrocio moderare la velocità e dare la precedenza al
tram che veniva dalla sua destra ».
Indubbiamente dunque l'assoluzione si fonda su la in
sufficienza di prove, non della colpevolezza, ma del latto;
dell'urto, cioè da parte della vettura guidata dal Vacchi, e dalla messa in moto della medesima mentre il Monte
venti stava attraversando il binario.
Il rilievo finale della sentenza, sulla inosservanza del
regolamento da parte del Monteventi, esprime poi in
relazione all'ipotesi che il fatto anzidetto potesse ritenersi
provato, esprime, ripetesi, il dubbio che autore di esso
dovesse ritenersi il Vacchi, e non lo stesso Monteventi.
Certamente se soltanto il fatto obbiettivo, ossia l'even
to dannoso è provato ; e non è provato il fatto subiet
tivo, ossia l'attività criminosa, non si può parlare di col
pa ; ma non se ne può parlare perchè la colpa, come si è
visto, non può esistere senza il fatto ; ossia perchè il fatto
non è provato ; non già per non essere provata la colpa. E pacifico l'insegnamento su tal punto della giurispru
denza, anche di questa Corte ; ed in applicazione di tale
principio la medesima ha sempre ritenuto che, sotto spe cie di ricercare un'azione civile non si può riproporre lo
esame di una circostanza del fatto, o della partecipazione ad esso dell'imputato quale autore, o coadiuvatore, già esclusa o dichiarata non sufficientemente provata dal giu dice penale. L'azione civile è ammissibile solo quando il
fatto « come svoltosi » secondo il giudice penale, non con
creta un'ipotesi penalmente perseguitabile (Cass. Regno 26 febbraio 1927, Corte Cass., 1927, 882 e Foro it.,
Rep. 1927, voce Giudizio (rapp.) n. 48 ; 7 luglio 1927,
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461 GUUKISPKUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 462
Corte Cass., 1928, 470 e Foro it., Rep. 1927, voce Giu
dizio (rapp.) n. 51; 16 aprile 1928, Corte Cass., 1928, 1055 e Foro it., Rep. 1928, voce Giudizio (rapp.) n. 103 ; in Corte Cass., 1927, 882 ; 1928, 470, 1055 ; 17 aprile 1928e7 gennaio 1929, in Foro It., 1928,1, 489 ; 1929, 205;
App. Bologna 25 giugno 1928, est. Galassi, in Temi Emi
liana, 1928, 404 e Foro it., Rep. 1928, voce Giudizio
(rapp.) n. 78. La sentenza penale, divenuta cosa giudicata, ha per
tanto preclusa la proponibilità dell'azione per danni in
sede civile ; e quindi anche la prova deve essere respin ta ; tanto più che essa nella parte sostanziale (capitoli 2°
e 3°) cade sugli stessi fatti che il giudice penale ha di
chiarato non sufficientemente provati nel giudizio penale. Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE DI NAPOLI.
Udienza 28 giugno 1929; Pres. Mdtarelli, Est. Bar
resi; Garzia c. Paolone.
Esecuzione immobiliare — Sentenza di aggiudica zione — Carattere di vera sentenza — Azioni di
nullità contrattuale — Inammissibilità (Cod. pi'OC.
civ., art. 682, 685, 686).
La sentenza di aggiudicazione di beni immobili nel pro cedimento di esecuzione forzata ha carattere di vera
e propria sentenza per tutti gli effetti processuali. (1) Essa perciò non può impugnarsi con le azioni di nul
lità ammesse per i contratti, ma soltanto con i gra vami consentiti dalla legge. (2)
(1 2) La sentenza di aggiudicazione.
I. — Con la decisione su riferita il Tribunale di Napoli, pronunciando in grado di appello si riattacca alla costante e sana giurisprudenza affermatasi costantemente dal 1906 ad oggi. La questione sembrava non dovesse più proporsi per unifor mità dei giudicati dei nostri Tribunali e delle nostre Corti e sarebbe inutile questo studio se una sentenza riportata in mas sima nel Bep. del Foro italiano, 1927 (voce Esecuzione immobiliare, n. 61) non facesse pensare ad un diverso avviso della Corte
Suprema. La questione va posta in questi termini : può l'ultimo atto
della esecuzione immobiliare ritenei'si sentenza a tutti gli ef fetti processuali ? E poiché contro di essa non è ammesso gra vame (art. 672 cod. proc. civ.) è possibile impugnarla con azione di nullità V
II. — Una vecchia corrente, molto tempo fa, si schierava nettamente per la negativa, e, ritenendo la sentenza di aggiu dicazione un vero e proprio contratto ne traeva la conseguenza che potesse impugnarsi con l'azione di nullità: era (in fondo) la stessa corrente per la quale la Corte di appello di Venezia il 2 settembre 1880 {Gazzetta legale, 1880, p. 295 e Foro it., Hep. 1880, voce Esecuzione mob., n. 56) decideva: «Il provvedimento col
quale il Pretore in seguito a pignoramento presso terzi asse
gna in pagamento crediti del debitore, non è una sentenza, ma è solo un documento ossia la prova scritta del contratto di cessione del.credito del debitore al creditore pignorante*. E diciamo la stessa corrente perchè si rifa agli stessi eccessi for malistici : chè nel dispositivo non si vedeva una vera e propria condanna, che in questo giudizio il magistrato sostituiva la
propria volontà a quella del debitore espropriato del credito, che perciò contro questo provvedimento poteva proporsi una azione di nullità e di rescissione come se si trattasse di im
pugnare qualsiasi altro contratto di cessione.
Oggi nessuno pensa più che la sentenza che definisce il
pignoramento presso terzi non sia una vera sentenza (Cfr. Cass. Roma 4 dicembre 1916, Foro it., 1917, I, 928; Moktaka, vol. V,
Il Tribunale, ecc. (Omissis) — Passando all'esame
del merito, il Collegio osserva che l'appellata Paolone so
stiene la tesi che il provvedimento di aggiudicazione non
§ 190, 192 ; Mattirolo, vol. V, 913 e dottrina e giurisprudenza ivi citata) e, almeno per la sentenza che assegna il credito pi gnorato presso terzo, non si fa pit questione.
La vecchia corrente che citavamo fa capo a Mattirolo, Cesàreo Consolo, Ricci, Garoiulo, Borsari, ecc. Questi scrit tori però, senza addurre ragioni e solo rilevando che la sen tenza di aggiudicazione non decide alcuna controversia, dichia ravano che detta sentenza « è lo stesso contratto di vendita
passato innanzi alla giustizia • (Gtaroiulo, Proc. Civ., vol. IV, p. 414) ovvero «Contiene il contratto stesso di vendita (Mat tirolo, voi. VI, n. 304); da ciò deduceva che un'azione prin cipale di nullità avverso questa sentenza potesse esperirsi in alcuni casi e tra gli altri : « se siasi proceduto al deliberamento senza le previe pubblicazioni in giorno non annunziato o di verso da quello stabilito nel bando, ovvero se deliberatario siasi reso una persona incapace » (Cesareo Consolo, Espropria zione contro i debitori, vol. Ili, p. 663, n. 70; ( ì A hi; n: LO, Proc.
Civ., vol. 1Y, p. 465; Mattirolo, § 472) anzi rifacendosi alla sentenza 2 settembre 1870 della Corte di Lucca (Annali, IV.
2, 513) che affermava non potersi opporre l'incapacità delle per sone presentatesi per offrire all'incanto nell'udienza a ciò fis sata ; e potersi invece, in seguito, la validità dell'aggiudica zione attaccare in giudizio separato, tutti gli scrittori conclu devano affermando la possibilità di chiedere l'annullamento della sentenza di aggiudicazione.
III. — Contro questa teorica insorse il Mortara : egli ri
tenne la sentenza di aggiudicazione una vera e propria sen
tenza, dimostrò che, nella redazione di essa, l'art. 685 dovesse conciliarsi coll'art. 360 e rilevò, quanto al contenuto, « che a
torto, sulle tracce della dottrina francese, si va affermando da molti che la sentenza di aggiudicazione non è che l'accerta
mento solenne di un rapporto convenzionale ... La volontà del
promittente non incontra il beneplacito di un accettante, ma
l'approvazione del magistrato», concluse: « fcii può dire chela sentenza rappresenta un contratto in quanto il magistrato con
sente la vendita in luogo e vece del debitore, ma con eguale similitudine si può dire che la sentenza di condanna rappre senta un contratto in quanto il migistrato consente e ricono
sce l'obbligazione in luogo e vece del debitore», e infine notò
molto opportunamente che « le disposizioni sulla vendita dei
beni dei minori, pur richiamando espressamente una numerosa
serie di articoli relativi alla espropriazione in quanto siano ap
plicabili, non richiamano l'art. 685 perchè la vendita è volon
taria . . . vale a dire si tratta di un rapporto giuridico da per fezionarci mediante l'incontro della volontà di due soggetti
privati senza che occorra sostituire ad una di esse il verbo im
perativo della potestà pubblica». Lo stesso Mortara, poco più innanzi (n. 275), aveva già con
tro battuta quella che ai sostenitori della contraria teoria sem
brava un punto insormontabile : poiché, circa l'incapacità delle
persone concorrenti all'incanto, scriveva: «E contro l'offerta
che l'eccezione di nullità deve essere proposta e, se non è pro
posta o il tribunale non l'applica di ufficio, come parmi abbia
la facoltà, l'eccezione si estingue non potendo esser proposta col rimedio dell'appellazione nè con alcuno degli altri mezzi
di impugnazione contro le sentenze-. Coerentemente in fine, pur ammettendo il rimedio della
revocazione e dell'opposizione di terzo — del che ne faceva un
altro argomento per affermare la sua tesi — nettamente respin
geva l'opinione di coloro che contro tali sentenze ammettevano
le azioni di nullità e terminava : « Per qualche maggiore ga renzia che si ritenga necessaria alla regolarità e all'intrinseca
legalità dell'atto estremo e più grave del giudizio di espropria
zione, potranno elevarsi dubbi in diritto costituendo circa la
convenienza della sua normale inappellabilità, ma non è lecito
architettare un mezzo di impugnazione, non conosciuto nè di
chiarato dalla legge, repugnante alla genesi di essa ed alle sue
precise disposizioni, il quale poi presume (ed è peggio) alterata
sostanzialmente l'indole e l'efficacia giuridica dell'atto in qui stione •.
La stessa tesi del Mortara pur con validi argomenti fu
sostenuta dal Montani, l'oro it., 1907, 285, dal Biamonh e Ca
sati in Riv. dir. civ., 1909, 195 ; 1914, 689 e dal G-. Rocco, Della
espropriazione forzata, n. 310,
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