Udienza 24 gennaio 1883; Pres. Ratti P. P., Est. Interlandi —Abate c. MessinaSource: Il Foro Italiano, Vol. 8, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1883), pp. 637/638-641/642Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23090328 .
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637 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 638
flciens, et nota testimonia, et verissima possunt
documenta praestari » Ma appunto perché trattasi
di eccezione al principio generale che regola la
competenza in fatto di azione personale, qual'è quella
di rendimento dei conti, essa non ammette inter
pretazione estensiva, e deve essere rigorosamente
applicata nei limiti in cui la lettera e lo spirito della legge la contengono.
Ora sarebbe errore il ritenere che solo perché il
legislatore adoperò la parola amministrazione si do
vesse comprendere nella speciale competenza, di che
si tratta, ogni e qualsiasi gestipne anche di singoli minuti affari. — Ciò che il legislatore ha inteso di
indicare con detta parola é chiaramente dimostrato
dal vocabolo tutela, in contrapposto del quale per
l'appunto egli l'ha usata. Le gestioni quindi, alle quali
può essere applicata la disposizione dell'art. 97, sono
quelle, le quali hanno affinità o somiglanzacon la tutela,
0 che per la loro importanza e generalità meritano un
trattamento eguale, come sarebbe l'amministrazione
di un patrimonio comune o soggetto a curatore e si
mili. Per queste amministrazioni non solo la lettera
ma lo spirito e la ragione della legge si uniscono
per tenerle comprese nella eccezione, poiché il giu
dice locale può essere meglio informato, e con maggior
facilità e comodo si possono raccogliere le prove e
gli altri mezzi di giustificazione del resoconto.
E che in tal senso debba intendersi l'articolo in
esame, se ne trae un argomento validissimo dall'o
rigine storica del medesimo.
Imperocché è manifesto che il nostro codice, come
gli altri che addottavano una simile disposizione, la
tolsero dal diritto romano, e segnatamente dalla legge 1 Cod. ubi de ratiociniis sopracitata. Ora da questa
legge, come dalla sua .concordante 19 § 1 fi". de
judiciis, si raccoglie, che il romano legislatore assog
gettava al giudice del luogo gestae adminislralionis
non solo le cause di rendimento di conti ex tutela
vel cura, ma quelle ancora dipendenti da gestione
di negozi ex quocumque alio titulo unde oritur obli
1 gatio. — Non avendo il legislatore italiano adope rato un tale o consimile effrenato linguaggio, è lo
gico e giusto il ritenere che non abbia voluto dare
eguale latitudine alla sua disposizione, e che quindi l'abbia circoscritta entro i più stretti confini della
tutela e di altre somiglianti amministrazioni.
Considerando che seguendo questa intelligenza della
legge in armonia coi principii di una sana ermeneu
tica, e senza fermarsi ad indagare se l'allegata
incompetenza nelle speciali circostanze della causa
potesse proporsi anche in appello, non si può disco
noscere che detta eccezione non ha nel caso attuale
alcuna legittima consistenza, perocché il resoconto, di che si tratta, non è che una conseguenza giuri dica diretta del contratto di mandato o di locazione
d'opera, quale risulta dal rogito Manduchi, la cui
esecuzione sfugge alla speciale competenza dell'art.
97, sebbene abbia di mira una particolare gestione
qual' è quella di una collettoria per esazione d'imposte. « Sarebbe in vero esorbitante, irrazionale ed assurdo, disse la Corte d'appello di Torino in un caso analogo, che qualunque mandatario dovesse essere chiamato
a render conto del negozio da lui gerito, in esecu
zione del suo mandato, davanti al magistrato del
luogo dove il mandato venne eseguito » Sentenza
21 giugno 1880.
Per questi motivi, conferma, ecc.
diverso da quello che egli aveva al tempo in cui amministrò i beni del figlio, e risolve la questione nel senso che in tale ipotesi egli non possa essere convenuto altrove, pel conto dell'amministrazione, che davanti al giudice del suo domicilio . Adduce a dimostrazione che secondo il cod. sardo il padre non amministra i beni del figlio come tutore, ma in forza della patria potestà (e pel cod. attuale ciò può dirsi anche della madre); che egli non presta giuramento e che mentre egli tiene la patria potestà non ci è consiglio di famiglia. Ora, dice questo autore, la vera ragione che anima siffatta compe tenza è appunto che la tutela sia resa innanzi al tribunale del luogo in cui il minore ha i suoi consiglieri, i suoi parenti, i suoi amici Della stessa opinion© è pure il Ricci {Com. al cod. di proc. civ., I, n. 176) pel motivo che la legge parla di luogo in cui l'amministra zione sia conferita, mentre il padre la tiene direttamente dalla legge. L'opinione contraria ò invece professata dal Borsari (Cod. proc. civ., all'art. 97) e dal Cuzzeri (l. c.), osservandosi che il padre è vera mente un amministratore dei beni del figlio, come ne ammonisce anche l'art. 224 del cod. civ., e che la mancanza del consiglio di fa miglia ò anzi un argomento in appoggio della competenza speciale, « essendo tanto più utile, in difetto di ogni contratto, di non lasciare in balla al padre amministratore di evitare il sindacato di quei tali magistrati che la legge ha stimati più acconci a siffatti giudizi (Borsari) ».
CORTE D'APPELLO DI CATANIA. Udienza 24 gennaio 1883; Pres. Ratti P. P., Est. In
terlandi — Abate c. Messina.
Servitù — Luce e prospetto — Caratteristiche —
Domanda di comunione del muro (Cod. CÌV. art.
584, 590).
Le finestre, ancorché non munite di invetriate fisse e di grate di ferro, secondo le prescrizioni del
codice civile, ma che non offrono possibilità con
tinua e -permanente di vedere nel fondo altrui e
godere liberamente la vista dei luoghi circostanti, costituiscono semplice luce, non servitù di pro
spetto. (1)
Quindi il diritto di chiedere la comunione del
muro, di cui al terzo alinea dell'art. 584 del cod.
'civ., non viene meno solo perchè le finestre per un
tempo atto a prescrivere furono tenute senza le ve
trate e le grate di ferro. (2)
Ma fino a che non sia chiesta la comunione del muro
non può essere costretto il proprietario a ridurre
le finestre alle prescrizioni di legge. (3)
La CoHe, ecc. — Ha osservato che bene il tribu
nale giudicava le due finestre esistenti a pian ter
(1-3J Consulta: Cass. Torino, 12 marzo 1879, Noli c. De Barbieri; App. Firenze, 21 gennaio 1879, Micheletti c. Bozzi; Cass. Palermo, 12 marzo 1878, Guastalla c. Sudano (Foro it., Rep. 1879, voce Ser
vitù, n. 109-116); Cass. Napoli, 25 aprile 1878, Avitabile c. Scuotto, Cass. Palermo 10 novembre 1877, Gelardi c. Provenzales (Foro it.
Rep. 187§, detta voce, n. 63-71); Cass. Napoli, 22 maggio 1878, (Foro it., 1878, I, 707); App. Catania, 17 febbraio 1877, Domenico c. Ni_ cotra; e 18 marzo 1877, Demanio c. Finocchiaro (Foro it., Rep. 1877, voce Servitù, n. 39, 40, 45, 46).
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PARTE PRIMA
reno e primo piano superiore dello Abate non offrire
altro carattere, che quello di finestre di luce, comun
que esse non si presentino munite d'invetriata fissa.
La prima di quelle finestre in fatti, come la de
scrìve il perito, serve ad illuminare la cucina an
nessa alla contigua bottega, còstituita dal sottoscala,
ha la larghezza di centimetri 82 e l'altezza di cen
timetri 50, e la sua soglia è alta sul pavimento della
cucina, che illumina, metri 2, 60, è munita di grata
di ferro costituita da 5 spranche, due orizzontali e
tre verticali, e la lunghezza delle maglie misura cen
timetri 17. La seconda nel piano superiore ha la lar
ghezza di centimetri 76 e l'altezza di centimetri 50,
ed è alta sul pavimento del pianerottolo della scala,
metri 2, 29, è anch'essa munita di grata di ferro in
semplice forma di croce, l'una orizzontale e l'altra ver
ticale, nei quali si osservano varii fori circolari del
diametro di un centimetro circa, e la larghezza delle'
maglie misura centimetri diciassette.
Entrambe non presentano alcun?» sporto dalla
parte esterna e le soglie sono di semplice muratura, col loro architrave costituito da semplice supposto in legno. Ciò basta per indurre come esse non ad al
tro oggetto sono destinate, nè possono servire che a
dare luce l'una alla cucina e l'altra alla scala, ed
a causa della loro altezza dal pavimento non si può dalle medesime esercitare alcuna veduta sul fondo
del vicino, onde qualunque sia il tempo, al quale la
loro costruzione rimonta, non può giuridicamente da
esse derivare all'Abate alcun dritto di servitù di ve
duta sul fondo del vicino.
E di vero, il carattere essenziale, che distingue le
semplici luci dalle servitù di prospetto, consiste in
ciò che il prospetto è essenzialmente costituito dalla
possibilità continua e permanente, che il vicino ha
di vedere entro il fondo altrui e liberamente godere della vista dei luoghi circostanti oculos in alie
num inferre; e, mancando questa condizione es
senziale, manca la servitù di prospetto, perchè manca
la veduta, e la finestra non può avere altra desti
nazione che quella di illuminare, lumen idestutcoe
lum videretur et interest inter lumen et prospectum; nam prospectus etiam ex inferioribus locisest: lumen
ex inferiore esse non potest, e perciò le due finestre
del signor Abate, stante l'altezza in cui si trovavano
dal pavimento, cioè l'una di metri 2, 60 e l'altra di
metri 2, 29 munite come esse sono l'una e l'altra di
grata di ferro fissa, e senza sporto alcuno, non pos sono altrimenti caratterizzarsi, che come'finestre di
luce, perchè esclusivamente destinate ad illuminare
la cucina e la scala, e per se stesse escludono ogni
sospetto che potessero servire a vedere nel fondo del
vicino.
Osserva che, non derivando dalle finestre di luce
alcun detrimento o pregiudizio di sorta al vicino, nò
limitazione alcuna al pieno esercizio dei ( suoi dritti, non ha il vicino alcuno interesse o ragione per im
pedirle. Il proprietario del muro contiguo, facendo
quelle opere, non fa che esercitare il suo dritto di
godere della cosa sua, senza che tale esercizio venga
in un modo qualunque in collisione con il pieno ed
assoluto godimento della proprietà del vicino. Ond'è
che la legge, mentre vieta di aprirsi vedute dirette
o finestre a prospetto, balconi ed altri simili sporti verso il fondo o sopra il tetto del vicino, se tra il
fondo di questo e il muro in cui si fanno le dette o'
pere non vi è la distanza di un metro e mezzo (art. 587)
riconosce invece nel proprietario di un muro non co
mune contiguo al fondo altrui il diritto di aprire in
questo muro luci e finestre, quando, per la loro for
ma non possono servire che esclusivamente all'uso
cui sono destinate, e perciò da un canto prescrive che le finestre di luce debbano essere munite da in
ferriate ed invetriate fisse, e vieta che siano aperte ad una altezza minore di due metri e mezzo dal suolo;
e dall'altro dichiara che tali finestre non saranno
mai d'impedimento al vicino di acquistare la comu
nione del muro e di chiuderle appoggiandovi il suo
edilizio (art. 584 codice civile).
Segue da ciò, che l'apertura delle finestre di luce
sul proprio muro costituendo l'esercizio di un dritto
del proprietario sulla cosa sua e non sulla proprietà
altrui, non possono generare una servitù a danno
della proprietà vicina che possa acquistarsi per pre scrizione. Qualunque sia il tempo a cui possono ri
montare, il proprietario del fondo verso cui sono a
perte dette luci, può in ogni tempo edificare sino al
confine del suolo del proprio fondo, senza rispettare alcuna distanza dal muro nel quale quelle luci' si
trovano aperte. Cum eo, qui tollendo obscural vicini
aedes, quibus non serviat, nulla competit actio., Ul
piano leg. 9 Dig. De servit. urb. prcedi., e può pur vo
lendo acquistare la comunione del muro ed, appog
giandovi il suo edilizio, costringere il vicino a chiudere
le luci giusta il disposto dell'art. 584 anzidetto.
Il proprietario del muro, che le ha posseduto ha pos
sedutojwre dominii\ il possesso nullaha aggiuntoal suo
dritto e perciò nulla ha perduto il vicino, cui resta illeso
il suo dritto di acquistare la comunione del muro e
di chiuderle: dritto facoltativo, che non si prescrive
col tempo. Nè dalla contigenza che le finestre di luce
sono state praticate e mantenute da oltre trent'anni
senza osservarsi taluna delle condizioni prescritte
dagli articoli 584 e 585, può arguirsi che il dritto a
tenere aperte le luci jure dominii possa invertirsi
nel dritto di tenere aperte vedute dirette o finestre
a prospetto jure servilutis, quando la inosservanza
non sia tale, come nella specie, da potersi mercè le
luci esercitare la libera veduta. Le vedute dirette o
vedute a prospetto, come si desume dagli articoli
587 e 589 del codice civile, sono quelle che, aperte in
un muro parallelo alla linea separativa dei due fondi,
servono essenzialmente a guardare liberamente nel
fondo contiguo, e sono costruite con parapetto, rin
ghiera, o simili sporti, che accompagnano sempre la
finestra o il balcone, e costituiscono il prospetto, po
tendosi mercè gli sporti soltanto esercitare la ve
duta per qualunque verso sul fondo del vicino.
Nessuna legge dice che quando le luci dirette sono
state praticate senza osservare le condizioni stabilite
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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 642
dai testé citati articoli, cessino di essere tali, e sia
adesse applicabile il divieto sancito dall'art. 590, che
contempla soltanto il caso che altri avesse acquistato il dritto di avere vedute dirette e finestre a pro
spetto verso il fondo vicino, quando le luci, per la
loro altezza e per le grate delle quali sono munite,
escludono che da esse possa esercitarsi veduta o pro
spetto. Le condizioni che la legge impone al proprie tario di un muro contiguo, che vuole aprire semplici finestre di luci, sono delle modalità, che limitano l'e
sercizio del suo dritto nello scopo di garentire ed
assicurare al vicino il libero godimento della sua
proprietà; e perciò la inosservanza di tali condizioni
senza reclamo del vicino per un periodo maggiore di trent'anr.i può fare acquistare al primo con la
prescrizione il diritto di mantenere le sue finestre
nello stato come le ha possedute, restando con la
prescrizione estinto il dritto del vicino, di esigere che siano ridotte nella forma legale alle condizioni
indicate dall'articolo 587, perchè dal fatto del pos sesso trentannale dell'uno e dal silenzio dell'altro
protratto oltre il trentennio, può presumersi per ta
cito accordo una rinunzia di quest' ultimo al dritto
di domandare che le condizioni prescritte dalla legge siano rigorosamente osservate ; ma ciò non vuol
dire che col posesso trentennale le finestre, quando
per la loro forma si manifestano esclusivamente de
stinate a finestre di luce, solo perché non sono mu
nite d'invetriata o perchè le grate di ferro non cor
rispondono perfettamente alla dimensione voluta dalla
legge, possano cangiare di carattere giuridico, ed
assumere quello di vedute dirette e di prospetto, per le quali soltanto il possesso trentennario potrebbe fare acquistare al proprietario del muro un dritto di
servitù sul fondo del vicino, consistente nel divieto
sancito all'articolo 590, ma esse rimangono, a qua
lunque epoca rimonti la loro costruzione, qjiali si mo
strano nella loro forma apparente, semplici aperture di luce dalle quali, non ostante il difetto della inve
triata fissa, o delle maglie della grata non conformi
alla dimensione legale, riesce impossibile esercitare
veduta o prospetto; e se le finestre di luce non im
pediscono al vicino di poter liberamente innalzare
fabbriche nel auolo di sua proprietà sino al limite
della sua periferia, e secondo la testuale disposizione, dell'articolo 584 del codice civile non possono mai
formare ostacolo al dritto del vicino di acquistare la comunione del muro e di chiuderle appoggiandovi il suo edilìzio. Segue da ciò che il tribunale di pri ma istanza giudicò secondo legge, quando par con
servando al signor Abate il diritto di mantenere le
antiche due finestre esistenti nel piano terreno ed a
primo piano superiore della sua casa nello stato in
cui furono rinvenute dal perito, fece salvo al sacer
dote Messina il dritto di appoggiarvi il suo edificio
ai sensi dell'art. 584 codice civile; riguardo a questo
capo della sentenza appellata, devesi tanto lo ap
pello principale, quanto quello incidente, rigettare. Per questi motivi, rigetta, ecc.
Il Foro Italiano — Volume Vili. - Parte I.
CORTE D'APPELLO DI CATANZARO. Udienza 2 luglio 1883; Pres. Mikaglia P. P., Est.
Mosca — Comune di Girifalco c. Demanio (Avv.
Tommasi). Diritti promiscui — Scioglimento di comunione
fra Comune e demani» — azione di rivendica
zione Competenza del l'rcfett© (Legge 12 dicem
bre 1816, art. 176, 177, 186).
Sciolta la promiscuità di un fondo demaniale,
attribuita e distaccata a pro del Comune una
quota dichiarata non quotizzatile, perchè irreddi
tizia., la quota medesima diventa proprietà pa trimoniale del Comune; per modo che, ove questo abbia a lamentare la usurpazione della stessa, non può adire in reintegra il prefetto, ma rivol
gersi alla ordinaria autorità giudiziaria con l'a
zione di rivendica. (1)
La Corte, ecc. — Considera in diritto — Che l'ec
cepita incompetenza del prefetto porge opportunità a disaminare la questione, se sciolta la promiscuità
di un fondo demaniale, ed attribuita a pro del Co
mune una parte di esso dichiarata inquotizzabile,
diventi questa di proprietà patrimoniale dell'ente,
per modo che ove abbia a lamentare usurpazione del •
la quota assegnata, non possa adire in reintegra il pre
fetto, ma invece sia competente il potere giudiziario,
Che sarà facile risolvere la quistione proposta ove
si ponga mente, che scopo supremo delle leggi ever
sive della feudalità, fu quello di prosciogliere la pro
prietà dalle pastoie della promiscuità, redimerla al
libero commercio, sottoporla alla sanzione del di
ritto comune.
Che 1' articolo 186 della legge 12 dicembre 1816,
in concerto dei precedenti 176 e 177, in omaggio allo
scopo anzidetto, al divieto d'ogni comunione di pro
prietà tra lo Stato, i Comuni ed i particolari, ed in
conferma delle regole del diritto comune, che niuno
possa essere astretto a rimanere in comunione, inte
sero a prosciogliere le promiscuità esistenti, asse
gnandosi a ciascuno degl' interessati la parte cor
rispondente ai suoi diritti. Ed a raggiungere più sol
lecitamente codesto scopo, le controversie relative
furono deferite al giudizio dell'intendente, ora pre
fetto, perchè fossero assolte con procedimenti spi
gliati e celeri.
Che postulato indifettibile di cotesta eccezional com
petenza del prefetto, qual regio commissario, si è la
esistenza certa ed inlubitata del demanio, perlochè
ove questa manchi, o quando, che vale lo stesso, per
effetto di giudicato sia stata prosciolta la promiscuità,
e pur fatta la ripartizione ed assegno delle quote, non
ha più ragion d' essere la competenza eccezionale,
(1) V. C.;ss. Roma, 11 giugno 1881 (Foro il., Rep., 1881, v. Diritti
'promiscui n. 13). È ormai pacifico, come accenna la presente sen
tenza che, mossa disputa sulla demanialità, si ha una vera questione di proprietà, per la quale vien meno la eccezionale giurisdizione del
prefetto. V. Cass. Napoli, 20 giugno 1879, {Foro il., Rep., 1879, voce
sudd., n. 17); Cass. Roma, 1 aprile 1879 (ivi, n, 22), e la nota alla
Corte di Cass. di Napoli, inserita pure nel Foro it., 1879, I, 581.
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