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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 25 ottobre 1888; Pres. Ciampa P. P.,...

Date post: 12-Jan-2017
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Udienza 25 ottobre 1888; Pres. Ciampa P. P., Est. La Mantia, P. M. Muratori; Albergo c. Licciardello Source: Il Foro Italiano, Vol. 14, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE (1889), pp. 457/458-459/460 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23094582 . Accessed: 17/06/2014 00:36 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.158 on Tue, 17 Jun 2014 00:36:43 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Udienza 25 ottobre 1888; Pres. Ciampa P. P., Est. La Mantia, P. M. Muratori; Albergo c.LicciardelloSource: Il Foro Italiano, Vol. 14, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1889), pp. 457/458-459/460Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23094582 .

Accessed: 17/06/2014 00:36

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457 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 458

sta declaratoria d'incompetenza commerciale, ed al

trettanto deve fare questa Corte suprema del primo ■mezzo del ricorso che la propugna.

Anche il secondo mezzo è pure infondato. Com

merciale, per quanto si disse, la società contratta

dall'appaltatore Chiambretto con Pollone per l'eser

cizio di questo appalto, essa andava naturalmente

regolata e protetta da tutte le disposizioni che nel

codice di commercio le sono relative, e fra esse dal

l'art. 186, il quale dichiara che dalle società in nome

collettivo può essere escluso quel socio che si vale in

uso proprio dei capitali sociali.

I vari casi che detto articolo enumera perchè pos

sa farsi luogo a tale esclusione dinotano a chiara

luce che il legislatore mirò a dar modo al socio di

liberarsi dalla società di chi contropera al fine socia

le, lo delude, non eseguisce le obbligazioni incomben

tigli, demerita la sua fiducia.

Ond'è che, questo motivo reggendo, sia che la so

cietà consti di due o di più persone, sarebbe incivile

introdurre, come il ricorrente vorrebbe, una distin

zione desunta dalla qualità dell'impresa sociale, per

accogliere il di lui assunto che, essendo egli l'appal

tatore, la sua esclusione dalla società porti necessa

riamente la cessazione dell'appalto, perchè senza la

sua persona è impossibile che l'oggetto sociale sussi

sta. Sarebbe singolare che la detta specialità potes

se creare un privilegio al Chiambretto per sottrarsi

alle esclusioni comminate dall'articolo succitato, e

bastasse a privare il socio Pollone del diritto di sba

razzarsene, quantunque si rendesse indegno di conti

nuare a far parte della società. Il fatto pel quale un

socio può escludere l'altro dalla società, nei casi dalla

legge riconosciuti, dev'essere considerato indipen

dentemente dalle conseguenze della esclusione, altri

menti si creerebbe una eccezione alla garanzia che

si volle dare pel funzionamento dello società nell' in

teresse d'ogni suo membro. (Omissis)

Col terzo mezzo sosterrebbesi avere l'art. 186 inte

so di attribuire al magistrato un potere discrezionale

nella declaratoria sull'essersi verificato taluno dei

casi che annovera per la esclusione, e non avere la

Corte dimostrato di usarne.

Ma non sussiste la censura in fatto (Omissis).

D'altronde credesi che, se il magistrato ha l'obbli

go di esaminare se i fatti invocati per escludere un

socio dalla società rispondano ai casi previsti dallo

art. 186, non gli spetti altrimenti il diritto, ove vi

siano compresi, di rifiutare la esclusione a titolo di

scretivo; convenendosi colla Corte che quell'articolo

sia ispirato al principio di dar modo al socio di esclu

dere dalla società nei casi designati ivi chi demeritava

della fiducia alla quale questo contratto essenzial

mente s'informa. Tanto più che, ove il legislatore

volle demandare all'autorità giudiziaria un arbitrio

discrezionale, lo espresse (Omissis). Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE DI PALERMO. Udienza 25 ottobre 1888; Pres. Ciampa P. P., Est. La

Mantia, P. M. Muratori; Albergo c. Licciardello.

Servitù — Finestre laterali od oblique — Distali'

za (Cod. eiv., art. 590).

La distanza di tre metri dal fondo vicino è pre scritta dall'art. 590 cod. civ. tanto per le finestre a prospetto o vedute dirette, quanto per le vedute

laterali od oblique. (1)

La Corte, ecc. — Considerando che il ricorrente

chiede lo annullamento della impugnata sentenza che

ritenne necessaria la distanza di tre metri, non solo

di fronte, ma eziandio dai lati ; ed assume permesso lo acquisto della comunione del muro del vicino, con

obbligo però di tenersi lontano tre metri dalla fine

stra a prospetto, ed aggiugne che l'art. 590 non pre vede nè regola la distanza pei lati, e perciò deve ri

cavarsi la norma dall'art. 588 che prescrive la di

stanza di mezzo metro; e invoca gli esempi di giudi cati che hanno ritenuto estraneo l'art. 590 alle fine

stre o vedute laterali ed oblique. Considerando che le regole per le distanze nelle co

struzioni furono introdotte negli art. 571 e seg. e nel

l'art. 590 cod. civ., con la distanza prescritta di tre

metri dalle finestre a prospetto, seguendo le norme

contenute negli art. 592 e seg. e 614 cod. albert., ma

per le finestre la regola generale dell'art. 590 del

nuovo codice non è limitata come nell'art. 614 dello «

(1) Nella dottrina e nella giurisprudenza si sono in propo sito manifestate diverse opinioni:

La prima è quella espressa dalla Cassazione di Palermo nella soprariferita sentenza. Essa [è. stata accolta anche dalla Cassazione di Napoli con le decisioni 13 ottobre 1875 (Gazz. trìb., 1875,610); 8 febbraio 1876 (Foro it., 1876, I, 372); 19 aprile 1880 (id., 1880, I, 995, con nota di richiami); e dal Tribunale di Lucerà 4 maggio 1877 (id., Rep. 1877, voce Ser vitù, n. 31-33). Di tale opinione è altresì il Lozzi in un suo articolo nel Giornale delle leggi, 1891, 192.

Una seconda opinione è che dai lati della finestra o ve duta a prospetto debba lasciarsi la distanza di mezzo me tro, sul riflesso che il diritto di prospetto comprende anche la veduta obliqua, per la quale non potrebbesi osservare altra distanza che quella dell'art. 588. Cass. Napoli 8 lu glio 1882 (Foro it., Rep. 1882, voce predetta, n. 141).

Dal citato Giornale delle leggi (1881, 572) si rileva esservi pure chi propugna 1' idea che dai lati della finestra la di stanza debba essere di un metro.

Secondo una quarta opinione si può fabbricare fino al fianco o sporto laterale della finestra, perchè l'art. 590, parlando di vedute dirette, si riferisce all'art. 589 in quanto riguarda la misura della distanza, e quindi, non dando alcuna norma per le vedute oblique, esclude l'idea che dai lati non sia lecito fabbricare o che vi si debba lasciare una determinata distan za. Finalmente sostengono alcuni non potersi mai fabbricare ex tran8versi8 locis. Tal'è l'opinione del Cavalieri nell'^lr chivio giuridico, 1883, 16, n. 18, accolta dalla Corte d'appello di

Napoli lè aprile 1877 (Foro it., Rep. 1877, voce Servitù, n.23); e dalla Cassazione di Torino 17 ottobre 1881 (id., Rep. 1881, stessa voce, n. 89-92) citata dal Cavalieri.

Per 1' inapplicabilità dell' art. 590 si è pronunziata anche la Cassazione di Napoli 4nella sentenza 22 maggio 1878 (Foro it. 1878, 1,707); senza peraltro determinare qual sia la di stanza da osservarsi nella costruzione relativamente allo vedute oblique.

Ricordiamo da ultimo che la stessa quistione si fa in rap porto agli art. 570 e 571 cod. civ. — Vedi in proposito App. Bo

logna 11 luglio 1888, nel volume precedente (I, 1055), ,con nota

dell'egregio avv. A. Manaresi.

Ih Foro Italiano — Volume XIV — Parte I - 30.

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459 PARTE PRIMA 4 60

albertino, e provvede ad ogni caso di diritto fondato

sulle convenzioni e sulla prescrizione. Che tali regole e quelle degli art. 58-7 e 588 ritrag

gono in parte gli antichi principi ammessi dalle leggi

romane (L. 3 e 15, Dig., de serv. praed urban., e 12 e

13 Cod., de aedif. privatis), ed eziandio in parte dalla

Consuetudine napolitana, tit. 20, la quale prescrive che il vicino, se vuole aedificare ex opposito ad aper

turas, quae sunt in pariete, debet per palmos canne

duodecim elongare se, et si ex latere, due palmi e

mezzo.

Che per la distanza del muro di fronte o parallelo

alle finestre non havvi disputa alcuna, essendo chia

ramente designate per tre metri nell'art. 590; ma la

quistione si fa pei lati o per le vedute oblique, non

trovandosi menzione esplicita di tale distanza nella

costruzione; e indicandosi solamente vedute dirette o

finestre a prospetto verso il fondo vicino; talché si

pretende che nel silenzio della legge sia mestieri ap

plicare le distanze e regole sancite dallo art. 588, e

perfino si è preteso e talvolta giudicato che rimanga

rimesso alla prudenza del magistrato provvedere

secondo il diritto comune in difetto di legge espressa.

Attesoché cotali interpretazioni si dilungano egual

mente dallo spirito e dalla lettera della legge vigente,

che è chiara e precisa, e regola nell'art. 590 un caso

ben distinto da quelli preveduti negli art. 587 e 588,

che, permettendo di aprire finestre a prospetto o ve

dute laterali ed oblique sul fondo vicino, designa per

condizione una breve distanza dal fondo chiuso o non

chiuso.

Che se ciò permise la legge imponendo una servitù

che non esisteva, e conciliando il diritto ed il comodo

dei fondi vicini, dovette una maggiore distanza ri

chiedere nel caso opposto della esistenza di una fi

nestra a prospetto per convenzione o altrimenti, tal

ché non potesse il vicino con nuove costruzioni, né

chiudere, né nuocere a quel diritto preesistente. Che con equo temperamento volle perciò permet

tere la costruzione del muro, non già alla distanza

di un metro e mezzo, come si era prescritto per l'a

pertura di nuove finestre, ma bensì a tre metri, poi

ché, evitando il divieto di nuocere al diritto quesito

impedendo la costruzione, si volle una distanza mag

giore che rendesse meno incomoda la perdita della

maggiore e illimitata veduta diretta, che a tre metri

si restrinse.

Che pertanto la diversità dei due casi produsse dif

ferenza di distanze, e se nel primo caso si previdero

le vedute oblique e si designò la distanza di mezzo me

tro, non parve conveniente fare tale distinzione pel

caso di nuova costruzione che voglia farsi in pregiu dizio di esistenti finestre a prospetto.

Che il silenzio della legge non può interpretarsi come mancanza di sanzione, ma si deve invece rite

nere come una esclusione di ogni distinzione e per sanzione di una regola generale che ad ogni caso si

applica per costruzioni di fronte o dai lati.

Che l'art. 590 indicò le finestre a prospetto o ve

dute dirette, e non escluse le laterali ed oblique, e

non fece distinzione veruna, ed impedì le costruzioni

a distanza minora di tre metri, ed aggiunse che la di

stanza fosse misurata secondo l'art. 589 che indica la

misura dalla faccia esteriore del muro o dalla linea

degli sporti per vedute dirette o dal più vicino fianco

o sporto per le oblique. Che rinviando a tale articolo per le misure non

si è affatto riferito alle distanze in modo diverso

regolate dagli art. 587 e 588 o per casi differenti dal

l'art. 590.

Che perciò a torto, con una mera confusione di casi

diversi e di regole disparate, da una mancanza di di

stinzione, che la legge non fa perchè non volle fare, si

vuole trarre argomento per applicare una misura pre scritta per altro caso differente, o si vuole lasciare

nella incertezza ed esporre le parti allo arbitrio ed

alle controverse teoriche e interpretazioni che durano

in Francia perchè manca nel codice Napoleone la re

gola sancita nell'art. 590, che in Italia deve servire

per dirimere ogni controversia e limitare senza di

stinzione fra dirette ed oblique vedute, la distanza

a tre metri in ogni caso per le costruzioni, che si fac

ciano in pregiudizio della libertà di veduta, che il vi

cino per le sue finestre godeva, e che ora viene pea

legge ristretta.

Per questi ruotivi, rigetta, ecc.

CORTE D'APPELLO DI BRESCIA. Udienza 12 marzo 1889; Pres. Barbieri P. P., Est.

Madella, Bonazzi (Avv. Frugoni) c. P. M. e Pe

losi (Avv. Franchetti e Peroni).

Interdizione — Creditori -— Intervento in causa

(Cod. civ., art. 326; cod proc. ci v., art. 201).

Nel giudizio d' interdizione è inammissìbile l'inter

vento dei creditori dell' interdicendo. (1)

(1) In senso conforme alla riferita sentenza, consulta, tra gli scrittori, Galdi, Com. del cod. civ., IV, p. 385, all'art. 826, n. 29; Paoli, La tutela ecc., n. 806; Pacifici-Mazzoni, Istitu zioni, I, p. 532, n. 402 in fine; Mattei, Il cod. civ. ann., I. p. 576, all'art. 326, n. 4; Laurent, Principe», V, p. 339, n. 278; Proudhon, Traité sur Vétat despersonnes, II, p. 538: e nella giu risprudenza 1' Appello di Torino 6 dicembre 1873 (Giurispr. it., 1873, II, 801).

In senso contrario si pronunzia il Tasso, in un suo articolo nella Gazzetta del proc. 1879-80, 181, 193; ed è dello stesso av viso il Sabbatini nella sua monografia sullo Intervento in causa, p. 50, n. 23, osservando tuttavia che: « Anche più che nei giudizi ordinari dovrà il giudice mostrarsi rigoroso nel l'ammettere l'intervento volontario nel giudizio d'interdi zione e tener presente il principio intorno al quale ci siamo già ampiamente intrattenuti, vogliam dire, che soltanto un interesse diretto nella controversia che si agita fra altri, un interesse cioè fondato sopra un diritto che s' intenda tutelare, può essere motivo legittimo d'intervento». Approva per tanto la decisione della Corte d' appello di Genova 31 otto bre 1879 (Foro it., Rep. 1880, voce Inabilitazione, n. 5, 6), la quale decise che chi ha diritto a promuovere l'interdizione non ha per ciò solo diritto di intervenire nel giudizio di in terdizione, considerando che:

«Il chiedere d'intervenire in un giudizio d'interdizione, solo perchè si potrebbe avere anche il diritto di promuovere quell'azione già da altri promossa, per la qualità di parente cui la legge accorda la facoltà di promuovere l'interdizione, giusta il disposto dell'art. 323 cod. civ., non è ancora dimo strare di avere quell'interesse che può legittimare 1'inter vento; perchè, se con la disposizione dell'articolo su citato volle il legislatore per motivi d'ordine pubblico provvedere

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