Udienza 26 febbraio 1887; Pres. Savelli P. P., Est. Nardi-Dei; Guastalla e Rangoni (Avv.Trivellate e Franceschini) c. Silvestrelli, Bonfili, Centurini (Avv. Ciavela) e Camera dicommercio di Roma (Avv. Minù)Source: Il Foro Italiano, Vol. 12, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1887), pp. 369/370-373/374Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23093032 .
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369 GIURISPRUDENZA. CIVILE E COMMERCIALE 370
nità, essendo estranee le possibili eventualità del ri
cupero della cosa assicurata. La perdita in seguito a
naufragio, qual' è il caso prescritto, reputasi già consumata appena verificato tale sinistro; conse
guentemente l'assicuratore è tenuto al pagamento
del pattuito premio di assicurazione, senza tener
conto delle probabili opere di salvataggio delle cose
delle quali si è fatto abbandono, che potrà in
teressare l'assicuratore non già l'assicurato. Se ciò
non fosse, si renderebbero inutili o frustranei i bene
fici effetti di un atto di somma previdenza, qual'è
l'istituto d'assicurazione marittima. Su tale verità è concorde la scuola ed è essa conforme alla legge,
dappoiché è detto nell'art. 629 detto codice che nel
caso di sinistro il capitano e l'assicurato devono
procurare con opere di salvataggio il ricupero della
cosa senza pregiudizio dei loro diritti contro l'assi
curatore. È detto pure nell'art. 640 che, notificato ed
accettato l'abbandono, le cose appartengono all'assi
curatore, il quale non può sottrarsi dall'obbligo del
pagamento della somma assicurata sotto il pretesto
del ritorno della nave.
Con tali disposizioni chiaramente la legge ha vo
luto significare, che le eventualità successive al nau
fragio ed abbandono non alterano il diritto alla in dennità già acquisito, dall'assicurato. Nella specie
il naufragio è provato, come è indubitato che tanto
il barco, quanto il carico andarono sommersi, re
stando sott'acqua; e dal processo risulta ancora, che
il barco assicurato fu abbandonato e fu pagata la
relativa indennità, quindi è insostenibile l'assunto della Società. È vero che nella polizza è detto che
l'assicuratore assumeva la sua responsabilità nel
solo caso di perdita totale, ma ciò non fa mutare
la condizione giuridica della quistione suddetta, poi
ché l'indicato patto importa che l'assicuratore non
sarebbe stato responsabile delle avarie, ma soltanto
dei sinistri indicati nell'art. 632, de' quali è primo il
naufragio. La Società ha assunto aver ricuperato in
gran parte il carico, ma il salvataggio non esclude
l'abbandono, il quale, accettato, assicura il diritto
dell'assicurato a pretendere la pattuita indennità.
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI ROMA. Udienza 26 febbraio 1887; Pres. Sa velli P. P., Est.
Nardi-Dei; Guastalla e Rangoni (Avv. Trivel
late e Franceschini) c. Silvestrelli, Bonfili, Cen
turini (Avv. Ciavela) e Camera di commercio di
Roma (Avv. Minù).
Camera di commercio — Operazioni elettorali —
Competenza della Corte d' appello (L. 6 luglio
1862, art. 13, 18; L. com. prov., art. 39, 75).
Camera di commercio — Amministratori di nna
società anonima per azioni ( L. 6 luglio 1862,
art. 10).
La Corte d' appello non è competente a giudicare
sulla regolarità o meno delle operazioni eletto
rali per le Camere di commercio, ma è compe
tente a pronunziarsi sulla capacità elettorale di
un cittadino, tanto se si tratti del suo diritto di
elettore, quanto di quello di essere eletto. (1) Gli amministratori di una società anonima per
azioni non possono contemporaneamente fare
parte di una Camera di commercio.
La Corte ecc. — Atteso, quanto alla competenza di questa Corte a conoscere del reclamo Rangoni del
23 dicembre 1886, che ella è manifestamente incom
petente: imperocché, richiamando la legge sulle Ca
mere di commercio del 6 luglio 1862 la legge comu
nale e provinciale, a cui essa si ispira per quello che concerne le elezioni dei membri di detta Camera»
occorre distinguere, secondo la legge richiamata, il
periodo che precede le elezioni, occupato tutto nella
formazione delle liste degli elettori, e il periodo che
sussegue, riflettente le operazioni elettorali eseguite •
Se nel primo periodo è competente la Corte d' ap
pello a pronunciare sui reclami proposti contro una
decisione della deputazione provinciale, e rispetti
vamente della Camera di commercio, la quale ri
fletta la capacità elettorale, non lo ó però rispetto ai reclami proposti contro le operazioni elettorali,
perchè questi sono riservati alla decisione della de
putazione provinciale, e rispettivamente del tribunale
di commercio
A questo regolamento di competenza, che risulta
evidente per la disposizione degli art. 13 e seguenti
della legge 6 luglio 1862, e 38-75 della legge comunale
e provinciale, non si ha che una sola eccezione, quan
do cioè contro le deliberazioni prese dall' ufficio
elettorale si porta in campo una questione, comun
que sorta, di capacità elettorale.
In questo caso è aperto 1* adito, senza far conto
dei gradi intermedi, a rivolgersi direttamente per
la decisione alla Corte d' appello (art. 18, legge 6
luglio 1862).
Attesoché nel caso concreto il reclamo del signor
Rangoni, concernente la nullità del processo verbale
di Genzano, non rientrando in questa ultima tassa
tiva eccezione, esce dalla competenza di questa Corte,
e deve rispetto al reclamo medesimo dichiararsi non
essere luogo a deliberare.
Attesoché, se tale sua incompetenza può e deve
pronunciare la Corte rispetto al reclamo Rangoni
del 23 dicembre 1886, non così può, nè deve fare, rispet
to all'altro reclamo Rangoni-Guastalla del 18-20 di»
cembre detto, riguardante la impugnata compatibi
lità in più amministratori di una medesima società
commerciale a fare parte contemporaneamente della
stessa Camera di commercio.
Attesoché, infatti, dai convenuti non si pone mini
mamente in questione la competenza della Corte di
appello in materia di capacità e Incapacità eletto
rale, e soltanto si impugna che nel caso in disputa
(1) Che la Corte d' appello non possa giudicare sulla regolarità, delle operazioni elettorali per le Camere di commercio fu pure giu
dicato concordemente dalla Corte d' appello di Napoli, 23 luglio 1886, e da quella di Catania, 16 maggio 1882 (Foro it.} 1886, I, 992).
Il Foro Italiano — Volume XII — Parte I -
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371 PARTE PRIMA 372
si tratti di incapacità elettorale, mentre si sostiene
trattarsi unicamente d'incompatibilità dell'esercizio
di un ufficio.
La prima, essi dicono, non può verificarsi che a
priori, mentre la seconda non risulta, nè può risul
tare che a posteriori; quella è un difetto intrinseco
della persona, questa è una circostanza estrinseca
ed accidentale, e dalla persona indipendente.
Atteso, quanto a siffatta controversia, che il vizio
di questo ragionamento sta nel confondere i motivi
della legge con la legge stessa, e nel fare dei mo
tivi diversi altrettante diverse disposizioni.
L'incapacità elettorale comprende in sé qualun
que motivo legittimo che renda taluno incapace ad
esercitare di fatto un ufficio, tanto nel senso attivo
di elettore, quanto nel senso passivo di eletto.
Tale incapacità non è limitata o circoscritta ad un
tempo; essa può verificarsi tanto a priori, quanto
a posteriori. Per esistere non ha alcuna necessità di dipen
dere da circostanze intrinseche e personali, piut
tostochè da estrinseche e accidentali; basta che si
verifichi il fatto previsto dalla legge come ostacolo
all'esercizio di un ufficio elettorale od elettivo per chè esista realmente e giuridicamente incapacità
elettorale, e quindi ogni controversia sulla esistenza
o meno di codesto fatto sia di competenza della
Corte d'appallo.
Quinci non e a meravigliarsi se la giurisprudenza ha ritenuto che la incompatibilità, le esclusioni, e le
decadenze degli eletti si traducono nella sostanza in
altrettante ragioni di incapacità elettorale.
Attesoché tutto ciò fermato, la eccezione d'incom
petenza elevata dai convenuti a riguardo della ci
tazione degli attori Rangoni e Guastalla, in data 18
20 dicembre 1886, deve essere senza più respinta. Sul merito del ricorso Rangoni-Guastalla — At
tesoché da atto autentico rilasciato dalla cancelleria
del tribunale di commercio Ji Roma, in data 7 gennaio
1887, risulta che fino dal giorno 8 aprile del prossi mo passato anno 1886 i signori cav. Pompeo Bonflli, comm. Alessandro Cinturini, cav. Bartolomeo Maz
zino, e comm. Augusto Silvestrelli accettarono con
pubblico istromento del suddetto giorno, ai rogiti
Venuti, la nomima di amministratori della Banca in
dustriale e commerciale, società anonima residente
in Roma, loro conferita dagli azionisti della società
medesima.
Attesoché i ricorrenti assumano che essendo ri
masto eletto a membro della Camera di commercio
di Roma il cav. Mazzino precedentemente agli altri
eletti, Botifili, Centurini e Silvestrelli, questi tre ul
timi sono incapaci, attesa la loro comune qualità di
amministratori della società anonima la Banca in
dustriale e commerciale di Roma, di far parte dalla
Camera di commercio locale, in base al disposte' del
l'art. 15 della legge 6 luglio 1862, così concepito: « Non potranno contemporaneamente far parte della
stessa Camera di commercio, i soci collettivi od am
ministratori di una stessa società ».
Attesoché contro siffatto assunto (lei signori Gua
stalla-Rangoni, virilmente resistono tanto la Camera
di commercio, quanto i signori Silvestrelli, Centurini
e Bontìli, i quali sostengono che, vuoi per la lettera,
vuoi per lo spirito dell'art. 10 succitato, la incom
patibilità di cui si tratta deve intendersi .limitata
ai soci delle società in nome collettivo, e a quelli
delle società in accomandita, e non estendersi anche
alle società anonime.
Lo sostengono per la parola, perchè essendosi e
spresso il legislatore con la frase « i soci collettivi
od amministratori di una stossa società », anziché
pronunciarsi coli' altra « i soci collettivi, e gli am
ministratori di una stessa società », ha voluto espri mere una idea sola, cioè indicare i soci di quelle
società, nelle quali i soci sono necessariamente an
che amministratori, e rispettivamente gli ammini
stratori sono necessariamente anche soci.
Ma poiché questo non può accadere che nelle
società in nome collettivo, e nelle società in acco
mandita, così deve escludersi dal divieto dell'art. 10
la società anonima, nella quale gli amministratori
possono essere anche non soci.
Lo sostengono per lo spirito, perchè lo scopo della
legge non poteva evidentemente essere altro, se non
quello di impedire che interessi particolari di alcu
ne più o meno potenti società, forti della pluralità dei voti, potessero sovrapporsi agli interessi gene rali del commercio.
E dopo ciò la distinzione sorgeva spontanea, im
perocché non tutti i membri di tutte le società, ma
coloro soltanto i cui interessi e la cui responsabilità si
identificano con quelli delle società stesse, possono ra
gionevolmente fare temere che venga compromesso l'interesse generale, e perciò coloro soltanto che
hanno la personale responsabilità illimitata e la per fetta identità d'interesse con le intere società.
In altri termini, la incompatibilità di cui parla 1' art. 10 è solamente nella collettività degli interessi.
D' onde deve escludersi dal concetto del legislatore
la società anonima, nella quale codesta collettività
non esiste, anzi in essa non vi sono neppure soci
veri e propri; le persone spariscono e non vi ha cbe
una società di capitali. Attesoché nonostante questa ingegnosa dimostra
zione delle dotte difese della Camera di commercio
e dei signori Bonfili, Silvestrelli e Centurini, la Corte
ritiene che né la lettera della legge, né il suo
spirito permettano la distinzione che esse fanno, e
la conseguente limitazione del disposto dell'art. 10
ai soli soci della società in nome collettivo e in ac
comandita escludendo le società anonime.
Attesoché infatti, incominciando dalla lettera del
citato articolo, la impressione naturale che essa
produce, indipendentemente dalle considerazioni a
stratte che possono farsi, e che si fanno dai conve
nuti, è che la particella o non implichi la necessità
della pretesa tacita ripetizione della parola soci,
né che essa sia esplicativa o modificativa della pre cedente dizione « i soci collettivi », ma che in quella
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373 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 374
vece esprima persone diverse, vale a dire anche gli ;
amministratori in genere di una medesima società
commerciale qualunque. La particella o, essendo disgiuntiva, non riferisce,
nè collega gli amministratori di una stessa società, ai soci collettivi, di cui la legge parla precedente
mente; sibbene riporta e contempla gli amministra
tori di una stessa società, indipendentemente dai
soci collettivi, nel divieti generale della disposizione. In altri termini, la voce amministratori è qui
adoperata come sostantivo, e non come qualificativo
della voce soci.
Quindi contempla nella sua materiale giacitura tanto gli amministratori soci, quanto gli ammini
stratori non soci.
Attesoché perfettamente conforme alla intelligenza del linguaggio del legislatore è lo spirito vero della
disposizione. Infatti, se è certo, come ammette la difesa dei
convenuti, che la legge colla istituzione delle Ca
mere di commercio intese dare una rappresentanza
al commercio e all'industria in generale, tutelando
tutti i rami dell'uno e dell'altra, in armonia ai prin
cipi della libertà economica, ispiratrice della nostra
moderna legislazione , ognuno vede che sarebbe
mancato quello scopo del legislatore, se la compo
sizione di una stessa Camera di commercio avesse
potuto farsi coi rappresentanti di una speciale in
dustria o di uno speciale commercio, e perciò la
legge, per raggiungere tale intento, doveva escludere
dal far parte contemporaneamente della stessa Ca
mera non solo i soci o non soci collettivi, ma anche
gli amministratori soci o non soci di una medesima
società, perchè ugualmente ne rappresentavano gli
interessi.
Nè si dica che il concorso degli amministratori di
una società anonima non può essere temibile,sia perchè
la società anonima è più una società di capitali che
di persone, sia perchè gli amministratori soci o non
soci non contraggono alcuna responsabilità
Imperocché, rispetto a tali obiezioni, non è arduo
il convincersi della loro assoluta insussistenza giu
ridica.
Infatti, che la società anonima sia un ente commer
ciale, e che spieghi i propri poteri per mezzo di una
assemblea generale, è dimostrato dalla semplice let
tura degli art. 124 e 125 del vigente codice di com
mercio; che la società anonima abbia veri e propri
soci, è accertato dall'art. 121 e seguenti dello stesso
codice.
È poi indubitato che la società anonima, considerata
come ente commerciale, ha interessi propri, e che que
sti possono trovarsi in conflitto cogli interessi generali
del commercio e dell'industria.
Ora, sia pure che gli amministratori di una società
anonima non contraggano, a causa dell'amministra
zione loro, responsabilità personale per gli affari so
ciali, è però vero che sono soggetti alla responsabi
lità della esecuzione del mandato, e a quella che
deriva dalle obbligazioni che la legge loro impone.
Quindi può egli mai supporsi che gli amministratori di una società anonima, i quali prestano cauzione ed
hanno per obbligo contrattuale di curare gli inte
ressi dell'ente che essi amministrano, vogliano rima
nere indifferenti e non esercitare nessuna influenza
neir interesse dell' ente medesimo nella Camera di
commercio ?
La sola possibilità che tale influenza potesse ve
rificarsi a danno degli altri rami d'industria e com
mercio, sarebbe stata sufficiente ragione pel legisla tore a dover estendere agli amministratori delle so
cietà anonime la disposizione dell'art. 10 della legge 6 luglio 1862. Tanto basta per concludere che anche
secondo il suo spirito l'art. 10 precitato contempla
anche gli amministratori delle società anonime.
Attesoché, ritenuto in fatto che i signori Silvestrelli, Bontìli e Centurini sono amministratori della so
cietà anonima la Banca industriale e commerciale di
Roma, non resta che accogliere il reclamo collettivo
proposto dai signori Rangoni e Guastalla.
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI TORINO. Udienza 30 novembre 1886; Pres. Boxasi P. P., Est.
Garbasso; Bergesio (Avv. Stobbia) e. Congrega zione di carità di S. Maurizio (Avv. Treppiè).
Farmacia — Esercizio abusivo — Congregazione di earitA — Somministrazione gratuita di medi
cinali — Azione per danni (Reg. sanitario 6 set
tembre 1874, art. 97, 99).
V autorità giudiziaria è competente a conoscere
del risarcimento dei danni domandalo da un
farmacista per l'altrui illegale esercizio di far
macia.
La legge ed il regolamento sulla sanità pubblica
hanno per iscopo di tutelare non solamente l'in
teresse pubblico, ma anche il privato interesse
dei farmacisti esercenti. A questi, quindi, nel sud
detto caso di esercizio abusivo di farmacia, com
pete azione per risarcimento di danni, esperibile
tanto con la costituzione di parte civile nel pro
cedimento penale, quanto in separato giudizio
civile. (1) Costituisce abusivo ed illegale commercio di medi
cinali anche la somministrazione gratuita dei
medesimi fatta dalla Congregazione di carità
ai poveri ed agli ammalati ricoverati nelV ospe
dale che dessa amministra. (2)
La Corte, ecc. — Attesoché il farmacista Bergesio
Giuseppe ha convenuto nel presente giudizio la Con
gregazione di carità di S. Maurizio Canavese onde
| essere indennizzato per l'esercizio, a suo dire, obu
I sivo di spaccio di medicinali da essa tenuto in detto
l
(1-2) Consulta: Cass. Torino 3 febbraio 1886 (Foro it.t 1886, II, 85); Cass. Napoli 23 novembre 1885 (idem 1886, II, 172;; Cass. Firenze
15 novembre 1884 (idem, Hep. 1884, voce Sanità pubblica, n. 11). Queste due ultime decisioni sono in senso contrario alla sentenza
della Corte torinese qui sopra pubblicata,
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