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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 27 novembre 1905; Pres. Perfumo, Est....

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Udienza 27 novembre 1905; Pres. Perfumo, Est. Faggella; Ditta fratelli Branca di Milano (Avv. Gianturco, Albasini Scrosati, De Martino) c. Ditta fratelli Branca di Marigliano (Avv. Grippo, Marghieri, De Marino) Source: Il Foro Italiano, Vol. 31, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE (1906), pp. 41/42-55/56 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23111038 . Accessed: 18/06/2014 12:27 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.152 on Wed, 18 Jun 2014 12:27:06 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Udienza 27 novembre 1905; Pres. Perfumo, Est. Faggella; Ditta fratelli Branca di Milano (Avv.Gianturco, Albasini Scrosati, De Martino) c. Ditta fratelli Branca di Marigliano (Avv. Grippo,Marghieri, De Marino)Source: Il Foro Italiano, Vol. 31, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1906), pp. 41/42-55/56Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23111038 .

Accessed: 18/06/2014 12:27

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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE

La Corte, ecc. — Se non può disconoscersi come la

dottrina e la giurisprudenza siano sempre largamente di

scordi sulla questione di diritto giudiziario che la Corte

è chiamata a decidere, pure è con altrettanta fermezza

di convinzione che avvisa di rimanere costante ai suoi

diversi precedenti giudicati, nel senso che la rinunzia

all'appello principale, fatta o prima della scadenza del

l'udienza assegnata per la comparizione, o nelle more del

giudizio, se non sia stata accettata incondizionatamente

dalla parte appellata, non è efficace a far venire meno

in questa il diritto di proporre appello incidente.

Nè la Corte a pro' della sua tesi crede doversi dilun

gare in una dettagliata dimostrazione del fondamento del

suo assunto, limitandosi a quanto occorre per soddisfare

all'onere che incombe al magistrato di dar ragione della

sua decisione.

All' uopo basterebbe fermarsi al disposto dell'art. 487, che nella lettera, nel suo spirito e nella sua genesi sto

rica rende palese la verità della tesi che la rinunzia al

l'appello principale non pregiudica il diritto a quello in

cidente, e che in sostanza, una volta introdotto l'appello

principale, l'intimato ha tosto quesito il diritto a pro

porre l'incidente fino al momento della discussione, an

corché l'appellante non persista nel suo, perchè appunto

per legge (art. 487 cod. proc. civ.) nelle cause civili som

marie l'appello incidente non può proporsi che nelle con

clusioni alla prima udienza in cui si tratta la causa e

l'appellante principale coli' introduzione dell'appello apre

all'appellato l'adito a proporre il suo, instaurando il giu dizio di secondo grado.

E di vero, tale proposizione ivi si proclama in modo

assoluto e senza restrizione, nò distinzione ; ivi non si

accenna nè a condizione che al momento del recesso del

l'appello principale quell'incidente sia stato proposto, nè

che il ritiro avvenga dopo scaduto il termine per appel

lare, o dopo la contestazione della lite.

E giusta apparisce una siffatta ampia disposizione a

favore dell'appellato, perchè altrimenti il diritto dell'ap

pello incidente rimarrebbe alla piena mercè dell'appel lante principale, il quale potrebbe all'ultimo momento, con un improvviso recesso, impedire all'intimato di pro

porre il suo incidente, e cosi si favorirebbe le frodi e le

maligne manovre, cui non est indulgendum, giacché non

potendo l'appellante nei giudizi sommari proporre il suo

appello incidente, come si è detto, che all'udienza di di

scussione, ammessa la teoria del Tiscornia, l'appellato, coli' ultroneo atto di recesso dell'appellante, non potrebbe

più appellare incidentalmente. E questa sarebbe una ma

nifesta ingiustizia, perchè l'appello incidente, sebbene

nasca in occasione dell'appello principale in cui incide, ha una vita propria e indipendente, e non è affatto un

accessorio di quello principale; che sa fosse altrimenti,

o Rep. 1893, stessa voce, n. 192), conforme all'opinione seguita dalla maggioranza degli autori, ma opposta invece a quella prevalente nella giurisprudenza. Veggansi infatti le decisio ni contrarie delle Cassazioni di Roma e di Napoli 16 maggio 1902 e 10 marzo 1903 (Foro it., 190-', I, 1293; 1903, I, 894), nonché

posteriormente: Cass. Torino 31 dicembre 1902 (id,., E e p. 1903, voce Appello civ., nn. 174-176); Cass. Napoli 30 gennaio e 14 marzo 1904 (id., Rep. 1904, voce cit., nn. 208, 209); App. Trani 7 maggio 1904 (ibidem, n. 210).

Per un'amplia trattazione della questione, e per altre indi cazioni di dottrina e giurisprudenza, rimandiamo alle note do

gli avv. G. Pouchain e L. Busatti (Foro it., 1902, I, 1293; 1891, I, 34), il primo favorevole, l'altro contrario all'ammessibilità

dell'appello incidente anche dopo la rinuncia all'appello prin cipale.

l'appellante principale si renderebbe l'arbitro della in

tiera lite, con violazione di quella parità di trattamento

che devono godere anche le parti contendenti, perchè in

conclusione l'intimato perderebbe l'esercizio del suo di

ritto per fatto della sola volontà dell'appellante princi

pale.

Nè potrebbe obiettarsi che l'intimato, per assicurarsi di

potere anche esso appellare, avrebbe dovuto esser cauto di

farlo colla forma dell'appello principale, perchè così si demo

lirebbe tutto l'istituto giuridico dell'appello, e si rendereb

be inutile quello dell'appello incidente, che il legislatore ha

introdotto per la celerità del giudizio in grado d'appello. Altro argomento d'altronde si ritrae dallo stesso di

sposto dell'art. 447 cod. proc. civ., che dichiara l'inef

ficacia dell'appello incidente solo quando sia inefficace

quello principale per essere stato interposto fuori termi

ne ; onde se ne inferisce che, proposto in termine utile, nul

la può influire sulla sua ricevibilità o no il recesso dal

l'appello principale. Infine vi ha un argomento desunto

dalla genesi di tale art. 487 cod. proc. civ., che sempre

più persuade del fondamento della tesi suaccennata, per

chè la disposizione ora in vigore, a differenza di quella

dell'art. 540 cod. proc. civ. del 1859, non richiede più per

la sussistenza dell'appello incidente, dopo il recesso di

quello principale, che si sia introdotto prima della rinun

zia. (Omissis). Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI NAPOLI Udienza 27 novembre 1905; Pres. Perfumo, Est. fag

gella; Ditta fratelli Branca di Milano (Avv. Gian

torco, Albasini Sorosati, De Martino) e. Ditta fra

telli Branca di Marigliano (Avv. Grippo, Marghieri, De Marino).

Ditta e nome commerciale — Omonimia — Prodotto

commerciale — Denominazione identica a quella di

altro prodotto altrni — Concorrenza sleale o illecita

(L. 30 agosto 1868 sai marchi di fabbrica, art. 5). La concorrenza sleale risulta dallo scopo fraudolento di

diffondere un prodotto commerciale a danno di un

altro, e da mezzi preordinati ed atti a raggiungere

questo scopo mediante V inganno del pubblico sulla

identità e sulla qualità dei prodotti concorrenti. (1) Il diritto all'uso del nome commerciale deve essere eser

citato legittimamente e senza offesa dei diritti altrui, sicché anche l' uso del proprio nome identico a quello di altro commerciante può costituire un mezzo di con

(1) La sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere 5 agosto 1904, riformata dalla presente importante ed elaborata decisione della Corte d'appello di Napoli, è riassunta nel nostro Repertorio del 1904, voce Ditta e nome comm., nn. 20-22.

Sulla determinazione degli estremi costitutivi della con correnza sleale, cfr. da ultimo App. Firenze 13 novembre 1898 (Foro it., 1899, I, 227, con nota del Giannini); e per la giuri sprudenza posteriore: App. Genova 17 luglio 1899 (id., Eep. 1899, voce Ditta t nome comm., n. 14); App. Firenze 21 luglio 1899 (ibid., n. 15-19) ; Trib. Napoli 30 agosto 1899 (id., Eep. 1900, stessa voce, nn. 25-27); App. Venezia 3 novembre 1900 (ibid., nn. 29-30) e 7 dicembre 1900 (id., Eep. 1901, stessa voce, nn. 15-17) ; Cass. Palermo 10 giugno 1902 (id., Eep. 1902, stessa voce, n. 11) ; Trib. Eoma 11 giugno 1902 (ibid., n. 16); Trib. Palermo 25 luglio 1902 (ibid., n. 14) ; Cass. Torino 28 dicembre 1903 (id., Eep. 1904, stessa voce, nn. 34, 35); Cass. Palermo 30 gen naio 1904 (ibid., n. 14); Trib. "Venezia 14 aprile 1904 (ibid., n. 51) ; App. Venezia 13 luglio 1904 (ibid., nn. 28-33); App. Eoma 2 agosto 1904 (ibid., n. 39).

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43 PARTE PRIMA 44

correnza sleaie, quando sia diretto a contrassegnare un prodotto identico a quello preesistente del commer

ciante omonimo e ad ingenerare confusione tra i due

prodotti. (2) La responsabilità per omonimia può essere dolosa, colposa

od anche obiettiva, e si fonda sulla illegittima usurpa

zione dell'altrui attività industriale o commerciale. (3)

Per un prodotto assai diffuso basta a cagionare confu

sione, ed a costituire perciò un mezzo di illecita concor

renza, V identità della denominazione principale (nella

specie, fernet Fratelli Branca), quando, anche esistendo

differenze nelle parti accessorie della denominazione,

esse siano tali da passare inavvertite. (4)

La Corte, ecc. — Osserva che la ditta milanese scor

ge nell'uso del nome della ditta di Marigliano, apposto

al prodotto che questa espone in commercio e vende,

una concorrenza sleale a suo danno, per la confusione

che genera la identità della denominazione fra la pro

duzione commerciale dell'una e quella dell'altra. E' da

osservare che il nome commerciale della ditta milanese

(2-3) Sulla concorrenza sleale per omonimia, cfr. in senso

conformo, Cass. Palermo 18 luglio 1901, La Rosa c. La Rosa

(Foro it., Rep. 1901, voce Ditta e nome comm., n. 31); e la sen

tenza App. Milano 14 febbi'aio 1900, Carlo Erba c. Carlo Erba

(id., Rep. 1900, stessa voce, n. 6), che ha risoluto una questio ne sotto vari rapporti identica a quella che ba dato luogo alla

presente sentenza, ritenendo che il titolare d'una ditta com

merciale ha diritto d'imporre a colui che inizia lo stesso com

mercio sotto il suo proprio nome, corrispondente a quello della

ditta stessa, di aggiungervi delle indicazioni dirette ad evitare

la perfetta omonimia: nella specie, di aggiungere al nome la

paternità negli stessi caratteri del nome e la data di fonda

zione della nuova casa in caratteri non più piccoli della metà

di quelli adoperati pel nome. — In senso sostanzialmente con

trario, ma per .un caso solo in parte analoga, cfr. App. Go

nova 30 giugno 1900, Branca c. Melzi-Branca (id., Rep. 1901, stessa voce, nn. 30, 31).

Nella sentenza che qui pubblichiamo la Corte di Napoli ha in sostanza ritenuto che la fonte dolla responsabilità per omonimia consista nell'uso illegittimo del diritto al nome.

In senso conforme il Vivante, Trattato, I, n. 154, secondo il

quale il giudice può costringere il commerciante a contrassegna re il suo nome con qualche aggiunta

" quando ciò sia necessario

per distinguerlo da un omonimo che si servi perii primo del

lo stesso nome in commercio, perchè il diritto di usare del

proprio nome deve essere limitato dal dovere di non danneg

giare chi ne è già in possesso e di non trarre in inganno la

buona fede del pubblico ; solo a questo modo il nome rag

giunge il suo scopo di contrassegnare e distinguere coloro che

lo portano, nè si può dire che si rechi offesa al diritto intangi bile e sacro d'usarlo solo perchè si impedisce a chi lo pos siede di farne un uso sleale r. Il Giannini, La concorrenza

sleale, n. 83 e segg., segue invece una diversa opinione, poi

ché, distinguendo tra la ditta come firma e la ditta come se

gno reale, sostiene che " chi intraprende un commercio od

una industria già osercitata da un omonimo può e deve usare

della sua ditta come firma, ma di questa ditta, che risponderà al suo nome patronimico, non può usare come marca, o, per essere più. precisi, ne potrà usare purché non usurpi la ditta

altrui „. Cfr. anche, Camerano, Omonimi in commercio, nel Con

sulente comm., 1903, 137; e sulla teoria generale dell'abuso dei

diritti, cfr. il rocente ed importante scritto del Josserand, De

l'abus des droits, Paris, 1905.

Circa la natura del diritto al nome commerciale, cfr. Cass.

Firenze 12 marzo 1903, Pagliano c. Pagliano (Foro it., 1903,

I, 475, con nota dell'avv. P. Casini); App. Milano 17 gen naio 1905 (Riv. di dir. comm., 1905, II, 115); e per la dottrina,

RavA, I diritti sulla propria persona, nella Riv. it. per le scien

ze giur, 1901; e da ultimo Ascoli, Sul diritto al nome comvier

ciale, nella liiv. di dir. comm., (loc. cit.).

(4) Conformemente App. Napoli 30 ottobre 1901 (Foro it., Rep. 1901, voce Ditta, e nome comm., n. fi) ; in senso contrario App. Genova 30 giugno 1900 (id, Rep. 1901, stessa voce, nn. 32, 33).

è Fratelli Branca, e quello della ditta di Marigliano, come risulta dal suo atto costitutivo, è il seguente: Fra

telli Branca fu Carlo e C. Invero all'art. 2 del rogito di costituzione 5 gennaio 1903 è detto:

" Si è formata fra

i costituiti una società in accomandita semplice, sotto

la ditta Fratelli Branca fu Carlo e C., con sede in Ma

rigliano Ora le parole " con sede in Marigliano „ non

formano parte integrante della ragione sociale, ma indi

cano solamente il luogo ove la società poneva la propria sede. E questa verità è fatta ancor più palese dall'art.

13 dello stesso rogito, in cui i soci stabiliscono : " In

qualunque caso di scioglimento della società la ditta

Fratelli Branca fu Carlo e C. apparterrà al costituto

sig. Michele Branca o suoi eredi Nò sembra superfluo notare che la ditta milanese figura del pari nelle eti

chette, depositate in virtù della legge 30 agosto 1868, e

pur oggidì usate, come pur dimostra la stessa ditta di

Marigliano nella, riproduzione a stampa delle etichette

delle due ditte, colla denominazione Fratelli Branca e

Comp.

Non può quindi ritenersi, come a semplice scopo di

difesa assume la ditta di Marigliano, che la sua ragione sociale consista nella lunga denominazione di " Fratelli

Branca fu Carlo di Marigliano con sede di Napoli luo

go di origine degli accomandatari. E in tutte le forme

di pubblicità e sulle etichette, in un solo rigo la ditta

di Marigliano imprime il suo nome commerciale limi

tato alla formola : Fratelli Branca fu Carlo e C. La

sede della società è indicata in una riga sottostante e

con. caratteri più piccoli e di minor rilievo.

Stabilito così che il nome commerciale della ditta di

Marigliano è quello di Fratelli Branca fu Carlo e C., e

che il nome dato al prodotto ò identico, occorre discen

dere all'indagine : se l'uso e il modo e la forma di que

sta denominazione e della relativa pubblicità produca una

confusione delle ditte e dei relativi prodotti. Bisogna ri

cercare, in sostanza, se nella specie esista o no da parte

della ditta di Marigliano la perpetrazione di una concor

renza sleale ai prodotti della ditta Branca di Milano, che

da lungo tempo smercia e diffonde in tutti i mercati

del mondo il suo prodotto, che va sotto il nome di Fer

net dei Fratelli Branca e C.

Non mai come in questa parte del diritto ha regnato

nella dottrina e nella giurisprudenza tanta incertezza

di criteri direttivi nell'apprezzamento delle circostanze

di fatto costitutive della concorrenza sleale e nella deter

minazione, dal punto di vista scientifico e pratico, di

questa figura giuridica. La incertezza dipende dalla infinita varietà delle con

tingenze speciali di fatto e dalla moltiplicità delle forme

artificiose e fraudolente adoperate dai concorrenti nella

espansione delle industrie e dei commerci; onde la dot

trina e la giurisprudenza spesso hanno smarrito i grandi

e sintetici principi direttivi, atti a risolvere qualsiasi

difforme artifizio di concorrenza sleale ; e, se ben si con

sideri, hanno finito di diffondersi in una confusa e mi

nuziosa casistica, ove i contendenti trovano insegnamenti

e decisioni confortatrici di opposte tesi.

Nò minor confusione domina nelle legislazioni, per

chè alcune lasciano la repressione della concorrenza sleale

alle disposizioni generali del diritto positivo, come in

Italia e nella maggior parte degli Stati, e altre conten

gono norme speciali, come il regio decreto portoghese

15 dicembre 1894 e la legge germanica 27 maggio 1896, l'uno troppo ristretto e deficiente, l'altra troppo empi

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giurisprudenza civile e commerciale

rica e indeterminata. Alcune teorie ricorrono al con

cetto dell'abuso di un diritto e della violazione di un

diritto altrui ; altre, al concetto generico di qualunque fatto che, senza costituire una diretta violazione di una

precisa norma di legge, può essere dannoso all'altrui le

gittimo interesse materiale o morale;'altre, all'uso di

mezzi fraudolenti e di manovre riprovate dall'onestà e

dalla lealtà; altre, al lavoro del commerciante di attirare

fraudolentemente a sé la clientela altrui; altre, alla for

inola di una disonesta, subdola e perfida rivalità di com

mercio.

Ma tutte le teorie, piò o meno apertamente, si fon

dano sul concetto del delitto o del quasi-delitto (art.

1151 cod. civ. ital. ; 1382 cod. civ. franc.; 50 cod. fed.

delle obbl. ; 998 cod. civ. rumeno; 1401 cod. civ. olan

dese). La giurisprudenza ò ancora più incerta ed empirica,

sia quella italiana che straniera, raramente assorgendo a

idee generali. Alcuni pronunziati però fanno consistere

la concorrenza sleale nell'uso di artifizi più o meno ma

nifesti per far passare la propria merce sotto il nome

altrui, o nell'adattare distintivi di altri produttori per

modo da ingenerare confusione tra una fabbrica e un'al

tra, ovvero nell' uso di artifizi o raggiri che non costi

tuiscono falsificazione di marchi. Altre dottrine rag

gruppano gli atti di concorrenza sleale in categorie più

o meno ampie. In queste primeggiano e il gruppo de

gli atti inducenti confusione fra gli stabilimenti com

merciali o fra le merci, e il gruppo degli atti miranti

all'esaltazione della propria merce e allo svilimento della

merce altrui mediante confronti nominativi e denigra

zioni, e il gruppo degli atti aventi per scopo di sviare

l'altrui clientela e attrarla a sò con mezzi illeciti o

fraudolenti.

Pei fini della presente contestazione sarebbe un fuor

d'opera discutere sull'esattezza e la estensione di queste

categorie, e basta osservare che la ditta attrice, secondo

l'intentio del suo atto istitutivo del'giudizio e le sue com

parse conclusionali in prima e seconda istanza, denun

ziava gli atti di concorrenza sleale che rientravano in

tutti e tre gli enunciati gruppi. •Ora è certo che il primo e terzo capo di fatti arti

colati nell'atto di citazione e nella comparsa conclusio

nale si riferiscono al primo gruppo o alla prima forma

della concorrenza sleale; il secondo e quarto al secondo

gruppo o alla seconda forma, e l'ultima parte del quarto,

al terzo gruppo o alla terza forma.

Che poi queste tre grandi categorie di fatti illeciti e

fraudolenti costituiscano indubbiamente fatti di concor

renza sleale, è unanimemente ammesso da tutte le teorie

escogitate sulla concorrenza sleale e in tutti i pronun

ziati della giurisprudenza italiana ed estera.

La vera e propria concorrenza sleale, per quanto sia

grande l'autorità delle molteplici teorie che si conten

dono il campo in Italia e fuori, più che altro delitto o

quasi delitto, è una tessitura di frode, che il commer

ciante sleale espande sui mercati a danno del commer

ciante frodato.

Essa, nella sua sintesi, si compone di due elementi:

subiettivo e obiettivo. Il primo consiste nel proposito o nel fine di espan

dere nel mercato il prodotto del frodatore a detrimento

del frodato, vale a dire di operare una illegittima con

correnza al prodotto altrui, diminuendone la diffusione e

lo smercio, e creando o accrescendo la diffusione e la -sen

dita del proprio. La confusione dei due prodotti, la de

nigrazione del prodotto altrui, l'ingiusto ed esagerato vanto del proprio in confronto degli altri, le manovre, 10 studio delle somiglianze, lo sviamento della clientela, tutte le altre operazioni dolose compiute dal concorrente

sleale ed enumerate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, non sono che i mezzi. E alcuni di questi mezzi sono

anch'essi costituiti da un complesso di atti o di raggiri

o di manovre.

L'elemento obiettivo è costituito dalla concreta at

tuazione dei mezzi ordinati al raggiungimento del pro

posito di frode. Esso però, se nella sua concezione sin

tetica va considerato nel suo ultimo risultato, deve es

sere, nei singoli casi, studiato e scisso in tanti altri ele

menti, fatti o atti, preordinati, collegati fra loro. L'er

rore comune a tutte le dottrine e alla giurisprudenza, italiana ed estera, consiste appunto in questo: nell'avere

scambiato i singoli atti connessi e costituenti il mezzo

obiettivo di concorrenza sleale con questa, ritenendolo

11 fine ultimo del frodatore. E si aggirano nell'equi

voco, scambiando le varie specie di mezzi colle forme

della concorrenza. E da questi difetti non è immune

neppure la legge germanica del 27 maggio 1896, la quale, al § 1, enuncia demonslrationis causa taluni mezzi do

losi di concorrenza, capaci d'ingannare la buona fede

del pubblico, facendo in essi comprendere la figura giu

ridica della concorrenza, onde si è disputato se questa si

possa concretare anche in altri fatti.

I mezzi sono innumerevoli, quali possono escogitarsi dalle menti dei frodatori; variano da luogo a luogo, da

regione a regione, da merci a merci, da clientela a clien

tela, a seconda della natura del commercio e dell'indu

stria, degli usi mercantili e comuni, dei bisogni, delle

domande e delle offerte, della maggiore o minore rapi

dità dei traffici, del maggiore o minor movimento degli

affari, delle qualità delle clientele; divengono sempre

più sottili e subdoli a misura che si accrescono e l'espe rienza mercantile e le relazioni degli speculatori fra loro

e la pratica degli stratagemmi della speculazione e l'e

spansione del commercio e delle industrie e le occasioni

propizie ; e mutano e si perfezionano secondo le circo

stanze speciali di fatto, i mezzi di pubblicità, le sottili

escogitazioni del fraudatore si rinnovellano e si trasfor

mano, assumono apparenze legittime e ingannatrici ; al

cuni sono derelitti, perchè troppo riconosciuti e non più

efficaci; altri però ne sorgono più potenti e più perfezio

nati; talvolta sotto l'apparenza della ingenuità e della

buoaa fede si cela la perfidia e l'inganno; sotto l'aspetto delle note distintive, la confusione dei prodotti ; nello

studio delle differenze si nasconde l'industria fine della

frode. Tutte le teorie e la giurisprudenza hanno, infine,

dovuto ammettere l'impossibilità di fissare in determina

te, sia pure numerose, categorie le forme della concor

renza sleale, perchè, scambiandole coi mezzi, questi sono

innumerevoli, variabili, rinnovellantisi di tempo in tem

po, imprevedibili, multiformi.

La concorrenza sleale è unica nella sua sostanza, con

cretantesi in un'azione fraudolenta operante nell'ambito

della espansione del commercio o dell' industria altrui,

diminuendola e danneggiandola a profitto del concorrente

fraudator. Senonchè bisogna tenere presente tutta la

funzione dell'elemento obiettivo, che concorre a costi

tuire la figura giuridica della concorrenza sleale.

Essa è duplice: in rapporto al proposito del frauda

tor, in quanto opera per la realizzazione di questo come

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47 PARTE PRIMA 48

mezzo a fine ; e in rapporto al pubblico in cui spiega la

sua azione fraudolenta, cioè alla massa dei consumatori

e degli acquirenti del prodotto del commerciante frodato.

Sotto il primo aspetto v'è uu nesso da mezzo a fine, e sotto il secondo, il mezzo deve essere efficace ed ido

neo a produrre il suo effetto immediato: l'inganno del

pubblico o della clientela sulla identità o sulla qua lità o sui pregi o sull'origine dei due prodotti con

correnti.

Il carattere essenziale, adunque, dell'elemento obiet

tivo della concorrenza sleale deve consistere nella sua

idoneità ad attuare il fine.

Il mezzo anche deve riguardarsi da un punto di vi

sta sintetico e da un punto di vista analitico: dal pri

mo, ha relazione col fine fraudolento del concorrente

sleale, e dal secondo, va analizzato e distinto nei vari

atti e fatti connessi e preordinati alla sua costruzione, sì che, mentre è tale, cioè ha carattere di mezzo in rap

porto al fine della concorrenza sleale, all'elemento su

biettivo, quelli costituiscono per esso altrettanti mezzi

speciali o singoli elementi disposti e ordinati a comporlo. Così la confusione delle denominazioni e dei prodotti

può essere determinata e costituita da una moltiplicità di atti vari: da rassomiglianze di avvisi, da omonimie, da identiche forme di pubblicità, di marchi, di etichette, d'insegne, di emblemi. E' da notare che quei singoli atti e il loro coordinamento devono esaere idonei a com

porre il mezzo complessivo fraudolento o l'elemento obiet

tivo della concorrenza sleale.

E indifferente che per la composizione del mezzo frau

dolento si adoperino talvolta atti per sò leciti: il loro

uso a scopo illecito e il loro coordinamento, come ele

menti che compongono un mezzo fraudolento o altrimenti

illecito, sono illegittimi. Così l'uso del proprio nome,

legittimo per sè stesso, diventa illecito, se entra nella

costruzione illegittima di un mezzo di concorrenza sleale.

Laonde questa si sostanzia, nella sua più alta sin

tesi, in questi due elementi : a) scopo fraudolento di con

seguire o accrescere con l'inganno l'espansione del pro

prio commercio o della propria industria, operando una

illecita diminuzione dello smercio dei prodotti altrui, cui

si fa concorrenza; o deprimendo ad arte il loro valore e

il loro credito commerciale ; 6) un'orditura di fatti e atti

all'uopo collegati, idonea a produrre un inganno nel pub blico e nella massa dei consumatori, a vantaggio del con

corrente fraudator ed a danno del frodato, e costituente

un mezzo atto a raggiungere quel fine.

In certi casi, e avviene raramente, può mancare il

proposito di frode, ma il modo e la forma di esercizio di

un commercio possono determinare gli stessi effetti della

concorrenza sleale, e in questi casi v'è sempre la colpa del concorrente, che, senza alcuna prudenza e senza avver

tire il rispetto dei diritti altrui, agisce in modo da recare

danni all'altrui azienda commerciale. Può aversi obiet

tivamente lo stesso fenomeno : un ingiusto arricchimento

di un'azienda a danno di un'altra, una sottrazione ille

gittima di valori e di vantaggi di un commerciante a

profitto del concorrente. E la risarcibilità c fondata sul

quasi-delitto. È questa una forma di concorrenza colposa, che, pei.

fini della risarcibilità, dal punto di vista obbiettivo, pro duce identici effetti : la responsabilità del concorrente e

la sua obbligazione al risarcimento dei danni e quella di togliere la causa di questi. Essa però avviene rara

mente: la concorrenza ordinaria, purtroppo frequente, è

la tipica concorrenza sleale, avente i caratteri della frode

commerciale. Bisogna notare in questa la differenza fra

la funzione dei mezzi dolosi della frode operante nei rap

porti fra il fraùdator e il frodato, e l'azione fraudolenta

della concorrenza, sleale: mentre la prima agisce sulla

coscienza, sulla mente e sulla volontà della vittima, traendola nell'errore e nell'inganno, la seconda opera sulla mente e sulla volontà dei compratori del prodotto contro cui si concorre e dei clienti della ditta danneg

giata, generando in loro l'inganno e distogliendoli dal

l'acquisto.

Quindi per l'una l'idoneità dei mezzi è da misurarsi

in confronto della vittima che dev'essere ingannata, e

per l'altra, in confronto ai terzi acquirenti e consuma

tori del prodotto. E se i mezzi subdoli del concorrente

sleale pur fossero inidonei ad ingannare la vittima, e

spesso sono tali, possono essere atti a trarre in inganno la buona fede dei terzi acquirenti.

Così riesce più facile, e coi mezzi meno industriosi,

l'inganno degli acquirenti di un prodotto comune, il cui

acquisto richiede un'attenzione minima o anche nessu

na, che quello dei compratori di un prodotto, l'acquisto del quale ha uopo di un maggior grado d'attenzione e

una più minuta indagine. Nella presente controversia è da porre mente ad uno

dei mezzi più usuali e più potenti adoperato dai concor

renti sleali: l'omonimia. Qualunque sia la dottrina che

si adotti sul diritto al proprio nome, o quella tradizio

nale e più antica del diritto di proprietà, propugnata spe cialmente dall'antica scuola francese e da alcuni autore

voli scrittori anche recentemente in Italia, o quella che

lo definisce un diritto personalissimo, un diritto sulla

propria persona, che serve a contrassegnarla e a distin

guerla, considerato come espressione della sua personalità del suo stato di famiglia ; o si adotti la teoria, che pur ha largo seguito, dei diritti intellettuali o dei beni im

materiali, o quella del diritto di famiglia, o la indivi

duale, che ha numerosi seguaci in Germania, o la teoria

dei diritti privi di oggetto, certa cosa è che non possa contrastarsi nel titolare del nome il diritto di usarlo e

distinguersi con esso in tutte le manifestazioni della sua

personalità, e il diritto alla tutela giuridica di esso. 1\la

l'esercizio di questo diritto deve svolgersi nel campo della

legittimità e non offendere i diritti altrui : in questa of

fesa la sua opera diventa illegittima, se, come nella con

correnza sleale, un determinato suo uso assume il ca

rattere e l'atteggiamento di strumento di frode, o rie

sce ad usurpare utilità economiche e beni che spettano ad altri.

Questo speciale esercizio, inteso a tendere un ingan no ed a perpetrare una frode, o in quanto per colpa del

titolare produca un danno, è illegale. In materia com

merciale l'omonimia, quando sia causa di errore od'in

ganno, o riesca semplicemente di danno a un'azienda

omonima, ò stata universalmente circondata, nella dot

trina e nella giurisprudenza, da apportane cautele effi

caci a produrre nel pubblico una spiccata distinzione de

gli omonimi. La dottrina e la giurisprudenza hanno costantemente

badato a un elemento di tempo nella costituzione di ditte

omonime, la priorità, come quella ch'è determinatrice

della preferenza nella tutela giuridica di fronte alle po steriori denominazioni identiche, movendo dal principio che la precedenza di un diritto legalmente acquisito debba

essere rispettata dai diritti sussecutivi. Invero la que

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49 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 50

stione che si agita sulla natura del diritto al nome pa

tronimico e sulla sua sfera di esercizio si ripete per le

denominazioni commerciali, l'insegna del negozio, il mar

chio, la ditta, il nome del prodotto.

Ora, qualunque dottrina si accolga, o quella di un

diritto speciale sui generis, o quella dei diritti intellet

tuali, o quella del diritto personale, o quella della pro

prietà, largamente seguita in Italia e fuori, certa cosa

è che in tutte queste dottrine e nel campo di tutte le le

gislazioni, il diritto all'uso del nome distintivo di un'a

zienda o di un prodotto commerciale è un diritto merite

vole di protezione giuridica contro tutte le violazioni, fra

le cui forme è da annoverarsi quella della omonimia, che

faccia sparire, pei fini del commercio esercitato e in re

lazione ad esso, ogni distinzione fra gli enti o gli oggetti

omonimi. La questione qui si presenta sotto un duplice

aspetto : del nome assunto dalla società e della denomi

nazione del prodotto. L' uno e l'altra sono identici : al

prodotto si è dato il nome della ditta sociale. Onde una

doppia omonimia, della ragione sociale e della produzione

industriale messa in commercio. Vengono cosi in con

flitto due principi generali : da una parte quello della

libertà nella composizione della ditta e nell'uso del pro

prio nome patronimico, e dall'altra quello del rispetto

dei diritti altrui esistenti, operanti sotto il medesimo no

me. Il secondo limita il primo, il quale deve svolgersi

in modo da non offendere i diritti legittimamente acqui

siti da altri. E la conciliazione dei due principi non è

possibile che colla distinzione dei due prodotti. La li

mitazione di un principio generale, anche di quello con

tenuto nella formola qui suo iure utitur neminem laedit,

è la necessaria conseguenza della coesistenza dei diritti.

Il concorso dei due principi si concreta e si espli

ca nel concorso di due ordini di diritti: quello della

preesistente ditta omonima produttrice, la quale vive e

opera sotto quel determinato nome, e quello del secondo

commerciante omonimo, posteriore in ordine di tempo,

che svolge la propria attività industriale e diffonde sui

mercati coli'identico nome un prodotto del medesimo ge

nere, se non della medesima qualità intrinseca. L'asso

luto impero del primo, pei fini della denominazione, mena

all'annullamento dell'altro, e l'assoluta prevalenza di que

sto produce o può produrre l'annientamento o, almeno,

il danno di auello. Ma il diritto positivo non può per

mettere or l'una or l'altra conseguenza ; deve conciliare

i due ordini di diritti in modo che ciascuno si svolga

nella sua sfera di azione limitata dalla coesistenza del

l' ltro.

E questo mantenimento di ogni ordine di diritti nei

propri confini non si ottiene altrimenti che colla di

stinzione dei due enti e dei due prodotti commerciali omo

nimi, perchè la sparizione di ogni carattere distintivo

genera la responsabilità di una invasione nel campo dei

diritti acquisiti del primo commerciante omonimo, e di

un'appropriazione illegittima di essi : i consumatori o i

clienti, credendo di acquistare i suoi prodotti, acquista no quelli di un altro. Avviene pure, specialmente in

commercio, che il sorgere di un'azienda o di un' industria,

di un nuovo ordine di diritti, determini il cadere di altri preesistenti, senza che il loro operare sia illegit

timo; ma questo effetto, così frequente nel mondo com

merciale, è un effetto della concorrenza legittima, la quale

nò con l'errore nò con l'inganno riesce a far prevalere

il miglior prodotto sui mercati. In commercio il nome

non rappresenta solamente un segno destinato a distin

II Foro Italiano — Anno XXXI — Parte I-i.

guere un prodotto dagli altri, ma rappresenta un com

plesso d'interessi e di diritti, ed ha un valore economi

co in quanto attrae una clientela e accredita la merce.

Esso s'immedesima talmente nel prodotto da costi

tuire parte integrante del credito commerciale che il

prodotto gode, tanto vero che, data a questo un'altra de

nominazione, esso spesso perderebbe in tutto o in parte il suo credito. Talché il nome commerciale, sia pur co

stituito da un nome patronimico, ha una duplice fun

zione: di contrassegnare il prodotto o lo stabilimento e

di costituire una parte integrante del loro credito e del

loro valore economico. Sotto il primo aspetto, esso è un

diritto personale, se serve a distinguere la persona o il

subietto di diritto, è un diritto inerente alla proprietà della merce o dell'azienda, se è destinato a distinguere l'una

o l'altra.

Il proprietario del prodotto o dello stabilimento, come

ha il diritto di usarlo, venderlo, esporlo in commercio,

così ha quello, purissimo, di distinguerlo dagli altri con

un proprio nome, quale espressione delia sua esistenza

commerciale. E la tutela giuridica di questo diritto im

porta che altri portatori di un medesimo nome commer

ciale debbano distinguersi e rispettarlo, perchè l'assen

za di ogni segno distintivo sufficiente a tale scopo nel

movimento di una identica industria riuscirebbe ad of

fenderlo, confondendo colla merce o coll'azienda omoni

ma quella simile preesistente. E in questa offesa sta

l'illegittimità, che, se congiunta al danno, genera l'ob

bligazione dell'autore del fatto al risarcimento.

Quindi la tutela giuridica di uno dei diritti ineren ti alla proprietà di un prodotto o di uno stabilimento

impedisce che l'esercizio posteriore dell'omonimia da

parte di altri produttori o commercianti possa far spa

rire l'appariscente distinzione.

In commercio occorre che l'omonimo non solo sia,

ma apparisca diverso. Senonchè giova osservar^ che

la pura e semplice omonimia, per essere produttiva di

danno, dev'essere integrata con un altro elemento obiet

tivo essenziale: l'identità del genere di industria o di

commercio. Così soltanto la ditta o il prodotto omoni

mo è idoneo a invadere la sfera dell'operosità della ditta

o del prodotto preesistente, assumendo in essa e al co

spetto del pubblico, dei clienti e dei consumatori, l'ap

parenza dell'una o dell'altro, sì che riesca ad operare e

ad espandersi sotto l'erronea credenza di essere quella

ditta o quella merce cui fa concorrenza.

In ciò si determina un'azione usurpatrice di affari e

di utilità altrui. Onde l'operosità dell'omonimia, in quan to possa, in un identico genere d'industria o di com

mercio, riuscire a svolgersi nell'opinione della clientela

sotto la veste e la parvenza di un'altra ditta o di un

altro prodotto, si risolve in una illegittima usurpazione

dell'altrui attività industriale o commerciale. E questo è il vero fondamento giuridico della responsabilità per

omonimia.

Nella vera e propria concorrenza sleale l'omonimia è

sempre strumento di frode ; ma, sia pur semplicemente

colposa, essa fonda l'obbligazione del suo autore al ri

sarcimento dei danni. Anzi, per la sua intrinseca ille

ceità, come quella che crea uno stato antigiuridico, an

che indipendentemente da ogni colpa dell'autore, deve

essere repressa e fonderebbe un'azione di restituzione per

ingiusto arricchimento.

Nel campo legislativo si sono manifestati due indi

rizzi : uno ha tassativamente stabilito la norma che ogni

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PARTE PRIMA

nuova ditta formata da omonimi deve chiaramente di

stinguerai dalla preesistente (cod. comm. tedesco, § 30; cod. svizzero, art. 868, 773) ; l'altro l'ha affidata ai prin

cipi generali sul dolo e sulla frode, sul delitto e sul

quasi-delitto, e anche sull' ingiusto arricchimento, come

in Italia e in Francia.

La giurisprudenza è ricca di responsi in materia di

omonimia, in Italia, in Francia, in Inghilterra, in Ger

mania, perchè l'omonimia è stata uno dei mezzi più co

muni e usati di frode. Invero gli annali giudiziari re

gistrano frequenti casi di speculatori, che, ridotti a mal

partito, sono andati in cerca di omonimi d' industriali

fortunati e assai noti in commercio, hanno comprato il

diritto di uso del loro nome e impiantato stabilimenti a

scopo di concorrenza sleale. Fra tutte, la più esatta ed

incisiva è la giurisprudenza inglese, in cui il concor

rente omonimo è raffigurato come colui che assume

l'aspetto e l'atteggiameniO di un'altra persona, e mostran

do di vendere i prodotti di questa, in realtà smercia i

propri: l'operare in questo modo equivale a compiere una

frode.

L'omonimia, per essere efficace, deve essere tale da

produrre l'inganno e lo scambio di una ditta o di un

prodotto per un altro ; e 1' idoneità di essa, come di qua

lunque altro mezzo di concorrenza illecita, può variare

da luogo a luogo, da industria a industria, da clientela

a clientela. L'omonimia, se per un prodotto, per un

certo commercio, per una data clientela, è d'uopo che sia

assolutamente perfetta perchè riesca ad ingannare, per altri basta che si presenti soltanto in un punto princi

pale, a seconda che si richiegga una maggiore o minore

attenzione di coloro che acquistano la merce o che con

trattano.

Chiariti così i principi fondamentali della questione, resta ad esaminare se nella specie esista o meno nella

costituzione della nuova ditta e nella denominazione del

nuovo prodotto una concorrenza sleale contro la ditta

attrice.

In verità lo stesso atto di costituzione della società

5 gennaio 1903 offre elementi tali da far ritenere che

la società sia sorta col fine precipuo, se non esclusivo, di vivere e prosperare mediante la concorrenza sleale

contro l'omonima ditta milanese. La società si costitui

va fra sei soci e colla forma in accomandita semplice, nella quale i fratelli Branca sono accomandatari, appun to perchè soltanto i loro nomi figurassero nella ragione

sociale, a termini del primo capoverso dell'art. 114 cod.

di commercio. E di questi soci gerenti uno, Gabriele Branca, non ha fatto che prestare il suo nome, non essendosi mai

occupato nè occupandosi della fabbricazione di liquori. La forma della società e la prestazione del nome da

parte di Gabriele Branca dimostrano lo scopo ch'ebbero

i soci, di formare una ditta e fabbricare un prodotto omonimo alla ditta milanese e al suo prodotto, per apri re contro di essa una campagna di concorrenza sleale:

i soci vollero dar vita ad una ditta nella quale spiccas se la fondamentale dizione " Fratelli Branca „ e dare al

prodotto l'identico nome.

Invero le due parole congiunte Fratelli Branca sono

il fondamento della loro ragione sociale e della deno

minazione del prodotto : tutto il resto non è che un ac

cessorio trascurabile; il fine illecito dell'omonimia, come

mezzo di concorrenza sleale, è raggiunto. E la dimo

strazione dell'artificio adoperato dai soci è più evidente

ove si rifletta che, mentre i due Branca figuravano ac

comandatari, cioè soci gerenti, la vera gestione sociale

venne affidata all'altro socio accomandatario, che non fi

gurava nella ragione sociale, e, quel che più è notevole, con esclusione degli altri due, che sarebbero stati anche

i veri e legittimi amministratori della società.

Infatti con l'art. 8 tutta la direzione amministrati

va della società va data all'accomandatario Mario Mau

tone: e la cassa e la tenuta dei libri e la firma sociale

e l'acquisto delle materie occorrenti alla fabbricazione del

prodotto e la cura di collocarlo e venderlo e la facoltà

di riscuotere i capitali : in sostanza tutta la gestione so

ciale, che pel codice commerciale (art. 114) spettava ai soci

illimitatamente responsabili, è riconcentrata in uno di

essi. Ma v'ha di più: anche quando i due fittizi acco

mandatari si allontanassero dalla società o si rifiutassero

di eseguire le attribuzioni loro affidate, gli accomandan

ti avrebbero il diritto di continuare la società sotto la

istessa ragione sociale e gli stessi marchi e distintivi, e

sotto la stessa ditta (art. 11 del contratto), perchè a loro

interessa, più di ogni altra cosa, la denominazione della

ditta e del prodotto Fratelli Branca, per concorrere sleal

mente contro la ditta milanese. E così nel caso di morte.

Ma che cosa si lascia a Michele e Gabriele Branca?

A quest'ultimo assolutamente nulla. Al primo spette rebbe un mensile di lire 150. Entrambi poi hanno l'ob

bligo di conferire alla società la loro personale industria

e le cognizioni tecniche, e di adoperare la maggiore di

ligenza nella fabbricazione dei prodotti; e pur dagli atti

risulta che nessun metodo speciale avevano e nessuna

perizia. E un altro elemento importante emerge dall'art.

5 del contratto sociale: mentre in apparenza si lascia

una certa libertà ai Branca di dare ai prodotti quelle forme e denominazioni che credessero opportune, si ag

giunge subito che " per quanto riguarda i marchi e i

segni distintivi dovranno andare di accordo col Mauto

ne „ ch'è il vero e proprio socio gerente. La forza e l'intima struttura della società sono ar

tificiosamente preordinate al fine di creare una ditta ed

un prodotto omonimi alla ditta Branca di Milano e al

suo prodotto. E la prova vera è ribadita da un altro

fatto rilevantissimo: coll'art. 3 del contratto la società

si propose la fabbricazione di vari liquori, cognac, fernet, anici e altri, ma in realtà si è messa a fabbricare e a

spacciare il solo fernet, cioè l'unico liquore col quale po teva raggiungere lo scopo. Onde tutto è con fine arti

ficio preordinato a quello scopo illecito. Ma l'esistenza

del solo elemento subiettivo sarebbe insufficiente, se

non fossero idonei i mezzi adoperati, se cioè o l'elemen

to obiettivo mancasse o fosse insufficiente. E la effica

cia del mezzo deve misurarsi alla stregua del pubblico a cui è diretto.

Occorre tenere presenti i seguenti elementi sostan

ziali : a) la identità dell'elemento o del punto che, nelle

omonimie non completamente perfette, più impressiona e attira l'attenzione dei compratori e li induce all'acqui

sto; b) il genere e la natura della merce; c) la specie della clientela cui la merce è destinata: e) quale sia l'or

dinario e usuale grado di attenzione che i compratori e

i clienti pongono nell'acquisto della merce.

Il primo elemento nella contestazione presente è co

stituito essenzialmente dalla denominazione Fernet Fra

telli Branca; tutto il resto, che completa la denomina

zioneAdel]a ditta e della merce, è indifferente e trascu

rato dalla grande massa dei consumatori. Il secondo

elemento, consistendo in un prodotto comunissimo e di

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B3 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 54

uso quasi generale, non richiede minuziose e accurate

indagini. Il terzo elemento è costituito da una clientela

vasta, da quella che i commercialisti chiamano il gran

de pubblico, la massa della popolazione, e non da una

speciale categoria di persone d'affari ed esperte in sif

fatta industria. L'ultimo elemento si concreta in grado

ordinario di attenzione minima, che si ferma soltanto

alla indicazione di Fernet Fratelli Branca e non va ol

tre, nè si estende ad altre indicazioni accessorie, che

sono assolutamente neglette. E a ragione nella giurisprudenza speciale intorno a

questa materia è universalmente apprezzata una deci

sione del Tribunale federale svizzero in grado di appel

lo dal Tribunale cantonale di Zurigo, che distinse i carat

teri distintivi del nome di una merce destinata a clien

ti tecnici ed esperti, da quelli di un nome di una mer

ce destinata alla grande massa del pubblico, e la merce

da smaltirsi in Europa dalla merce da negoziarsi fuori

l'Europa: se basta anche un'aggiunta accessoria e com

pletiva per la prima, non è sufficiente per la seconda e

molto meno per le merci esportabili all'estero.

L'omonimia nella specie, malgrado le aggiunte acces

sorie, è perfetta e idonea a creare la confusione fra le

due» case produttrici e i due prodotti nella grande massa

del pubblico. E a tutto ciò si aggiunge l'artificiosa pub blicità data dalla ditta concorrente, con cui essa dà

maggior risalto all'omonimia e alla conseguente confu

sione dei prodotti, facendo sempre più scomparire le dif

ferenze, sulle quali non si ferma l'attenzione dei com

pratori. Infatti la forma dell'etichetta è presso che

uguale e quasi identici i caratteri tipografici, e del me

desimo formato le bottiglie.

Il colorito è indifferente, come indifferente è il posto

della firma, essendo queste circostanze tali che non at

tirano l'attenzione dei compratori. La prima parte del

l'etichetta è composta anche di due righi e mezzo di

scrittura; in un altro punto le due etichette finiscono

colle medesime parole: "

caffè, vermouth, ecc.,,. Gli stessi

concetti espressi sono presso che eguali. E negli av

visi inseriti nei giornali italiani ed esteri spiccano sem

pre le parole Fernet Fratelli Branca; le altre indica

zioni di paternità e di luogo riescono pel pubblico asso

lutamente trascurabili.

E gli avvisi pubblicati dopo la sentenza appellata

rendono anche più manifesto l'artificio, perchè si fa cre

dere che il vero genuino fernet sia quello della ditta

concorrente, quasi che gli altri siano contraffazioni: il

che ribadisce l'inganno, che il rinomato prodotto in

commercio diffuso dalla ditta milanese come Fernet Bran

ca non sia altro che quello venduto dalla società concor

rente. È vero che si dice in un punto "

Casa fondata

nel 1903 „ ; ma questa data si trova in un manifesto che

si avvolge, come la stessa ditta di Marigliano afferma, intorno alla bottiglia, manifesto che nessuno si fa a leg

gere e a considerare, e nessuno dei compratori suole

nell'acquisto badare alla indicazione della data di fonda

zione.

E la reclame fatta all'estero è anche più efficace e

più libera da studio di distinzioni, come appare dagli

avvisi inseriti nei giornali degli Stati uniti nord-ame

ricani, come nell'Araldo Italiano di New-York. E al

l'estero le connate circostanze di luogo, di paternità, di

colorito, di tempo, sono completamente inutili, perchè

la grande massa del pubblico più difficilmente potreb

be istituire paragoni e accorgersi che esistono due pro

dotti distinti sotto il nome Fernet Fratelli Branca. Per

essa, al di là di questa denominazione, ogni altra indi

cazione accessoria è del tutto come non esistente.

Ond'è da conchiudere che, data la qualità del pro

dotto, la clientela cui è diretto, l'artificiosa composizio ne dei nomi e della forma di pubblicità, nè in Italia, nè

all'estero, e meno all'estero che in Italia, la grande mas

sa del pubblico suole istituire un esame comparativo dei

due prodotti in commercio sulle esteriori e accessorie

indicazioni che circondano il vero e proprio nome fon

damentale, identico per entrambi. Qui adunque l'omo

nimia raggiunge tutto il suo scopo di confondere le due

case produttrici e i rispettivi prodotti, dando così luogo in favore della ditta più recente a una vera e propria concorrenza sleale.

Ma questa ditta con alcuni documenti tende a pro vare: a) che Michele e Gabriele Branca hanno sempre esercitato il commercio; b) che da molti anni commer

ciarono in liquori e vini in America, istituendo anche

ivi una società pel fernet ; c) che ora lo fabbricano ; d) che

non avevano nè hanno bisogno di cooperazione tecnica;

e) che rifiutarono non oneste proposte da un chimico e

da un viaggiatore della casa Branca di Milano.

Ma tali fatti, in gran parte smentiti da altri elemen

ti acquisiti agli atti, non sono rilevanti nè scuotono la

dimostrata concorrenza sleale per omonimia, giacché, pur

provati, la slealtà della concorrenza resta nè si attenua.

Dati per veri quei fatti, essi non tolgono che l'omoni

mia delle ditte e dei prodotti produca la concorrenza il

lecita. Inoltre la ditta ricorre a uaa prova testimonia

le. Ma questa prova è frustranea. Quanto ai due primi

capitoli articolati, è da osservare che lo scopo della so

cietà rilevasi chiaro non solo dai precedenti tentativi di

Michele Branca con altri soci, e specialmente dagli atti

del giudizio da lui sostenuto con Pasquale Scarpati, e

sarebbe impossibile che i testimoni avessero cognizione

esatta della vera intenzione dei soci : non dovrebbero che

fare induzioni e apprezzamenti, che spettano soltanto al

collegio giudicante. In ogni modo, a prescindere da tutto ciò, i due ca

pitoli sono perfettamente inutili, perchè, dimostrata l'esi

stenza della omonimia pioduttiva di confusione e di scam

bio fra le ditte e i loro prodotti, la concorrenza illecita

sussisterebbe sempre, e la responsabilità della ditta di

Marigliano sarebbe fondata, se non sul dolo, sulla colpa

e sul quasi delitto, sopra un fatto a lei imputabile e

dannoso, che dev'essere rimosso.

E la illiceità della causa del danno starebbe, in qua

lunque caso, appunto sulla obiettiva usurpazione del

credito e della clientela altrui, mediante la confusione

dei nomi. Onde, per quanto grande possa essere la rispet

tabilità dei soci, questa non li salva dalla responsabilità.

Il terzo capitolo è del pari ultroneo : sia pur vero che

autorevoli avvocati abbiano espresso il loro parere nel

senso sostenuto dalla ditta, ciò non toglie nè attenua la

verità delle cose e l'esistenza della campagna di' concor

renza illecita fatta dalla ditta concorrente. Il quarto ca

pitolo è parimenti frustraneo di fronte alla realtà della

concorrenza illecita ; il quinto è recisamente_smentito dal

fatto accertato della concorrenza illecita stessa. Il sesto

capitolo è inutile dopo la dimostrazione, innanzi fatta,

dell'efficacia dell'omonimia e dell' importanza che ■ deve

darsi all'etichetta e alla indicazione della data. ^ I tre

altri capitoli, pur se provati, non influirebbero perennila

sull'esistenza della concorrenza innanzi dimostrata.

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PARTE PRIMA

Nè influirebbe l'ultimo capitolo, perchè, qualunque fosse stata la condotta dei fratelli Branca in commercio,

ciò non esclude che nella specie facessero una concor

renza sleale.

La Corte a questo punto osserva che sia necessario

ordinare le opportune modificazioni alla indicazione della

nuova ditta e al nome del suo prodotto, perchè cessi lo

stato di confusione e di concorrenza illecita. E la Cor

te crede che sia necessario all'uopo accogliere le con

clusioni della ditta attrice, e specialmente che il cogno

me Branca sia preceduto dai prenomi Michele e Gabriele

e seguito dalla indicazione Napoli.

Quanto alle altre forme di concorrenza sleale, che la

ditta milanese fa consistere in molteplici fatti lesivi del

suo credito, la Corte osserva essere superflua ogni altra

indagine, perchè quei fatti, come la stessa attrice am

mette nelle sue lunghe difese, supporrebbero la recisa

distinzione dei prodotti. E la Corte ritiene che la con

correnza nella specie consiste appunto nella studiata con

fusione dei nomi. Se mai la ditta di Marigliano, dopo la distinzione ordinata, si rendesse colpevole di altri fatti

lesivi, cioè adoperasse altri mezzi illeciti di concorrenza, rimarrebbe sempre salva l'azione all'attrice.

In ordine ai danni, la Corte osserva che la ditta at

trice ha dovuto subirne per la confusione dei prodotti, e potranno essere accertati in separata sede, in cui si

potrà discutere se e in quali proporzioni si siano veri

ficati. La ditta di Marigliano chiede un termine per

l'adempimento delle modificazioni che la Corte ordina, ma questo termine prolungherebbe uno stato illegittimo, che deve immediatamente cessare. Sulla estensione dei

danni la Corte osserva che essi devono gravare la so

cietà e in conseguenza i soci a seconda della misura

della responsabilità che hanno assunto nel contratto so

ciale di un'accomandita semplice, salvo, in ogni ceso, la

responsabilità degli accomandanti, se anche i soci acco

mandanti abbiano concorso personalmente nella gestio ne in cui si concreta la concorrenza sleale. (Omissis).

Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI TORINO. Udienza 13 settembre 1905; Pres. Peirani, Est. Vigo;

Bertolotti (Avv. Boro etto) c. Iona e altri (Avv. De

vecchi, Rollino, Raineri, Varese).

fallimento — Concordato — Opposizione — Intervento

del creditori — Formazione del concordato — Ade

sioni — Termine (Cod. comm., art. 835, 836).

Nel giudizio di opposizione al concordato possono inter

venire individualmente i creditori interessati. (1) Il termine stabilito dal giudice delegato per raccogliere

altre adesioni a norma dell'art. 835 cod. comm. non

è prorogabile per alcun motivo. (2)

La Corte, ecc. — Attesoché, sebbene sia un fatto che

nei fallimenti la rappresentanza della massa dei credi

ti) In senso conforme App. Milano 21 giugno 1892 (Foro it., Kep. 1892, voce Fallimento, n. 271); Trib. Brescia 19 luglio 1893 (id., Rep. 1893l stessa voce, n. 253); — in senso contrario Trib. Milano 4 luglio 1903 (i<i!., Etep. 1903, stessa voce, n. 204).

(2) In senso conforme App. Casale 31 dicembre 1891 (Foro

it., 189-, I, 454, con richiami in nota); — in senso contrario App. Palermo 12 genaaio 1891 (id., Rep. 1891, voce Fallimento, n.

203); App. Catania 22 dicembre 1902 [id., Eep. 1903, stessa voce, n. 189).

tori risiede nel curatore, pure l'individuale capacità giu

ridica dei creditori stessi non ne viene per questo me

nomata. Comunque, nella presente causa è stato con

acquiescenza di tutti gli interessati ammesso dalla sen

tenza appellata che possono i creditori individualmente

intervenire per prendervi quelle conclusioni che fossero

di loro diritto circa all' istanza da altri spiegata per ot

tener riconosciuta la nullità del concordato. Non sareb

be quindi equo l'usar ora diverso trattamento ai sovra

nominativamente indicati clienti del procuratore Varese

Angelo sol perchè intervenuti soltanto in appello, se, co

me verificasi nella specie, i loro stessi avversari si sono

pienamente rimessi a quanto la Corte avrebbe al riguardo

reputato opportuno di disporre. Tanto più che in pro

posito l'art. 491 cod. proc. civ. non commina invalidità

o nullità di sorta e, d'altra parte, detti intervenuti in fon

do non fecero che asteggiarsi a che, circa ai loro cre

diti, non sia disposto diversamente da quello che col sud

detto concordato hanno con diritto consentito.

Che il presente giudizio d'opposizione a concordato

venne iniziato con citazioni del 26 e 27 marzo 1905, nelle

quali trovasi specificatamente designato che l'opposizione stessa veniva sollevata a norma dell'art. 836 cod. comm.

ed appoggiata a che il suddetto concordato era stato fetto

fuori termine al seguito di un illegale calcolo delle mag

gioranze di cui all'art. 883, perchè si era tenuto conto

dei voti di persone che non avevano facoltà di votare e

con una formula atta a menomare i diritti dellt mino

ranza. Inoltre nelle citazioni stesse veniva espresso in

modo specifico che in base a tali motivi si intendeva e

domandava in contraddittorio del curatore e dei falliti

regolarmente citati che fosse dichiarato nullo il concor

dato medesimo. Non si può quindi aver dubbio che la

suddetta opposizione ò stata attivata in piena consonanza

col citato art. 836 cod. comm. e coll'art. 145 cod. proc. civile.

Che in merito è ovvio il rilievo che l'istituto del con

cordato è rivolto al maggior vantaggio del commercio, e che in tale fine trova la sua ragione giuridica il di

sposto per cui, date determinate contingenze, i creditori

in minoranza vengono, in infrazione dei loro diritti cre

ditori, assoggettati ai deliberati della maggioranza. Ora innegabilmente detto vantaggio non si raggiun

gerebbe, anzi l'istituto del concordato si tramuterebbe in

pericolo ed anche in danno, se fosse lecita l'arbitraria

inosservanza delle modalità e dei termini dalla legge stabiliti per disciplinarlo con equo contemperamento ai

punto dei diritti dei creditori in minoranza cogli inte ressi del commercio in genere.

Detti modi e termini hanno per funzione di evitare

che si possa con arbitrarie dilazioni trascinare per lungo

periodo di incertezza la sorte dei creditori e della fallita, nonché di togliere assolutamente la possibilità di sopraf fazioni o di viete combinazioni in danno della minoranza

dei creditori e di chicchessia. Rigorosa quindi deve esi

gersene l'osservanza, nò ammettersene l'estensione oltre

a quanto l'espressione della legge strettamente consenta.

Che da ciò desumendo criteri d'interpretazione degli

art. 833 e segg. cod. .comm., è a rilevarsi che, nonostante

tutto il favore della legge pel concordato, pure, allorquan do questo non sia stato consentito da tutti quanti i cre

ditori, essa legge vuole che sia il giudice a fissare e pre siedere un'adunanza dei creditori, onde mettere in grado

gli interessati di raccogliere possibilmente le maggioranze necessarie alla validità del concordatole se questa mag

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