Udienza 28 gennaio 1878, Pres. Miraglia P. P., Est. Massari, P. M. Sannia (Concl. unif.) —Finanzec. principe di LampedusaSource: Il Foro Italiano, Vol. 3, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1878), pp. 195/196-197/198Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23085751 .
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195 PARTE PRIMA 196
pugnare di simulazione la detta cessione. Ma questo interesse non le fu mai in giudizio contestato.
Nel motivare poi la simulazione la Corte fu corret
tissima. Ricercò la causa di simulazione, e con giudizio
incensurabile dichiarò che esisteva. E sopra un cumulo
di presunzioni si convinse con giudizio parimenti in
censurabile che la simulazione fu compiuta.
Né poi è esatto che la Corte non abbia tenuto conto
di tutte quelle allegazioni che potevano influire sulla
formazione del suo convincimento intorno alla verità
o simulazione della cessione, e specialmente della chia
mata della Banca nel giudizio pretoriale che si agitava
fra il Petrucci e il Veggiani, giacché nella sentenza
impugnata questa circostanza è esaminata e per so
prappiù giudicata come un artifizio. Così pure vi è
esaminato l'atto di precetto di pagamento intimato dal
Veggiani al Petrucci, e vi è detto mancar la prova
sulla sua effettiva esecuzione. E finalmente su queste
ed altre circostanze osserva giustamente che l'originario
vizio di simulazione non può mai essere sanato da fatti
ulteriori.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 28 gennaio 1878, Pres. Miraglia P. P., Est.
Massari, P. M. Sannia (Conci, unif.) — Finanze c.
principe di Lampedusa.
Fonilo pel culto — Esecuzione — Privllpjfi fiscali
(Art 21, leg. 15 agosto 1867).
L'amministrazione del fondo per il culto è autoriz
zata a valersi dei privilegi fiscali per la riscossione
de'suoi crediti. (1) Epperó è valida la ingiunzione di pagamento fatta
al debitore moroso, benché non sorretta da un ti
tolo esecutivo. (2)
La Corte, ecc. — Ritenuto che il ricevitore del re
gistro in Palermo fece nel dì 6 marzo 1868 ingiunzione
al principe di Lampedusa, don Giulio Maria Tommasi,
di pagare lire 123 90 per arretrati di canoni a tutto
il 15 agosto 1867, dovuti sopra alcune case al soppresso
monastero della Concezione, come da rogito Mottola
29 aprile 1731, portante una concessione enfiteutica
latta dal detto monastero a Maria Roano-Pallastra, a
cui il nominato principe era succeduto.
Ritenuto che questi fece atto di opposizione soste
nendo che il rogito, a cui appoggiava la ingiunzione,
non portando a di lui carico una obbligazione diretta
al pagamento del preteso canone, non aveva alcuna
efficacia pel fine di costringerlo coattivamente a quel
pagamento.
Ritenuto che il ricevitore, a meglio sorreggere la
fatta ingiunzione, produsse: 1" il certificato da cui ri
sultava che il principe di Lampedusa fino dal 1816 aveva
dichiarato al catasto che le case già date in enfiteusi
dal monastero a Maria Roano-Pallastra facevano parte
del suo patrimonio ; 2° un'apoca del 1865, portante il
pagamento del canone enfiteutico fatto da esso prin
cipe al monastero pel pagamento di esso canone.
Ritenuto che tanto il Pretore, con sentenza 14 luglio
1868, che il Tribunale, con sentenza 19 febbraio 1869,
accolsero l'opposizione del principe Lampedusa pel mo
tivo che la ingiunzione non essendo sorretta da un ti
tolo esecutivo, a termini dell'art. 26 del decreto 18
; ottobre 1817, ancora in vigore nelle provincie meri
dionali, e dell'art. 553 del Cod. di proc. civ., . doveva
dichiararsi nulla e di niun effetto.
Attesoché, raffrontando alla riferita fattispecie i prin
cipi regolatori della materia, è evidente l'errore in cui
caddero i primi giudici nel ricusare il suffragio della
giustizia all' ingiunzione fatta dal Demanio al principe
di Lampedusa pel pagamento del canone di cui è di
sputa. — Essi giudici misurarono il procedimento ese
cutivo per parte del Demanio contro i debitori morosi
per canoni e tributi, alla stregua del procedimento ese
cutivo di un privato contro altro privato, che a senso
dell'art. 553 della proc. civ. non può aver luogo che
in virtù di un titolo esecutivo. Essi pretermisero la
disposizione dell'art. 555 successivo, per la quale è in
segnato, che la regola posta nell'art. 553 deve osser
varsi — salvo i casi in cui la legge stabilisca diver
samente.
Attesoché, stante questa riserva, non potevasi pre scindere dall'esaminare se per avventura la esecuzione
di cui è parola cadesse tra quelle per le quali non è
richiesto un titolo spedito in forma esecutiva.
Attesoché a togliere ogni dubbio in proposito sta
l'art. 21 della legge 15 agosto 1867, pel quale è testual
mente sancito che « la riscossione dei crediti dell'am
ministrazione del fondo pel culto (rappresentata dal
Demanio dello Stato) si farà coi privilegi fiscali deter
minati dalle leggi per la riscossione delle imposte ».
A fronte di sì chiara disposizione non può esitarsi a
ritenere che il legislatore, nell'intendimento che il fondo
pel culto potesse aver pronti mezzi necessari a com
piere le esigenze del suo ufficio, intese di svincolarlo
dalle norme comuni di procedimento contro i debitori
morosi per canoni od altre prestazioni, non altrimenti
che il Demanio per l'esazione delle imposte occorrenti
ai bisogni dello Stato, per la quale bastano i ruoli in
cui le imposte vengono annotate.
Attesoché non può dirsi che un siffatto privilegio
accordato all'amministrazione del fondo pel culto of
fenda la giustizia; poiché quando la legge è chiara e
positiva, il giudice deve applicarla senza levarsi mo
deratore della medesima — dura sed scripta lex. —
Oltreché ogni ingiustizia può essere impedita dal mo
(1-2) Conforme Cass, di Napoli, 18 maggio 1872 {Mon. trib., Milano, 1874, p. 353); Contr. A. Venezia, 29 dicembre 1873 (Finanze c. Rizzi, Pres. Combi, Est. Bertolini, Mori, trib., Milano, 1874, 353).
La Cassazione di Palermo, con sentenza 30 novembre 1875 (Foro
it., 1876, I, 298), decise che il procedimento privilegiato- concesso al
fondo pel culto dall'art. 21 della legge 15 agosto 1867 è quello accor
dato dalla legge al fisco per l'esazione delle imposte dirette e non
già quello delle tasse di registro. Intorno ai limiti di questo privilegio vedi la sentenza 28 febbraio
1878 della stessa Corte suprema (Foro it., 1878, I).
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197 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 198
mento che il debitore ingiunto può, mediante opposi
zione alla ingiunzione, impugnare' la sussistenza del
eredito pel pagamento del quale contro di lui si pro
cede.
Attesoché invano tanto il Pretore che il Tribunale
invocarono a sostegno della loro pronuncia l'art. 26
della legge napoletana 18 ottobre 1817; poiché, am
messa pure l'attendibilità di quella disposizione, è certo
che per essa è soltanto fatto obbligo al percettore delle
imposte di indicare nell'atto di coazione l'oggetto, la
data e la natura del titolo per cui procede; e questa
formalità fu nella specie adempiuta. Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA. Udienza 16 dicembre 1877, Pres. Auriti, Est. Pacifici
Mazzoni, P.M. De Falco (Conci, unif.) - Basili c. Pileri.
Ipoteca giudiziale — Sentenza di condanna al ren
diconto (Cod. civ., art. 1970).
La sentenza che condanna un amministratore al ren
dimento dei conti non produce ipoteca giudiziale. (1)
La Corte, ecc. — Richiamate le opposizioni che do
vette vincere l'ipoteca giudiziaria per conservare il
suo posto nel nostro diritto, e confrontato il testo della
legge patria che le dà potenzialmente vita, coi corri
spondenti del Codice Napoleone, e dei nostrani ante
riori, si è certi che essa è stata ridotta in quegli stretti
limiti che la dottrina da lunga mano veniva segnando, e la giurisprudenza talvolta con immane sforzo volle
rispettati. Quindi l'autorità dei precedenti, sempre ri
spettabile, inopportunamente e senza effetto sarebbe
invocata in questo nostro diritto ipotecario parzial mente nuovo.
Il testo della nostra legge, che è l'articolo 1970 con
siderato nel suo complesso, non concede l'ipoteca giu diziaria che per le obbligazioni di quantità originaria
mente tali, o che in cosi fatte possono risolversi, le
quali abbiano certa, attuale esistenza; dappoiché alla
soddisfazione di esse soltanto ogni sentenza che ha ca
rattere meramente dichiarativo, può condannare il de
bitore.
Al lume di questo principio si scorge agevolmente
come la sentenza che condanna un amministratore al
rendimento dei conti non produca ipoteca giudiziale.
Ed invero la sentenza anzidetta, considerata nel suo
obbietto diretto, immediato, non mette punto in essere
un debito a carico dell'amministratore; il quale anzi
dal rendimento di conto può risultare creditore. Ma se
finché il conto non sia reso ed approvato, è persino
incerto, non ostante quella sentenza, se esista un'ob
bligazione dell'amministratore verso l'amministrato, è
manifesto che alla ipoteca, diritto accessorio, manca
od è ignoto il principale che le sia titolo e ragione
dell'esser suo; poiché non vuoisi confondere un credito
eventuale, pur sempre esistente, con un credito del
quale è attualmente incerta la stessa esistenza; nè
vuoisi dimenticare che dalla concessione privilegiata
dell'ipoteca legale fatta ai minori e agli interdetti dal
l'art. 1969, 3, non può argomentarsi a favore di altri
per l'ammessione dell'ipoteca giudiziaria.
Che se poi all'analisi dell'art. 1970 si discenda, l'i
nefficacia della sentenza medesima a produrre ipoteca
vieppiù diviene evidente e certa. Essa infatti non con
danna al pagamento di una somma, nè alla consegna
di cose mobili, poiché non è neppure a dire che sotto
questa espressione l'art. 1970 non intende di nominare
nè il conto, nè i documenti giustificativi delle singole
partite che lo compongono; vnol dire certamente pro
pria e vera obbligazione di cosa mobile, che può risol
versi nel risarcimento dei danni, che ne comprenderà
anche il valore, perchè il creditore può essere impe
dito da molteplici cagioni, e anche dal possesso di essa
avuto infrattanto da un terzo in buona fede, di otte
nerne l'esatto adempimento; tanto è ciò vero che il
testo nomina subito dopo un' altra obbligazione la quale
possa risolversi nel risarcimento dei danni. D'altra
parte l'ipoteca è diritto che al creditore non può pro
curare altro che danaro.
Ma tale sentenza non condanna neppure all'adempi
mento di una obbligazione la quale possa risolversi
nel risarcimento dei danni. Devesi innanzi tutto fer
mare il concetto della obbligazione che possa risolversi
nel risarcimento dei danni. Essa è quella al cui preciso
obbietto può essere surrogata una somma che rappre
senti l'interesse del creditore ad avere quello. Le ob
bligazioni quindi che non ammettono questa surroga
zione, non sono comprese nell'art. 1970, sebbene il loro
inadempimento o la loro ritardata esecuzione possano
dare luogo a risarcimento di danni a favore del cre
ditore, e che perciò si aggiunge alla prestazione che
forma il contenuto preciso dell'obbligazione, e conse
guibile dal creditore con diversi mezzi. Or solo che si
consideri l'ufficio o l'obbietto del rendimento dei conti
si fa palese che l'obbligazione di render conto alla se
conda, e non alla prima specie appartiene. Il rendi
mento dei conti è lo stato e la prova del dare ed avere
dell'amministratore in confronto al suo amministrato;
solamente è atto obbligatorio pel primo, dipendente
mente dall'amministrazione tenuta non libera, ma sub
ordinata a norme giuridiche. E quindi il mancato ren
dimento dei conti apre l'adito per l'amministrato alla
domanda di essere ammesso a determinare anche con
giuramento la somma che dall'amministratore gli sia
dovuta (art. 326 Cod. proc. civ.). Questa somma dunque
sarà il contenuto, il preciso obbietto del diritto credi
torio dell'amministrato, come residuo attivo dell'am
ministrazione, e non mai il risarcimento del danno, in
cui l'obbligazione del conto siasi risoluta, o il rappre
sentativo dell'interesse che l'amministrato avesse al
(I) Con la sentenza che pubblichiamo, la Corte suprema di Roma
ha stabilito una massima contraria a quella ritenuta dalla Cassa
zione napoletana con la, decisione 4 settembre 1876 riferita nel Foro
Italiano (1877, I, 86) e criticata dal nostro coli. avv. Roselli. Vedi
pure in senso conforme al presente giudicato della Corte di Roma la
sentenza 11 marzo 1876 della Corte di Torino e quella 13 giugno ÌSW
della Corte di Casale (Giurispr. di Torino XIII, 375 e X, 554).
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