Udienza 28 luglio 1906; Pres. Cardona P. P., Est. Palladini; D'Andrassi e Morville (Avv. Pascale)c. Aldobrandini (Avv. Lupacchioli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 31, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1906), pp. 1331/1332-1337/1338Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23111559 .
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1331 PARTE PRIMA 1332
ca amministrazione ; potrà forse dar diritto all'altra parte di chiedere la risoluzione della convenzione di riscatto e
il risarcimento dei danni, ma non renderà mai inefficace
quella convenzione, essendo stata essa validamente sti
pulata dal Governo nella pienezza delle sue attribuzioni,
nò porrà nel nulla i diritti e le obbligazioni che ne de
rivano.
Se il Governo non si fosse limitato a far sic et sim
pliciter la dichiarazione di riscatto, ma avesse proceduto
congiuntamente al riscatto ed alla liquidazione dell'in
dennità mediante una convenzione contenente modifica
zioni o deroghe alle norme stabilite per tale liquidazione, allora indubbiamente sarebbe occorsa, per la validità di
simile convenzione, l'approvazione del Parlamento, non
avendo il Governo facoltà di conchiuderla da solo.
Ed allora soltanto sarebbe potuta sorgere la questio ne se il rigetto di tale convenzione da parte del Parla
mento lasciasse o no fermo il riscatto ; questione che an
drebbe evidentemente risoluta in base ad un'indagine di
fatto, all'indagine, cioè, se il Governo avesse o no su
bordinato la sua dichiarazione di riscatto alla condizione
dell'adozione di nuove norme per la determinazione del
l'indennità, o, in altri termini, se vi fosse ragione per
ritenere che il Ministro non avrebbe consentito al ri
scatto, qualora il concessionario non avesse accondisceso
a modificare le norme di liquidazione stabilite nella legge
e nel contratto di concessione.
Che deve pertanto da un lato respingersi l'appello
principale, e dall'altro accogliersi per quanto di ragione
l'appello incidente ; e ciò perchè, ritenuta perfetta la con
venzione di riscatto in virtù dell' incontro dei due con
sensi avvenuto al momento della notificazione dell'atto
di diffida del 27 ottobre e 2 novembre 1903, il Tribu nale non avrebbe dovuto arrestarsi, come fece con mani
festa contradizione, a pronunziare gli effetti giuridici della convenzione stessa nei rapporti dello Stato, cioè :
a) l'obbligo nel Governo di prendersi in consegna la linea, già tornata, fin dal 1° gennaio 1905, in pro
prietà dello Stato;
b) la nomina di un perito contabile per procedere in base ai conti consuntivi degli ultimi sette anni di
esercizio alla determinazione dell'annualità dovuta alla
Società ; c) la dichiarazione dell'obbligo del Governo di as
sumere le conseguenze dell'esercizio dal 1° gennaio 1905, non avendo le Società potuto continuarlo se non per conto
ed a spese dello Stato, dal momento che da quel giorno la linea non era più sua e mancava qualsiasi contratto
che riguardasse esclusivamente l'esercizio ;
d) la dichiarazione dell'obbligo dello Stato di rile
vare gli oggetti mobili e le provviste riconosciute servi
bili all'esercizio e alla manutenzione della strada a prezzo risultante da stima fissata d'accordo, e, in caso di dis
senso, determinata a giudizio d'arbitri.
Il Tribunale credette di non potere emettere tali di
sposizioni per la ragione che la liquidazione dell'inden
nità e del prezzo dei materiali deve formare obietto, nei
suoi risultati, dell'esame del potere legislativo, senza ri
flettere che, compiutosi validamente il riscatto per opera esclusiva del Governo, i diritti e le obbligazioni che ne
derivano (quali appunto l'obbligazione dello Stato di
prendere in consegna la linea, il materiale mobile e le
provviste, e di pagare i relativi compensi, da determi
narsi secondo le norme stabilite) sono diritti ed obbli
ghi giuridicamente perfetti, a cui nulla può togliere e
nulla aggiungere l'esame dei risultati del riscatto da
parte del Parlamento.
Il Parlamento dovrà intervenire soltanto per lo stan
ziamento dei fondi necessari all'adempimento delle ob
bligazioni derivanti dal riscatto allo Stato : ma non per
chè questo stanziamento venga eventualmente rifiutato,
quelle obbligazioni ed i correlativi diritti dell'altra parte
cadranno nel nulla. Solo, come già si è detto, una legge
vera e propria, votata dalla Camera e dal Senato e san
zionata dal Re, potrebbe, data l'onnipotenza del potere
legislativo nella nostra Costituzione, sopprimere un di
ritto perfetto e negare per esso qualsiasi indennizzo.
{Omissis). Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI ROMA, Udienza 28 luglio 1906 ; Pres. Cardona P. P., Est. Pal-
*
ladini; D'Andrassi e Morville (Avv. Pascale) c.al dobrandini (Avv. Lupacchioli).
Tesoro — Oggetto artistico -—■ Scoperta — Concetto
giuridico (Cod. civ., art. 714).
Così per diritto romano e per gli editti pontifici Doria e
Pacca, come pel codice civile vigente, l'atto materiale
di scorgere un oggetto artistico non visto precedente mente da altri, quando però tutti erano nella possibi lità di vederlo, non equivale alla scoperta, la quale richiede sempre l'esplicazione di un'attività qualsiasi
che sveli qualche cosa prima non conosciuta. (1)
Quindi non scopre il tesoro ai sensi e per gli effetti di
legge chi occasionalmente assiste al suo scoprimento,
avvenuto per la violenza delle onde del mare, frangen tisi contro il luogo che lo nascondeva.
La Corte, ecc. — Il regio ispettore degli scavi in An
zio con lettera del 30 dicembre 1887 partecipava al sin
daco di Anzio : che il mare battendo in breccia stilla riva
di ponente aveva scoperto una statua di cui il pescatore Antonio Morville aveva potuto prendere la testa ; che da
visita da lui fatta aveva potuto rilevare che la statua
aveva piegato e ceduto entro la propria nicchia su di un
lato. In pari tempo invitava il sindaco, a tutela dei di
ritti dell'arte e del privato sul cui terreno la detta sta
tua fosse stata trovata, a farla sequestrare, e provvedere
perchè nessuno avesse potuto deturpare l'opera d'arte fino
a che non fossero giunte disposizioni dal Ministero della
pubblica istruzione.
Il sindaco, in qualità di ufficiale di p. a., provvide all' immediato sequestro sia della testa presa dal Morville,
che del tronco rimasto sul luogo ove fu rinvenuta la
statua, e quindi, in base agli ordini impartiti dal Mini
stero, dispose che la medesima fosse trasportata a Roma.
Il Ministero la ritenne presso di sè per qualche tempo, fino a che nel giorno 13 marzo 1888 ne fece consegna alla principessa Francesca Aldobrandini, essendosi accer
tato, dietro i reclami della stessa, che il luogo dove era
posta la statua, apparteneva in proprietà alla casa Aldo
brandini.
Dopo parecchi anni, e propriamente con atti del 23, 24 e 25 giugno 1903, Santarella d'Andrassi vedova del
su nominato Antonio Morville, tanto in nome proprio che
(1) Non conosciamo precisi precedenti sulla questione spe cifica. In tema di tesoro veggasi da ultimo App. Firenze 23 marzo 1901 (Foro it., 1901, I, 1236) ed i richiami in nota.
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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE
in rappresentanza della figlia minore Caterina Morville, nonché Ascanio, Germano e Maria Grazia Morville, in
qualità di eredi dello Antonio, traevano innanzi al Tri
bunale di Roma la detta Francesca ed altri Aldobrandini
esponendo :
Ohe sulla fine del 1887 lo Antonio Morville ed il figlio Ascanio rinvennero la statua muliebre marmorea, di cui
sopra è parola, in Anzio, tra i ruderi della villa impe riale di Nerone, presso il lido del mare, a circa trenta
metri dal faro, in cui giaceva sotterra ; che tale statua
si scopri per solo caso fortuito, e che, sebbene per gli
spostamenti subiti abbia il capo separato, nondimeno era, ed è tuttora, di grandissimo pregio, e costituiva giuri dicamente un tesoro ; che i Morville s'impossessarono della testa di siffatta statua, che poi furono costretti a
consegnare al Municipio ; che la statua è tuttora posse duta dalla vedova ed eredi del principe Pietro Aldo
brandini.
E, ciò premesso, chiedevano che il Tribunale dichia
rasse che la proprietà della indicata statua spetta per metà agli scopritori Ascanio ed Antonio Morville, e per
quest'ultimo, ai singoli suoi eredi e figli, attribuendola
ai medesimi a forma di legge. I convenuti dedussero : che i Morville non avevano
scoperto nulla ; che nella notte dal 28 al 29 dicembre
1887 si scatenò una furiosa tempesta in quella località
e la violenza delle onde produsse il franamento di una
parte dei ruderi della villa di Nerone, i quali, precipitando
nel mare, lasciarono allo scoperto dietro di loro parte di
una sala con nicchia, entro una delle quali si trovava
una statua di marmo : la tempesta smosse la statua da
secoli ferma nella sua nicchia, la fece piegare sopra un
lato, ciò che produsse la rottura della testa, la quale cadde
verso il mare; che i Morville, pescatori, nella mattina suc
cessiva, calmata la burrasca, passando con la loro barca
peschereccia rasente le rovine, videro la statua, e senza
far motto ad alcuno, si appropriarono la testa per farne
commercio. Mancando quindi la denuncia, essi non pos
sono provare di essere stati i primi a vedere, anzi a sco
prire la statua.
Ammesso che fossero stati i primi a vedere la statua,
non potrebbero giovarsi delle disposizioni di legge che
invocano a loro favore, perchè in virtù degli editti Do
ria e Pacca, allora in vigore, gl' inventori che non de
nunciano l'oggetto scoperto perdono ogni diritto su di esso.
La statua, messa in evidenza dalla mareggiata, non
è un tesoro di cui la metà possa spettare all' inventore.
Infatti, prescindendo dal valore pressoché nullo delle
statue di decorazione, quella in questione, appunto per
chè statua di decorazione in una nicchia aperta nella
parete di una sala, è un immobile per destinazione : ciò
esclude il concetto del tesoro, sia per diritto romano che
pel codice italiano ; che inoltre essa aveva un proprieta rio legittimo e ben determinato, cioè il proprietario del
fondo e degli avanzi della villa neroniana ; il che im
portava, sotto un altro aspetto, l'esclusione del concetto
del tesoro ; che non valesse il dire che il colpo di mare
aveva reso mobile l'immobile per destinazione, perchè manca l'atto volontario del proprietario, che può solo li
berare dalla immobilizzazione.
La narrazione dei fatti contenuta in citazione, la sco
perta, cioè, della statua nell'arena da cui era ricoperta, è smentita dai documenti stessi degli attori, giacché da
essi risulta nel modo più evidente che la statua fu messa
allo scoperto dal mare.
I convenuti quindi conchiusero perchè la domanda
fosse rigettata. Gli attori alla loro volta chiesero di essere ammessi
a provare con testimoni i fatti dedotti nella loro com
parsa. II Tribunale, con sentenza del 9 maggio 1904, senza
attendere le eccezioni dei convenuti, ammise la prova te
stimoniale sui cinque capitoli all'uopo formulati dagli attori.
Avverso tale pronunziato produssero appello i conve
nuti Aldobrandini con atto del 27 aprile 1906 pei motivi
nel medesimo dedotti e che qui in seguito saranno esa
minati. Attesoché nell'atto istitutivo del giudizio i Morville,
a coonestare l'azione da essi intentata, si esprimono nei
seguenti termini : " Ritenuto che non si è dato agli sco
pritori della statua signori Morville la metà del tesoro, come è prescritto dal codice civile vigente, e tornò inutile
qualsivoglia richiesta .. . „. Con la prima comparsa del
23 novembre 1903 gli attori reclamano l'applicazione del
l'art. 714 detto codice, di cui trascrivono il tenore. Con
la comparsa aggiunta del 7 marzo 1904, diretta special mente a confutare le ragioni della difesa dei convenuti, deducono : " Che l'eccezione di carenza di azione elevata
da costoro è inattendibile, mentre l'azione istessa ha un
triplice fondamento. Lo ha nel diritto romano, poiché secondo le Istituzioni lib. II, de rer. divis., il dominio del
tesoro si attribuisce metà all' inventore, metà al proprie tario del fondo ; lo ha secondo il codice civile vigente, e già pubblicato all'epoca della scoperta del tesoro, ossia
della statua, poiché nell'art. 714 è prescritta una dispo sizione perfettamente identica ; lo ha infine per gli editti
Pacca e Doria, che la parte avversa predilige, poiché for
malmente nell'art. 50 del menzionato editto Pacca si legge in ordine allo scoprimento di oggetti di antichità : " Nel caso fortuito l'inventore dovrà avere la metà del ritro
vato, cedendo l'altra metà a vantaggio del proprietario del fondo „.
E dopo ciò conchiudono : " Per legge adunque com
pete ai Morville la proprietà del trovato,,.
Attesoché, per tal modo, risulta fino all'evidenza che, ad avviso degli attori, la legge che doveva regolare i loro
diritti nei rapporti cogli Aldobrandini era il codice ci vile. Se nella comparsa aggiunta accennano all'editto
Pacca, lo fanno solo in risposta alla parte avversa che
tale editto invocava, ma soggiungono che questo non re
gola diversamente dal codice civile i diritti dell'inventore
del tesoro.
Attesoché, d'altra parte, se i convenuti richiamarono
gli editti Doria e Pacca, ciò fecero unicamente in soste
gno della loro eccezione pregiudiziale di carenza di azione
per la mancata denuncia della scoperta di cui i Morville
si dicevano autori. Infatti essi assumevano che si fosse
violato dai Morville l'art. 13 dell'editto Doria, cui si ri
porta l'editto Pacca, editti che continuarono ad aver vi
gore anche dopo il 1871, per quanto concerne l'obbligo della denuncia. Ma i convenuti non invocarono altresì i
mentovati editti per quanto riguardava i diritti privati sugli oggetti scoperti : ciò è sì vero, che la loro difesa in
merito fu svolta appunto sulle disposizioni del codice ci
vile relative al tesoro, disposizioni, che, come si è visto, anche gli attori avevano posto a fondamento della loro
domanda fin dall'atto introduttivo della lite.
Attesoché, dopo ciò, non è agevole comprendere come
e perchè i primi giudici, prendendo occasione dalla de
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1335 PARTE PRIMA 1336
duzione dei convenuti circa gli editti pontifici, fatta al limitato scopo della loro eccezione pregiudiziale, e senza
por mente che l'applicazione del codice civile nella sog
getta materia era reclamata da entrambe le parti, si pro
pongano fin da principio di decidere la controversia po nendo quasi da banda il detto codice, ed esclusivamente
in base alle disposizioni degli editti, sul non adeguato
concetto che questi regolassero diversamente i diritti
privati sugli oggetti scoperti. Però, a dimostrare che essi non ben si apponevano,
giova trascrivere integralmente tali disposizioni. L'art. 47 dell'editto Pacca è così concepito: "
Coloro che scopriranno per caso gli oggetti d'arte e
di antichità non potranno distrarli, e saranno sottoposti
alle presenti disposizioni e a quelle ordinate dal chiro
grafo sovrano del 1° ottobre 1802. „
Art. 48. "
In pari modo lo saranno quelli che trovano
antichità facendo scassati, fondamenti od altro, ed in
particolar guisa i cavatori di pozzolana ed i lavoratori
delle pubbliche strade „. Art. 50. " Nel caso fortuito l'inventore dovrà avere
la metà del ritrovato, cedendo l'altra a vantaggio del pa
drone del fondo. " L'inventore salariato o giornaliero trova pel suo
padrone. L'inventore che non adempie alle presenti di
sposizioni perde ogni diritto Ora non può cadere dubbio che queste e le altre di
sposizioni degli editti sono coordinate ad un fine d'in
teresse pubblico ed altamente civile, quale è la tutela e
conservazione delle opere d'arte antica che formano vanto
e decoro di questa classica terra, che Eugenio Muntz
(.Ilistoire de l'art pendant la Renaissance, Paris, Hachette,
1890) chiama: " madre comune di ogni uomo pensante „. Esse però non potevano, e, nel fatto, non derogarono ai
principi di diritto privato tramandati dalla sapienza ro
mana, e rimasti pressoché invariati, relativamente allo
acquisto del tesoro per mezzo della occupazione. Basta
metterle in confronto col citato art. 714 cod. civ., che
cosi suona : " Il tesoro appartiene al proprietario del
fondo in cui si trova. Se il tesoro è trovato nel fondo
altrui, purché sia stato scoperto per solo effetto del caso,
spetta per metà al proprietario del fondo ove fu trovato
e per metà al ritrovatore. Tesoro è qualunque oggetto che sia nascosto o sotterrato, e del quale nessuno possa
provare di essere padrone „. Ora è a por mente che il testo degli editti non pre
scinde dal concetto della scoperta : coloro che scopriranno
per caso, dice l'art. 47 : con questo va messo in correla
zione il successivo art. 50, il quale, se parla del ritrovato, non può riferirsi che al ritrovato in seguito a scoperta.
L'atto materiale di vedere soltanto un oggetto non visto
precedentemente da altri, quando però tutti erano nella
possibilità di vederlo, non può legalmente equivalere alla
scoperta. Questa consiste nel disvelare qualche cosa che
la comune degli uomini non avrebbe potuto altrimenti
conoscere. Lo dimostra in modo evidente l'art. 48 dello
editto Pacca nella ipotesi che fa di oggetti che si rin
vengono eseguendo scassati, fondamenti od altro, e che
poggia sopra un duplice presupposto : che gli oggetti di
arte e di antichità siano collocati al coperto nel suolo e
non alla vista di tutti, e che vengano alla luce compien dosi dall'inventore un qualche lavoro. Adunque, se non
esplicitamente, questa disposizione dell'editto implicita mente esige che l'oggetto d'arte e di antichità sia na
scosto.
L'art. 50 poi non fa che disciplinare specificamente il diritto dell' inventore di oggetti d'arte e di antichità, e stabilisce la stessa proporzione rimunerativa della metàj di cui al codice civile. E una disposizione pressoché su
perflua, ma non del tutto inutile, poiché in tal guisa viene
rimossa qualsiasi dubbiezza, se agli oggetti d'arte e di
antichità, qualunque essi fossero, e di cui non parla il
codice civile, si dovesse applicare la nozione generica del
tesoro in ordine ai diritti dell'inventore. Ma il concetto
della inventio thesauri, tanto per gli editti pontifici, che
pel codice civile, è sempre quello del diritto classico. " Thesauros quos quis in loco suo invenerit, divus Ha
drianus, naturalem aequitatem sequutus, et concessit qui eos invenerit. Idernque statuit, si quis in sacro aut reli
gioso loco fortuito casu invenerit. At si quis in alieno
loco, non data ad hoc opera, sed fortuitu, invenerit, di
midium domino soli concessit et dimidium inventori
(§ 3, Inst., de rer. divis.). E chiaro che con le espressioni
non data ad hoc opera si è inteso escludere soltanto il
lavoro diretto alla ricerca del tesoro, ma non si è dero
gato al concetto dello scoprimento, della esplicazione di
un'attività qualsiasi da parte dell' inventore : questi, an
che non compiendo un lavoro assolutamente materiale,
deve però disvelare qualche cosa che prima non era co
nosciuta, perchè non alla vista di tutti, o nella possibi
lità di essere da tutti veduta ; in breve, era nascosta.
L'idea dello scoprimento, che, come si è detto, non
va confusa con quella del vedere per caso una cosa che
da tutti poteva esser veduta, è confermata dalla legge unica
Cod., de thes., di cui però gli appellati citano solo l'ul
tima parte, cioè : "... Quod si forte, vel arando vel alias
terram alienam colendo, vel quocumque casu, non studio
perscrutandi in alienis locis, thesaurum invenerit ; id quod
repertum fuerit, dimidia retenta, altera dimidia data, cum
locorum domino partiatur „.
Ma per la retta interpretazione occorre porre in re
lazione questo brano con quanto viene dichiarato prece
dentemente dall' Imperatore Leone : "
... In suis quidern
locis unicuique... thesaurum, id est condita ab ignotis
dominis tempore vetustiori mobilia (nel Ood. Teodo
siano monilia) quaerere, et invento uti liberam tribui
mus facultatem ; ne ulterius Dei beneficium invidiosa
calumnia persequatur ... In alienis vere terrulis nemo
audeat invitti dominis opes abditas suo nomine perscru
tai . .. Quod si ferte vel arando etc. „ (segue l'ultima
parte testé trascritta).
Adunque nelle diverse ipotesi che si fanno nella Co
stituzione di rinvenimento del tesoro, sia nel proprio,
che nell'altrui fondo, permane sempre il concetto che il
tesoro, di cui si dà la definizione riprodotta presso a poco
nel codice civile, sia nascosto. L'espressione quocumque
casti, che segue immediatamente alle altre arando vel co
lendo, le quali implicano operazioni materiali, non esclude
l'idea del lavoro (non diretto, ben s'intende, alla ricerca
del tesoro) siccome vogliono gli appellati. Ma checché sia di ciò, è sempre necessario che l'in
ventore esplichi, giova ripeterlo, in qualche modo la sua
attività per scoprire un oggetto mobile nascosto. Ed è
esatta la nozione della inventio che viene riferita dagli
appellanti sulla scorta della comune dottrina. È indispen sabile che solo mediante l'atto dello scoprimento l'inven
tore venga a conoscere l'esistenza della cosa: tanto vero
che chi fosse andato a ricercare la cosa, sapendo già del
luogo ove essa giaceva, non acquistava nulla. " Inventio
quoque occupationis species est, ad quam non sufficit
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1337 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 1338
quod quis rem viderlt aut scit quo in loco sit „ (Voet., Ad Pand., lib. XLI, tit. 6, n. 9). Non basta aver visto, occorre aver messo in luce l'oggetto prezioso.
Attesoché in tal guisa è dimostrato che le differenze
rilevate dal Tribunale fra gli editti pontifici ed il codice civile circa 1 diritti dell' inventore del tesoro non sono
di concetto ; nulla hanno essi innovato in rapporto alla
inventio thesauri del diritto civile. Vi potrà essere qual che differenza di parole, alle quali sembra che i primi
giudici abbiano attribuito soverchia importanza, in onta
al noto canone : scire leges non est earurn verba tenere, sed vim ac potestatem.
Attesoché, alla stregua di questi principi, che era ne
cessario far precedere per la retta decisione della contro
versia, è mestieri indagare se nel caso in esame ricor
rano i requisiti della inventio thesauri.
Ora i Morville nella prima comparsa del 23 novembre
1903, in riferenza a quanto avevano dedotto nell'atto di
citazione, riassunto nella esposizione del fatto, così par
lano dell'avvenimento, da cui ha origine il presente giu dizio : " Antonio Morville ed il figlio esercitavano in
Anzio l'arte del pescatore, e per sopperire alla scarsezza
dei redditi, spesso anche quella sussidiaria di scavatori
di arena. Nel dicembre 1887, appunto per estrarre l'arena,
si dirigevano alla parte di ponente a metri circa trenta
dal faro : e mentre il vento imperversava ed i jlutti vi
s'infrangevano, videro franarsi la terra che copriva i ru
deri, e tra essi giacersi, già spieszata in due parti, un'an
tica statua marmorea. Il capo era rotolato sul basso, e
V intiero corpo caduto bocconi fuori della nicchia. " I Morville non esitarono ad impossessarsi di quella
testa ed a recarla nella propria abitazione. Ma come si
divulgò la notizia, l'ispettore regio agli scavi domandò
ed ottenne venisse sequestrata „. Anche a ritenere per genuina codesta versione, man
cherebbero nella specie i caratteri della inventio thesauri.
I Morville avrebbero assistito occasionalmente allo sco
primento della statua avvenuto per effetto delle onde
burrascose contro i ruderi della villa Neroniana ; nulla
avrebbero essi fatto per addivenire allo scoprimento della
statua. Nel modo stesso che fu scorta da essi, poteva es
sere scorta da chiunque altro si fosse trovato in quei
paraggi. Ma si è dimostrato che il semplice fatto di aver
visto non costituisce lo scoprimento nel senso di legge per
l'acquisto del tesoro.
Vero è che i Morville con l'atto notorio, e successi
vamente con l'articolazione dei capitoli di prova, tendono
a dare al fatto un'altra versione, nel senso che la statua
era sotterrata nell'arena, per avvicinarsi così un po' più
al concetto della inventio thesauri. Ma, a parte codesta
incongruenza nel sistema di difesa, resa anche più ma
nifesta dagli atti e documenti della causa, in ispecie i
rapporti dell'ispettore degli scavi e del sindaco locale, i
quali stabiliscono che la statua venne alla luce per la
violenza esercitata dal mare in quella località, ed esclu
dono altresì che il corpo della stessa si trovasse nella
spiaggia, mentre era rimasto alquanto piegato nella nic
chia, — a parte tutto ciò, i capitoli di prova neppure sareb
bero concludenti in rapporto allo scoprimento. Quello che
specialmente vi si riferisce è il secondo, così formulato : " Che appunto nel dicembre 1887, mentre (i Morville) si
applicavano alla escavazione dell'arena sulla spiaggia del
mare, scoprirono a circa trenta metri dal faro una statua
marmorea muliebre, rendendola a tutti visibile „.
Ora qui lo scoprire non è messo in correlazione di
alcuna operazione che i Morville avessero compiuto, giac ché l'espressione
" mentre si applicavano „ indica che
l'azione dello scavamento dell'arena non era peranco in
cominciata. Cosicché lo scoprire, in sostanza, si traduce
nel vedere, e l'aver soltanto veduto, è d'uopo ripeterlo
ancora, non basta per la inventio. In rapporto alla testa,
è vero che i Morville compirono l'operazione materiale
di raccoglierla e portarla a casa ; ma essa, come si ricava
dal terzo capitolo di prova, non era nascosta o sotterrata
nell'arena, ma era rotolata sul lido del mare in modo
visibile a tutti.
Attesoché, per le ragioni esposte, dovendo l'appello
essere accolto, col conseguente rigetto della domanda dei
Morville, non è il caso di scendere all'esame se concor
ressero, nella specie, gli altri requisiti richiesti dal citato
art. 714 cod. civile.
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI VENEZIA Udienza 19 luglio 1906; Pres. Romanin ; Est. Bregan
zato; Pomello (Avv. Benini) c. Fallimento Adami
Pomello (Avv. Mariani).
Società commerciale — Società collettiva — Kespon
bilitft del socio per le obbligazioni anteriori (cod.
comm., art. 78).
Il commerciante che entra in società con un altro per la
continuazione dell' azienda individuale di questo non e
responsabile solidariamente per le obbligazioni anteriori
alla costituzione della società. (1)
La Corte, ecc. (Omissis) — La sentenza appellata pre
mette la seguente considerazione : " Che di fronte ai terzi
non potesse ritenersi valido il preteso patto sociale per
cui l'Adami, spogliandosi di ogni suo avere per confe
rirlo in società, si riservava a proprio rispettivo carico
debiti e crediti di esso cedente a tutta la data di costi
tuzione, giacché egli veniva in tal guisa a spogliare di
ogni garanzia reale i suoi creditori senza il loro assenso
ed in modo subdolo e clandestino, senza osservanza cioè
delle inerenti formalità legali, ed il Pomello essendo vo
lontariamente concorso in tutto ciò, deve dividere col
l'Adami ogni giuridica rispondenza. Valgono in proposito
le sanzioni di cui agli art. 87, 88 e 90 cod. di commercio.
Quindi il Pomello è tenuto ai debiti tutti dell' azienda
commerciale, non meno che 1' Adami : argomentando per
analogia dall' art. 78 citato codice è da arguire che se in
concreto non preesisteva altra società, v' era però l'ante
riore esercizio per aver nell' identico modo proseguito poi
col Pomello sotto una quasi eguale ragione sociale (Ada
mi Ferdinando-Vittorio e C.) con inganno dei terzi. E
siccome verso costoro non vale il patto che esonera il
nuovo socio dal rispondere delle obbligazioni sociali ; sic
come il Pomello rimpetto all' esercizio mercantile Adami
è da trattarsi come un nuovo socio, cosi la di lui piena
responsabilità solidale coli' Adami si presenta manifesta,
tanto più che in difetto di valido atto sociale non può
(1) In senso contrario Oass. Torino 18 luglio 1899 (Foro it.,
Rep. 1899, voce Società, n. 38). Cfr. anche la x'ecente sentenza della
stessa Cassazione 7 maggio 1906 (Giurispr. di Torino, 1906, 954).
In senso conforme, per la dottrina, Manara, Trattato delle socie
tà, I, n. 195; Navaruini, Comm. delle società, n. 52; per la giuri
sprudenza: App. Genova 27 marzo 1899 (Foro it., Eep. 1899, voce
Prova testimoniale, n. 187) ; App. Bologna 12 novembre 1900 (id.,
Rep. 1901, voce Società, n. 84).
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