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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE || Udienza 28 luglio 1906; Pres. Cardona P. P.,...

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Udienza 28 luglio 1906; Pres. Cardona P. P., Est. Palladini; D'Andrassi e Morville (Avv. Pascale) c. Aldobrandini (Avv. Lupacchioli) Source: Il Foro Italiano, Vol. 31, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE (1906), pp. 1331/1332-1337/1338 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23111559 . Accessed: 18/06/2014 23:24 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.248.154 on Wed, 18 Jun 2014 23:24:58 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Udienza 28 luglio 1906; Pres. Cardona P. P., Est. Palladini; D'Andrassi e Morville (Avv. Pascale)c. Aldobrandini (Avv. Lupacchioli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 31, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1906), pp. 1331/1332-1337/1338Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23111559 .

Accessed: 18/06/2014 23:24

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1331 PARTE PRIMA 1332

ca amministrazione ; potrà forse dar diritto all'altra parte di chiedere la risoluzione della convenzione di riscatto e

il risarcimento dei danni, ma non renderà mai inefficace

quella convenzione, essendo stata essa validamente sti

pulata dal Governo nella pienezza delle sue attribuzioni,

nò porrà nel nulla i diritti e le obbligazioni che ne de

rivano.

Se il Governo non si fosse limitato a far sic et sim

pliciter la dichiarazione di riscatto, ma avesse proceduto

congiuntamente al riscatto ed alla liquidazione dell'in

dennità mediante una convenzione contenente modifica

zioni o deroghe alle norme stabilite per tale liquidazione, allora indubbiamente sarebbe occorsa, per la validità di

simile convenzione, l'approvazione del Parlamento, non

avendo il Governo facoltà di conchiuderla da solo.

Ed allora soltanto sarebbe potuta sorgere la questio ne se il rigetto di tale convenzione da parte del Parla

mento lasciasse o no fermo il riscatto ; questione che an

drebbe evidentemente risoluta in base ad un'indagine di

fatto, all'indagine, cioè, se il Governo avesse o no su

bordinato la sua dichiarazione di riscatto alla condizione

dell'adozione di nuove norme per la determinazione del

l'indennità, o, in altri termini, se vi fosse ragione per

ritenere che il Ministro non avrebbe consentito al ri

scatto, qualora il concessionario non avesse accondisceso

a modificare le norme di liquidazione stabilite nella legge

e nel contratto di concessione.

Che deve pertanto da un lato respingersi l'appello

principale, e dall'altro accogliersi per quanto di ragione

l'appello incidente ; e ciò perchè, ritenuta perfetta la con

venzione di riscatto in virtù dell' incontro dei due con

sensi avvenuto al momento della notificazione dell'atto

di diffida del 27 ottobre e 2 novembre 1903, il Tribu nale non avrebbe dovuto arrestarsi, come fece con mani

festa contradizione, a pronunziare gli effetti giuridici della convenzione stessa nei rapporti dello Stato, cioè :

a) l'obbligo nel Governo di prendersi in consegna la linea, già tornata, fin dal 1° gennaio 1905, in pro

prietà dello Stato;

b) la nomina di un perito contabile per procedere in base ai conti consuntivi degli ultimi sette anni di

esercizio alla determinazione dell'annualità dovuta alla

Società ; c) la dichiarazione dell'obbligo del Governo di as

sumere le conseguenze dell'esercizio dal 1° gennaio 1905, non avendo le Società potuto continuarlo se non per conto

ed a spese dello Stato, dal momento che da quel giorno la linea non era più sua e mancava qualsiasi contratto

che riguardasse esclusivamente l'esercizio ;

d) la dichiarazione dell'obbligo dello Stato di rile

vare gli oggetti mobili e le provviste riconosciute servi

bili all'esercizio e alla manutenzione della strada a prezzo risultante da stima fissata d'accordo, e, in caso di dis

senso, determinata a giudizio d'arbitri.

Il Tribunale credette di non potere emettere tali di

sposizioni per la ragione che la liquidazione dell'inden

nità e del prezzo dei materiali deve formare obietto, nei

suoi risultati, dell'esame del potere legislativo, senza ri

flettere che, compiutosi validamente il riscatto per opera esclusiva del Governo, i diritti e le obbligazioni che ne

derivano (quali appunto l'obbligazione dello Stato di

prendere in consegna la linea, il materiale mobile e le

provviste, e di pagare i relativi compensi, da determi

narsi secondo le norme stabilite) sono diritti ed obbli

ghi giuridicamente perfetti, a cui nulla può togliere e

nulla aggiungere l'esame dei risultati del riscatto da

parte del Parlamento.

Il Parlamento dovrà intervenire soltanto per lo stan

ziamento dei fondi necessari all'adempimento delle ob

bligazioni derivanti dal riscatto allo Stato : ma non per

chè questo stanziamento venga eventualmente rifiutato,

quelle obbligazioni ed i correlativi diritti dell'altra parte

cadranno nel nulla. Solo, come già si è detto, una legge

vera e propria, votata dalla Camera e dal Senato e san

zionata dal Re, potrebbe, data l'onnipotenza del potere

legislativo nella nostra Costituzione, sopprimere un di

ritto perfetto e negare per esso qualsiasi indennizzo.

{Omissis). Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI ROMA, Udienza 28 luglio 1906 ; Pres. Cardona P. P., Est. Pal-

*

ladini; D'Andrassi e Morville (Avv. Pascale) c.al dobrandini (Avv. Lupacchioli).

Tesoro — Oggetto artistico -—■ Scoperta — Concetto

giuridico (Cod. civ., art. 714).

Così per diritto romano e per gli editti pontifici Doria e

Pacca, come pel codice civile vigente, l'atto materiale

di scorgere un oggetto artistico non visto precedente mente da altri, quando però tutti erano nella possibi lità di vederlo, non equivale alla scoperta, la quale richiede sempre l'esplicazione di un'attività qualsiasi

che sveli qualche cosa prima non conosciuta. (1)

Quindi non scopre il tesoro ai sensi e per gli effetti di

legge chi occasionalmente assiste al suo scoprimento,

avvenuto per la violenza delle onde del mare, frangen tisi contro il luogo che lo nascondeva.

La Corte, ecc. — Il regio ispettore degli scavi in An

zio con lettera del 30 dicembre 1887 partecipava al sin

daco di Anzio : che il mare battendo in breccia stilla riva

di ponente aveva scoperto una statua di cui il pescatore Antonio Morville aveva potuto prendere la testa ; che da

visita da lui fatta aveva potuto rilevare che la statua

aveva piegato e ceduto entro la propria nicchia su di un

lato. In pari tempo invitava il sindaco, a tutela dei di

ritti dell'arte e del privato sul cui terreno la detta sta

tua fosse stata trovata, a farla sequestrare, e provvedere

perchè nessuno avesse potuto deturpare l'opera d'arte fino

a che non fossero giunte disposizioni dal Ministero della

pubblica istruzione.

Il sindaco, in qualità di ufficiale di p. a., provvide all' immediato sequestro sia della testa presa dal Morville,

che del tronco rimasto sul luogo ove fu rinvenuta la

statua, e quindi, in base agli ordini impartiti dal Mini

stero, dispose che la medesima fosse trasportata a Roma.

Il Ministero la ritenne presso di sè per qualche tempo, fino a che nel giorno 13 marzo 1888 ne fece consegna alla principessa Francesca Aldobrandini, essendosi accer

tato, dietro i reclami della stessa, che il luogo dove era

posta la statua, apparteneva in proprietà alla casa Aldo

brandini.

Dopo parecchi anni, e propriamente con atti del 23, 24 e 25 giugno 1903, Santarella d'Andrassi vedova del

su nominato Antonio Morville, tanto in nome proprio che

(1) Non conosciamo precisi precedenti sulla questione spe cifica. In tema di tesoro veggasi da ultimo App. Firenze 23 marzo 1901 (Foro it., 1901, I, 1236) ed i richiami in nota.

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GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE

in rappresentanza della figlia minore Caterina Morville, nonché Ascanio, Germano e Maria Grazia Morville, in

qualità di eredi dello Antonio, traevano innanzi al Tri

bunale di Roma la detta Francesca ed altri Aldobrandini

esponendo :

Ohe sulla fine del 1887 lo Antonio Morville ed il figlio Ascanio rinvennero la statua muliebre marmorea, di cui

sopra è parola, in Anzio, tra i ruderi della villa impe riale di Nerone, presso il lido del mare, a circa trenta

metri dal faro, in cui giaceva sotterra ; che tale statua

si scopri per solo caso fortuito, e che, sebbene per gli

spostamenti subiti abbia il capo separato, nondimeno era, ed è tuttora, di grandissimo pregio, e costituiva giuri dicamente un tesoro ; che i Morville s'impossessarono della testa di siffatta statua, che poi furono costretti a

consegnare al Municipio ; che la statua è tuttora posse duta dalla vedova ed eredi del principe Pietro Aldo

brandini.

E, ciò premesso, chiedevano che il Tribunale dichia

rasse che la proprietà della indicata statua spetta per metà agli scopritori Ascanio ed Antonio Morville, e per

quest'ultimo, ai singoli suoi eredi e figli, attribuendola

ai medesimi a forma di legge. I convenuti dedussero : che i Morville non avevano

scoperto nulla ; che nella notte dal 28 al 29 dicembre

1887 si scatenò una furiosa tempesta in quella località

e la violenza delle onde produsse il franamento di una

parte dei ruderi della villa di Nerone, i quali, precipitando

nel mare, lasciarono allo scoperto dietro di loro parte di

una sala con nicchia, entro una delle quali si trovava

una statua di marmo : la tempesta smosse la statua da

secoli ferma nella sua nicchia, la fece piegare sopra un

lato, ciò che produsse la rottura della testa, la quale cadde

verso il mare; che i Morville, pescatori, nella mattina suc

cessiva, calmata la burrasca, passando con la loro barca

peschereccia rasente le rovine, videro la statua, e senza

far motto ad alcuno, si appropriarono la testa per farne

commercio. Mancando quindi la denuncia, essi non pos

sono provare di essere stati i primi a vedere, anzi a sco

prire la statua.

Ammesso che fossero stati i primi a vedere la statua,

non potrebbero giovarsi delle disposizioni di legge che

invocano a loro favore, perchè in virtù degli editti Do

ria e Pacca, allora in vigore, gl' inventori che non de

nunciano l'oggetto scoperto perdono ogni diritto su di esso.

La statua, messa in evidenza dalla mareggiata, non

è un tesoro di cui la metà possa spettare all' inventore.

Infatti, prescindendo dal valore pressoché nullo delle

statue di decorazione, quella in questione, appunto per

chè statua di decorazione in una nicchia aperta nella

parete di una sala, è un immobile per destinazione : ciò

esclude il concetto del tesoro, sia per diritto romano che

pel codice italiano ; che inoltre essa aveva un proprieta rio legittimo e ben determinato, cioè il proprietario del

fondo e degli avanzi della villa neroniana ; il che im

portava, sotto un altro aspetto, l'esclusione del concetto

del tesoro ; che non valesse il dire che il colpo di mare

aveva reso mobile l'immobile per destinazione, perchè manca l'atto volontario del proprietario, che può solo li

berare dalla immobilizzazione.

La narrazione dei fatti contenuta in citazione, la sco

perta, cioè, della statua nell'arena da cui era ricoperta, è smentita dai documenti stessi degli attori, giacché da

essi risulta nel modo più evidente che la statua fu messa

allo scoperto dal mare.

I convenuti quindi conchiusero perchè la domanda

fosse rigettata. Gli attori alla loro volta chiesero di essere ammessi

a provare con testimoni i fatti dedotti nella loro com

parsa. II Tribunale, con sentenza del 9 maggio 1904, senza

attendere le eccezioni dei convenuti, ammise la prova te

stimoniale sui cinque capitoli all'uopo formulati dagli attori.

Avverso tale pronunziato produssero appello i conve

nuti Aldobrandini con atto del 27 aprile 1906 pei motivi

nel medesimo dedotti e che qui in seguito saranno esa

minati. Attesoché nell'atto istitutivo del giudizio i Morville,

a coonestare l'azione da essi intentata, si esprimono nei

seguenti termini : " Ritenuto che non si è dato agli sco

pritori della statua signori Morville la metà del tesoro, come è prescritto dal codice civile vigente, e tornò inutile

qualsivoglia richiesta .. . „. Con la prima comparsa del

23 novembre 1903 gli attori reclamano l'applicazione del

l'art. 714 detto codice, di cui trascrivono il tenore. Con

la comparsa aggiunta del 7 marzo 1904, diretta special mente a confutare le ragioni della difesa dei convenuti, deducono : " Che l'eccezione di carenza di azione elevata

da costoro è inattendibile, mentre l'azione istessa ha un

triplice fondamento. Lo ha nel diritto romano, poiché secondo le Istituzioni lib. II, de rer. divis., il dominio del

tesoro si attribuisce metà all' inventore, metà al proprie tario del fondo ; lo ha secondo il codice civile vigente, e già pubblicato all'epoca della scoperta del tesoro, ossia

della statua, poiché nell'art. 714 è prescritta una dispo sizione perfettamente identica ; lo ha infine per gli editti

Pacca e Doria, che la parte avversa predilige, poiché for

malmente nell'art. 50 del menzionato editto Pacca si legge in ordine allo scoprimento di oggetti di antichità : " Nel caso fortuito l'inventore dovrà avere la metà del ritro

vato, cedendo l'altra metà a vantaggio del proprietario del fondo „.

E dopo ciò conchiudono : " Per legge adunque com

pete ai Morville la proprietà del trovato,,.

Attesoché, per tal modo, risulta fino all'evidenza che, ad avviso degli attori, la legge che doveva regolare i loro

diritti nei rapporti cogli Aldobrandini era il codice ci vile. Se nella comparsa aggiunta accennano all'editto

Pacca, lo fanno solo in risposta alla parte avversa che

tale editto invocava, ma soggiungono che questo non re

gola diversamente dal codice civile i diritti dell'inventore

del tesoro.

Attesoché, d'altra parte, se i convenuti richiamarono

gli editti Doria e Pacca, ciò fecero unicamente in soste

gno della loro eccezione pregiudiziale di carenza di azione

per la mancata denuncia della scoperta di cui i Morville

si dicevano autori. Infatti essi assumevano che si fosse

violato dai Morville l'art. 13 dell'editto Doria, cui si ri

porta l'editto Pacca, editti che continuarono ad aver vi

gore anche dopo il 1871, per quanto concerne l'obbligo della denuncia. Ma i convenuti non invocarono altresì i

mentovati editti per quanto riguardava i diritti privati sugli oggetti scoperti : ciò è sì vero, che la loro difesa in

merito fu svolta appunto sulle disposizioni del codice ci

vile relative al tesoro, disposizioni, che, come si è visto, anche gli attori avevano posto a fondamento della loro

domanda fin dall'atto introduttivo della lite.

Attesoché, dopo ciò, non è agevole comprendere come

e perchè i primi giudici, prendendo occasione dalla de

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1335 PARTE PRIMA 1336

duzione dei convenuti circa gli editti pontifici, fatta al limitato scopo della loro eccezione pregiudiziale, e senza

por mente che l'applicazione del codice civile nella sog

getta materia era reclamata da entrambe le parti, si pro

pongano fin da principio di decidere la controversia po nendo quasi da banda il detto codice, ed esclusivamente

in base alle disposizioni degli editti, sul non adeguato

concetto che questi regolassero diversamente i diritti

privati sugli oggetti scoperti. Però, a dimostrare che essi non ben si apponevano,

giova trascrivere integralmente tali disposizioni. L'art. 47 dell'editto Pacca è così concepito: "

Coloro che scopriranno per caso gli oggetti d'arte e

di antichità non potranno distrarli, e saranno sottoposti

alle presenti disposizioni e a quelle ordinate dal chiro

grafo sovrano del 1° ottobre 1802. „

Art. 48. "

In pari modo lo saranno quelli che trovano

antichità facendo scassati, fondamenti od altro, ed in

particolar guisa i cavatori di pozzolana ed i lavoratori

delle pubbliche strade „. Art. 50. " Nel caso fortuito l'inventore dovrà avere

la metà del ritrovato, cedendo l'altra a vantaggio del pa

drone del fondo. " L'inventore salariato o giornaliero trova pel suo

padrone. L'inventore che non adempie alle presenti di

sposizioni perde ogni diritto Ora non può cadere dubbio che queste e le altre di

sposizioni degli editti sono coordinate ad un fine d'in

teresse pubblico ed altamente civile, quale è la tutela e

conservazione delle opere d'arte antica che formano vanto

e decoro di questa classica terra, che Eugenio Muntz

(.Ilistoire de l'art pendant la Renaissance, Paris, Hachette,

1890) chiama: " madre comune di ogni uomo pensante „. Esse però non potevano, e, nel fatto, non derogarono ai

principi di diritto privato tramandati dalla sapienza ro

mana, e rimasti pressoché invariati, relativamente allo

acquisto del tesoro per mezzo della occupazione. Basta

metterle in confronto col citato art. 714 cod. civ., che

cosi suona : " Il tesoro appartiene al proprietario del

fondo in cui si trova. Se il tesoro è trovato nel fondo

altrui, purché sia stato scoperto per solo effetto del caso,

spetta per metà al proprietario del fondo ove fu trovato

e per metà al ritrovatore. Tesoro è qualunque oggetto che sia nascosto o sotterrato, e del quale nessuno possa

provare di essere padrone „. Ora è a por mente che il testo degli editti non pre

scinde dal concetto della scoperta : coloro che scopriranno

per caso, dice l'art. 47 : con questo va messo in correla

zione il successivo art. 50, il quale, se parla del ritrovato, non può riferirsi che al ritrovato in seguito a scoperta.

L'atto materiale di vedere soltanto un oggetto non visto

precedentemente da altri, quando però tutti erano nella

possibilità di vederlo, non può legalmente equivalere alla

scoperta. Questa consiste nel disvelare qualche cosa che

la comune degli uomini non avrebbe potuto altrimenti

conoscere. Lo dimostra in modo evidente l'art. 48 dello

editto Pacca nella ipotesi che fa di oggetti che si rin

vengono eseguendo scassati, fondamenti od altro, e che

poggia sopra un duplice presupposto : che gli oggetti di

arte e di antichità siano collocati al coperto nel suolo e

non alla vista di tutti, e che vengano alla luce compien dosi dall'inventore un qualche lavoro. Adunque, se non

esplicitamente, questa disposizione dell'editto implicita mente esige che l'oggetto d'arte e di antichità sia na

scosto.

L'art. 50 poi non fa che disciplinare specificamente il diritto dell' inventore di oggetti d'arte e di antichità, e stabilisce la stessa proporzione rimunerativa della metàj di cui al codice civile. E una disposizione pressoché su

perflua, ma non del tutto inutile, poiché in tal guisa viene

rimossa qualsiasi dubbiezza, se agli oggetti d'arte e di

antichità, qualunque essi fossero, e di cui non parla il

codice civile, si dovesse applicare la nozione generica del

tesoro in ordine ai diritti dell'inventore. Ma il concetto

della inventio thesauri, tanto per gli editti pontifici, che

pel codice civile, è sempre quello del diritto classico. " Thesauros quos quis in loco suo invenerit, divus Ha

drianus, naturalem aequitatem sequutus, et concessit qui eos invenerit. Idernque statuit, si quis in sacro aut reli

gioso loco fortuito casu invenerit. At si quis in alieno

loco, non data ad hoc opera, sed fortuitu, invenerit, di

midium domino soli concessit et dimidium inventori

(§ 3, Inst., de rer. divis.). E chiaro che con le espressioni

non data ad hoc opera si è inteso escludere soltanto il

lavoro diretto alla ricerca del tesoro, ma non si è dero

gato al concetto dello scoprimento, della esplicazione di

un'attività qualsiasi da parte dell' inventore : questi, an

che non compiendo un lavoro assolutamente materiale,

deve però disvelare qualche cosa che prima non era co

nosciuta, perchè non alla vista di tutti, o nella possibi

lità di essere da tutti veduta ; in breve, era nascosta.

L'idea dello scoprimento, che, come si è detto, non

va confusa con quella del vedere per caso una cosa che

da tutti poteva esser veduta, è confermata dalla legge unica

Cod., de thes., di cui però gli appellati citano solo l'ul

tima parte, cioè : "... Quod si forte, vel arando vel alias

terram alienam colendo, vel quocumque casu, non studio

perscrutandi in alienis locis, thesaurum invenerit ; id quod

repertum fuerit, dimidia retenta, altera dimidia data, cum

locorum domino partiatur „.

Ma per la retta interpretazione occorre porre in re

lazione questo brano con quanto viene dichiarato prece

dentemente dall' Imperatore Leone : "

... In suis quidern

locis unicuique... thesaurum, id est condita ab ignotis

dominis tempore vetustiori mobilia (nel Ood. Teodo

siano monilia) quaerere, et invento uti liberam tribui

mus facultatem ; ne ulterius Dei beneficium invidiosa

calumnia persequatur ... In alienis vere terrulis nemo

audeat invitti dominis opes abditas suo nomine perscru

tai . .. Quod si ferte vel arando etc. „ (segue l'ultima

parte testé trascritta).

Adunque nelle diverse ipotesi che si fanno nella Co

stituzione di rinvenimento del tesoro, sia nel proprio,

che nell'altrui fondo, permane sempre il concetto che il

tesoro, di cui si dà la definizione riprodotta presso a poco

nel codice civile, sia nascosto. L'espressione quocumque

casti, che segue immediatamente alle altre arando vel co

lendo, le quali implicano operazioni materiali, non esclude

l'idea del lavoro (non diretto, ben s'intende, alla ricerca

del tesoro) siccome vogliono gli appellati. Ma checché sia di ciò, è sempre necessario che l'in

ventore esplichi, giova ripeterlo, in qualche modo la sua

attività per scoprire un oggetto mobile nascosto. Ed è

esatta la nozione della inventio che viene riferita dagli

appellanti sulla scorta della comune dottrina. È indispen sabile che solo mediante l'atto dello scoprimento l'inven

tore venga a conoscere l'esistenza della cosa: tanto vero

che chi fosse andato a ricercare la cosa, sapendo già del

luogo ove essa giaceva, non acquistava nulla. " Inventio

quoque occupationis species est, ad quam non sufficit

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1337 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 1338

quod quis rem viderlt aut scit quo in loco sit „ (Voet., Ad Pand., lib. XLI, tit. 6, n. 9). Non basta aver visto, occorre aver messo in luce l'oggetto prezioso.

Attesoché in tal guisa è dimostrato che le differenze

rilevate dal Tribunale fra gli editti pontifici ed il codice civile circa 1 diritti dell' inventore del tesoro non sono

di concetto ; nulla hanno essi innovato in rapporto alla

inventio thesauri del diritto civile. Vi potrà essere qual che differenza di parole, alle quali sembra che i primi

giudici abbiano attribuito soverchia importanza, in onta

al noto canone : scire leges non est earurn verba tenere, sed vim ac potestatem.

Attesoché, alla stregua di questi principi, che era ne

cessario far precedere per la retta decisione della contro

versia, è mestieri indagare se nel caso in esame ricor

rano i requisiti della inventio thesauri.

Ora i Morville nella prima comparsa del 23 novembre

1903, in riferenza a quanto avevano dedotto nell'atto di

citazione, riassunto nella esposizione del fatto, così par

lano dell'avvenimento, da cui ha origine il presente giu dizio : " Antonio Morville ed il figlio esercitavano in

Anzio l'arte del pescatore, e per sopperire alla scarsezza

dei redditi, spesso anche quella sussidiaria di scavatori

di arena. Nel dicembre 1887, appunto per estrarre l'arena,

si dirigevano alla parte di ponente a metri circa trenta

dal faro : e mentre il vento imperversava ed i jlutti vi

s'infrangevano, videro franarsi la terra che copriva i ru

deri, e tra essi giacersi, già spieszata in due parti, un'an

tica statua marmorea. Il capo era rotolato sul basso, e

V intiero corpo caduto bocconi fuori della nicchia. " I Morville non esitarono ad impossessarsi di quella

testa ed a recarla nella propria abitazione. Ma come si

divulgò la notizia, l'ispettore regio agli scavi domandò

ed ottenne venisse sequestrata „. Anche a ritenere per genuina codesta versione, man

cherebbero nella specie i caratteri della inventio thesauri.

I Morville avrebbero assistito occasionalmente allo sco

primento della statua avvenuto per effetto delle onde

burrascose contro i ruderi della villa Neroniana ; nulla

avrebbero essi fatto per addivenire allo scoprimento della

statua. Nel modo stesso che fu scorta da essi, poteva es

sere scorta da chiunque altro si fosse trovato in quei

paraggi. Ma si è dimostrato che il semplice fatto di aver

visto non costituisce lo scoprimento nel senso di legge per

l'acquisto del tesoro.

Vero è che i Morville con l'atto notorio, e successi

vamente con l'articolazione dei capitoli di prova, tendono

a dare al fatto un'altra versione, nel senso che la statua

era sotterrata nell'arena, per avvicinarsi così un po' più

al concetto della inventio thesauri. Ma, a parte codesta

incongruenza nel sistema di difesa, resa anche più ma

nifesta dagli atti e documenti della causa, in ispecie i

rapporti dell'ispettore degli scavi e del sindaco locale, i

quali stabiliscono che la statua venne alla luce per la

violenza esercitata dal mare in quella località, ed esclu

dono altresì che il corpo della stessa si trovasse nella

spiaggia, mentre era rimasto alquanto piegato nella nic

chia, — a parte tutto ciò, i capitoli di prova neppure sareb

bero concludenti in rapporto allo scoprimento. Quello che

specialmente vi si riferisce è il secondo, così formulato : " Che appunto nel dicembre 1887, mentre (i Morville) si

applicavano alla escavazione dell'arena sulla spiaggia del

mare, scoprirono a circa trenta metri dal faro una statua

marmorea muliebre, rendendola a tutti visibile „.

Ora qui lo scoprire non è messo in correlazione di

alcuna operazione che i Morville avessero compiuto, giac ché l'espressione

" mentre si applicavano „ indica che

l'azione dello scavamento dell'arena non era peranco in

cominciata. Cosicché lo scoprire, in sostanza, si traduce

nel vedere, e l'aver soltanto veduto, è d'uopo ripeterlo

ancora, non basta per la inventio. In rapporto alla testa,

è vero che i Morville compirono l'operazione materiale

di raccoglierla e portarla a casa ; ma essa, come si ricava

dal terzo capitolo di prova, non era nascosta o sotterrata

nell'arena, ma era rotolata sul lido del mare in modo

visibile a tutti.

Attesoché, per le ragioni esposte, dovendo l'appello

essere accolto, col conseguente rigetto della domanda dei

Morville, non è il caso di scendere all'esame se concor

ressero, nella specie, gli altri requisiti richiesti dal citato

art. 714 cod. civile.

Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI VENEZIA Udienza 19 luglio 1906; Pres. Romanin ; Est. Bregan

zato; Pomello (Avv. Benini) c. Fallimento Adami

Pomello (Avv. Mariani).

Società commerciale — Società collettiva — Kespon

bilitft del socio per le obbligazioni anteriori (cod.

comm., art. 78).

Il commerciante che entra in società con un altro per la

continuazione dell' azienda individuale di questo non e

responsabile solidariamente per le obbligazioni anteriori

alla costituzione della società. (1)

La Corte, ecc. (Omissis) — La sentenza appellata pre

mette la seguente considerazione : " Che di fronte ai terzi

non potesse ritenersi valido il preteso patto sociale per

cui l'Adami, spogliandosi di ogni suo avere per confe

rirlo in società, si riservava a proprio rispettivo carico

debiti e crediti di esso cedente a tutta la data di costi

tuzione, giacché egli veniva in tal guisa a spogliare di

ogni garanzia reale i suoi creditori senza il loro assenso

ed in modo subdolo e clandestino, senza osservanza cioè

delle inerenti formalità legali, ed il Pomello essendo vo

lontariamente concorso in tutto ciò, deve dividere col

l'Adami ogni giuridica rispondenza. Valgono in proposito

le sanzioni di cui agli art. 87, 88 e 90 cod. di commercio.

Quindi il Pomello è tenuto ai debiti tutti dell' azienda

commerciale, non meno che 1' Adami : argomentando per

analogia dall' art. 78 citato codice è da arguire che se in

concreto non preesisteva altra società, v' era però l'ante

riore esercizio per aver nell' identico modo proseguito poi

col Pomello sotto una quasi eguale ragione sociale (Ada

mi Ferdinando-Vittorio e C.) con inganno dei terzi. E

siccome verso costoro non vale il patto che esonera il

nuovo socio dal rispondere delle obbligazioni sociali ; sic

come il Pomello rimpetto all' esercizio mercantile Adami

è da trattarsi come un nuovo socio, cosi la di lui piena

responsabilità solidale coli' Adami si presenta manifesta,

tanto più che in difetto di valido atto sociale non può

(1) In senso contrario Oass. Torino 18 luglio 1899 (Foro it.,

Rep. 1899, voce Società, n. 38). Cfr. anche la x'ecente sentenza della

stessa Cassazione 7 maggio 1906 (Giurispr. di Torino, 1906, 954).

In senso conforme, per la dottrina, Manara, Trattato delle socie

tà, I, n. 195; Navaruini, Comm. delle società, n. 52; per la giuri

sprudenza: App. Genova 27 marzo 1899 (Foro it., Eep. 1899, voce

Prova testimoniale, n. 187) ; App. Bologna 12 novembre 1900 (id.,

Rep. 1901, voce Società, n. 84).

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